Roma, 17 lug (Velino) - “Per noi sembra che non ci debba essere nessuna
integrazione, ma solo lager in cui perdere la dignità di esseri umani”. A
denunciarlo sono i rappresentanti di alcuni dei principali campi nomadi della
Capitale che oggi, nella facoltà di Scienze statistiche della Sapienza, hanno
organizzato una conferenza stampa per denunciare i pericoli insiti nella
“deportazione” dei Rom della Capitale in quattro grandi “Villaggi della
solidarietà”, fuori dal raccordo anulare, prevista nel Patto per la sicurezza
firmato dal sindaco capitolino Walter Veltroni con il ministro dell’interno
Giuliano Amato. Uno dopo l’altro i rappresentanti dei campi hanno raccontato il
loro percorso, sottolineando le difficilissime condizioni di vita che si sono
protratte per decenni. Il 95 per cento dei Rom presenti nella Capitale è
stanziale, con particolare riferimento al grande insediamento di Castel Romano,
proposto da alcuni come modello, per struttura e dimensioni, dei “Villaggi”
previsti nel Patto per la sicurezza. “Non abbiamo acqua potabile, siamo isolati
dal mondo – racconta Luigi, uno dei rappresentanti del campo – ci siamo spostati
nel 2005 da vicolo Savini, sradicando i nostri bambini dal tessuto sociale nel
quale si erano faticosamente inseriti, in quella che doveva essere un’area ‘attrezzata’.
Qui però abbiamo trovato 220 container per oltre mille persone, a otto
chilometri dal centro abitato più vicino, senza neanche un filo d’ombra e una
fermata dell’autobus. Ma soprattutto nel campo non c’è acqua: l’unica che
possiamo avere è quella fornita da un pozzo, per due ore al giorno, che non è
potabile ed è inquinata”. Una situazione difficile che verrà raccontata e
denunciata nel corso di una manifestazione, giovedì 19 luglio dalle 19,
organizzata all’interno del campo, al km 20 della via Pontina, in cui l’acqua
del pozzo verrà imbottigliata come “Acqua della fonte della solidarietà” e
donata alle autorità politiche e istituzionali responsabili. Gli ospiti verranno
accolti con cibi tradizionali, cortei musicali itineranti e poesie delle culture
Rom.
In tutti gli interventi della mattinata ci sono attacchi alla amministrazione
capitolina e al governo per i contenuti, ma anche per il processo decisionale,
del Patto per la sicurezza. “Il processo che ha portato a questo documento –
spiega Graziano del campo di Ciampino – è passato sopra le nostre teste. Si
tratta di un comportamento degno di uno stato autoritario che ha prodotto un
risultato dal sapore ancora più autoritario. Ho sentito le istituzioni parlare
spesso di solidarietà e integrazione, ma l’intento mi sembra quello di isolare e
nascondere il diverso. Di integrazione non c’è traccia. Stiamo lavorando a un
progetto comune, con il comitato “Rom e Sinti insieme” nato a marzo, per
presentare delle proposte alternative alla questione a livello nazionale. Deve
esserci lasciata la libertà di scelta, ci devono permettere di elaborare vie
alternative, altrimenti il pericolo che la situazione si faccia difficile è
altissimo”.
Decabel, ragazzo rumeno che vive in un insediamento abusivo, racconta: “Io e la
mia famiglia, come le altre nella nostra situazione, ci svegliamo la mattina
pensando, anche oggi abbiamo un tetto. Si spendono decine di migliaia di euro
per demolire i nostri campi, quando potrebbero essere usate per rendere la
situazione più vivibile e garantire un futuro diverso ai nostri figli. Invece
Veltroni fa venire in Italia i poliziotti rumeni che hanno distrutto le nostre
case vent’anni fa in Romania”. Mentre si teneva la conferenza stampa però, quasi
in risposta alle proteste dei Rom, in via Maddaloni, nel VI Municipio, le forze
dell’ordine portavano a termine lo sgombero di un insediamento abusivo in cui
erano presenti circa 50 tra nomadi e rumeni. Ai minori, sottolinea una nota del
VI Municipio, è stata data “un’adeguata sistemazione”.