Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da
Rom e Sinti in Italia e nel mondo
Partendo per la Romania, ho avuto la sensazione di imbarcarmi in un'avventura
assurda, fuori dal tempo, quell'avventura che sognavo da parecchio.
I metodi poco limpidi per arrivarci di certo non mi tranquillizzavano, quelli
che la mia famiglia Rom chiamava 'pullman per la Romania' altro non sono che
auto grandi (tipo l'Ulysse o auto/furgoncini simili) guidati da questi soggetti
che passano la loro vita a fare avanti - indietro tra Bologna e Craiova... una
scenetta da prime pagine dei giornali sul tema dell'immigrazione. Ma partiamo
dall'inizio.
Ho conosciuto la mia famiglia Rom mesi fa, ad una festa nel parco dietro casa
mia, abito alle periferie di Bologna e ci sono dei posti molto carini che
purtroppo, essendo fuorimano, non vengono sfruttati. Ci sono state iniziative
molto belle, ho fatto un corso di cucina Rumena dove ho conosciuto Irina, la
mamma delle mie future amiche, poi alla festa serale ho conosciuto e ballato con
Rebecca, Cirasela e Adelina e da quella sera ci siamo viste praticamente tutti i
giorni, per mesi.
Ora non starò a raccontare qui tutte le emozioni e le cose fatte con la mia
nuova famiglia adottiva, basti sapere che ad un certo punto sono arrivati dei
momenti brutti, dei pasticci con le burocrazie, e la famiglia ha fatto le
valigie per tornare in Romania, in un piccolo paese vicino Craiova, Barca. E io
sono andata con loro.
Di prima mattina, dopo avere dormito per terra abbracciata alle mie amiche
(perché la mamma, la capo famiglia, avendo paura di fare tardi per il viaggio
aveva buttato via tutti - TUTTI! - i letti della casa la sera prima della
partenza!), c'è stata la fantastica 'colazione alla Zingara', ovvero una
scorpacciata di pollo, pane e maionese, per iniziare bene la giornata! Poi
contrattazioni varie e finalmente, si parte!
Venti ore di viaggio, mille e ottocento km, con musica Rumena a palla nello
stereo, gente che balla, mangia, che continuamente si stupisce vedendomi: 'Ma tu
sei Italiana? Cosa vai a fare in Romania? Cosa ci fai in mezzo a questi brutti
zingari, non hai paura?!'
E alla fine, tra pic nic improvvisati nelle aiuole degli autogrill e dormite:
Italia, Slovenia, Ungheria... Romania! Arrivati!
La prima cosa della Romania sono stati tre bambini. Piccoli, sporchissimi, che
si aggrappavano ai vestiti chiedendo soldi, con le cicatrici in faccia.
Poi una visita a Cerata, paese abitato solo da famiglie Rom, un giro di saluti e
abbracci, tra gente che già conoscevo e facce nuove, che avevano deciso di
volermi bene.
L'aspetto più bello della Romania sono state le persone.
E a loro lo dicevo sempre, camminando nel paesino tutti mi guardavano come fossi
un'aliena, si domandavano come fosse possibile che un'Italiana fosse in quel
paesello sperduto, povero, di Rom che raccolgono il ferro, di contadini... .la
felicità più grande era vedere lo stupore sulle loro facce e poi dei grandi
sorrisi.
Vedermi lì con loro, a passare le giornate come le passano loro, in un posto
dove non c'è nulla, al di fuori di ignoranti pregiudizi, per loro era davvero
una gioia, e lo dicevano senza vergogna.
Il bello di questo popolo è anche la sincerità... .un popolo che per i gagi
dovrebbe vergognarsi di tutto e invece non si vergogna di niente.
Le emozioni sono quelle e si comunicano senza troppi giri di parole...
.oltretutto, non credo di essere stata toccata tanto in vita mia come in quella
settimana in Romania! Quanti abbracci, mamma mia! Che gioia! Quante strette di
mano, quante mani che mi prendevano su ad ogni ora del giorno e della sera per
andare a ballare un po' nel cortile o in camera, vicino alla stufetta.
Perché poi, c'è da dire che faceva un freddo incredibile! La nevicata che c'è
stata qui in Italia, durante il mese di febbraio, è partita dai Balcani... .la
stessa neve fina fina, l'ho riconosciuta!
Ecco, una bella mattina ci siamo svegliati ed era tutto bianco e la neve non
smetteva mai di cadere.
Immaginate la stessa nevicata dell'Italia, le stesse stalattiti di ghiaccio che
pendono dai muri ma... niente riscaldamento!
Senza acqua calda!
Si, perché lì c'era la luce... e basta.
L'acqua si va a prendere al pozzo che è in fondo alla stradina e l'acqua si
scalda poi sulla stufa a legna..la legna si prende nella stalla dei maiali... il
maiale si uccide, altrimenti da mangiare non c'è nulla... .e si fa la festa per
la morte del maiale!
Quella serata è stata fantastica, dopo le ore passata a preparare salsicce,
zuppe di carne, e tutto quello che si può preparare con un maiale (taaaaaaante
cose, non si butta via niente!!!), hanno iniziato a spuntare parenti e amici da
ogni dove, zie, cugini, eccetera... ognuno aveva una bottiglia di qualcosa
sottobraccio, per cui vi lascio immaginare!
Dalla strada principale si sentiva la potenza delle casse dello stereo di Ursari,
il fratello più grande, che metteva su le grandi hit di musica pop Zingara, e
tutti ballavamo come matti, tutti alticci!
Da bravi contadini alla mattina mi svegliavano con un bicchiere di vino caldo
zuccherato!
E le giornate erano così, molto semplici, sempre affollate di persone.
I tempi sono quelli del sole si potrebbe dire, ci si svegliava prestissimo alla
mattina, si puliva la casa, si faceva da mangiare, si badava ai fratelli più
piccoli, si facevano dei giri in paese, si ballava e alla sera eravamo a letto a
dormire già alle sette, otto di sera... .sfinite!
Quello che soprattutto si fa, durante la giornata, sono delle chiacchiere,
discorsi e ragionamenti infiniti, non sempre basati su cose reali. Spesso mi è
capitato di parlare con ragazzi e ragazze Rom che palesemente si stavano
inventando quello di cui parlavano... ma era bello così, per loro credo che in
fondo, vero o non vero, sia uguale...
Io dormivo con le mie due amiche in un lettone matrimoniale, dormivamo tutte le
notti abbracciate strettissime per via del freddo... non ho mai dormito così
bene in vita mia.
La condivisione di tutto, anche del sonno.
Non c'è cibo buono che puoi gustarti da solo, ma non perché gli altri sarebbero
invidiosi, ma perché è più bello anche per te condividere le cose.
Una stecca di cioccolato comprata all'alimentari andava spartita per sei, sette
persone. Per qualsiasi cosa è così. Ed è un valore meraviglioso che noialtri non
abbiamo più... Si condividono gli spazi, la privacy non esiste, perché poi
dovrebbe esserci? Io facevo pipì guardando in faccia le mie amiche che nel
frattempo continuavano a parlarmi come se nulla fosse!
Di qualunque cosa non bisogna avere vergogna, in fondo siamo tutti fatti uguali,
no?
Il ruolo della donna è fondamentale, ed è per questo motivo che Irina, la mamma,
che avrebbe voluto tornare in Italia per lavorare, invece è rimasta là. Perché
la famiglia non sa andare avanti senza di lei... mi ricordo un giorno in
particolare, in cui Irina era stata a Craiova per andare a trovare il fratello
in carcere... e beh, sono visite che richiedono un po' di tempo e oltretutto al
ritorno ci ha raccontato che le si era pure ingolfata l'auto... per cui, è stata
via dalla mattina presto alla sera.
Al suo ritorno Sorin, il marito, era arrabbiatissimo, erano tutti affamati
perché non sapevano da che parte cominciare per prepararsi una cena... .è stato
il delirio! E infatti poi Irina mi ha guardata, sconsolata, e mi ha detto:
'vedi, Sire?' (il mio nome è stato trasformato prima in Seina poi in Sire) 'come
faccio a tornare in Italia quando qui, a casa, con un marito e quattro figli,
nessuno sa prepararsi da mangiare?'
Il giorno del mio compleanno ero là, in Romania. E' stato buffo perché tutti
sembravano sentirsi in colpa del fatto che non potevano offrirmi grandi regali o
grandi feste.
In realtà, io ero la più felice del mondo.
Eravamo là, alla sera, nella stanza di irina e Sorin, a mangiare pezzi di maiale
arrosto e pane fatto in casa, guardando un reality Rumeno assurdo, con Ursari
che raccontava storielle per farsi grosso e continuava a darmi baci per fare
ingelosire sue moglie, e ogni volta urla da ogni dove e scenette comiche... .che
buffi.
Ursari e Cirasela sono una coppia tenerissima: lui ha 18 anni, lei 15 ed è già
incinta, di tre o quattro mesi, non ricordo bene.
Quando si sono sposati, un paio di anni fa, si erano visti soltanto una volta e
per pochi minuti.
E' stato un matrimonio organizzato dalle due famiglie degli sposi.
Il video della festa lo avrò visto dieci volte! Ogni settimana quando andavo a
casa loro qui a Bologna, Irina metteva su il video e si commuoveva ogni volta e
ogni volta mi ri-raccontava la storia del loro matrimonio!
Comunque sono una coppia buffa... .lui è un bel ragazzo e lo sa bene, per cui va
sempre in giro a fare il galletto e poi torna a casa a raccontare le sue
conquiste alla moglie, che infatti è sempre imbronciata! Una piccola moglie in
miniatura col pancione e le labbra imbronciate e 'da mucca', come dice Ursari,
sempre lusinghiero...
Sorin e Irina invece sono una coppia bellissima.
La loro storia però è iniziata in una maniera molto brutta.
I matrimoni tra i Rom possono farsi in diversi modi: o matrimoni combinati, in
cui quindi sono le famiglie ad accordarsi.
Oppure tramite la 'fuitina', molto diffusa anche in Italia anni fa a dire il
vero, cioè una fuga d'amore tra due ragazzi che decidono di scappare insieme e
al loro ritorno sono già una coppia.
Oppure, il modo più 'cruento'(per la donna): il 'rapimento'.
La donna viene proprio 'rapita' dall'uomo che la desidera e portata via... .a
quel punto la donna può essere d'accordo oppure chiamare i carabinieri e tornare
a casa. Per Irina non è stato così... .ci sono poi state lotte tra le famiglie e
caos di vario tipo, per cui alla fine Irina ha deciso di andare a vivere con
Sorin per evitare ripercussioni sulle famiglie.
Irina me l'ha raccontata tante volte questa storia, tranquillamente.
Era sempre bella la parte finale in cui mi diceva che ora invece è tutto
diverso... .ora lei è proprio innamorata di Sorin!
Le piace di più anche fisicamente, perché all'inizio era magro e ora invece è
decisamente grasso (lei dice 'bello sano'), e tutte le mattine si danno il
bacino del buongiorno!
Mi vengono le lacrime agli occhi scrivendo di queste piccole cose. Queste
confidenze, questi gesti piccoli ma significativi, questa infinita semplicità...
.
Invece Rebecca, la mia amica (che ha appena compiuto 16 anni, ma come tutte le
zingare sembra molto più grande), lei ha fatto la fuga d'amore ed era 'sposata'
(senza cerimonia) con un ragazzo, Vali, poverissimo e che a quanto pare ha
venduto i suoi orecchini d'oro e fatto tante altre carognate, oltre a trattarla
male (ovviamente solo dopo la fuga)... per cui, ora è come se avessero
'divorziato' e la mia amica, da brava ragazza Rom, non aspetta altro che un
marito per fare una grande festa di 3 giorni, come da tradizioni!
Insomma, sono stati dei giorni molto belli e intensi in Romania e io mi sento
una privilegiata ad essere riuscita ad entrare in questo mondo che mi è così
caro.
Ci sono tutta una serie di privilegi ai quali posso attingere al momento:
intanto in Romania non mi succederà mai niente di male, perché sono 'protetta',
nel vero senso della parola, dai parenti più grossi e nerboruti della
famiglia... .e anche a Bologna, dove la comunità più grande di Rom viene dalla
Romania (anzi, per la precisione proprio da Craiova e dintorni), basta dire di
essere amica di Irina e famiglia perché ti si aprano le porte per delle
conversazioni e dei sorrisi che io vado sempre cercando, tra questa gente.
Di sforzi ce ne sono voluti, e tanti.
Si tratta comunque di un incontro tra culture completamente diverse... ma non è
impossibile, credetemi.
E una volta all'interno, si possono scoprire cose di un'umanità incredibile.
E' un invito a non lasciarsi abbindolare da stupidi stereotipi. E' un invito a
guardarli come persone, e non come guardereste il vostro cane. E' un invito ad
essere aperti alla diversità, all'altro, alle altre culture. Perché c'è del
Bello ovunque, e sarebbe una così grossa perdita non coglierlo.
Il viaggio del ritorno, infine:
c'è da dire che è stato molto dubbio, fin dall'inizio! Intanto, con la neve che
c'era, non si era nemmeno sicuri di partire... e poi, al ritorno ero da sola.
Per cui c'era un po' di ansia inizialmente, per via di questi autisti che
comunque alla fine si sono rivelati assolutamente corretti e disponibili...
però, non si sa mai. In fondo sono 20 ore di viaggio che non sono poche, in
balìa di questa gente che potrebbe portarti un po' dove vuole, tanto voglio
dire, se mi trovo nei guai in Ungheria, chi mi viene a recuperare?
Questo era un consiglio di viaggio: prendete le Euro Linee di trasporti per la
Romania! Costose ma facili e sicure!
Le parti più divertenti erano quelle alle dogane. In pratica si danno i
documenti e poi lo sbirro apre la macchina e chiama a voce alta tutti i nomi
guardandoti in faccia.
Ecco, faceva parecchio ridere perché ogni volta c'era grande stupore nel vedere
tutte queste facce lunghe e brutte da zingaroni coi denti d'oro e in mezzo io,
felicissima che saluto dicendo 'qui, sono io!' !
Al ritorno il viaggio è stato più bello dell'andata, siamo partiti di giorno e
quindi con la luce ho potuto vedere un po' di paesini dall'interno, mentre
l'auto girava per prendere su i passeggeri dalle varie case... ho visto una
parte di Timisoara, delle chiese bellissime coperte di neve, mi ricordo tutti i
bambini in strada che salutavano il nostro furgoncino quando passavamo... poi
delle distese di neve con dei cani lupo bellissimi che correvano... sono posti
tutti da scoprire.
Durante quelle 20 ore ho avuto modo di parlare un po' con tutti...
In particolare con una madre (giovanissima, ha la mia età) che ad un certo punto
ha tirato fuori dalla borsetta la fotografia dei suoi tre figli e con
tranquillità mi ha detto:
'Vedi il più grande? lui ha i capelli biondi biondi biondi... non sembra un
brutto Zingaro... forse lui avrà fortuna nella vita.''
Serena Raggi
Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono
oppresse e amare quelle che opprimono! (immagine da
Terraelibertacirano.blogspot.com)
Conosco amici e compagni che sono convinti che il razzismo sia un patrimonio
degli imbecilli... il ché vorrebbe dire che se qualcuno è minimamente
intelligente-istruito, non dovrebbe essere razzista.
Visto che non sono d'accordo su questa affermazione, ho provato a dare delle
spiegazioni a me stesso:
- quella più semplice era che, dato che chi lo pensa è di
solito antirazzista, trova più diplomatico affermare di non
essere razzista, piuttosto che dire di essere intelligente, col
rischio di essere smentito prima o poi;
- del razzismo comunemente inteso, percepiamo gli aspetti
eclatanti (le fiamme date ad un campo rom, la mensa comunale
negata ai figli di stranieri, certe dichiarazioni sanguigne
oltre gli steccati penali). Più a fatica individuiamo il brodo
di coltura di questi fenomeni.
- Se ripenso, ad esempio, a come fu possibile la mobilitazione
del III Reich contro gli Ebrei, vedo invece che gli
intellettuali svolsero un ruolo chiave nel prepararla. Göbbels
(non era l'ultimo arrivato) ben prima che il nazismo si facesse
stato, intuì il ruolo dell'informazione (che in seguito
passò alla scuola) come veicolo
anestetizzante della propaganda; era già successo in passato, ma
lui fu il primo ad adoperarla in maniera cosciente e
sistematica. Parimenti intuì ed applicò il ruolo di braccio
armato da delegare ai gruppi paramilitari. Quando le sue
intuizioni da teoria si fecero pratica, la macchina dell'odio
era un meccanismo così oliato che dalla guerra agli Ebrei passò
alla guerra mondiale.
Passando dai ragionamenti alla pratica, lo spunto arriva da
Reggio Emilia. Doppiamente interessante perché il network a cui fa capo la
testata, si chiama
4minuti.it: vale a dire il tempo che mediamente un lettore distratto dedica
a leggere e digerire una notizia.
Ma torniamo alla nuda cronaca, titolo e sottotitolo recitano:
Rom, dopo l'aggressione di Massenzatico "Il Comune non si limiti alla
solidarietà"
La Lega Nord: bisogna fare rispettare la legalità
Di che si parla? Per motivi banali, qualche sera fa c'è stata una
rissa in un locale del Reggiano. Un frequentatore è stato malmenato da un gruppo
di "supposti nomadi". Si ignora chi siano gli aggressori.
Dopo queste indicazioni, l'articolo prosegue citando (oltre metà del pezzo
totale) una dichiarazione di un consigliere comunale (il partito di appartenenza
non mi interessa) da cui veniamo a sapere che la macchina degli aggressori è
stata ritrovata abbandonata nei pressi del locale "campo nomadi".
Il tono generale della dichiarazione è fermo, ma nel contempo civile ed
educato, niente a che fare con le sguaiatezze di un Borghezio, di uno Speroni o
un Calderoli. Difatti il consigliere termina il suo ragionamento con questa
frase, che chiunque potrebbe condividere: "Il rispetto della legalità è il
primo requisito per la convivenza civile tra le persone, e Reggio non può e non
deve tollerare in alcun modo che certi fatti rimangano impuniti".
E' però la penultima frase che ci riporta nel cortocircuito mentale del
piccolo razzismo trasmesso in quattro minuti. Con lo stesso tono civile, si
dice: "Qualora si accertassero responsabilità o anche solo connivenze o
favoreggiamenti da parte di ospiti del campo nomadi di via Gramsci, da parte del
Comune mi auspico che vengano presi i provvedimenti di cui al regolamento dei
campi nomadi, e che a Reggio non ci sia alcuna ospitalità per questi individui".
Spiazzante quel "qualora" iniziale: non vi suonerebbe fuoriluogo se al posto
di una comunità rom o sinta, fosse riferito a qualsiasi altro gruppo etnico? Se
il regolamento prevede l'espulsione dei colpevoli ("presunti" tali o dopo essere
passati in giudicato?), sapreste dirmi se conoscete un regolamento analogo per
le case comunali, dove se qualcuno compie un crimine, o è semplicemente
sospettato di esserne l'autore, perde il diritto alla casa? Nel vecchio
regolamento del comune di Milano (decaduto
lo scorso novembre), perderebbe il diritto alla piazzola di sosta l'intera
famiglia del presunto colpevole.
La chiave è in un altro frammento di dichiarazione: "Sono anni che i
cittadini di Massenzatico e di Pratofontana subiscono passivamente gli effetti
negativi di una convivenza intollerabile con la comunità nomade, nel silenzio
delle istituzioni..." da cui discende il "legittimo sospetto" che
l'aggressione nel locale sia la scusa per un regolamento di conti ben più grave,
per cui una comunità debba pagare le colpe dei singoli, ANCHE IN ASSENZA DI COLPA PROVATA.
Vorrei terminare questi pensieri, invitandovi a non chiedervi se ho
parlato o meno di razzismo. Non è un razzista dichiarato chi ha fatto quelle
affermazioni, ma credetemi, non lo sono neanche Borghezio, Gentilini, non lo era
neanche Göbbels... solo vogliono fortemente che lo diventiate voi.
Come sapete, nessun razzista ammetterà mai di essere tale.
Sono (stati) tutti attori, recitano una parte con diversi comprimari e
spettatori paganti, al solo scopo di alimentare la continua macchina dell'odio.
Sanno che la paura, il risentimento, l'incertezza fioriscono, mai come in questi
tempi, e quindi parlano e ci manovrano di conseguenza. Ma in fondo, dipendesse
da loro non farebbero male ad una mosca... ci sarà sempre chi svolgerà il lavoro
sporco in vece loro.
SABATO 10 MARZO ORE 19,30
REBEL STORE in VIA DEI VOLSCI 41 - SAN LORENZO, ROMA
"Tristezza ironica, gioia di vivere e speranza sono i fili conduttori che
accompagneranno il lettore in questo viaggio. Racconti e poesie si alterneranno
con vivace ritmicità e sono lì a testimoniare la quotidianità di questo popolo,
i Rom, che può insegnare ciò che nel nostro mondo di è dimenticato: la verità
semplice di chi non ha niente, la cui unica ricchezza sono le proprie tradizioni
e la propria cultura."
Di Fabrizio (del 28/02/2012 @ 09:01:01, in Europa, visitato 1975 volte)
Da
Roma_Francais
LADEPECHE.fr Due giovani rumene affermano che è stato proibito loro di
pagare gli acquisti./ Photo DDM. T.Bl
"In questo supermercato, più volte ci è stato chiesto di uscire senza neanche
poter avuto fare la spesa. Ci lasciano entrare, prendere gli articoli, e quando
siamo alla cassa, rifiutano i nostri soldi. Solo qui ci trattano così, dalle
altre parti non abbiamo problemi," testimoniano all'unisono Simona e Roxana,
tutte due rumene della comunità rom.
Quindi Lidl in avenue d'Atlanta rifiuta certi clienti perché sono Rom? Di fronte
al supermercato, tuttavia, tutti i clienti sembrano stupiti per la notizia: "Non
ho mai assistito a fatti simili", assicura Maria, cliente abituale del discount.
Aggiungendo: "Se questa pratica è provata, sarebbe meglio concentrarsi sulla
sorveglianza, piuttosto che bandire sistematicamente certe persone."
La filiale regionale della Lidl si difende: "Non ci sono direttive, nazionali o
regionali. Non ne facciamo un collegamento alla comunità. Se qualcuno si vede
rifiutato, è perché abbiamo già avuto dei problemi con lui. Sono in corso
diverse denunce, anche per furto."
Di Fabrizio (del 27/02/2012 @ 09:23:02, in Italia, visitato 1530 volte)
24 febbraio 2012 - Lo slogan "Via la patente al razzismo: i punti sono
finiti".
"Via la patente al razzismo: i punti sono finiti" è lo slogan della terza
giornata nazionale del primo marzo con la mobilitazione diffusa degli immigrati.
La manifestazione è organizzata da un comitato, composto da diverse sigle
dell'associazionismo, "nello spirito della Carta dei migranti approvata a Gorée
(Senegal), sulla base di principi condivisi che difendono la libera circolazione
delle persone e l'esercizio di una piena cittadinanza fondata sulla residenza e
non sulla nazionalità".
Dopo le precedenti edizioni, del 2010 e 2011, quella attuale secondo gli
organizzatori intende "avviare un percorso che non si esaurisca nella data del
primo marzo, ma unisca le persone in un filo giallo sovranazionale, cancellando
le frontiere culturali che ancora ci limitano".
Una giornata, si legge in una nota, "ancora più importante in Italia dopo i
pogrom di Rom come quello di Torino e l'omicidio razzista a Firenze di Samb
Modou e Diop Mor".
Il comitato promotore, nel manifesto di adesione, scrive tra gli obiettivi
della mobilitazione: l'abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del
contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i Cie in Italia e in
Europa; la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia; l'abolizione del
permesso a punti e nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno; una
regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno.
(Red.)
nuova Agenzia Radicale - martedì 21 febbraio 2012 di FLORE
MURARD-YOVANOVITCH
intervista allo storico Luca Bravi*
- Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa
mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in
parte uno sterminio dimenticato?
I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno
subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo "zingaro" è ancora
percepito come "asociale" o "nomade", presunte "tare" su cui i nazisti
imbastirono la loro teoria della "razza zingara". La rimozione del genocidio dei
Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica
ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli
"zingari", derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per
via della loro presunta "pericolosità" (mistificando la legislazione nazista).
Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa
rimozione durò fino alla fine degli anni '80, quando alcuni studiosi tedeschi
rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla
"razza zingara". Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come
genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in
Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per
adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha
ricordato l'internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il
16 dicembre 2009).
- Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom
sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?
Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli
storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il
genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il
Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare
la centralità e la specificità di quest'ultima, significa rischiare di entrare
in attrito con chi propone l'idea di una unicità della Shoah; (e della sua
incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste
invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a
questi due popoli considerati "razzialmente inferiori"; Porrajmos e Shoah sono,
purtroppo, tasselli dello stesso evento, l'uno getta luce sull'altro, ed
entrambi sono crimini contro l'umanità intera.
- Parallelamente alla "razza ebraica" i nazisti avevano infatti teorizzato una
"razza zingara", anch'essa "geneticamente inferiore" e da eliminare. Ci spiega
meglio come questa "classificazione" razzista fu elaborata?
La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello
zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano,
furono applicate anche agli "zingari" (termine allora usato per chiamare i rom e
i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari
vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e
deportati in massa all'Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In
quei campi di concentramento lavorava l'Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca
biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che
effettuava pseudo "studi zingari". Da misurazioni antropometriche sui circa
20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo
morale e psichico dell'intero gruppo. Gli "zingari" sarebbero stati razzialmente
"inferiori" perché portatori del carattere ereditario dell'"istinto al
nomadismo" che causava la loro consequenziale "asocialità", una "piaga" da
sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la
Zigeunerfrage, la "questione zingara", a quella ebraica, per via della radice
razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per
"risolvere" la questione con la stessa logica razionalista del "trattamento
speciale" degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di
massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al
decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la
deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di "sangue nomade". Nel
vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la "soluzione
finale" dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione
razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti
sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari
che vivevano in Europa, l'80% nell'aerea dei paesi occupati.
- Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie,
furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci,
dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?
Su quelle "vite indegne di essere vissute" furono attuati dal 1934 alla fine del
regime (in particolare nell'operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come
sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e
soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono
processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come "esperti zingari" e
continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari
passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono
state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre,
per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne
sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo
specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è
comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può
accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di
profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei
confronti degli zingari.
- Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?
La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20
anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell'Interno dell'11
settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l'internamento di tutti gli
zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli
internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti "riservati" agli zingari
(Agnone, oggi in provincia d'Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano
sulla Secchia in provincia di Modena). L'internamento si basava sulla ricerca
razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di
Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò,
su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli
comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità
dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un
elemento legato anch'esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano
ancora una volta al nomadismo e all'asocialità insiti nel "sangue zingaro".
- Oggi il "Piano Nomadi" non mostra una sconcertante continuità con questo
passato di emarginazione?
Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia
dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la
continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all'odierno
decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di
internamento. Ma continuare a parlare di "campi", applicare a queste persone gli
stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare
soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e
più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su
cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva
allora per "razza", si sostituisce oggi per la loro presunta "cultura" di
gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è
progettare l'uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni
abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere
coinvolti nei progetti che li riguardano.
- Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che
da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?
Ovunque nel continente europeo cresce l'antiziganismo. In Italia, quando un rom
o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto
o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura
del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la
diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria,
non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene
considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con
i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos
(ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l'antiziganismo.
* ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci
di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume "Altre tracce sul sentiero
per Auschwitz" (Ed. Cisu)
Baxtalo's Blog
Con una cinepresa in spalla, il cineasta franco-algerino Tony Gatlif si è messo
in mezzo alla folla degli "indignados" della primavera europea del 2011 i quali,
a partire degli atenei di Madrid, protestarono contro i banchieri e i ricchi in
generale.
"Anche quando la temperatura scende a meno dieci o meno
quindici gradi, nessuno si meraviglia di vedere la gente dormire per strada" ha
dichiarato all'AFP, prima di presentare "Indignados", il suo film sdegnato,
nella sezione Panorama della 62a Berlinale, dedicata quest'anno ai recenti
sconvolgimenti della storia, soprattutto nel mondo arabo.
Il gitano del cinema globalizzato ("Latcho Drom", "Gadjo Dilo") si mette in posa
per i fotografi con i pugni chiusi all'altezza degli occhi, con uno sguardo di
sfida.
Dice che è "disgustato", e anche che il libro "Indignados" gli è penetrato fin
dentro l'anima. Questo testo di Stephane Hessel, di 94 anni, eroe della
resistenza francese contro i nazisti nonché ex diplomatico, il quale chiama al
sollevamento pacifico contro l'ingiustizia, è stato tradotto in trenta paesi.
Tony Gatlif, dice di essersi sentito male e umiliato per il modo nel quale
furono trattati i gitani in Francia durante l'estate 2010, e dichiara che il
libro di Hessel lo ha curato dai problemi psicologici dei quali ha sofferto a
causa di questa situazione.
Dopo avere acquistato i diritti cinematografici di "Indignados", ha deciso di
fare delle riprese. "Ma non ho voluto farlo secondo il punto di vista degli
europei", dice.
Tony Gatlif esamina la rivoluzione contrapporsi alle disavventure di
un'immigrata clandestina, nella militanza crescente che traboccherà poi per le
strade di molti paesi in tutto il mondo
La sua cinepresa segue quindi il vagabondaggio di Betty, una ragazza africana
senza documenti, buttata sulla riva nord del Mediterraneo, attanagliata
dall'urgenza di fuggire dalla miseria e dalla speranza di godere di una vita
migliore in Europa.
Lo spettatore la segue nelle sue peripezie mute, ritmate dalla musica e dagli
slogan, da Patrasso, il grande porto greco, passando per Atene e Parigi, e
terminando a Madrid.
Betty, detenuta dalla polizia e rimandata in Grecia, l'unico paese che ha
conservato le sue impronte digitali, scopre la miseria dei paesi ricchi, i
materassi per strada, i pasti serviti dalle associazioni caritatevoli.
"A noi, non c'importa, mentre lei è sconvolta. Ed è per questo che ho voluto che
guardassimo dall'alto delle sue spalle, con i suoi occhi" sottolinea Tony Gatlif.
"In ogni luogo, la vecchia Europa che fa tanto sognare, sta in pericolo. E' la
prima volta nella storia, che le banche provocano la bancarotta di un paese",
continua.
"Betty stessa si trova intrappolata in Europa, senza potere rientrare nel suo
paese. La sua famiglia si era indebitata per pagarle il viaggio, e ora si trova
a sommarsi ai clandestini, a quelli senza documenti, ai paria senza identità",
dice Gatlif.
Costretta a mentire, Betty ripete al telefono ai suoi familiari: "Le cose vanno
bene, tutto andrà per il meglio".
Ma cosa ci guadagna Betty, nel rimanere in mezzo a questa folla in collera, ma
impotente davanti alle crisi economiche e finanziarie, che riprende con i suoi
telefonini durante le manifestazioni?
"E' il nuovo mezzo di comunicazione che rende possibile la rivoluzione pacifica,
poiché in questo modo l'informazione corre veloce, e sorpassa governi e
banchieri" stima il realizzatore.
Il documentario-dramma del regista Tony Gatlif si ispira al noto saggio di
Stephane Hessel, 94enne, "Indignatevi!".
Tony Gatlif crede "nei raggruppamenti della gente, nella forza della folla.
Anche i rivoluzionari siriani raggiungeranno il successo".
L'essere stato selezionato per la Berlinale lo ha confortato, e accanto a
Stephane Hessel, desidera utilizzare il festival come un palco.
"Sarebbe ora che anche il cinema smetta di guardare al proprio ombelico, e si
impegni; ma è come in altri contesti: ognuno difende i propri piccoli
interessi", dice Gatlif.
Di Fabrizio (del 25/02/2012 @ 09:28:24, in Italia, visitato 2723 volte)
immagine da
lussuosissimo.com
La
recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per
vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni.
Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al
clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da
riprendere col tempo.
Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE
IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un
giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically
correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante
da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la
dimostrazione che si continua a giocare "in difesa".
Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI?
L'ultima frase dell'articolo di
TMnews riassume bene il concetto:
La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e
gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole
devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non
mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari.
...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi,
che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto
fisico con qualcuno di loro.
La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non
chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su
La nuova Venezia:
«Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede
aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a
chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma
tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata
aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male,
ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di
roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho
chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai
un avvocato e i soldi non serve a niente».
Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della
popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone
quello dell'arrivare a fine mese.
Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza
di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è
di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione.
Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo di
Tuttogratis.
Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate.
Parto da una provocazione:
Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se
qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto,
ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba
qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e
doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista
quanto e più di voi?
Gian Antonio Stella, quando scrisse
L'Orda,
svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata
dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul
Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire
mettono i piedi in testa agli ultimi.
Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono
sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani,
succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari
(pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente
dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori),
rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare.
Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che
subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno
doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico
tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo
sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA con cui
pigliarsela.
Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e
Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di
lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni...
SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più
rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa
"concorrenza tra poveri".
Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di
mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di
loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità
di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che
andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che
lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà.
Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di
Vicenza.
Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori,
non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno.
Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto
perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più
pratici.
Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo),
e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare
l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra
di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si
porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a
tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del
fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo.
Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la
linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra
l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che
percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa
(ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De
Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi
sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di
Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri.
Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia
complesso interpretare le realtà locali me la pongo.
Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è
sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda
generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati
positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono
genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a
delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un
modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed
autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della
globalizzazione.
La crisi oggi colpisce duro anche lì, scrive
il Giornale di Vicenza:
La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a
marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´
di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro
Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano
solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».
Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi
del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo
fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque
sia, condiziona il clima.
La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in
grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella
seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza
veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé.
Tocca ancora al
Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa.
A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE.
Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR
ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei
dubbi, perché:
- la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a
cambiare atteggiamento;
- l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste
che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il
rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed
alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi
nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai
tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere
i problemi.
Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal
poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti
nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta
apparentemente.
Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono
alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree
del paese hanno specificità, storie, risorse diverse.
E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile.
Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi
universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che
mettano in moto soggetti e competenze che già esistono.
In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città
medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un
TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove
affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti
tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati,
organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei
lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative...
(l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine
Gialle!).
Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise,
sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di
venire rinchiusi parlando del solo razzismo, senza affrontarne le cause.
Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per
ottenere (ed offrire) solidarietà.
Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:42:51, in lavoro, visitato 2232 volte)
SARTORIA JELESAN
Milano, domenica 26 febbraio e domenica 4 e 11 marzo, dalle 8.30 alle 13.30, al mercato della Bovisa, nel piazzale del
parcheggio vicino alla Scighera
Venite a trovarci, siamo lì tutta la mattina con il nostro meraviglioso
banchetto pieno di belle cose, tutte cucite a mano!
Realizzate in proprio, col supporto dell'associazione
Idea Rom
Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere
Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano".
Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica
transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh,
antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due
terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in
Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce
elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro,
all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni
negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui
vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i
romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della
politica e dell'economia dei nostri paesi.
Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più
sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei
nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì
corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e
camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la
solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia
provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del
vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia
nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi
razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.
Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e
Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed
Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista
anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer
nel 2003.
Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom
khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due
fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva
gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in
Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la
semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della
serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla
sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione
sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società
del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza
per riprendere il suo viaggio.
La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e
Borori", a cura di Joan Oliva.
«fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e
anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'
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