Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

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Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.

La redazione
-

\\ Mahalla : VAI : scuola (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 04/09/2011 @ 09:33:21, in scuola, visitato 1601 volte)

Vi state preparando per il ritorno a scuola? Una segnalazione di Stefano Pasta

Lunedì 29.08.2011 13:00
di Guido Maffioli, papà milanese, 40 anni


Scrivo mentre sono in vacanza con i miei figli. Il maggiore, 10 anni, sta scrivendo una cartolina ad un compagno di scuola. Mi ricordo di averne scritte tante alla sua età su quello stesso tavolo.
Penso a chi le vorrei scrivere oggi, parenti, amici. Nell'era di internet di molti non saprei neppure l'indirizzo.
Una, di certo, la manderei a Florin, di lui un indirizzo ce l'ho, ma la cartolina non arriverebbe. Florin è rom, papà anche lui di tre figli che vanno a scuola, la maggiore Alexandra è già alle medie. Non ha un indirizzo vero perché ha subito numerosi sgomberi in questi ultimi due anni; a quello del novembre 2009 nel mio quartiere, Rubattino, ne sono seguiti tanti altri.

Ogni volta è così: lui trova un accordo con qualcuno per collocare il suo camper, pagando un modico affitto con il lavoro che ha, part time, all'AMSA. Poi dura poco, chiamano la polizia per mandarli via perché vedono che sono in tanti, lì dentro, lui coi figli e la moglie, il fratello con la sua altrettanto numerosa famiglia.
Florin mi ha spiegato perché preferiscono stare insieme così numerosi. Hanno paura, vivono nell'insicurezza. Di sera non ci sono luci e tornare al camper, soprattutto per le donne, fa paura. Meglio essere in tanti, meglio che ci siano più uomini insieme, se lui fa tardi sul lavoro, a “casa” c'è il fratello o il nipote maggiore. Si è più sicuri, così, in tanti.

Mi sorprende sempre come la parola <<sicurezza>> possa essere percepita diversamente a seconda di chi la pronuncia, oggi che è così tanto (ab)usata nei programmi elettorali o televisivi.
In questa situazione una certezza Florin ce l'ha. I suoi figli continuano ad andare nelle loro scuole, quelle del quartiere Feltre vicino a via Rubattino, dove andavano già tre anni fa, iscritti dalla Comunità di Sant'Egidio. Conoscono le maestre, le prof, i compagni, le mamme. E' complicato arrivare puntuali, ad ogni sgombero ridefinire gli orari, i mezzi pubblici necessari per raggiungere la scuola, ma – mi dice – ci tengo io e ci tengono loro, anche Marius, il più piccolo, in terza elementare il prossimo anno, con quello sguardo attento e curioso che gli ho visto quando l'ho salutato insieme al papà.

Conosco Florin grazie alla voglia di andare a scuola dei suoi figli. Ricevono una borsa di studio attraverso un progetto per l'integrazione scolastica della Comunità di Sant'Egidio. Loro si impegnano a frequentare la scuola con costanza – anche impiegando ogni mattina più di un'ora per arrivarci - e ricevono un contributo mensile per coprire le varie spese (abbonamenti pubblici, materiale scolastico, etc). Questi progetti funzionano coinvolgendo le maestre dei bambini e qualcuno che vede il genitore per sapere come va, se ci sono difficoltà. Con Florin quel qualcuno sono io, una volta al mese, ci incontriamo brevemente e mi aggiorna.

Nel secondo quadrimestre dell'anno scolastico appena concluso la borsa è stata coperta con l'aiuto dell'Associazione Genitori della scuola dei miei figli. E' stato approvata la proposta, dato che incentivare l'integrazione scolastica è negli scopi dell'Associazione. Ne sono stato felice, non tanto per il piccolo aiuto dato ai figli di Florin, ma per ciò che può significare questa azione, cioè che si possano fare cose concrete, senza esibizione, con il fine di far progredire tutta la comunità a cominciare dai bambini e dalle bambine, e dal garantire a tutti loro un diritto importante e basilare come andare a scuola.

Forse nel nuovo anno scolastico amplieremo il progetto e, magari nella prossima estate - se la politica comunale avrà abbandonato la logica degli sgomberi dissennati e intrapreso soluzioni più lungimiranti, concertate, mirate all'integrazione - potrò inviare una cartolina a Florin ad un indirizzo sicuro.

Chi volesse aiutare e sostenere questi progetti o ricevere informazioni può mettersi in contatto via e-mail all'indirizzo santegidio.rubattino@gmail.com

 
Di Fabrizio (del 30/08/2011 @ 08:59:30, in scuola, visitato 1720 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

By Linda Karadaku for Southeast European Times in Pristina - 11/08/2011 Con l'avvicinarsi del nuovo anno scolastico, riemergono vecchie polemiche

Gli studenti dicono che poco del curriculum viene dedicato alla storia delle altre nazionalità o minoranze in Kosovo. [Reuters]

La missione cross-culturale sull'istruzione dell'OCSE in Kosovo chiede che minoranze e maggioranze imparino l'altrui cultura, la rispettiva storia, come anche il valore della tolleranza e del pluralismo.

SETimes ha parlato con diversi studenti kosovari di differenti nazionalità e retroterra etnico, per scoprire quanto l'attuale situazione si avvicini agli standard OCSE.

Genta, quindicenne albanese, frequenta la scuola elementare Iliria a Pristina. Ha studiato la storia del Kosovo sino alla proclamazione d'indipendenza, eppure qualcosa manca nel suo curriculum.

"Non abbiamo imparato a conoscere gli altri gruppi etnici. L'insegnante ci ha detto che il Kosovo ha anche delle minoranze e ci ha spiegato come sono arrivati e si sono insediati in Kosovo, gli Slavi e i Turchi," ha detto Genta a SETimes.

Non ha contatti con bambini di altri gruppi etnici in Kosovo.

"Ho incontrato i Serbi a Brezovica. Ci hanno detto che il Kosovo è la Serbia, noi abbiamo risposto che il Kosovo è indipendente," dice, aggiungendo che tutto ciò che sa è che i Serbi "ci hanno espulso dalle nostre case e siamo tornati."

Hari Kasumi, insegnante e storico del Kosovo, ha detto a SETimes, "Se si conosce la storia di qualcun altro, ci saranno meno odio, animosità e migliore conoscenza reciproca. Insegnare la storia isolata [di un solo popolo] avrebbe un impatto negativo."

Tuttavia, i libri di storia in lingua albanese sono focalizzati sui principali protagonisti della storia albanese, mentre i testi in serbo presentano il Kosovo come "la culla del popolo serbo".

David, sebo dell'età di Genta, frequenta la scuola secondaria di economia a Mitrovica.

"E' interessante quando l'insegnante parla delle relazioni tra Serbia e Albania. Dice sempre che ci siamo aiutati l'un l'altro nelle guerre dei Balcani ed in quelle mondiali. Quello che [ora] sta succedendo in Kosovo non ci è molto chiaro. Non impariamo l'albanese a scuola, e penso che sia sbagliato. L'insegnante di serbo ci ha detto che i Sebi che vivono al confine con la Romania imparano il rumeno come seconda lingua,quelli vicino al confine con la Bulgaria imparano l bulgaro," dice David a SETimes.

Aggiunge che l'insegnate dice agli studenti che "il Kosovo è la Serbia" e, dice David, "penso che sia così".

Daut è Rom, e suo figlio di 12 anni frequenta la scuola elementare Mustafa Bakiu a Prizren. Dice Daut di non riuscire a ricordare suo figlio che imparava a scuola qualcosa sulle diverse etnie.

Qylanxhiu inoltre lamenta che un termine peggiorativo per indicare i Rom appare 13 volte in un libro di testo dell'ottavo grado, cosa per cui la comunità ha protestato. Conferma che la comunità rom ha chiesto al ministero della pubblica istruzione di includere cultura, tradizioni e lingua rom nel curriculum.

"Non abbiamo nessun altro stato. Vediamo il Kosovo come il nostro paese e saremmo felice di vedere sparire i pregiudizi, così che tutti noi possiamo essere conosciuti come Kosovari," dice Qylanxhiu.

Cansu, Turco di 16 anni, frequenta la scuola elementare Sami Frasheri, dato che l'istruzione è offerta anche in turco.

"A scuola impariamo soprattutto la storia turca," dice, aggiungendo che agli studenti vengono anche insegnate le due guerre mondiali, ma niente riguardo le altre etnie del Kosovo.

"Vediamo il Kosovo come la nostra casa comune e vogliamo costruire qui il nostro futuro," dice Cansu.

 
Di Marylise Veillon (del 23/08/2011 @ 09:42:23, in scuola, visitato 1542 volte)

Da Romanian_Roma

Cafebabel.com Romania: tra tradizione, educazione ed emancipazione; il percorso di Letitia Mark, militante rom.

Letitia Mark combatte per l'integrazione dei rom nell'ovest della Romania. Proveniente lei stessa da questa minoranza, dirige il centro ONG FEMROM a Timisoara, (città dell'ovest della Romania), fondato circa sessanta anni fa. Un progetto consistente in un paese, dove numerosi pregiudizi persistono nei confronti dei due milioni di donne che risiedono lì.

Con una quarantina di bambini intorno a lei, Letitia Mark chiede: "Cosa significa la ruota nella nostra bandiera?" Samuel, dell'età di 13 anni, conosce la risposta: la ruota simboleggia il viaggio, il blu rappresenta il cielo e il verde l'erba. Mark, che i bambini chiamano affettuosamente "Doamna Leti" vuole che questi bambini siano rispettosi nei confronti della loro identità, di loro stessi e del mondo. E anche che siano ordinati. Neanche un pezzettino di carta può essere buttato sul pavimento della sala comune.

Bandiera gitana

"OPRE ROMA – Alzatevi rom!"

La bandiera fu adottata nel 1971, durante il primo congresso internazionale romanì, così come l'appellativo "rom" e lo slogan "Opre roma – Alzatevi rom". Solo dopo la caduta del comunismo il movimento romanì ha potuto installarsi in Europa dell'Est, per permettere ai rom di lottare loro stessi per i loro diritti.
In quanto a Mark, è piuttosto per caso che lei ha raggiunto il movimento romanì. Appena dopo la rivoluzione del 1990, era in corso una conferenza all'università di Timisoara, durante la quale un oratore rumeno si lamentava dell'assenza di partecipazione dei rom al dibattito sull'educazione. Mark, allora assistente universitaria, si alzò, indignata, esclamando: "Ci sono abbastanza rom che potrebbero prendere la parola, ma non sono stati invitati a farlo!"

Mark è diventata porta-parola dei rom. Quando fu invitata all'estero, i suoi compatrioti mormoravano: "Fuggirà all'ovest". Delusa di tanta diffidenza al suo riguardo, Mark si ritirò dalla politica. Ha continuato a credere al significato e al peso dell'educazione. "Poiché tradizionalmente, non è facile per una donna far fronte agli uomini", fondò l'organizzazione FEMROM nel 1997, un'associazione di donne rom, perorando la causa dell'educazione dei bambini. All'inizio Mark era installata nella propria cucina. Doveva procurarsi estratti degli atti di nascita e certificati di registrazione, in quanto senza questi documenti, i bambini non hanno il diritto di frequentare la scuola. Dopo aspre negoziazioni, le autorità municipali hanno finito per concedergli un territorio. "Il terreno era praticamente incolto. E' stato necessario prima costruirmi un tetto dove ripararmi."



Oggi, è in uno spazioso pianterreno che si svolgono i corsi di sostegno, corsi d'informatica per donne e incontri interculturali. Alcune giovani donne rom, studentesse in scienza dell'educazione, alloggiano nell'attico. Sono incaricate dei corsi di sostegno e dei servizi di mediazione. Diventeranno le future responsabili del centro, oppure perfino del movimento rom?

Mark lo spera. Gli piacerebbe approfittare della pensione, che gli spetterà dall'epoca in qui era impiegata all'università. Ma il contratto d'affitto sta giungendo a termine, è prevista la costruzione di un centro commerciale nei pressi del centro ONG, e la municipalità rischia di vedere la presenza di FEMROM di cattivo occhio. Nonostante il sostegno economico dell'Unione Europea, la ONG manca di mezzi. Ad ogni modo, l'energia e l'animo gentile della presidente sono ancora vivamente richiesti in questo focolare.

La propria biografia serve come esempio

Letitia Mark appartiene al gruppo dei "Rudari". La sua identità, la conosce da sempre. Suo nonno era l'ultimo artigiano del villaggio, e scolpiva cucchiai di legno. E sapeva raccontare storie. Ufficialmente, durante l'epoca comunista, le minorità etniche non esistevano. Tutti dovevano essere uguali, ma questa non era altro che teoria. In pratica significava che ogni cittadino doveva contribuire alla prosperità dello stato. E' così che la famiglia di Letitia si trasferì a Timisoara, i suoi genitori andarono a lavorare in fabbrica. Per migliorare il reddito della famiglia, Mark chiedeva l'elemosina quando era piccola. "All'inizio, mi vergognavo. Ma lo faceva mia nonna, lo facevano le mie compagne. Finii per abituarmici." Mark ritiene che la sua vita fosse proprio come quella dei Romanì dell'epoca contemporanea. Nel contempo, è diventata sempre più femminista. "Ogni donna rivoltata dalla condivisione tradizionale dei ruoli è una femminista." E Letitia si è ribellata: dopo la scuola elementare, non voleva sposarsi, ma continuare gli studi. Fu la prima del suo comune a prendersi il diploma. Allorché i suoi genitori rifiutarono che lei facesse gli studi superiori, scappò di casa in direzione di Bucarest. Poi nel 1984 ritorna a Timisoara, con il titolo di professoressa di facoltà in greco e latino.

Il rovescio della fortuna e il futuro

Le espulsioni dei rom in Francia, durante l'estate 2010 hanno colpito Mark. Accanto ad una presenza "ben troppo massiccia di poliziotti", i giornalisti gironzolavano intorno ai nuovi arrivati per domandare loro cose del tipo: "cosa hai rubato?" "che tipo di criminale sei?" "Ho visto uomini e donne miserabili, bambini che piangevano, quattro cose sotto al braccio, e questa immagine ha evocato in me la deportazione. Ho avuto il risentimento che si poteva sempre trasportare e deportare i rom come meglio si crede, e che nessuno si leva contro, per prendere le loro parti e gridare: STOP!"
"Talvolta", confessa Mark, "mi dico che ho commesso un errore". Abbassa gli occhi. "Avrei dovuto mirare ad una carriera professionale che mi avesse permesso di avere una reale influenza politica." Bussano alla porta dell'ufficio. Una bambina piccola mostra con fierezza la sua pagella. "Brava!" Gli occhi di Mark luccicano. Si percepisce che sono queste piccole riuscite che gli ridanno energia.

 
Di Fabrizio (del 29/07/2011 @ 09:24:15, in scuola, visitato 1663 volte)

Segnalazione di Giovanna Bellotti

Education 2.0

Che cosa significa essere uno zingaro? Le risposte in un libro dello studioso Sergio Rodríguez di cui pubblichiamo la recensione in italiano e in spagnolo (reseña en español después del artículo en italiano) con alcune riflessioni sulla scuola e gli stili di apprendimento.

Gli zingari sono la minoranza culturale più antica, numerosa e discriminata in Europa, che vive da più di dieci secoli in questo territorio. In Italia, sono in realtà presenti a partire dal 1422 (data in cui sono arrivati a Bologna), oggi si contano più di 140.000 cittadini e cittadine Rom. A questo numero vanno aggiunti coloro che sono arrivati a partire dal 1989 dai paesi dell'Europa orientale.

Sicuramente i Rom sono i grandi sconosciuti del nostro continente. L'ultima indagine di Eurobarometro, rileva che la maggioranza dei cittadini europei non vuole avere uno zingaro o Rom come vicino di casa, avere zingari come colleghi di lavoro o che i propri figli e figlie abbiano come compagni di scuola bambini e giovani zingari. Con la precisione dell'antropologo e la profondità del filosofo, l'autore – che ha lavorato con gli zingari per decenni – studia accuratamente la mentalità degli zingari e fornisce elementi per capirla; lo studio è molto completo, ricco di informazioni e affronta tutti gli aspetti della vita degli zingari.

Superando i modelli tradizionali di analisi sui Rom, l'autore si concentra su aspetti quali le forme di apprendimento, i modelli di vita, i comportamenti etici o estetici, in questo modo riesce a individuare con chiarezza una forma di vita di origine indiana, che è diventata un frammento d'Oriente nel cuore dell'Occidente. Questo spiega la lunga storia di incontri e scontri, di fascino, di attrazione e di discriminazione, che esiste tra rom e non rom.

Più precisamente, il lavoro studia la situazione degli zingari secondo cinque approcci:
• approccio epistemologico (analisi dell'origine, la tipologia e il significato della consapevolezza di sé che hanno i Rom, al fine di interpretare i concetti di verità e menzogna che i Rom condividono),
• approccio antropologico (analisi del modo di concepire, da parte degli zingari, i concetti di persona, libertà, lavoro, comunità e storia, in quanto elementi che plasmano la visione del mondo Rom),
• approccio etico (analisi dei concetti di azione libera, norme di convivenza e di educazione morale, per interpretare come si configurano i concetti di bene e male),
• approccio estetico (analisi delle forme di percezione, criteri estetici e forme di espressione, per interpretare come si configurano i concetti di bello e brutto),
• approccio filosofico religioso (analisi degli atteggiamenti Gypsy di fronte all'assoluto e alla coscienza della propria finitezza, interpretando come si configura la dimensione della trascendenza a prescindere dalla religione).

Tutto questo fa parte di uno studio storico e demografico aggiornato, relativo alla situazione degli zingari in Spagna e nel resto d'Europa, che aiuta a comprendere il contesto in cui vivono gli zingari.

In materia di istruzione, per esempio, lo studio osserva come la prevalenza di stimoli persistenti, l'attenzione rivolta all'individuo, la percezione soggettiva della realtà o di una condizione logica induttiva si proietta sul processo di apprendimento dei bambini e dei giovani zingari, la cui difficoltà di astrazione è ben nota agli insegnanti. Pertanto, qualsiasi intervento fatto a scuola, in classe,volto a superare l'insuccesso scolastico, dovrebbe essere basata sull'esperienza come mezzo di comprensione, piuttosto che sulla trasmissione di concetti astratti.

Inoltre nello stesso ambito, è indispensabile che la scuola diventi sempre più inclusiva, cioè sensibile alla differenza culturale. Ridurre le assenze ingiustificate da scuola, ancora molto elevate tra la popolazione Rom in Europa, è possibile nella misura in cui le famiglie non percepiscano più la scuola come strumento di acculturazione, con conseguente perdita della propria identità. È quindi necessario introdurre nei programmi scolastici, attraverso riconoscimento di crediti, elementi di cultura rom, relativi alla storia, alla lingua, ai costumi, alla distribuzione geografica... così le famiglie porteranno i figli a scuola, non per farli diventare gadje ma per farli diventare zingari nel senso migliore.

Il libro offre anche un contributo metodologico innovativo, introducendo una metodologia qualitativa, che supera i paradigmi di antropologia e sociologia, basati sui modelli di analisi quantitativa, che hanno dominato gli aspetti teorici degli studi sul tema gitano a partire dalla metà del XX secolo. I materiali utilizzati per questa analisi interpretativa sono osservazioni personali e testimonianze di Rom, e anche di coloro che hanno vissuto e lavorato con loro, nonché analisi critica di libri e articoli su questo argomento e produzione artistica e letteraria della cultura zingara.

Grazie a questi materiali, il libro interpreta l'atteggiamento profondo che più o meno consapevolmente fonda la mentalità degli zingari, a prescindere dalla natura eterogenea dei Rom stessi, a seconda delle variabili personali, sociali e culturali. In questo modo dà quindi una risposta, per la prima volta, alla questione centrale relativa alla condizione degli zingari: cosa significa essere uno zingaro.

Destinatari di questo lavoro sono gli insegnanti, di scuola primaria e secondaria, operatori della Formazione professionale e della istruzione terziaria, docenti universitari di antropologia, sociologia e filosofia; gli assistenti sociali; facilitatori socio-culturali; mediatori scolastici; agenti di job placement; operatori per il tempo libero; educatori sociali.

Il libro:
Sergio Rodríguez, "Gitanidad. Otra manera de ver el mundo", Kairós, Barcelona 2011

 
Di Fabrizio (del 19/07/2011 @ 09:43:34, in scuola, visitato 1415 volte)

Terre di Mezzo

Dieci bambini di un campo nomadi a Milano diventano allievi dell'artista Adolfo Chiesa. Un laboratorio low cost e all'insegna della sostenibilità, con l'ambizione di diventare per i ragazzi, in futuro, una vera opportunità di lavoro.

Piccoli artigiani crescono, alla scuola elementare di via Palmieri. È qui che Joyce, Giada, Davide, Valentina e altri sei ragazzini rom del campo di via Chiesa Rossa frequentano le primarie. Anche se alcuni di loro hanno già superato gli 11 anni. Questo pomeriggio non sono a scuola per imparare italiano o matematica, ma per frequentare un corso di mosaico (guarda il video). Insieme a loro ci sono operatori ed educatori di Progetto A, la cooperativa che gestisce il campo nomadi alla periferia sud di Milano. "Per affrontare le difficoltà che i ragazzi hanno nell'apprendere a leggere e scrivere, abbiamo deciso di partire da un'attività manuale", spiega Davide Castronovo, il responsabile del campo. Ecco perché è nato il laboratorio, un'idea innovativa che potrebbe segnare una nuova direzione nelle politiche del Comune di Milano nei confronti dei rom. "Abbiamo intenzione di regalare un lavoro realizzato dai ragazzi alla nuova amministrazione", dice Castronovo. Un segno di buon auspicio per le collaborazioni future e un modo per abbattere quel muro che divide i ragazzi dei campi dalla città che vive al di fuori.

È un venerdì di fine giugno, l'ultima lezione del corso. "Ragazzi venite qui", chiama un uomo alto e magro, vestito con una camicia verde, a fiori. La barba incolta e il codino canuto tradiscono un animo da artista: è Adolfo Chiesa, il maestro dei bambini nel laboratorio. "In venti ore di lezione siamo riusciti già a fare quattro mosaici", annuncia soddisfatto.

La tecnica che propone Adolfo Chiesa nei suoi laboratori è innovativa. Serve una stampa della figura che si vuole realizzare e tanti tesserini di qualunque materiale: ceramica, terracotta, ma anche bottoni, pagliericcio e tutto ciò che è riciclabile. Dipende solo da ciò che si vuole realizzare. "A questo punto si smussano le tesserine del mosaico e si lavora a secco, posizionandole a testa in giù, come a ricomporre un puzzle", spiega Adolfo Chiesa. L'anima in cemento armato dei mosaici li rende perfetti come innesto architettonico. Si può guardare il lavoro in itinere, levando da sotto il mosaico la stampa. "In questo modo - prosegue il maestro di mosaico - i bambini si rendono conto di quanto stanno facendo e prendono entusiasmo". Sono vent'anni che Adolfo Chiesa viaggia in tutti i continenti a diffondere i suoi insegnamenti: "È un modo per abbellire il mondo con i rottami. E non è poco, vero?". Con il lavoro manuale, i bambini hanno in mano un oggetto fisico, una traccia duratura del loro lavoro. "Vogliamo proporre questa attività anche al campo rom, il prossimo anno, in modo che anche i genitori possano partecipare alla realizzazione dei mosaici", dice Castronovo. Chissà, un giorno per qualcuno potrebbe diventare una professione redditizia, al posto che andare a raccogliere il ferro, com'è scritto nel destino di molti ragazzi rom in tutta Italia.

Ed è pure un laboratorio low cost. Se si escludono le ore di stipendio pagate agli educatori e ad Adolfo Chiesa, i costi per i materiali non superano i 300 euro. "Dato che i lavori sono gradevoli - aggiunge il responsabile del campo rom Davide Castronovo - speriamo di poter vendere questi prodotti ad un circuito di amici sensibili a questo tipo di attività e con il ricavato rifinanziare il laboratorio per l'anno prossimo". Che sia l'inizio di un nuovo corso nei campi nomadi di Milano?

Testo: Lorenzo Bagnoli per Redattore Sociale

 
Di Fabrizio (del 17/07/2011 @ 09:05:08, in scuola, visitato 1209 volte)

Il laboratorio chiamato "Convergenze" che l'Associazione "Terra di Confine" Onlus – Sez. AIZO (Associazione Italiana Zingari Oggi) di Catanzaro, sta svolgendo all'interno dell'IPM di Catanzaro è parte integrante di un progetto più ampio denominato "A più voci: una rete per la prevenzione", finanziato con i fondi di cui al Bando 2008, "Perequazione per la progettazione sociale regione Calabria".

Il progetto a valenza regionale, che si sta attuando nei territori delle provincie di Catanzaro, Crotone e Reggio Calabria, con una durata di 24 mesi, ha come finalità la presa in carico da parte delle comunità territoriali delle problematiche del disagio giovanile.

La delinquenza minorile è tutt'altro che un problema marginale. Da un punto di vista statistico è meno rilevata di quanto sia in realtà (il "numero oscuro" è molto alto, dal momento che spesso si preferisce evitare ad un minore la punizione legale).

Nelle scuole italiane, secondo il ministero della Pubblica istruzione, ogni anno si verificano circa 2mila reati. E i colpevoli sono loro, giovani al di sotto dei 18 anni, che occupano sempre di più le prime pagine dei giornali con le loro storie di violenza, disadattamento e solitudine.

L'analisi della devianza minorile rom necessita di una spiegazione sia antropologica che strutturale perché tra i rom non esistono i minori, si passa dall'infanzia all'età adulta quasi attraverso un "rito di passaggio" tipico delle società arcaiche, all'età di 14/15 anni sia le donne che gli uomini sono dei perfetti adulti in grado di mettere su famiglia con tutti i doveri che ne conseguono. Parlare di rieducazione con loro ha un significato diverso, parlare di reinserimento non ha senso nei termini in cui si prevede per gli altri minori, lui il ragazzo rom rientra nella comunità di appartenenza dove chi ha avuto precedenti penali non viene assolutamente discriminato; il discorso che va fatto con i minori rom è quello della prevenzione e del creare nuove opportunità attraverso la scuola e la formazione lavoro.

Il popolo rom presente sul nostro territorio non è un popolo di stranieri ma si tratta di Comunità Rom storiche, quelle che sono arrivate nell'Italia centro-meridionale e quindi in Calabria, intorno al 1400 e che vivono in maniera stanziale sul nostro territorio da più di cinquant'anni. Oggi sono cittadini italiani da molte generazioni, sono iscritti alle anagrafe, votano, mandano i loro figli a scuola, eppure continuano a rappresentare un corpo estraneo all'interno della nostra città. Ulteriore puntualizzazione che richiede di essere fatta è che a distanza di secoli o se vogliamo di soltanto cinquant'anni, le problematiche delle cosiddette comunità storiche, vengono affrontate sempre a livello di emergenza sociale, e molto spesso, soprattutto negli ultimi anni, come problema d'ordine pubblico. Gli errori nascono dall'incomprensione, i non-rom non conoscono la cultura del popolo rom, anzi, sono spesso fin troppo convinti che essi siano "nomadi, disonesti ed incapaci di inserirsi nella società moderna".

"Terra di Confine" ha già portato avanti un progetto simile presso l'IPM, con un gruppo di minori rom. L'esperienza iniziata il 5 luglio 2010 è conclusasi il 23 dicembre 2010 ha evidenziando la sua valenza e messo in atto le sue potenzialità future. Il progetto ha previsto oltre al recupero scolastico con i minori, anche la mediazione familiare, richiesta dai ragazzi, con incontri periodici con i congiunti. Benché i ragazzi abbiano la possibilità delle visite parenti, oltre a quella di poter ricevere e spedire lettere, quest'azione si è rilevata oltre modo importante per loro. Non sono solo le notizie che risultano importanti per i ragazzi ma la capacità di chi ormai opera con il popolo rom da quasi 18 anni, di decodificare e di capire un linguaggio simbolico che chi non conosce la cultura rom non può fare.

L'intervento avrà la durata di 6 mesi, i laboratori si svolgeranno una volta alla settimana e avranno la durata di due ore, sono state previste 4 ore mensili da dedicare alla mediazione familiare e ad attività che coinvolgeranno anche gli altri minori detenuti, da concordare volta per volta.

Il breve percorso di conoscenza della storia e cultura Rom sarà articolato in laboratori tematici, il metodo utilizzato sarà quello dialogico. I ragazzi saranno stimolati al confronto, partendo dalla presa di coscienza dei propri pregiudizi, si promuoverà la relazione con l'altro in quanto portatore di una diversità che non deve far paura ma arricchire.

I laboratori di supporto scolastico, rivolti esclusivamente ai minori rom, avranno lo scopo di aumentare e potenziare le conoscenze e le competenze di questi ragazzi che spesso non hanno svolto un percorso scolastico adeguato, molti di loro infatti non hanno concluso l'iter della scuola dell'obbligo, molti sono quasi totalmente analfabeti. Il confronto con gli altri, anche all'interno del carcere minorile, diventa ancora più difficile se le condizioni di partenza sono estremamente distanti e provocano disagio.

Le finalità sono quelle di dare maggiori opportunità a questi ragazzi attraverso un percorso di consapevolezza che passa attraverso il recupero delle proprie radici, la possibilità di far conoscere anche agli altri il loro mondo per superare una visione fatta di pregiudizi e di stereotipi, aumentare le proprie competenze per mettersi alla pari coi tempi.

La scelta di operare all'interno di un Istituto per Minore e di farlo nei confronti dei ragazzi rom nasce da una precisa esigenza la possibilità di intervenire su questi ragazzi in un momento particolare della loro vita che è quello della detenzione, perché farlo quando sono liberi è estremamente difficoltoso. Confrontarsi con la realtà del carcere è un'esperienza sicuramente arricchente, sia sul piano professionale che su quello umano, ma che altresì crea contraddizioni e lacerazioni, dubbi ed incertezze, a cui spesso è difficile dare delle risposte. Bisogna avere la capacità di entrare in punta di piedi in questo "mondo parallelo", ascoltare, non farsi troppe domande, sospendere il giudizio, fino ad arrivare e capirne il linguaggio e le regole che "regnano sovrane". Spesso ho sentito dire, da esperti e addetti ai lavori, che bisogna avere la capacità di far diminuire il gap esistente tra il dentro e il fuori… spesso quello che mi porto dietro è la sensazione di un dentro come ripiegato su se stesso e un fuori troppo distante! I ragazzi rom all'interno di questo "mondo parallelo", seppur in maniera meno palese, continuano a mantenere la loro specificità che spesso non viene presa in considerazione, ma negarla non significa renderli uguali agli altri ma semplicemente privarli della possibilità di raccontarsi!

Maria Gabriella De Luca - presidente "Terra di Confine" sez. Aizo di Catanzaro

L'articolo è stato pubblicato pochi giorni fa su "Il cielo è di tutti ... quelli che hanno le ali" Periodico dell'Istituto Penale per Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro - sarà pubblicato nella prossima uscita della rivista del Csv di Catanzaro - verrà inoltre pubblicato sul prossimo numero della rivista a tiratura nazionale "Zingari Oggi" semestrale dell'Aizo.

 
Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:15:27, in scuola, visitato 1504 volte)

di Nando dalla Chiesa

Cristina. È il nome che le torna sulle labbra più volte mentre racconta la sua esperienza di maestra milanese. Flaviana Robbiati ha appena tirato due o tre pugni nello stomaco al pubblico della Settimana Internazionale dei Diritti di Genova. È venuta qui con un'altra maestra milanese, Stefania Faggi. A spiegare perché le è stato impossibile voltarsi dall'altra parte mentre le ruspe distruggevano i campi nomadi dove abitava Cristina. Non voltarsi quando vengono calpestati diritti altrui dà, secondo la tradizione ebraica, diritto a quell'appellativo di "giusti" a cui è dedicata la rassegna genovese. Loro sono venute a rappresentare, con altri insegnanti, i "giusti nella scuola".

"Lo sa lei che cosa vuol dire uno sgombero? Noi sì, l'abbiamo misurato attraverso i nostri alunni rom del Rubattino. Saranno catapecchie in lamiera, ma ognuna è per loro la propria casetta, capisce? Quando arrivano a tirar giù tutto fanno la conta a quintali della spazzatura. Ma quei rifiuti triturati sono pentole, cartelle, quaderni, giocattoli, guardi qui la foto di questa bambola decapitata. A Milano in tre anni hanno fatto 540 sgomberi. Il vicesindaco De Corato li festeggiava pure. Quando poi il cardinale Tettamanzi chiese di evitare di farli in inverno, di risparmiare la pioggia e la neve e il freddo a quelle creature, il sindaco rispose che la lotta per la legalità non conosceva stagioni. Bella legalità, che ammazza il senso di giustizia. Io dico che negli edifici dove si applica la legge c'è scritto ‘Palazzo di giustizia', mica ‘Palazzo della legalità'. E di ingiustizie ne abbiamo viste. Sa, noi seguivamo attentamente le vicende del campo. Un mattino seppi che avevano fatto uno sgombero che era ancora buio. Allora spiegai tutto agli altri alunni, chiesi loro di non farlo pesare a Cristina. Cristina arrivò a scuola chiedendo che i compagni non sapessero nulla, con gli occhi bassi, per la vergogna di quel che le era successo. In classe furono bravissimi, perché per fortuna i compagni di scuola e le loro famiglie ci aiutavano molto a creare un clima di amicizia e la invitavano alle feste".

Ha un viso lungo e scavato, Flaviana, gli occhiali dorati poggiati su un naso magro e impertinente. Stefania ha i capelli scuri, è solo all'apparenza più severa. "Quel giorno", continuano, "quel 19 novembre, ci arrivarono a scuola alle quattro del pomeriggio tutti i genitori degli alunni rom del distretto, quasi una quarantina ne avevamo. E ci chiesero di aiutarli a dormire. Facemmo subito le telefonate, Sant'Egidio, la Casa della Carità, le parrocchie, e alla fine ne prendemmo qualcuno in casa nostra. Riuscimmo a sistemarli quasi tutti. Il fatto vero però è che questa guerra ai rom toglie a dei bambini un diritto elementare: quello di andare a scuola. È andare a scuola, secondo lei, doversi rifare i quaderni ogni mese, trovarsi senza casa decine di volte all'anno, perché questi sono i numeri di Cristina, oppure dovere cambiare otto scuole in un anno come è capitato a Samuel, o metterci due ore a piedi tra i campi ghiacciati, come è successo a Giulia che voleva restare nella sua classe? È andare a scuola con la serenità necessaria venire staccati come figurine dal padre o addirittura dalla madre a sei anni? Per questo noi diciamo che i bimbi rom sono bimbi come gli altri, ma contemporaneamente che sono un po' meno bambini di tutti. Perché per loro vivere la normalità non è normale. Si sentono sempre in colpa. Vuole sapere la storia di Ulisse, che arrivò a scuola ricoperto di sputi? Era stato un signore dalla sua macchina. Appena lo ha visto, aveva tirato giù il finestrino e l'aveva trasformato in un bersaglio".

Stefania e Flaviana, scuole diverse ma stesso circolo didattico, quello di via Pini, zona est della città, non si fermerebbero mai nel loro racconto. D'altronde se c'è qualcuno che ha presidiato le frontiere della civiltà nell'Italia ubriaca di pregiudizi e di razzismo sono loro. Loro che appena fiutavano l'aria di sgombero facevano lasciare le cartelle a scuola o preparavano materassi nelle loro cantine. "Ma lo sa che alcuni di questi bambini vivono perfino sotto terra? Pensi quanto è grottesco: li bocciano a volte per le troppe assenze, quando sono proprio gli sgomberi a catena che gli impediscono di venire a scuola. Eppure si impegnano, sa? Cristina sapeva solo il romans e il rumeno. Ora è andata a vivere in una casa in un altro paese, anche se i suoi compagni continuano a invitarla alle feste, ed è stata promossa in prima media quasi con la media dell'8. Ha studiato e imparato. Noi lo ripetiamo a ogni incontro: lasciarli analfabeti è come compiere una pulizia etnica. Perché se tu non sai la lingua non leggi neanche la medicina, non leggi la pagella di tuo figlio, resti letteralmente senza diritti. Che è la più grande povertà: non potere accedere ai diritti, non sapere nemmeno di averli. Per questo un giorno abbiamo scritto loro una lettera per rivederli l'anno dopo a scuola". Dice così quella lettera: "Vi insegneremo mille parole, centomila parole, perché nessuno possa più annientare le vostre voci".

"Se abbiamo dei progetti? Certo che li abbiamo. Borse-lavoro, progetti sanitari, la promozione anche del vino e del pane rom. Ma quali soldi, non abbiamo niente. Piuttosto, sa che cosa ci sembra un po' orribile? Di essere diventate note perché difendevamo i bambini. Ma perché, non sta scritto ovunque che bisogna difenderli? E invece per qualcuno siamo un po' uno scandalo. Ma come, si chiedono, come è possibile che della gente si voglia tenere gli zingari?".

 
Di Fabrizio (del 24/06/2011 @ 09:06:20, in scuola, visitato 1543 volte)

InformarePerResistere

Hanno finito la scuola nonostante tutto, sono stati promossi nonostante tutto...

Sono le storie di George, Ionut, Valeriu, Riccardo, Daniela, Maria, Florina, bambini rom che vivono in situazioni impossibili, tra sgomberi e viaggi lunghissimi per arrivare a scuola, a volte viaggi di un'ora e mezza.

Eppure hanno continuato e per loro l'imparare è diventato il traguardo che rappresenta una garanzia per il loro futuro; tra pochi giorni potranno ricevere le "pagelle", potranno finalmente dire "mi hanno promosso" e questa promozione ha un valore così diverso dal nostro, non è solo l'ammissione ad una classe superiore è il sentirsi capace, sentirsi riconosciuto e finalmente apprezzato.

Maria e Florina hanno frequentato la terza media e ora stanno facendo gli esami: raccontano ogni giorno quale prova hanno fatto e sono felici di poter dimostrare tutta la loro voglia di imparare.

Ogni giorno per loro è stata un'impresa continuare a frequentare, spostandosi da varie parti della città, spesso sono andate a scuola anche nelle mattine in cui la famiglia veniva sgomberata, senza sapere dove poi l'avrebbero ritrovata e hanno dimostrato che nulla può fermare la crescita e l'apprendimento di chi vede nella scuola l'unico ambiente in cui sentirsi parte di un gruppo.

Hanno imparato nomi e concetti nella lingua italiana, leggono e scrivono in lingua italiana, conoscono poesie e poeti italiani, ma pochi italiani hanno riservato loro sguardi benevoli.

Ora stanno cambiando gli occhi di chi li guarda e anche i loro occhi sono più fiduciosi e sereni; con l'aiuto dei volontari della Comunità di Sant'Egidio e della scuola" sanno leggere, scrivere, studiare….. cose apparentemente semplici che per questi ragazzi e questi bambini diventano una ricchezza con la quale potranno viaggiare verso una vera società interculturale.

E' possibile aiutarci al seguente indirizzo:

COMUNITA' DI SANT'EGIDIO
MILANO ONLUS

Unicredit Banca, via Carducci Milano
IBAN: IT73J0200801739000100909828
causale Rom Rubattino

Assunta Vincenti
Mamma di Rubattino

 

12 May 2011 silvia

Il razzismo strisciante che da tempo si percepiva nel quartiere è uscito alla luce ed ha un nome e un cognome: Riccardo Corsetto e Fabio Sabbatani Schiuma

portavoce romano e delegato al XX municipio il primo e coordinatore laziale il secondo del Movimento per l'Italia di Daniela Santanché che hanno, a quanto scrive Repubblica, presentato domanda alla direzione chiedendo per i bambini rom l'obbligo di sciampo e di capelli corti, perchè ritenuti responsabili della presenza di pidocchi!

Stento a credere a quanto scritto sulla Repubblica di oggi e mi augurerei che i redattori siano un pochino più attenti perché in realtà a scuola non è arrivata nessuna richiesta ufficiale di questo movimento!

Eppure la cosa purtroppo non mi sorprende!

Sa tanto di iniziativa politica di campagna elettorale!

Additare i rom e i diversi in genere di ogni nefandezza è risaputamente un comportamento che genera "forte coesione all'interno di una classe sociale di cultura medio bassa" che si sente appunto rinforzata in primo luogo dall'individuazione di un nemico e in secondo luogo dalla battaglia quanto più accanita possibile contro questo nemico!

Come Presidente del Consiglio dell'Istituto della scuola Baccano non solo appoggio in pieno la risposta di Anna Maria Guarcini , vicepreside e meravigliosa professoressa di matematica di questa scuola, quando risponde dicendo che "non siamo un campo di concentramento” ma rifiuto, insieme a tutto il Comitato Genitori l'etichetta di scuola dei diversi che ci viene attribuita!
Già da tempo ci siamo accorti della strisciante ondata di razzismo (non vedo termine più appropriato per descrivere questo atteggiamento) nei confronti della nostra scuola, l'ho denunciato con forza su questo blog più volte, descrivendo la situazione della nostra scuola e l'ostracismo che riceve dal quartiere e anche dalle autorità municipali

Domani la scuola Baccano parteciperà alla festa della diversità organizzata e promossa dall'associazione l'Agorà per combattere con la conoscenza e la consapevolezza la paura che genera l'estraneo, chiunque esso sia!


Dalle 11,00 di mattina fino al tardo pomeriggio saremo davanti alla biblioteca di via delle Galline Bianche, che ospiterà una sezione della festa, con Spettacoli di burattini e presentazione dei lavori realizzati dai ragazzi e con la partecipazione di Amnesty International Kids, perchè crediamo che un mondo migliore sia possibile e vogliamo insegnare ai nostri ragazzi che ognuno è responsabile del mondo nel quale vive!

Invitiamo quindi il giornalista che ha scritto l'articolo, chiaramente elettorale per la lista santanchè, a partecipare all'evento e venire a conoscere i nostri ragazzi italiani, rom, indiani, curdi, marocchini ecc… sono tutti ragazzi che non hanno paura delle diversità!

[...]

 
Di Fabrizio (del 11/05/2011 @ 09:48:55, in scuola, visitato 1344 volte)

Dopo i "tre giorni della basilica di San Paolo" e le discussioni seguite sulle modalità di accoglienza delle famiglie rom sgomberate dai campi autorizzati, il piano dell'amministrazione locale per ripulire la città dalle baracche è stato riavviato. Obiettivo di stamane diversi "campi abusivi" del XV Municipio, dove sono intervenuti Vigili Urbani e Polizia di Stato. Fra gli insediamenti coinvolti anche quello noto come "il canneto" dove risiedono alcune delle famiglie che da alcuni anni la nostra associazione sostiene.

E proprio in questo campo si è materializzata una nuova frontiera del diritto, un inedito criterio di separazione fra rom buoni e rom cattivi: i "NO" segnati con vernice rossa su alcune delle baracche del campo hanno infatti garantito a una decina di famiglie la possibilità di avere ancora un tetto sulle loro teste, un posto, sicuramente misero e pericoloso, dover potersi riparare e conservare le proprie cose.

Si tratta delle famiglie i cui bambini sono iscritti e frequentano le scuole del quartiere, a cui è stato assicurato che fino alla fine della scuola potranno rimanere nelle loro baracche.

Per gli altri invece nessuna alternativa e nessuna clemenza: baracche distrutte in poche ore e poi la strada, a cercare un nuovo rifugio.

E poco importa che fra questi tanti altri ci siano numerose famiglie con bambini troppo piccoli per essere inseriti a scuola, oppure già inseriti nelle liste per la formazione delle classi del prossimo anno scolastico; poco importa anche di quelle famiglie i cui bambini sono in cura negli ospedali del quartiere oppure frequentano la scuola materna: comunque non si tratta di scuola dell'obbligo e quindi nessun
dovere nei loro confronti per l'amministrazione.

Il nuovo criterio che legittima gli sgomberi senza alternative appare ai nostri occhi tanto semplice, quanto contraddittorio: si salvano per qualche settimana solo le famiglie i cui minori oggi sono iscritti a scuola, ma sul loro futuro nessuna certezza, mentre del presente e del futuro di tutti gli altri (nel campo ci sono almeno cinquanta bambini di età inferiore ai sei anni) non interessa a nessuno.

Ma questo nuovo criterio selettivo genera ancora altre contraddizioni e ambiguità che proponiamo in forma di domanda: se davvero il criterio della frequenza scolastica dei minori è stato assunto come linea d'intervento dall'amministrazione, cosa ne sarà di queste stesse famiglie oggi "graziate" quando quest'anno scolastico sarà finito? Quali misure saranno messe in campo per garantire la continuità del loro inserimento scolastico per il prossimo anno?

E ancora: se gli sgomberi degli insediamenti non autorizzati sono giustamente motivati dalle condizioni di pericolo e di degrado in cui i residenti si trovano, quali misure si intende adottare affinché queste famiglie di fatto autorizzate a rimanere in quel campo non debbano correre già da stanotte il rischio di incendi o di problemi igienici e sanitari, vista la grande quantità di materiali tossici come l'amianto che è stata rilevata?

A questa serie di domande oggi non c'è stata risposta, lasciando a tutti noi l'impressione netta che questo improvviso richiamo al diritto alla scuola per i minori rom, se applicato come stamattina, si sia di fatto tramutato in un gigantesco alibi, che permette all'amministrazione comunale di continuare nella sua strategia di sgomberi senza alternative, mettendo in strada decine di famiglie e di bambini, ma lasciando ancora per qualche settimana alcuni rom "buoni" a sopravvivere nelle stesse identiche condizioni di rischio e di degrado.

E' forse questa la nuova frontiera del diritto e della protezione dei bambini rom?

A.R.P.J.- Tetto ONLUS
Lungotevere Dante, 5 - 00146 Roma
www.arpj.org - arpj@arpj.org

 
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