L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 09/02/2012 @ 09:19:39, in Regole, visitato 1379 volte)
Il giornale di BresciaLe roulottes in via Orzinuovi, a ridosso del macello comunale, dove
vivono diciotto famiglie di Sinti italiani - ORE: 13:22 | VENERDÌ, 3
FEBBRAIO 2012
Iscritti e cancellati dall'anagrafe, a discrezione. Accade agli italiani
della minoranza Sinti che vivono dal 2003 in via Orzinuovi. Sono loro a
raccontarlo, in una lettera in cui denunciano un "presunto abuso di potere". Il
documento è stato indirizzato ai ministri dell'Interno Annamaria Cancellieri,
del Lavoro Elsa Fornero, della Cooperazione ed integrazione Andrea Riccardi, al
prefetto di Brescia Narcisa Brassesco Pace, all'Ufficio nazionale
anti-discriminazioni razziali che ha sede alla presidenza del Consiglio dei
ministri e al Difensore regionale della Lombardia.
Le diciotto famiglie Sinti - per un totale di 61 persone - chiedono "una
verifica delle procedure e delle modalità utilizzate dai Servizi demografici del
Comune in materia di iscrizione e cancellazione anagrafica di cittadini italiani
della minoranza Sinti residenti in via Orzinuovi e che venga rimosso ogni
atteggiamento o procedura che possa rivestire un carattere discriminatorio nei
confronti della minoranza ivi residente".
"Dal 2008, ogni volta che ci rechiamo agli sportelli dell'anagrafe del Comune,
sorgono problemi per ottenere sia la residenza anagrafica di nostri congiunti di
primo e secondo grado sia le certificazioni conseguenti - scrivono -. Inoltre,
si ripetono episodi per cui le certificazioni vengono rilasciate solo su
richiesta protocollata e, dopo il rilascio, la certificazione viene di nuovo
bloccata".
Cosa significa "bloccata"? Significa che, se dopo alcuni controlli, la persona
non viene trovata nel luogo di residenza, l'anagrafe blocca la certificazione
per un anno. Poi, ne cancella il nome. E, con esso, la possibilità di avere una
tessera sanitaria e l'assistenza pediatrica per i bambini. Ancora:
"L'Amministrazione comunale ha stabilito che il 28 febbraio la struttura
comunale autorizzata in cui sono residenti le famiglie Sinti verrà, senza se e
senza ma, sgomberata senza dare alternative alle famiglie ivi residenti.
Riteniamo - si legge nella lettera sottoscritta dalle famiglie Sinti - che il
Comune ponga in essere prassi discriminatorie nei nostro confronti e che vi
possono essere gli elementi per ravvedere un reato di abuso di potere da parte
dell'organo amministrativo e di abuso d'ufficio da parte dei Servizi
demografici".
Una lunga vicenda, quella dei Sinti di via Orzinuovi che, pur essendo residenti
al civico 108, non possono abitare le casette costruite per loro con fondi
regionali perché le strutture sono state destinate ad altro uso. Così, da tempo,
vivono nel campo provvisorio poco distante, dove erano stati trasferiti durante
i lavori. Con la spada di Damocle che continua a pendere sulla loro testa e che,
entro la fine di febbraio, potrebbe "colpirli" in modo definitivo, dato
l'annunciato smantellamento del campo da parte dell'Amministrazione comunale.
Che ha, come obiettivo, quello di trasferire alcuni nuclei nel campo di via
Borgosatollo, dove risiedono ancora alcune famiglie Rom. Alle altre - come
testimoniano in via Orzinuovi - "sono stati offerti 4500 euro per andarsene. Ma
noi non ci stiamo: le nostre famiglie risiedono permanentemente nel Comune di
Brescia a partire dagli Anni Settanta".
Poi, per "andare dove?". La domanda si alza forte, nei corridoi innevati e
ghiacciati che separano una roulotte dall'altra. "Vogliamo vivere insieme, nella
nostra piccola comunità e non dispersi in condomini, divisi ed isolati" dicono
le donne Sinti che hanno incontrato alcune aderenti all'Associazione "Se non
ora, quando?". La sistemazione potrebbe essere il campo di via Borgosatollo,
dove nel primo dei tre lotti di case prefabbricate, peraltro, vivono già alcune
famiglie Sinti. "Se si liberasse anche il secondo lotto, il problema potrebbe
trovare una definitiva soluzione".
Di Fabrizio (del 27/01/2012 @ 09:29:35, in Regole, visitato 1590 volte)
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
23-01-2012 di Antonio Guarnieri - Recluso alla C.R. di Fossombrone
(PU)
Scrivo su queste pagine per raccontarvi una storia che a dir poco ha
dell'incredibile. Questa storia vede la mia famiglia, più precisamente la mia
consorte, protagonista.
Il giorno 10 novembre dell'anno passato, alle ore 6.00, presso la mia abitazione
a Montemarciano (AN) si presentano 7 carabinieri con mandato di arresto nei
confronti di mia moglie, accusata ingiustamente di aver commesso il primo di
ottobre del 2009, alle ore 13.50 circa, un furto di 200.000 Euro presso
l'abitazione di un'anziana signora di Terni, più precisamente di Ferentillo.
Premetto che la mia consorte ha 35 anni e l'unico reato da lei commesso risale
all'età di 16 anni mentre oggi è madre di quattro figli, nonché nonna di un
nipotino.
Quella mattina, di fronte ai figli - tre dei quali minorenni -, i carabinieri
l'hanno ammanettata e portata via dopo aver provveduto alla perquisizione, anche
nella biancheria intima senza che l'operazione fosse fatta da una donna.
Venne portata in caserma dove mia moglie disperatamente cercò di respingere le
accuse. In lacrime cercò di spiegare che avevano sbagliato persona, ma un
carabiniere di Terni con parole ed atteggiamento intimidatorio disse "Smettila
di fare la sceneggiata di Mario Merola. Visto che hai rubato 200.000 Euro
pensavi di farla franca?! Io sono in piedi dalle 2.00 di mattina per venirti ad
arrestare".
Dopo essere stata condotta alla CC di Pesaro è stata sottoposta al regime di
isolamento in attesa d'interrogatorio.
In sede d'interrogatorio lei ha respinto ogni accusa gridando la sua innocenza.
Il PM per tutta risposta le disse: "Dicono tutti così!". Dato che la mia
compagna era incensurata l'avvocato chiese quantomeno gli arresti domiciliari in
attesa del chiarimento. La richiesta fu rigettata nel mese di novembre dal GIP e
dal PM di Terni motivandola con queste parole: "Non credo alla tua innocenza e
affinché tu neghi, non si rilascia la scarcerazione", facendo un gioco
psicologico che consiste nel distruggere ed annientare mentalmente una persona
cercando conferme dove non ci sono.
Preciso ora che io sono detenuto dal 2005 e nell'anno 2009 ero ristretto presso
la CC di Ferrara. Mantenendo lucidità mentale sono riuscito a ricordare che in
tale periodo di carcerazione effettuavo due colloqui mensili: uno al primo del
mese ed uno a metà mese. Ho cercato conferme per far risultare se in tale data
la mia compagna mi aveva fatto visita. Ho constatato che il primo ottobre 2009,
giorno del reato per cui mia moglie era accusata, era un giovedì, giorno in cui
si effettuano le visite familiari; ho allora, con l'aiuto del nostro legale,
richiesto alla CC di Ferrara se in tale data avevo usufruito del colloquio con
la mia consorte.
La CC di Ferrara ci ha risposto che effettivamente quel giorno mia moglie si
trovava lì con me dalle ore 11.30 alle ore 13.30 quindi il tempo materiale per
recarsi in 20 minuti a Terni non ci poteva essere.
Martedì 13 hanno scarcerato mia moglie per cause di forza maggiore. Ora mi
domando: se anziché trovare conferma che la mia compagna si trovasse al
colloquio quel giorno non avessimo trovato nulla e non fossimo riusciti a
dimostrare la sua innocenza, lei sarebbe ancora reclusa e sarebbe stata
condannata dando per scontato che lei era la colpevole? Sono propenso a pensare
che per il GIP ed il PM la sua unica colpa sia quella di essere di etnia Rom.
Questo è quanto accade in Italia. Vengono giudicate persone senza averne le
prove, vengono trovati capri espiatori sui casi che non si riescono a risolvere.
La giustizia ed i pregiudizi si mescolano e diventano criminogeni.
Di Fabrizio (del 18/01/2012 @ 09:00:27, in Regole, visitato 1478 volte)
Il campo della Barbuta (Omniroma)
Corriere della Sera - «Le operazioni di raccolta delle impronte
effettuate negli insediamenti romani hanno riguardato esclusivamente rom e sinti»
ROMA - Oltre 30 pagine di Memorandum il cui senso è tutto nel titolo:
«Violazione della normativa nazionale, internazionale e dei diritti fondamentali
dei rom e dei sinti da parte delle autorità italiane nella procedura di
richiesta protezione internazionale e nella raccolta di rilievi dattiloscopici e
fotografici nella città di Roma». Sotto accusa, in altre parole, è il censimento
delle comunità rom avviato sul territorio capitolino. A lanciare l'allarme è
l'associazione 21 luglio: «Le operazioni di raccolta delle impronte effettuate
negli insediamenti romani – denuncia l'associazione – hanno riguardato
esclusivamente rom e sinti al di là del loro status giuridico. Sotto la
copertura fornita dalla definizione di "nomadi" – proseguono dall'associazione –
sono stati interessati dalla procedura tutti e solo i componenti della comunità
rom e sinti presenti nei campi».
«DIRITTI VIOLATI» – Secondo alcune testimonianze raccolte nel Memorandum, che
l'associazione 21 luglio consegnerà al Comitato per l'eliminazione della
discriminazione razziale dell'Onu, sarebbero stati schedati «anche cittadini rom
con carta d'identità italiana». L'associazione evidenzia inoltre il "vuoto
normativo seguito alla illegittimità dello stato di emergenza legato alle
comunità rom e alla questione sicurezza». Anche per questo l'associazione chiede
lo «stop delcensimento nel campo de La Barbuta»: «Il Piano nomadi del Comune è
una azienda che dà lavoro a 450 persone e costa all'amministrazione 500 euro per
ogni persona rom presente nei campi che sono una aberrazione tutta italiana».
Barbacche a La Barbuta (Proto)
CLASS ACTION DEI ROM – «Da martedì una task force sarà inviata nei campi rom –
annunciano i responsabili dell'associazione – per verificare se altri cittadini
italiani di origine rom hanno avuto lo stesso trattamento: avvieremo una azione
legale con carattere risarcitorio». Mentre già dallo scorso 14 novembre,
l'associazione ha avviato un'azione penale nei confronti dell'ex
prefetto-commissario straordinario per l'emergenza nomadi nel Lazio, promossa da
un cittadino rom italiano sottoposto alla procedura di fotosegnalamento. Il
legale dell'associazione, Aurora Sordini, elenca «le violazioni contestate alle
autorità»: «In primis la violazione del diritto al rispetto della vita privata e
famigliare e del diritto di non discriminazione».
PIANO NOMADI E CENSIMENTO – A fronte delle 5 mila persone rom sottoposte alle
procedure di identificazione, si legge nel report, al 31 luglio del 2011 sono
stati 119 i permessi di soggiorno rilasciati dalla Questura per motivi
umanitari. «Secondo i riscontri effettuati – sostengono ancora dall'associazione
21 luglio – al termine della procedura di richiesta protezione internazionale
molti rom, apolidi di fatto, non hanno potuto ottenere il permesso di soggiorno
perché privi di passaporto». Durante la presentazione del Memorandum
l'associazione ha inoltre chiesto alle autorità competenti «la chiusura dello
sportello, ubicato nei locali della Questura di Roma, dedicato esclusivamente
alla procedura di raccolta di foto e impronte che ha coinvolto la comunità rom e sinti» e la «cancellazione di tutti i dati raccolti in base alla dichiarazione
dello stato di emergenza», dati «la cui raccolta non è legittimata» e che
comprendono «foto con interi gruppi familiari o minori di 14 anni con i
genitori».
LA REPLICA DELLA QUESTURA - Nessun database solo per i rom, l'ufficio «Nomadi» è
solo «una comodità». Così Maurizio Improta, dirigente dell'Ufficio immigrazione
rigetta le accuse della «21 luglio». «L'attività di prefettura e questura è
stata corretta. Abbiamo anche chiuso un occhio su furto e ricettazione» Secondo
Improta, però, non c'è nessuna schedatura su base etnica. «Il rilascio del
permesso di soggiorno per lavoro, o per studio, presuppone il rilascio delle
impronte - ha aggiunto - e il fotosegnalamento. L'identificazione presso la
scientifica indica l'altezza, tutti dati biometrici che sono previsti. Noi
italiani per avere il passaporto ormai lasciamo le impronte digitali, ma non è
stata fatta una banca dati a parte. Tutti i dati vanno a confluire in una banca
dati centrale dei richiedenti asilo». Per Improta, quindi, le accuse della «21
luglio» sono «una lettura non corretta di quella che è stata una corretta
attività di assistenza, una procedura prevista dall'Unione con la valutazione in
alcuni casi di eventuali precedenti ostativi».
Simona De Santis - 16 gennaio 2012 | 19:18
Nota della redazione: Insomma: lettura corretta o no?
QUI scaricate il rapporto e ve ne fate un'idea
Lunedì 16 gennaio 2012 alle ore 11.00 presso la sala della FNSI (Federazione
Nazionale Stampa Italiana) a Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 349,
l'Associazione 21 luglio illustra i contenuti del Memorandum preparato per il
Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale dell'ONU dal titolo "Violazione della normativa nazionale, internazionale e dei diritti fondamentale
dei rom e dei sinti da parte delle autorità italiane nella procedura di
richiesta protezione internazionale e nella raccolta di rilievi dattiloscopici e
fotografici nella città di Roma".
Il prefetto-commissario Giuseppe Pecoraro aveva dichiarato nel gennaio 2010: la
procedura di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici che ha coinvolto
le comunità rom e sinte a Roma serve a «dividere i buoni dai cattivi». Dai
riscontri effettuati con un'indagine svolta dall'Associazione 21 luglio tra il
dicembre 2009 e il gennaio 2012 appare invece evidente che tale procedura viola
le norme nazionali e internazionali in materia di discriminazione etnica o
razziale. Dalla lunga ricerca effettuata emerge il reale intento delle
operazioni: una identificazione e schedatura di massa su base etnica. Al termine
della presentazione verranno illustrate le azioni legali intraprese
dall'Associazione 21 luglio.
Di Fabrizio (del 19/12/2011 @ 09:49:15, in Regole, visitato 1396 volte)
15 Dicembre 2011
Spett. le Procura della Repubblica di Torino,
Egregi dott. Caselli, dott. Bornia e dott.ssa Longo,
Il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC)1, la Federazione Romanì2 e Idea
Rom Onlus (Idea Rom)3 Vi scrivono per esprimere preoccupazione per il violento
attacco incendiario del campo Rom, avvenuto a Torino lo scorso 10 Dicembre.
Secondo quanto riportato all'ERRC dai nostri partner locali, centinaia di
persone hanno fatto incursione nel campo informale di via Continassa e hanno
dato fuoco a baracche, camper e macchine. L'attacco è stato scatenato
dall'accusa di stupro rivolta a due Rom. Successivamente la presunta vittima ha
dichiarato di non essere stata violentata. L'intero campo è andato distrutto
inclusi le case e i beni di proprietà di 46 Rom che vivevano li. Testimoni
dicono che alcuni manifesti affissi prima dell'attacco incitavano i residenti a
'ripulire' l'area dai Rom. Mass media e testimoni confermano che un pubblico
ufficiale, il presidente della V circoscrizione era presente alla manifestazione
che ha preceduto la violenza4.
L'ERRC, la Federazione Romanì e Idea Rom chiedono alle forze dell'ordine e alla
Procura della Repubblica di Torino di investigare immediatamente ed
imparzialmente e di considerare la connotazione razziale dell'atto.
Le vittime dell'attacco sono membri della minoranza Rom e date le circostanze è
possibile che si sia trattato di un atto di matrice razzista o di un crimine
d'odio. Dunque, l'indagine dell'incidente e il perseguimento dei colpevoli
riguarda la protezione dei diritti umani, sia degli individui che della comunità
Rom. L'investigazione e la risoluzione del caso renderà giustizia alle vittime
sulla base di quanto stabilito dall'articolo 13 della Convezione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali secondo cui ogni persona i cui diritti e le cui libertà
riconosciuti dalla Convenzione (inclusi il diritto alla libertà e alla sicurezza
e il divieto di tortura) sono stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo
davanti ad un'istanza nazionale.
Data l'importanza dell'incidente di cui sopra, le organizzazioni firmatarie
della presente lettera, in accordo con la legge italiana per l'accesso agli atti
amministrativi5, chiedono gentilmente ai Vostri uffici di provvedere per iscritto
le seguenti informazioni:
E' stata aperta un'indagine per tale incidente e quali misure
investigative sono state adottate dal Vostro ufficio al fine di identificare
i colpevoli?
Quali misure saranno prese dai Vostri uffici per accertare le
responsabilità e dare piena
protezione alle vittime?
Oltre le due persone identificate subito dopo l'attacco, sono stati
individuati altri individui
sospetti che hanno organizzato o partecipato all'incidente?
Qualcuno è stato accusato per questo incidente e quali accuse sono
mosse contro di loro?
Rimaniamo in attesa di una Vostra risposta e Vi ringraziamo per gli sforzi
compiuti nel condurre una giusta e rapida indagine del caso.
Distinti saluti,
Dezideriu GergelyDirettore esecutivo European
Roma Rights Centre Nazzareno GuarnieriRappresentante Legale Federazione
Romanì Snezana VuleticRappresentante Legale Idea Rom Onlus
1 Il Centro Europeo per I Diritti dei Rom (ERRC) è
un'organizzazione giuridica internazionale di interesse pubblico impegnata in
una serie di attività volte a combattere il razzismo contro Rom e Sinti e
l'abuso dei diritti umani attraverso contenziosi strategici nell'ambito del
diritto, ricerca e sviluppo di politiche, advocacy e formazione di attivisti Rom
e Sinti.
2 La
Federazione Romanì è una
federazione nazionale formata da 18 organizzazioni Rom e da attivisti e singoli
aderenti di tutta Italia. La mission della Federazione è l'auto-determinazione
della popolazione Romanì attraverso la promozione di una rappresentatività
qualificata delle comunità Rom
3
Idea Rom Onlus è una ONG formata da donne
Rom basata a Torino. Essa promuove la diretta rappresentanza dei Rom ed è membro
della Federazione Romanì.
Di Fabrizio (del 02/12/2011 @ 09:41:57, in Regole, visitato 1667 volte)
Segnalazione di Elvis Asti. Mi immagino le facce nella redazionema già godo
a leggere i commenti. Ricordate che è lo stesso "giornale" che da spazio a
queste notizie...
Furono sgomberati da Maroni Ora i rom chiedono i danni Milano, caos nelle baraccopoli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato,
centinaia di nomadi sono pronti ad azioni legali
I rom sono pronti a chiedere i danni per gli sgomberi e le espulsioni subite
all'interno dei campi regolari negli ultimi tre anni. È il primo effetto
collaterale della sentenza del consiglio di Stato che ha azzerato il piano
nomadi dell'ex ministro Maroni: i giudici hanno dichiarato «illegittimi» gli
atti firmati dal prefetto Gian Valerio Lombardi in qualità di commissario e
demolito il concetto stesso di emergenza. «La presenza di seimila rom a Milano
non giustificava norme straordinarie».
A cascata, diventa carta straccia anche il regolamento approvato in era-Moratti
per garantire la sicurezza delle aree attrezzate. Il principio messo nero su
bianco: fuori dai campi chi ha precedenti, chi delinque, chi ospita amici e
parenti fuori dagli orari dell'area attrezzata. Decine di nomadi - seguendo alla
lettera le nuove norme - sono stati cacciati dagli insediamenti per mettere in
pratica l'agognato «alleggerimento dei campi». il verbo del consiglio di Stato,
però, sbianchetta tutto. «Chi ha subito un danno ora potrà rivalersi verso le
istituzioni» dice Alberto Guariso, uno degli avvocati che ha seguito la
battaglia giudiziaria contro il piano Maroni. «Se il regolamento è un atto
illegittimo, perché bastavano le norme ordinarie, è giusto chiedere un
risarcimento per gli allontanamenti».
Al Tar, ad esempio, è ancora pendente il ricorso di quattro rom italiani di via
Idro espulsi dal campo perché avevano subito condanne penali in un periodo
antecedente all'entrata in vigore del regolamento (oggi polverizzato). Chiosa Guariso: «A questo punto credo che vinceranno la causa, come tutti quelli che si
faranno avanti nella stessa situazione». Diverso il caso degli sgomberi dei
campi irregolari, resi possibili anche dalla legislazione ordinaria e perciò a
prova di ricorso. E le case Aler? Le cascine nel Pavese acquistate con il
sostegno economico del Comune? I rimpatri profumatamente pagati? Quelli, ironia
della sorte, non si toccano. «I vantaggi sono acquisiti» sottolinea Guariso,
«servirà piuttosto un riassestamento di competenze da parte delle istituzioni
per correggere la catena di comando». Il piano nomadi, oltre alla messa in
sicurezza dei campi e alle telecamere, promuoveva anche l'integrazione abitativa
dei rom. «La sentenza è un atto politico gravissimo» dice l'assessore
provinciale Stefano Bolognini. «Per risolvere le situazioni di degrado dei campi
rom servivano poteri straordinari.
Il piano Maroni seguiva il buon senso, i numeri lo dimostrano». Le presenze sono
scese fino a quota 1.200, le quattro aree infernali del Triboniano sono state
chiuse. Di «sentenza politica» parla anche Romano La Russa, assessore regionale
alla Sicurezza. «I giudici confondono il loro ruolo con quello dei politici. È
una sentenza in perfetta armonia con l'orientamento della giunta Pisapia, che ha
allentato i controlli nei campi tollerando anche quelli abusivi». L'ultimo
cambio di rotta è arrivato ieri nella baraccopoli illegale di via Bonfadini, un
campo satellite di quello autorizzato: lo sgombero dei cento occupanti, previsto
per ieri mattina, è stato rinviato al 12 dicembre. «Hanno rifiutato la
sistemazioni dei nostri servizi sociali» dice l'assessore Marco Granelli.
«Queste settimane serviranno loro per trovare una soluzione».
"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché
non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che
adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella
baracca".
Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato
già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un
ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.
Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in
un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di
Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un
"campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo
piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.
Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale,
Milano.
In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano
considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom,
disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container
sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi
anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.
L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle
autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati
tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per
centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata
interrotta.
Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa
fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti
i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di
progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti
infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla
chiusura di due campi autorizzati.
Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate
nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato
uno scandalo!
L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto
internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il
Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha
dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!
Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo
rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei
diritti umani.
Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi
forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in
grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i
piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno
gli standard internazionali sui diritti umani.
È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di
Milano!
Di Fabrizio (del 25/11/2011 @ 09:01:33, in Regole, visitato 2511 volte)
E' passata un settimana da quando il Consiglio di Stato ha dichiarato
illegittimo il
Piano Emergenza Nomadi. Accanto alla giusta soddisfazione di quanti in
questi anni l'hanno contrastato perché antidemocratico ed incostituzionale,
registro reazioni diverse e contrastanti su quello che potrà succedere da ora in
avanti.
VEDIAMO DI CAPIRE COSA POTRA' SUCCEDERE
La destra più becera (e non è una novità) ha immediatamente coniugato
la notizia con un
attacco alla sinistra. Se questi sono i loro ragionamenti, non posso che
essere felice, perché se leggete la risposta che ho lasciato
loro, questi dopo due anni non hanno ancora capito di cosa scrivono, o
peggio mentono sapendo di mentire.
Ma... la sinistra cosa dice? Se scorro quest'articolo
del Corriere, al solito dice tutto ed il suo esatto contrario. Leggendo
tutto, sono presenti anche le altre reazioni: da quella del duo Salvini-De
Corato a quella di segno opposto della Consulta Rom milanese. Ma la parte più
interessante è nel titolo: il rischio è che non ci siano più soldi per gli
sgomberi! (povero Granelli...) Solo alla fine dell'articolo, il
grande giornale nazionale, in un sussulto di obiettività, fa presente che
parimenti mancheranno anche i fondi per quei Sinti e Rom che avevano scelto un
percorso di superamento del campo. Insomma: la logica
desolante è che per l'informazione il Rom è "notiziabile" se sgomberato, ma se
volesse autosgomberarsi non lo è più tanto.
E' o non è un'emergenza anche quella?
Il concetto rispunta (apparentemente simile) in un polemico articolo
di
Tempi (rivista che mi risulta vicina a CL). La tesi è che i fondi stanziati
sarebbero serviti ANCHE a migliorare le condizioni di vita di chi abita nei
campi nomadi. MI PERMETTO UNA CONSTATAZIONE: nei due anni in cui è rimasto in
vigore il Piano Emergenza Nomadi, la situazione è rimasta grossomodo lo stessa.
E MI PERMETTO UN DUBBIO (da quel malfidente che sono): non sarà che la vera
preoccupazione sia il taglio dei finanziamenti al solito privato sociale,
piuttosto che le condizioni di vita dei poveri Rom e Sinti?
Il dubbio mi nasce da un
comunicato dell'AIZO, storica associazione di "tutela" dei Rom e dei Sinti,
che aveva appena ottenuto un
cospicuo finanziamento dal comune di Torino per la gestione di alcuni campi
cittadini. Ora che il Consiglio di Stato si è espresso, c'è il timore che anche
quei finanziamenti siano a rischio, così leggo su quel comunicato: "Dopo
tanto lavoro, ora, con questa sentenza, si rischia di tornare indietro di 20
anni, con il sorgere di campi abusivi in ogni angolo delle periferie, dove
sporcizia e degrado regnano sovrani" che, guardacaso, è esattamente la tesi
espressa dal nostro ex sceriffo De Corato.
In realtà, il discorso è + complesso ed inizia un
paio di anni fa. Una famiglia allargata intende sfruttare il Piano Maroni (13
milioni di euro a disposizione x Milano). Alcuni di loro hanno qui in città un
contratto di lavoro a tempo indeterminato, quindi possono aprire un mutuo x
acquistare una cascina diroccata in Lomellina. Nel loro campo vivono su un
terreno di proprietà comunale da circa 20 anni, ed in questo tempo hanno speso i
loro soldi per costruirsi un riparo che sia più decente della roulotte con cui
arrivarono. La cascina è da ristrutturare, le loro abitazioni + che dignitose, e
lasciarle sarebbe una perdita secca. Sino qua, i soldi arrivano tutti da loro.
Quindi approfittano del Piano Maroni, gestito dalla maggioranza Moratti-De
Corato (non da Pisapia), per farsi finanziare la ristrutturazione e rendere la
cascina abitabile (attualmente non ne avrebbe i requisiti). I soldi sono gli
8.000 euro a 40 Rom (non 40 famiglie!), promessi sempre dal duo Moratti-De
Corato, verranno sbloccati solo con l'avvento di Pisapia (che tecnicamente, si
limita a mantenere un impegno assunto dalla giunta precedente). La partita di
giro prevista dal piano prevede che il comune affidi i soldi al gestore del
campo (Casa della Carità) che li investe in cambio della presentazione del piano
di spesa.
Nel frattempo, i lavori di ristrutturazione sono partiti solo quest'anno, e le
famiglie sono tuttora al campo.
Giudicate voi
Di Fabrizio (del 21/11/2011 @ 09:52:36, in Regole, visitato 2291 volte)
CS113:18/11/2011
Amnesty International ha chiesto alle autorità italiane di porre fine alle
misure discriminatorie contro le persone rom dopo che il più alto organo
giurisdizionale amministrativo del paese ha dichiarato illegittimi i decreti
relativi all'"emergenza nomadi".
Il Consiglio di stato ha decretato la fine dell'"emergenza nomadi", che ha
esposto le comunità rom a gravi violazioni dei diritti umani da quando è stata
introdotta tre anni fa.
"Porre fine all'emergenza nomadi" è un passo nella giusta direzione, questa era
illegittima e non sarebbe dovuta mai essere stata dichiarata" - ha affermato
Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty
International
"Il governo italiano ha ora la responsabilità di fornire rimedi effettivi a
tutte le famiglie rom che hanno subito sgomberi forzati e altre gravi violazioni
dei diritti umani durante 'l'emergenza nomadi"'.
Nel maggio 2008, il governo italiano dichiarò uno stato di emergenza in
relazione agli insediamenti di comunità nomadi nelle regioni di Lombardia,
Campania e Lazio.
Questo per affrontare, presumibilmente, "una situazione di grave allarme
sociale, con possibili ripercussioni per la popolazione locale in termini di
ordine pubblico e sicurezza".
L'emergenza è stata successivamente estesa alle regioni di Piemonte e Veneto.
Sulla base dell'"emergenza nomadi", ai prefetti dei capoluoghi delle regioni
interessate è stato conferito il potere di agire in deroga alla legislazione che
protegge i diritti umani e gli sgomberi forzati delle comunità rom sono stati
molto frequenti ed eseguiti con sempre maggiore impunità.
"L''emergenza nomadi' ha esposto migliaia di rom a violazioni dei diritti umani
e ha aggravato la discriminazione nei loro confronti" - ha aggiunto Duckworth.
"Il nuovo governo italiano deve porre fine a politiche e pratiche
discriminatorie che colpiscono persone rom da anni. Questa di sicuro non è la
fine della storia, ma può essere un nuovo inizio".
FINE DEL COMUNICATO Roma, 18 novembre 2011
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail:
press@amnesty.it
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
IMMIGRAZIONE. bizSentenza n. 6050 del 16 novembre 2011 Consiglio di
Stato Stato di emergenza dichiarato nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e
Campania in relazione agli insediamenti di comunità nomadi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 6400 del 2009, proposto dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in
persona del Presidente pro tempore, dal MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del
Ministro pro tempore, dal DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del
legale rappresentante pro tempore, e dalle PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL
GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in persona dei rispettivi Prefetti pro
tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION (ERRC), in persona del legale
rappresentante pro tempore, e i signori ***** e *****, in proprio e quali
esercenti la potestà genitoriale sui figli minori *****, rappresentati e difesi
dagli avv.ti Alessandra Mari e Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso
quest'ultimo in Roma, via B. Tortolini, 34,
nei confronti di
- COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avv. Pier Ludovico Patriarca, domiciliato presso l'Avvocatura Municipale in
Roma, via del Tempio di Giove, 21;
- PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e
difeso dall'avv. Massimiliano Sieni, con domicilio eletto presso lo stesso in
Roma, via IV Novembre, 119/A;
- REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
2) nr. 6859 del 2009, proposto dal COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pier Ludovico Patriarca e Andrea
Magnanelli, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via del Tempio di
Giove, 21,
contro
EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION (ERRC), in persona del legale
rappresentante pro tempore, e i signori ***** e *****, in proprio e quali
esercenti la potestà genitoriale sui figli minori *****, rappresentati e difesi
dagli avv.ti Alessandra Mari e Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso
quest'ultimo in Roma, via B. Tortolini, 34,
nei confronti di
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore,
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, DIPARTIMENTO DELLA
PROTEZIONE CIVILE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e
PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in
persona dei rispettivi Prefetti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in
Roma, via dei Portoghesi, 12;
- REGIONI LAZIO, LOMBARDIA e CAMPANIA, in persona dei rispettivi Presidenti pro
tempore, non costituite;
- PROVINCE DI NAPOLI, ROMA e MILANO, in persona dei rispettivi Presidenti pro
tempore, non costituite;
- COMUNI DI MILANO e NAPOLI, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non
costituiti;
- CROCE ROSSA ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non
costituita;
entrambi per la riforma,
previa sospensione,
della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima, nr. 6352/2009, decisa il 24
giugno 2009 e depositata il 1 luglio 2009.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati European Roma Rights
Centre Foundation (ERRC) e signori ***** e ***** (in entrambi i giudizi), del
Comune di Roma (nel giudizio nr. 6400 del 2009), della Provincia di Roma (nel
giudizio nr. 6400 del 2009) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del
Ministero dell'Interno, del Dipartimento della Protezione Civile e delle
Prefetture di Roma, Milano e Napoli (nel giudizio nr. 6859 del 2009);
Visto l'appello incidentale proposto dagli appellati indicati in epigrafe nel
giudizio nr. 6400 del 2009;
Viste le memorie prodotte dalle Amministrazioni statali appellanti (in date 20
agosto 2009 e 24 ottobre 2011), dal Comune di Roma (in data 27 luglio 2009) e
dagli appellati (in data 25 agosto 2009) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l'ordinanza di questa Sezione nr. 4233 del 25 agosto 2009, con la quale è
stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione della
sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2011, il Consigliere
Raffaele Greco;
Uditi l'avv. Mari per le parti appellate e appellanti incidentali, l'avv.
Patriarca per il Comune di Roma e gli avvocati dello Stato Amedeo Elefante e
Fabrizio Fedeli per le Amministrazioni statali;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I – La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno, il
Dipartimento della Protezione Civile e gli Uffici Territoriali del Governo di
Milano, Roma e Napoli hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione
dell'esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, accogliendo
parzialmente il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla European Roma Rights
Centre Foundation (ERRC) e dai signori ***** e ***** (anche nella qualità di
genitori e legali rappresentanti dei figli minori), ha annullato in parte le tre
ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008, dettanti
disposizioni per fronteggiare lo stato di emergenza dichiarato nel territorio
delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania in relazione agli insediamenti di
comunità nomadi, nonché alcune disposizioni dei consequenziali Regolamenti
adottati dai Commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Più specificamente, l'appello si concentra sull'annullamento delle richiamate
disposizioni regolamentari ed è fondato sui seguenti motivi:
1) insufficienza della motivazione; erroneità della sentenza di primo grado
nella parte in cui non ha accolto l'eccezione di inammissibilità dei motivi
aggiunti per assoluta genericità; violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (in
relazione alla reiezione dell'eccezione di inammissibilità sollevata
dall'Amministrazione in ordine alle censure mosse coi motivi aggiunti avverso le
suindicate disposizioni regolamentari);
2) illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per erronea applicazione
dell'art. 16 della Costituzione a situazioni che non rientrano nella sfera di
tutela riconosciuta dalla norma (in relazione all'accoglimento delle doglianze
con cui i ricorrenti assumevano la lesione di diritti costituzionalmente
garantiti per opera delle medesime disposizioni regolamentari);
3) in subordine, illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per
violazione dell'art. 16 della Costituzione (dovendo comunque ritenersi
compatibili con detta disposizione le eventuali limitazioni rivenienti dalle
censurate disposizioni regolamentari);
4) violazione dell'art. 8 della CEDU (essendo comunque le ridette limitazioni
giustificate anche in base a tale norma);
5) illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per violazione del diritto
al lavoro garantito dalla Costituzione (stante l'erroneità delle statuizioni con
le quali il primo giudice ha reputato che alcune delle disposizioni
regolamentari contrastassero con tale diritto fondamentale).
Si sono costituiti il Comune di Roma e la Provincia di Roma, il primo aderendo
articolatamente all'appello dell'Amministrazione statale e la seconda invece
opponendovisi.
Si sono altresì costituiti i ricorrenti in primo grado i quali, oltre ad opporsi
con diffuse argomentazioni all'accoglimento dell'appello, hanno altresì
impugnato in via incidentale la medesima sentenza del T.A.R. capitolino, nella
parte in cui sono state respinte le più generali doglianze con le quali essi
avevano chiesto l'integrale annullamento, oltre che delle già richiamate
ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei già richiamati
Regolamenti, anche del retrostante decreto del Presidente del Consiglio del 21
maggio 2008, dichiarativo dello stato d'emergenza de quo, nonché di numerosi
ulteriori atti consequenziali.
Detta impugnazione incidentale è affidata ai seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr.
225; insufficienza e contraddittorietà della motivazione (in relazione
all'assenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza);
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge nr. 225 del 1992 e
del principio generale del divieto di ogni forma di discriminazione razziale;
insufficienza e ontraddittorietà della motivazione (in relazione alla natura
discriminatoria dei provvedimenti impugnati);
3) illegittimità derivata degli altri atti impugnati.
Alla camera di consiglio del 25 agosto 2009, la Sezione ha accolto la domanda
incidentale di sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata.
Le parti hanno affidato a successive memorie l'ulteriore sviluppo delle proprie
tesi, e in particolare le Amministrazioni appellanti hanno da ultimo eccepito
l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta carenza di interesse,
stante la mancata impugnazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei
Ministri (datati 31 dicembre 2010 e 31 dicembre 2011) di proroga dello stato di
emergenza per cui è causa.
All'udienza del 4 novembre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
II – L'epigrafata sentenza del T.A.R. del Lazio è oggetto anche di un secondo
appello, proposto dal Comune di Roma con richiesta di sospensiva e articolato
sulla base dei seguenti motivi:
1) inammissibilità del ricorso e dei successivi motivi aggiunti per difetto di
interesse ad agire in capo ai ricorrenti; inammissibilità del ricorso per
carenza di interesse a ricorrere; erroneità della decisione; violazione di
legge; mancanza e/o insufficienza di motivazione (in relazione alla reiezione
delle preliminari eccezioni di inammissibilità articolate sulla base della
carenza di legittimazione in capo alla ERRC ed all'insussistenza di lesione
attuale in capo agli altri ricorrenti da parte degli atti impugnati);
2) carenza e insufficienza della motivazione; erroneità della decisione;
violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.; mancata corrispondenza tra chiesto e
pronunciato; violazione di legge (in relazione all'integrazione da parte del
T.A.R. delle doglianze formulate dai ricorrenti avverso le disposizioni
regolamentari censurate, le quali erano del tutto sommarie e generiche, e quindi
inammissibili);
3) violazione di legge; errata e falsa applicazione dell'art. 16 della
Costituzione; mancanza, carenza e contraddittorietà della motivazione (in
relazione alla parte della sentenza impugnata con la quale talune disposizioni
regolamentari sono state ritenute contrastanti con la libertà di circolazione
costituzionalmente garantita);
4) violazione di legge; errata e falsa applicazione dei principi in materia di
diritto al lavoro e di libertà della scelta del lavoro; mancanza, carenza e
contraddittorietà della motivazione (in relazione alla parte della sentenza
impugnata con la quale talune disposizioni regolamentari sono state ritenute
contrastanti col diritto al lavoro costituzionalmente garantito);
5) violazione di legge; errata e falsa applicazione dei principi in materia di
libertà personale e delle norme a tutela dei minori; errata e falsa applicazione
del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196 (in relazione alla parte della
sentenza impugnata con la quale sono state ritenute illegittime le ordinanze
presidenziali del 30 maggio 2008 nella parte in cui consentivano di procedere a
identificazione delle persone, anche minori di età, attraverso rilievi
segnaletici).
In tale giudizio, si sono costituite le Amministrazioni statali firmatarie del
primo appello, al fine di aderire all'appello del Comune di Roma e di chiederne
l'accoglimento.
Alla camera di consiglio del 13 ottobre 2009, anche in considerazione
dell'ordinanza cautelare già adottata in altro giudizio, l'esame della domanda
incidentale di sospensiva è stato differito sull'accordo delle parti, per essere
abbinato alla trattazione del merito.
All'udienza del 4 novembre 2011, anche questa causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008,
emesso ai sensi dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr. 225, è stato
dichiarato lo stato di emergenza nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e
Campania in relazione all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori.
Con tre ordinanze presidenziali adottate in data 30 maggio 2008 (nn. 3676, 3677
e 3678) sono state dettate disposizioni urgenti per fronteggiare la suindicata
emergenza, con contestuale nomina di altrettanti Commissari Straordinari
all'uopo delegati.
Gli atti appena citati sono stati impugnati in sede giurisdizionale dalla
European Roma Rights Centre Foundation (ERRC) e dai signori Herkules
Sulejmanovic e Azra Ramovic (anche nella qualità di genitori esercenti la
potestà sui figli minori), unitamente agli atti presupposti e connessi nonché a
quelli consequenziali, segnatamente le “Linee guida” per l'attuazione delle
ordinanze presidenziali emanate dal Ministero dell'Interno e i Regolamenti
adottati dai Commissari delegati nelle Regioni Lombardia e Lazio per la gestione
delle aree destinate ai nomadi e dei relativi “villaggi attrezzati”.
Il T.A.R. del Lazio, investito del ricorso e dei motivi aggiunti proposti
avverso gli atti suindicati, li ha accolti solo in parte, e in particolare:
- ha annullato le ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008, nella parte in cui
era prevista e autorizzata l'identificazione di tutte le persone presenti nei
campi nomadi, indipendentemente dall'età e dalla condizione personale,
attraverso “rilievi segnaletici”;
- ha annullato talune specifiche disposizioni dei Regolamenti impugnati, siccome
contrastanti con la libertà di circolazione garantita dall'art. 16 dalla
Costituzione ovvero col diritto al lavoro anch'esso costituzionalmente
garantito;
- ha respinto, invece, le più generali censure formulate avverso il decreto
dichiarativo dello stato di emergenza e avverso gli altri atti consequenziali.
La sentenza contenente le statuizioni testé richiamate è oggi impugnata per un
verso dalle Amministrazioni statali e dal Comune di Roma, per la parte in cui
sono state accolte le doglianze degli originari ricorrenti, sia da questi
ultimi, con appello incidentale, per la parte relativa alla reiezione delle
ulteriori censure formulate in primo grado.
2. Tutto ciò premesso, va in via del tutto preliminare disposta la riunione
degli appelli in epigrafe ai sensi dell'art. 96 cod. proc. amm., trattandosi di
impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza.
3. Ancora preliminarmente, occorre esaminare l'eccezione di improcedibilità del
ricorso originario, per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dalle
Amministrazioni statali appellanti con la memoria conclusionale del 24 ottobre
2011.
Si assume, in estrema sintesi, che gli originari istanti non potrebbero più
ricavare alcuna utilità dall'eventuale accoglimento delle loro doglianze, non
avendo provveduto a impugnare tempestivamente i decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 31 dicembre 2009 e del 31 dicembre 2010, con i quali
lo stato di emergenza per cui è causa è stato prorogato rispettivamente per gli
anni 2010 e 2011; ciò sulla base di pregressa giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato, essendosi altrove affermato che la proroga dello stato di emergenza
non è atto meramente confermativo dell'originario decreto adottato ai sensi
dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr. 225, ma segue a nuova valutazione
circa il permanere delle condizioni di fatto che determinarono l'iniziale
declaratoria dell'emergenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2011, nr.
654).
L'eccezione, pur abilmente proposta, non può essere accolta.
In primo luogo, come replicato in sede di discussione orale dalla difesa degli
appellanti incidentali, allo stato non può escludersi, ai sensi dell'art. 34,
comma 3, cod. proc. amm., il possibile residuare in capo agli originari
ricorrenti di un interesse di tipo risarcitorio (e ciò, si aggiunge, vale non
soltanto in relazione alla posizione dei signori Sulejmanovic e Ramovic, ma
anche nei confronti della ERRC, stante quanto appresso si dirà in ordine alla
sua piena legittimazione a rappresentare l'interesse “collettivo” della comunità
Rom).
In secondo luogo, alla luce dell'evidente coinvolgimento nella presente
controversia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e
dall'ordinamento internazionale, al Collegio appare evidente la sussistenza di
un rilevante interesse morale degli istanti alla definizione di essa nel merito:
interesse al quale è suscettibile di ricondursi un'utilità non meramente
astratta, stanti le evidenti ricadute che un eventuale accoglimento delle loro
doglianze potrebbe avere sulle future scelte dell'Amministrazione (in primis, e
ad esempio, in sede di eventuale ulteriore proroga dello stato di emergenza per
cui è causa).
Infine, e con specifico riguardo alla giurisprudenza richiamata dalle
Amministrazioni appellanti, la Sezione è dell'avviso che il carattere autonomo o
meramente confermativo di un atto rispetto a quelli antecedenti non possa essere
affermato in termini astratti, ma vada verificato in concreto sulla scorta della
sua motivazione e dell'istruttoria che lo ha preceduto.
Nel caso di specie, da una piana lettura dei menzionati decreti del 31 dicembre
2009 e del 31 dicembre 2010 (depositati in atti dalla difesa erariale), emerge
con evidenza che in essi non è contenuta alcuna valutazione riportata
all'attualità in ordine all'eventuale perdurare della situazione di fatto
addotta a base dell'emergenza dichiarata nell'originario decreto presidenziale
del 21 maggio 2008, ma sono unicamente ripercorsi gli interventi posti in essere
– e non ancora conclusi – per superare le varie “fasi” dell'emergenza medesima;
in altri termini, è chiarissimo che la proroga è motivata in modo pressoché
esclusivo con la necessità di portare a compimento le iniziative adottate dai
Commissari delegati, piuttosto che con un verificato permanere di situazioni di
fatto emergenziali.
Di conseguenza appare tutt'altro che pacifico l'assunto della difesa erariale,
basato sul presupposto che un ipotetico annullamento dell'originario decreto del
21 maggio 2008 non produrrebbe effetti caducanti sui precitati decreti di
proroga (ma la questione, come meglio appresso si dirà, esula dal perimetro del
presente giudizio).
4. Venendo all'esame degli appelli, in ordine logico va prioritariamente
esaminato il primo motivo di impugnazione articolato dal Comune di Roma, con il
quale sono riproposte le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado
e dei motivi aggiunti, per difetto di legittimazione e di interesse.
Sul punto, il primo giudice ha respinto l'eccezione ritenendo di poter
prescindere dalla questione della sussistenza o meno della legittimazione ad
causam della ERRC, in quanto gli ulteriori ricorrenti, signori ***** e *****,
risultano prima facie legittimati in quanto appartenenti alla comunità Rom e
residenti nel campo nomadi di Roma (e, quindi, direttamente destinatari degli
atti impugnati).
L'Amministrazione comunale reitera le eccezioni, lamentandone anche in parte il
mancato esame in prime cure, sulla base di un duplice ordine di rilievi:
a) la ERRC non avrebbe fornito alcuna prova della propria legittimazione e/o del
proprio interesse all'impugnazione;
b) non sussisterebbe alcun interesse dei ricorrenti privati a impugnare gli atti
oggetto di censura, trattandosi di atti di portata generale e quindi non
immediatamente lesivi (ciò vale, in particolare, per le disposizioni
regolamentari annullate dal T.A.R., che secondo i comuni principi potrebbero
essere impugnate solo “mediatamente” in una con gli specifici provvedimenti
applicativi di esse).
Il motivo è infondato.
4.1. Con riguardo alla questione della legittimazione processuale della European
Roma Rights Centre Foundation (ERRC), va premesso che trattasi di associazione
costituita in base al diritto ungherese avente quale oggetto sociale – fra
l'altro – la tutela della comunità Rom e delle persone a questa appartenenti,
anche sul piano internazionale, contro ogni forma di discriminazione.
Trattasi dunque di ente deputato alla tutela di un interesse collettivo
specificamente riferito a un gruppo ben individuato e delimitato (la comunità
Rom), di modo che possono richiamarsi le conclusioni raggiunte da dottrina e
giurisprudenza in tema di tutela processuale di tali interessi.
Si assume, in particolare, che gli interessi “collettivi” si differenziano dagli
interessi “diffusi” in quanto, pur avendo in comune con questi ultimi il
carattere superindividuale, sono riferibili non alla generalità dei consociati,
ma a un gruppo stabile e non occasionale; di conseguenza, si tratta di veri e
propri interessi legittimi tutelabili in sede giurisdizionale (anche mediante
azione risarcitoria) in presenza di determinati presupposti.
Per quanto concerne la titolarità dei predetti interessi, questa spetta ad enti
esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto dalla collettività di
riferimento quanto dai loro singoli associati, con l'ovvia conseguenza che a
tali enti spetta, di regola, anche la correlativa legittimazione processuale
(laddove questa, in relazione agli interessi diffusi, viene riconosciuta a enti
in possesso di determinati requisiti solo a seguito di precise scelte normative,
come avviene ad esempio in materia di tutela ambientale).
Più specificamente, è ormai pacifico in giurisprudenza che ai fini del
riconoscimento della legittimazione dell'ente ad agire a tutela dell'interesse
collettivo è irrilevante il dato formale del possesso della personalità
giuridica, dovendo guardarsi al dato sostanziale dell'effettiva sua
rappresentatività rispetto all'interesse di cui si assume portatore: pertanto, è
necessario accertare in concreto che la rappresentatività dell'ente nei
confronti dei propri associati sia tale da consentirgli di intervenire a tutela
di un interesse da considerarsi non come semplice sommatoria degli interessi dei
singoli associati, ma come interesse proprio dell'associazione, in virtù – ad
esempio – di precise disposizioni statutarie che prevedano espressamente la
tutela di determinati interessi da considerarsi conformi a quelli del gruppo
sociale di riferimento; ciò peraltro non è sufficiente, occorrendo accertare
anche che l'interesse tutelato in sede giurisdizionale dall'associazione non sia
conflittuale, neanche in potenza, con quello anche solo di uno dei consociati,
oppure che non vengano tutelate le posizioni giuridiche solo di parte dei
consociati stessi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2003, nr. 93; Cons.
Stato, sez. IV, 27 maggio 2002, nr. 2921).
Nel caso di specie, l'associazione istante – contrariamente a quanto sostenuto
dal Comune appellante – non si è limitata ad affermare apoditticamente di avere
quale proprio scopo istituzionale la tutela della comunità Rom, ma ha prodotto a
sostegno di tale assunto copia conforme del proprio atto costitutivo, in lingua
ungherese ed inglese (cfr. allegato 5 al ricorso introduttivo del giudizio).
A fronte di tale documentazione, all'Amministrazione resistente che intendesse
contestare la legittimazione incombeva l'onere di chiarire e documentare il
perché detta documentazione fosse inidonea o insufficiente a provare la
sussistenza dei requisiti suindicati, non potendo a tal fine limitarsi ad
affermarne genericamente l'insussistenza (come fatto pure nell'odierno appello).
4.2. Per quanto attiene alla posizione dei signori ***** e *****, viene in
rilievo non tanto il problema soggettivo della loro legittimazione, quanto
quello oggettivo dell'impugnabilità degli atti gravati in primo grado, che
secondo il Comune appellante non avrebbero portata immediatamente lesiva (ciò è
affermato specificamente per i Regolamenti commissariali censurati e
parzialmente annullati dal T.A.R., dei quali si assume la natura generale e non
provvedimentale).
Tuttavia, anche tale rilievo risulta infondato alla luce dei più approfonditi
arresti giurisprudenziali – che la Sezione condivide – in ordine
all'impugnabilità degli atti regolamentari.
In particolare, è ormai da tempo acquisito che, in ragione dell'ambivalente
natura della fonte normativa regolamentare, è possibile distinguere fra
regolamenti, e anche all'interno di un medesimo regolamento, fra disposizioni
contenenti statuizioni precise e puntuali, tali da pregiudicare direttamente la
sfera giuridica dei destinatari, e disposizioni dal contenuto più marcatamente
generale e astratto, che diventano lesivi soltanto in virtù di un successivo
provvedimento di attuazione: mentre gli atti del primo tipo vanno impugnati nel
termine perentorio di sessanta giorni dalla pubblicazione o dalla piena
conoscenza, quelli del secondo tipo possono essere sindacati solo a seguito
della c.d. “doppia impugnazione”, coinvolgente congiuntamente la disposizione
normativa e l'atto esecutivo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2011, nr.
2184; id., 27 dicembre 2010, nr. 9406; id., 6 settembre 2010, nr. 6463; Cons.
Stato, sez. V, 19 novembre 2009, nr. 7258; id., 7 ottobre 2009, nr. 6132; id.,
26 giugno 2000, nr. 3621).
Nel caso che occupa, è abbastanza agevole percepire che i Regolamenti in
questione, adottati dai Commissari delegati al dichiarato scopo di avviare la
gestione delle aree adibite a campi nomadi e dei “villaggi attrezzati” in cui
collocare le comunità dei loro residenti, contengono disposizioni in larga
misura autoapplicative, e quindi destinate a produrre i propri effetti anche
indipendentemente da specifici provvedimenti di attuazione ed esecuzione: ciò
vale, in particolar modo, per le disposizioni annullate dal giudice di prime
cure (si veda, ad esempio, l'art. 3.7 del Regolamento della Regione Lazio, che
impone a tutti i soggetti ammessi nel villaggi di munirsi di un apposito
tesserino di identificazione).
La presenza di siffatte norme, salvo a verificare nei singoli casi quali di esse
presentino le suindicate caratteristiche, è sufficiente a fondare un interesse
attuale e non meramente ipotetico a censurarle degli originari ricorrenti,
siccome loro destinatari.
5. Sempre seguendo l'ordine logico di esame delle questioni sottoposte al
Collegio, occorre ora esaminare l'appello incidentale con il quale gli originari
ricorrenti reiterano le doglianze mosse avverso il decreto presidenziale del 21
maggio 2008, dichiarativo dello stato di emergenza de quo, nonché avverso le
successive ordinanze del 30 maggio 2008; ciò in quanto l'eventuale fondatezza di
tali doglianze avrebbe un evidente carattere assorbente di ogni ulteriore
questione relativa agli atti impugnati.
L'appello incidentale è fondato, nei termini e limiti che verranno appresso
precisati.
5.1. Ed invero, con gli ampi e articolati motivi di censura qui riproposti in
via incidentale gli originari ricorrenti contestano il decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 sotto due profili fondamentali:
- perché adottato in assoluta carenza di presupposti di fatto idonei a
legittimare una declaratoria di emergenza ai sensi dell'art. 5 della legge nr.
225 del 1992;
- perché in realtà unicamente dettato da intenti di discriminazione etnica e/o
razziale nei confronti della comunità Rom, incompatibili con i principi
costituzionali, comunitari e internazionali in subiecta materia che segnano un
limite anche all'esercizio dei poteri di protezione civile ai sensi dell'art. 5
testé citato.
5.2. Ciò premesso, giova richiamare i principali approdi giurisprudenziali in
ordine alla natura, alla latitudine e alla portata dei poteri riconosciuti dalla
ricordata legge nr. 225 del 1992 ed alla loro sindacabilità in sede
giurisdizionale.
È noto infatti, come sottolineato anche dalla difesa erariale nel presente
giudizio, che l'apprezzamento della situazione di fatto e degli “eventi” che, ai
sensi dell'art. 2, lettera c), della legge citata, possono determinare la
dichiarazione dello stato d'emergenza rientra nell'amplissima discrezionalità
dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2006, nr. 1270; Cons.
Stato, sez. IV, 19 aprile 2000, nr. 2361).
Tuttavia, proprio dalla giurisprudenza innanzi citata è dato desumere, a
contrario, che tale ampia discrezionalità non trasmoda in un'assoluta
insindacabilità delle determinazioni assunte (non essendosi mai affermato che le
stesse rientrino in quella sfera, ormai ritenuta residuale, di valutazioni
“politiche” afferenti alla salvaguardia e al funzionamento dei pubblici poteri).
D'altra parte, che sulle determinazioni assunte ai sensi degli artt. 2 e 5 della
legge nr. 225 del 1992 residui un margine di sindacabilità da parte del giudice
si ricava dall'impostazione stessa che il legislatore ha inteso dare alla
disciplina dei poteri emergenziali, la quale:
a) è costruita manifestamente come derogatoria ed eccezionale rispetto
all'ordinario assetto delle competenze e dei poteri pubblici, giacché ai sensi
dell'art. 5 lo stato di emergenza può essere dichiarato solo in presenza di
situazioni riconducibili alla lettera c) del precedente art. 2 (“calamità
naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”), con esclusione di quelle
previste dalle lettere a) e b) della medesima disposizione;
b) è palesemente ancorata alla sussistenza di specifici presupposti di fatto,
individuati dalla stessa norma in modo preciso e puntuale.
Così stando le cose, è evidente che il sindacato giurisdizionale in subiecta
materia può legittimamente dispiegarsi in relazione alla attendibilità e
congruità dell'istruttoria e delle motivazioni addotte a base della declaratoria
dell'emergenza, con riguardo all'apprezzamento della “intensità” e della
“estensione” della situazione che si assume non fronteggiabile con i mezzi e
poteri ordinari, e – prima ancora – alla stessa individuazione dell'esistenza di
una situazione o di un “evento” avente tali caratteristiche.
Ciò si ricava, ad esempio, dalla giurisprudenza la quale, pur non escludendo
affatto che l' “evento” legittimante la dichiarazione dello stato di emergenza
possa essere di origine umana e possa altresì consistere in una situazione
risalente nel tempo e perfino endemica, ribadisce però che deve trattarsi pur
sempre di un evento avente carattere effettivo e oggettivo (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 30 maggio 2005, nr. 2795).
5.3. Orbene, nel caso che qui occupa gli attuali appellanti incidentali hanno
fin dapprincipio sostenuto che la declaratoria dello stato d'emergenza non
sarebbe sorretta da alcuna situazione di fatto effettiva e oggettiva, essendo
motivata – come recita il decreto del 21 maggio 2008 - dalla mera “presenza di
numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi” nelle aree urbane di
Milano, Napoli e Roma (e Comuni limitrofi); di modo che la sussistenza di un
“evento” idoneo a determinare le determinazioni assunte ex artt. 2, lettera c),
e 5, l. nr. 225/1992, sarebbe il frutto di una opinabile se non arbitraria
valutazione dell'Amministrazione, più che discendere da un dato di realtà.
Il primo giudice ha respinto la doglianza sul rilievo che, alla luce del decreto
de quo e degli atti preparatori che lo hanno preceduto, la causale
dell'emergenza è da individuarsi non già nella mera “presenza” delle comunità
nomadi, ma nel rapporto eziologico fra detta presenza e una “situazione di grave
allarme sociale” legata alla precarietà degli insediamenti in questione.
Proprio sotto tale angolo visuale, tuttavia, la Sezione non ritiene che dagli
atti prodromici e preparatori richiamati dal T.A.R. sia dato ricavare elementi
certi e obiettivi nel senso dell'effettiva esistenza di una situazione
straordinaria di tal fatta, quanto meno nei termini e nelle dimensioni che ne
giustifichino un inquadramento nella previsione di cui alla più volte citata
lettera c) dell'art. 2, l. nr. 225/1992.
5.4. Al riguardo, occorre preliminarmente sgombrare il campo dall'ipotesi – su
cui, per vero, si reggono almeno in parte le argomentazioni della difesa
erariale – che l'intervento emergenziale per cui è causa sia ispirato dalla
finalità di dotare le comunità nomadi di nuove e adeguate sistemazioni abitative
e di occasioni d'impiego, in modo da superare la denunciata situazione di
“precarietà”.
Infatti, se è indubbio che fra gli interventi emergenziali prefigurati nelle
ordinanze del 30 maggio e quindi attuati con gli atti esecutivi rientra anche
l'adozione di misure volte a un recupero delle condizioni igienico-sanitarie
degli insediamenti nomadi, alla tutela dei minori contro il loro impiego da
parte delle organizzazioni criminali ed a garantire ai soggetti interessati
l'accesso alle prestazioni di carattere sociale e assistenziale (in tali
termini, quasi testualmente, si esprime la premessa delle richiamate ordinanze),
non v'è dubbio però che l'interesse primariamente perseguito con la
dichiarazione dell'emergenza va individuato nella tutela delle popolazioni
residenti nelle aree urbane interessate da una ritenuta situazione di pericolo
ingenerata dall'esistenza degli insediamenti di nomadi.
Tanto si ricava da una pluralità di dati testuali, e segnatamente:
- dal fatto che di interventi posti in essere nell'interesse dei nomadi si
parli, nei termini appena evidenziati, solo nelle ricordate ordinanze (per lo
più con locuzioni accompagnate o precedute dalla congiunzione “anche”) e non
anche nel retrostante decreto del 21 maggio, a conferma del fatto che detti
interventi costituiscono soltanto uno degli strumenti con cui l'Amministrazione
ha ritenuto di perseguire la finalità primaria cui esso decreto è preordinato;
- dal fatto che, al contrario, nel decreto menzionato non si faccia cenno di
tali interventi, sottolineandosi unicamente l'esigenza di ovviare a una
situazione di “allarme sociale” ovvero di “pericolo” per “l'ordine e la
sicurezza pubblica”;
- dalla stessa terminologia così adoperata, che nell'uso normativo viene
comunemente impiegata nella legislazione penale o di pubblica sicurezza,
piuttosto che per definire le emergenze a carattere igienico-sanitario o
sociale.
5.5. Ciò premesso in via generale, è a dirsi che da un sereno e approfondito
esame della documentazione versata in atti relativa alla fase preparatoria e
antecedente l'adozione del decreto presidenziale de quo, non si evincono precisi
dati fattuali che autorizzino ad affermare l'esistenza di un “rapporto
eziologico” (per usare la terminologia del primo giudice) fra l'insistenza sul
territorio di insediamenti nomadi e una straordinaria ed eccezionale turbativa
dell'ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate.
Innanzi tutto la circostanza che nel decreto si faccia cenno, prima di ogni
altra premessa, a “possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e
sicurezza delle popolazioni sociali” rende non priva di argomenti l'opinione di
chi, come gli appellanti incidentali, reputi che la affermata situazione di
“allarme sociale”, più che già esistente ed acclarata, sia soprattutto paventata
pro futuro quale conseguenza dell'espandersi e dello stabilizzarsi delle
comunità nomadi.
In secondo luogo, il riferimento a “gravi episodi che mettono in pericolo
l'ordine e la sicurezza pubblica” non risulta supportato da una seria e puntuale
analisi dell'incidenza sui territori del fenomeno considerato (quale sarebbe, in
ipotesi, uno studio che documentasse l'oggettivo incremento di determinate
tipologie di reati nelle zone interessate dagli insediamenti nomadi), ma
soltanto dal richiamo di specifici e isolati episodi i quali, per quanto
eclatanti e all'epoca non privi di risonanza sociale e mediatica, non possono
dirsi ex se idonei a dimostrare l'asserita eccezionalità e straordinarietà della
situazione.
In particolare, sono richiamati alcuni devastanti incendi verificatisi
all'interno di campi nomadi, alcuni gravi episodi delittuosi assurti agli onori
delle cronache e anche la vicenda di una sorta di “rivolta” verificatasi a
Napoli (peraltro in un quartiere notoriamente connotato da estremo degrado e
disagio sociale anche nella popolazione locale) contro alcuni nomadi sospettati
di aver rapito una bambina; e tuttavia, per un verso si tratta di episodi in
occasione dei quali non è contestato sia stato sufficiente l'intervento delle
autorità locali con gli ordinari mezzi di prevenzione e repressione, e sotto
altro profilo essi – pur nella loro gravità - restano connotati da carattere
occasionale ed eccezionale, non valendo pertanto a legittimare l'affermazione
dell'esistenza di una “situazione” estesa all'intero territorio delle Regioni
interessate e tale da legittimare l'attivazione dei poteri derogatori ed
emergenziali di cui all'art. 5 della legge nr. 225 del 1992.
Infine, anche a voler ricollegare l'emergenza alla mera intensità e diffusività
del fenomeno determinato dalla “presenza” dei nomadi, non è fuori luogo rilevare
che né dal decreto né dai suoi atti prodromici è dato ricavare dati numerici che
autorizzino tale conclusione: in particolare, mentre per le aree di Roma e
Napoli non è precisato neanche approssimativamente quanti siano i nomadi ivi
stabilmente insediati, per Milano questi sono stimati in circa seimila, cifra
che – specie se rapportata alle dimensioni e alla densità abitativa
dell'agglomerato urbano milanese – non appare prima facie individuare un
fenomeno di dimensioni ed entità tale da rendere inefficaci gli ordinari
strumenti e poteri.
5.6. Quanto fin qui osservato, comportando il sostanziale svuotamento della
consistenza dell' “evento” in conseguenza del quale è stato dichiarato lo stato
di emergenza, sarebbe già sufficiente a rendere alquanto inverosimile la
sussistenza dell'ulteriore requisito legale, e cioè dell'impossibilità di
fronteggiare l'evento medesimo con gli ordinari mezzi e poteri.
Peraltro, sotto tale ultimo profilo il giudice di primo grado ha ritenuto
adeguato e sufficiente il richiamo contenuto nell'impugnato decreto
presidenziale alla “impossibilità di adottare soluzioni finalizzate ad una
sostenibile distribuzione delle comunità nomadi senza il coinvolgimento di tutti
gli enti locali interessati”, in considerazione della particolare ubicazione dei
campi nomadi al confine tra vari Comuni ed alla particolare configurazione
orografica dei territori interessati (in primis, quello milanese).
Al riguardo, la Sezione non disconosce affatto le enormi difficoltà che vi
possono essere nel coordinare l'iniziativa e l'azione di una molteplicità di
amministrazioni, laddove si voglia intraprendere un'attività di equilibrata
dislocazione e distribuzione sul territorio delle comunità nomadi esistenti: di
modo che è tutt'altro che inverosimile che a tale scopo possano rivelarsi
inidonei e insufficienti gli ordinari strumenti di coordinamento tra enti locali
predisposti dall'ordinamento (accordi tra amministrazioni, accordi di programma
e altri strumenti richiamati dagli odierni appellanti incidentali).
Tuttavia, nel caso di specie anche sotto il divisato profilo è dato cogliere un
difetto nell'istruttoria e nella motivazione retrostanti alla declaratoria dello
stato di emergenza: nel senso che in nessuna parte degli atti che hanno condotto
all'adozione del decreto del 21 maggio 2008 è possibile rinvenire le tracce di
un pregresso infruttuoso tentativo d'impiego dei ridetti strumenti ordinari,
ovvero di circostanze di fatto da cui poter evincere in maniera chiara e univoca
l'inutilità di un ricorso ad essi.
Ne discende che anche il requisito della non fronteggiabilità della situazione
con i mezzi e poteri ordinari, molto più che provato, resta affermato in modo
alquanto apodittico; ed è appena il caso di sottolineare che per la legittimità
dell'intervento emergenziale è indispensabile che anche tale requisito abbia una
sua effettiva e oggettiva consistenza (la quale – è quasi superfluo aggiungerlo
- non può ricavarsi, in ipotesi, da una mera incapacità delle istituzioni,
ovvero da una loro scarsa volontà politica, di ricorrere agli strumenti
ordinari).
6. Meno lineare è il giudizio della Sezione in ordine alla seconda doglianza
fondamentale degli appellanti incidentali, secondo cui l'intera operazione posta
in essere a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza sarebbe volta a
perseguire finalità discriminatorie nei confronti dell'etnia Rom, in violazione
di principi costituzionali nonché del diritto europeo e internazionale (vengono
evocati, fra gli altri, l'art. 3 dello Statuto del Consiglio d'Europa, la
Convenzione ONU di New York del 7 marzo 1996, l'art. 14 della CEDU, l'art. 6 del
Trattato sull'Unione Europea, l'art. 21 della Carta sui Diritti Fondamentali
dell'Unione Europea e la direttiva 2000/43/CEE).
Sul punto, il primo giudice ha escluso la sussistenza dei lamentati intenti
discriminatori sul rilievo che il complesso delle disposizioni connesse e
conseguenti allo stato di emergenza è destinato a essere applicato non soltanto
alle persone di etnia Rom, ma a tutti coloro che si trovino a risiedere anche
temporaneamente nei campi nomadi, indipendentemente dalla loro etnia e
condizione personale o sociale.
Nell'appello incidentale si stigmatizza la contraddittorietà della sentenza
impugnata in quanto, dopo aver valorizzato gli atti prodromici e preparatori del
decreto presidenziale del 21 maggio 2008 in sede di esame del primo ordine di
doglianze (quelle sopra esaminate in ordine alla carenza dei presupposti di
fatto ex artt. 2 e 5, l. nr. 225/1992), li ha invece trascurati ai fini
dell'apprezzamento degli obiettivi di discriminazione razziale perseguito
dall'Amministrazione: qualora li avesse presi in considerazione, ad avviso degli
istanti, sarebbe emerso con chiarezza che l'intero apparato normativo posto in
essere a seguito della dichiarazione dell'emergenza solo accidentalmente si
applica a una pluralità indifferenziata di soggetti, mentre è primariamente
intesa a colpire le comunità Rom.
In effetti è un dato di fatto che, mentre nel decreto e nelle ordinanze del
Presidente della Repubblica l'emergenza è sempre ricondotta alla presenza dei
“nomadi”, delle “comunità nomadi” e degli “accampamenti abusivi”, senza alcun
riferimento a profili di carattere etnico o razziale, così non è quanto agli
atti anteriori e, in particolare:
- nello stesso decreto del 21 maggio è richiamato il “Protocollo d'intesa per la
realizzazione del piano strategico emergenza rom nella città di Milano”
sottoscritto in data 21 settembre 2006 dal Prefetto di Milano, dal Presidente
della Regione Lombardia, dal Presidente della Provincia di Milano e dal Sindaco
di Milano;
- anche nelle proposte del Ministro dell'Interno del 14 e 16 maggio 2008, sulla
base delle quali è stata poi dichiarata l'emergenza, si fa specifico riferimento
a una “emergenza rom” per individuare il problema fondamentale da risolvere;
- in molti altri atti endoprocedimentali gli accampamenti abusivi vengono
definiti “campi rom”, anziché semplicemente “campi nomadi”.
Inoltre, è certamente dato di comune esperienza che la stragrande maggioranza
delle persone presenti nei campi in questione effettivamente ha una ben precisa
appartenenza etnica, essendo di origine Rom.
Tuttavia, ad avviso della Sezione questi elementi, se forse sono idonei a
disvelare un intento discriminatorio da parte di taluno dei soggetti
istituzionali coinvolti, non autorizzano però a concludere nel senso che
l'intera azione amministrativa nella specie sia stata unicamente e precipuamente
finalizzata a realizzare una discriminazione razziale nei confronti delle
comunità Rom.
Sotto tale profilo, deve convenirsi con le osservazioni svolte dal primo giudice
in ordine a due aspetti fondamentali:
a) la dichiarazione dell'emergenza non era in sé finalizzata a realizzare una
“ghettizzazione” delle popolazioni Rom residenti nelle Regioni interessate, ma
aveva il primario obiettivo di porre riparo a una “situazione di allarme
sociale” ritenuta sussistente (salvo quanto si è detto in ordine alla carenza di
prova dell'effettiva esistenza di tale situazione e della sua straordinarietà);
b) le misure adottate, al di là della loro possibile illegittimità sotto profili
diversi e ulteriori, effettivamente si estendevano in via generale a tutti i
soggetti residenti nei campi nomadi e persino a soggetti a questi estranei (si
pensi alle disposizioni regolamentari annullate dal T.A.R. in ordine
all'identificazione di chi si recasse in visita nei campi).
Naturalmente, tutto ciò non esclude affatto che singole misure o disposizioni
possano aver avuto effetti oggettivamente illegittimi o discriminatori (ci si
riferisce soprattutto a quelle già annullate nella sentenza impugnata, su cui
appresso si tornerà), ma – lo si ribadisce – ciò non è sufficiente a far
concludere nel senso di un'illegittimità generale degli atti sotto tale profilo.
In definitiva, mentre va rilevata l'illegittimità degli atti di esercizio dei
poteri emergenziali di protezione civile per difetto dei presupposti di fatto,
non può dirsi che vi sia anche una violazione dei limiti “esterni” imposti a
tali poteri dall'art. 5, comma 2, della legge nr. 225 del 1992, laddove si
precisa che questi devono mantenersi “nel rispetto dei principi generali
dell'ordinamento giuridico” (e fra questi – è superfluo rilevarlo – vi sono
certamente il principio di eguaglianza e il divieto di ingiuste
discriminazioni).
7. L'illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21
maggio 2008, per le ragioni sopra esposte, deve comportare secondo i comuni
principi la caducazione, per illegittimità derivata, di tutti gli ulteriori atti
impugnati, e quindi non soltanto delle ordinanze presidenziali del 30 maggio
2008 di nomina dei Commissari delegati per l'emergenza, ma anche di tutti i
successivi atti commissariali (che, a questo punto, risulterebbero adottati in
carenza di potere).
Naturalmente, resta comunque salva la facoltà delle Amministrazioni interessate
di “sanare” il vizio d'incompetenza attraverso una riedizione o una convalida di
singoli atti a suo tempo adottati dai Commissari delegati, laddove ciò sia
possibile sulla base dell'ordinario assetto dei poteri e delle competenze; come
pure resta salva la facoltà di rinnovare la declaratoria dello stato di
emergenza, ove se ne ravvisino le condizioni e sia possibile farlo rispettando
il “perimetro” di quelli che si sono visti essere i presupposti di legittimità
per l'esercizio di tale potere (ciò che è possibile e non precluso dalla
presente decisione).
Siffatti rilievi, a fortiori, valgono quanto all'ulteriore questione – cui già
si è accennato sopra sub 3 – di quale debba essere la sorte dei decreti di
proroga dello stato di emergenza adottati per gli anni 2010 e 2011, non
impugnati nel presente giudizio.
Per questa ragione, ed anche per orientare l'eventuale azione futura
dell'Amministrazione in materia, la Sezione ritiene di dover pronunciarsi anche
sui motivi articolati negli appelli principali delle Amministrazioni statali e
del Comune di Roma, pur avendo questi ultimi a oggetto atti che in linea di
principio dovrebbero intendersi colpiti dalla richiamata illegittimità derivata.
8. Col quinto motivo del proprio appello, il Comune di Roma contesta la sentenza
impugnata nella parte in cui le ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008 sono
state ritenute illegittime, e conseguentemente annullate, nella parte (art. 1,
comma 2, lettera c) in cui consentivano di procedere all'identificazione di
tutte le persone presenti nei campi nomadi, anche minori di età, mediante
rilievi segnaletici.
In particolare, l'Amministrazione appellante assume che il primo giudice sarebbe
stato indirizzato da una mera “sensazione”, ovvero da una sola possibile
interpretazione della disposizione sopra richiamata, per cui la stessa avrebbe
autorizzato l'effettuazione di rilievi segnaletici anche al di fuori delle
ipotesi consentite dalla normativa di pubblica sicurezza, e perfino laddove non
ve ne fosse necessità ai fini dell'identificazione delle persone; il tutto senza
considerare il fatto che – come peraltro riconosciuto dallo stesso T.A.R. – le
“linee guida” emanate dal Ministero dell'Interno in data 17 luglio 2008 hanno
fornito la corretta lettura della disposizione, riconducendo le prefigurate
attività d'identificazione personale nell'alveo delle normali procedure
amministrative e di polizia, nonché escludendo in via assoluta la creazione di
banche dati diverse e ulteriori rispetto a quelle consentite dalle leggi
vigenti.
La Sezione reputa il motivo infondato, e pertanto meritevoli di conferma in
parte qua le statuizioni del giudice di primo grado.
Ed invero, se può convenirsi con la parte appellante laddove afferma che quella
prospettata dal T.A.R. è solo una delle possibili interpretazioni della
disposizione innanzi richiamate, si tratta tuttavia di interpretazione
certamente possibile alla luce del tenore alquanto generico e anodino della
previsione, e altrettanto certamente di interpretazione suscettibile di condurre
a effetti illegittimi e aberranti; ciò peraltro è implicitamente ammesso dalla
stessa Amministrazione comunale la quale, più che difendere la legittimità in sé
della lettura de qua, tende a escluderne in radice la percorribilità sulla
scorta di un atto successivo alle ordinanze, ossia le già richiamate “linee
guida” ministeriali.
Tuttavia, non v'è chi non veda come tale ultimo atto, avendo natura e
consistenza di mera circolare, si ponga sicuramente a un livello sottordinato
rispetto alle disposizioni contenute nelle ordinanze presidenziali le quali – in
qualsiasi modo le si voglia collocare nella gerarchia delle fonti normative –
sono certamente idonee a innovare l'ordinamento giuridico attraverso
prescrizioni generali e astratte.
Ne discende che – in disparte la questione, pure evocata dagli originari
ricorrenti, della legittimità di una circolare che pretenda di integrare e
perfino modificare disposizioni dettate da una fonte sovraordinata – le predette
“linee guida”, non essendo vincolanti per i loro destinatari e neanche per la
stessa Amministrazione che le ha emanate, e potendo da quest'ultima essere in
qualsiasi momento disattese, derogate o modificate, si appalesano del tutto
inidonee a precludere possibili interpretazioni e applicazioni illegittime della
disposizione sovraordinata: di modo che del tutto correttamente il primo giudice
ha ritenuto di risolvere in radice il problema, dichiarando l'illegittimità
della disposizione in questione così come formulata.
In sostanza, si tratta delle medesime ragioni per le quali le istituzioni
europee considerano una mera circolare atto inidoneo ad assicurare una valida
trasposizione di direttive comunitarie nell'ordinamento interno (cfr. Corte di
giustizia CE, 21 giugno 1988, causa C-257/86).
9. Proseguendo nella disamina dei motivi di impugnazione, va ora esaminata la
censura – comune a entrambi gli appelli principali – con la quale si reitera
l'eccezione di inammissibilità dei motivi di doglianza articolati in primo grado
avverso le disposizioni (poi in parte annullate dal T.A.R.) dei Regolamenti
adottati dai Commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Si assume in sostanza che il primo giudice, a fronte di doglianze con le quali
ci si limitava a lamentare genericamente la violazione di alcuni diritti
costituzionalmente garantiti, senza per nulla precisare in che cosa tale
violazione consistesse, le avrebbe inammissibilmente integrate con la propria
motivazione nella quale si è dichiarata – come detto – l'illegittimità di alcune
delle gravate disposizioni regolamentari.
I motivi in questione sono infondati.
Ed invero, allorché si denunci – come nel caso di specie – il contrasto fra
disposizioni generali e astratte di un regolamento e altre norme di rango
superiore, non è sempre necessario l'impiego di una approfondita motivazione a
sostegno dell'ipotizzato contrasto, ben potendo quest'ultimo anche emergere
prima facie, dal mero raffronto fra le disposizioni in conflitto.
Sotto tale profilo, come meglio sarà appresso specificato, viene in rilievo il
carattere manifestamente e oggettivamente limitativo di determinate libertà che
le disposizioni regolamentari censurate dal T.A.R. del Lazio rivestivano, tale
da non rendere necessario diffondersi particolarmente al fine di denunciarlo.
10. Con gli ulteriori motivi articolati in entrambi gli appelli, che in questa
sede possono essere esaminati tutti congiuntamente, le Amministrazioni istanti
lamentano l'insussistenza dell'ipotizzato contrasto fra le disposizioni
regolamentari de quibus e gli invocati diritti costituzionalmente garantiti,
ovvero, in subordine o alternativamente, assumono trattarsi di limitazioni
pienamente legittime alla stregua del vigente sistema normativo.
Anche questi motivi d'appello, ad avviso della Sezione, si appalesano privi di
pregio.
Al riguardo, giova premettere che fra le disposizioni regolamentari annullate in
prime cure si possono distinguere, in ragione della causale del detto
annullamento:
a) quelle ritenute contrastanti con la libertà di circolazione garantita
dall'art. 16 Cost.;
b) quelle ritenute contrastanti col diritto al lavoro.
10.1. Nel primo gruppo rientrano, specificamente:
- gli artt. 3.7. del Regolamento della Regione Lazio e 7, comma 2, del
Regolamento della Regione Lombardia, i quali stabiliscono l'obbligo per tutti i
soggetti residenti nei “villaggi attrezzati” in cui dovrebbero essere dislocate
le comunità nomadi di munirsi di un tesserino di identificazione con annotate le
proprie generalità, che dovrebbe essere indispensabile per accedere e risiedere
nei villaggi medesimi;
- gli artt. 24, commi 1 e 4, del Regolamento della Regione Lazio e 5, comma 4,
lettera d), e 11 del Regolamento della Regione Lombardia, laddove prevedono
l'istituzione di “presidi” per l'accesso di estranei e visitatori ai villaggi in
questione, con l'obbligo di identificare compiutamente tali soggetti;
- gli artt. 3, commi 1 e 5, e 4.2, comma 3, del Regolamento della Regione Lazio,
il quale prevede per chiunque acceda ai villaggi in questione l'obbligo di
sottoscrivere una dichiarazione di impegno al rispetto delle norme interne di
disciplina.
In tutti questi casi, le argomentazioni spese dalle Amministrazioni a sostegno
della legittimità delle richiamate disposizioni non risultano convincenti.
In particolare, dette argomentazioni si sostanziano: nel richiamare la
giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto legittime le
limitazioni imposte alla libertà di circolazione e soggiorno per motivi di
prevenzione e di ordine pubblico (p.es. ai fini della cattura di latitanti o
della prevenzione di determinati reati); nel rilevare la legittimità delle
disposizioni di legge che impongono ai titolari di strutture alberghiere di
identificare compiutamente le persone ospitate; nella legittimità delle
disposizioni interne che gli ospiti di villaggi e alberghi sono tenuti a
rispettare, anche ai fini della tutela e salvaguardia dell'ordine interno.
Il punto debole di siffatto argomentare consiste, a ben vedere, nel dare per
presupposto che per tutti coloro i quali, appartenendo alle comunità nomadi,
saranno destinati a risiedere negli istituendi “villaggi attrezzati”, in maniera
indifferenziata (cittadini e stranieri; comunitari ed extracomunitari; regolari
e irregolari; pregiudicati e incensurati) si pongano esigenze di ordine pubblico
riconducibili alla evocata normativa di polizia e di sicurezza; in altri
termini, la lesione alle libertà costituzionalmente garantite riposa proprio
nell'elevazione a regola generale e assoluta di ciò che è legittimo in
situazioni specifiche ed eccezionali.
Inoltre, il richiamo alle normative in tema di villaggi e strutture alberghiere
pone in luce l'equivoco di fondo in ordine alla natura e alla finalità dei
ridetti “villaggi attrezzati”: ché, se deve trattarsi di una soluzione al
problema della “precarietà” degli insediamenti nomadi, e quindi di creare
sistemazioni abitative definitive per i soggetti interessati, allora è chiaro
che per questi ultimi dovrebbe valere ciò che vale per qualsiasi soggetto in
casa propria, essendo conseguentemente incongrua ogni comparazione con la
condizione degli ospiti di alberghi e villaggi turistici.
A fortiori le considerazioni che precedono devono valere per coloro che,
estranei, accedano ai predetti villaggi in qualità di ospiti temporanei o
visitatori di coloro che vi alloggiano, essendo dato di comune esperienza –
contrariamente a quanto assumono le Amministrazioni appellanti – che il
controllo affidato a guardiani e custodi sull'accesso ai condomini e ai parchi
privati di regola non consiste, come nella specie, nell'identificazione di
chiunque vi acceda con l'annotazione delle relative generalità.
Infine, per quel che riguarda le norme di disciplina interne – in disparte
quanto già rilevato circa l'incongruità dell'assimilazione tra gli ex nomadi
residenti nei “villaggi attrezzati” e gli ospiti di un villaggio turistico – la
potenziale lesione alla libertà nella vita di relazione, oltre che a quella di
circolazione, consiste nel rendere obbligatoria la sottoscrizione di una
dichiarazione d'impegno a rispettare norme di comportamento e disciplina non
ancora esistenti: infatti, negli stessi Regolamenti è precisato che l'adozione
di queste ultime resta affidata ad atti di competenza dei Comuni
territorialmente competenti, di modo che resta quanto meno oscura la finalità
della dichiarazione d'impegno de qua (a meno di non volerla assimilare a un
generico, e sostanzialmente pleonastico, impegno a rispettare le norme
dell'ordinamento giuridico generale).
10.2. Per quanto riguarda il secondo gruppo di disposizioni regolamentari
annullate dal T.A.R., vengono in rilievo gli artt. 4.1, comma 1, e 4.2, comma 2,
del Regolamento della Regione Lazio, che contemplano rispettivamente il potere
dell'Amministrazione di elaborare proposte di avviamento al lavoro e l'obbligo
degli interessati di accettare dette proposte.
Sul punto, i rilievi delle Amministrazioni appellanti si sostanziano
nell'osservare che il diritto al lavoro è garantito dall'art. 4 Cost. ai soli
“cittadini”, e non a tutti, e nel sottolineare che l'elaborazione di proposte di
inserimento lavorativo costituisce attuazione del dovere, imposto dalla stessa
Costituzione allo Stato, di creare occasioni di lavoro per chi ne è privo.
Tuttavia, come forse non adeguatamente messo in luce dal giudice di prime cure,
la lesione al diritto costituzionalmente garantito sub specie della libertà di
scegliere autonomamente il proprio lavoro in questo caso, più che dalle
disposizioni regolamentari singolarmente considerate, discende dal loro
combinato disposto; in sostanza, ci si trova al cospetto di un sistema nel quale
al potere pubblico compete l'elaborazione, sostanzialmente unilaterale, delle
ridette “proposte” di inserimento lavorativo, che il soggetto destinatario è
tenuto necessariamente ad accettare sotto comminatoria di conseguenze
sanzionatorie anche incidenti sulla condizione personale all'interno dei
“villaggi attrezzati” (si veda, in particolare, l'art. 5 del medesimo
Regolamento, che contempla l'ipotesi della revoca dell'autorizzazione alla
permanenza nel villaggio anche per il caso di “reiterato rifiuto di proposte di
inserimento lavorativo”).
Quanto all'ulteriore argomento, desunto dall'essere riferito il disposto
dell'art. 4 Cost. ai soli “cittadini”, esso in un certo senso prova troppo:
infatti, come già sottolineato, è indubbio che le disposizioni oggetto di
censura nel presente giudizio sono destinate ad applicarsi tutte a chiunque si
trovi nella condizione di risiedere nei campi nomadi, ivi compresi coloro che
dovessero essere già in possesso della cittadinanza italiana.
11. In conclusione, sulla scorta degli argomenti fin qui svolti, mentre s'impone
l'accoglimento degli appelli incidentali con la conseguente parziale riforma
della sentenza impugnata (sia pure nei limiti chiariti e con le precisazioni che
si sono svolte), vanno invece respinti gli appelli principali proposti dalle
Amministrazioni statale e comunale romana.
Restano salve, come meglio sopra precisato al punto 7, le ulteriori
determinazioni che le Amministrazioni competenti vorranno assumere.
12. L'evidente complessità e la novità delle questioni esaminate giustifica
l'integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando, riuniti gli appelli in epigrafe:
- accoglie l'appello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma
della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e limiti
di cui in motivazione;
- respinge gli appelli principali.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Si registreranno incidenti razzisti e xenofobi al fine di combatterli
Il Ministro degli Interni creerà un registro per i casi verificatisi
Durante l'ultimo Consiglio dei Ministri il governo ha approvato un documento
a lungo sostenuto dalle OnG che lottano contro il razzismo. Il documento,
che offriamo ai nostri amici e lettori, si intitola "Strategia Integrata contro
il Razzismo, la Discriminazione e la Xenofobia." Prevede la creazione di un
registro sugli incidenti razzisti e discriminanti e chiede la modifica del
Codice penale, per punire qualsiasi atto di incitamento all'odio. Per questo
andrebbero aboliti gli articoli 510 e 607 del Codice Penale, al fine di
eliminare le differenti interpretazioni dei tribunali riguardo a questi delitti.
Si ritiene così di articolare e stimolare le azioni che sviluppano i poteri
pubblici e la società civile nella loro lotta contro il razzismo e la xenofobia
per cercare di dare una risposta più efficace di fronte a queste situazioni, con
strumenti simili a quelli di altri paesi europei.
La strategia è rivolata a tutta la società, anche se contempla situazioni
specifiche di gruppi specifici come i gitani o quei cittadini che si trovano in
situazione di maggiore vulnerabilità. E tutto perché si riconosce che sono
presenti nella società spagnola atteggiamenti e manifestazioni discriminatorie,
come i fatti di violenza ed odio di origine etnica o razziale.
Come Unión Romaní è nostra intenzione che tutte le persone di buona volontà,
tutti i democratici, ricevano questa notizia con la fondata speranza che possa
contribuire al consolidamento di una società migliore.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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