L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1798 volte)
Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino,
Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.
Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava
le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del
2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica
violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano
casa - è una
parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una
villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una
stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia
terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a
Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a
Napoli.
"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella
rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o
una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è
sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un
gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione
dei tuoi riti e della tua libertà.
In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più
basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le
comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi
attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della
popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne
discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze
"facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e
tagli al welfare e ai servizi essenziali.
Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono
selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in
risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una
dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da
un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in
città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che
prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o
desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.
Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della
Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si
sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione
politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo:
risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da
italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più
lontani dal contesto urbano.
L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la
sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie
che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della
produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della
governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo
quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa
girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le
dichiarazioni degli amministratori.
I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta
italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano
una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti.
I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via
Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e
gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni
lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e
le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.
L'ultimo
Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha
l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom.
Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro
l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le
condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal
resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e
per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i
soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009
ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal
Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.
Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di
voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette
all'inclusione sociale di rom e sinti:
perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
per abbandonare
l'approccio emergenziale e securitario;
per proporre una cultura che superi i
pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
per
sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le
Convenzioni internazionali.
Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la
tua kher.
Un "matrimonio combinato" in un campo rom dà il via a una lunga vicenda
giudiziaria: i rom sono accusati di aver ridotto in schiavitù la giovane sposa.
Ma la versione dell'accusa non regge. Ecco cosa è successo
Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono i pesantissimi capi di
imputazione a carico di cinque rom, tutti residenti nel campo di Coltano a Pisa:
colpevoli, secondo l'accusa, di aver portato in Italia una minorenne kosovara,
costringendola prima a sposarsi con un giovane del campo, poi a vivere segregata
nella sua baracca. Il processo in Corte d'Assise, durato più di due anni, sta
arrivando alle battute conclusive: Venerdì si sono tenute le arringhe del Pm e
di tre difensori, e per il 15 marzo è attesa la sentenza. Nel frattempo, la
versione dell'accusa è stata pesantemente ridimensionata: vale la pena vedere
cosa è successo.
Il matrimonio combinato e la "sposa bambina"
La vicenda risale a due anni fa, quando la polizia fa irruzione a Coltano e
arresta i cinque attuali imputati. E' il 27 ottobre 2010. Pochi mesi prima, la
comunità rom aveva festeggiato un evento speciale: il matrimonio tra un ragazzo
di quindici anni e una sua coetanea, che aveva richiamato decine di rom da tutta
Italia. La sposa, peraltro, non aveva mai visto il campo di Coltano: nata e
cresciuta in Kosovo, aveva deciso di trasferirsi a Pisa per raggiungere il
promesso sposo.
I due ragazzi si erano conosciuti tramite un'amica comune, e avevano cominciato
a "chattare" su internet. Poi, com'è d'uso in questa comunità, le famiglie si
erano accordate e avevano combinato il matrimonio: i parenti del ragazzo avevano
versato la dote, ed erano andati a prendere la giovane per portarla a Pisa.
Questa, almeno, è la versione dei rom.
Qualcosa però era andato storto. La ragazza non si era trovata bene a Coltano. E
a un certo punto aveva deciso di sporgere denuncia contro il marito, i suoceri e
il cognato: accusandoli di averla portata in Italia con la forza, di averla
fatta oggetto di minacce e ripetute violenze. Di qui l'arresto e l'avvio del
processo. E torniamo così al 27 ottobre 2010, data in cui comincia questa lunga
e complicata storia.
Le polemiche in città
Com'è prevedibile, l'arresto dei cinque rom finisce su tutti i giornali locali.
Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2010, i cronisti si scatenano: il
"matrimonio combinato", la tenera età degli sposi, la violenza su una ragazza di
appena quindici anni, le "tradizioni" rom in contrasto con la "modernità". Un
copione consolidato, che mette sotto accusa non solo gli imputati, ma l'intera
comunità rom: le cui usanze, spiega il Presidente del Tribunale, «nel nostro
paese si configurano come reati».
A gennaio, interviene anche il Comune. Che provvede a sfrattare la madre dello
sposo dalla sua casetta al campo di Coltano. Il 31 gennaio 2011, il giorno più
freddo dell'anno, la donna viene allontanata con la forza dalla polizia
municipale. «Lo stesso fatto di essere imputata per reati di tale gravità», si
legge nel provvedimento di sfratto, «denota la fuoriuscita dal percorso di
integrazione». L'associazione Africa Insieme, da sempre vicina ai rom, e Padre
Agostino, il prete che vive al campo nomadi, protestano inutilmente: in questo
modo, dicono, la donna è già dichiarata colpevole, prima ancora della sentenza.
La vicenda processuale e i dubbi sulla versione dell'accusa
Nella Primavera 2011, la vicenda entra in un cono d'ombra, e nessuno ne parla
più. Ma il processo prosegue: vengono visionati filmati e fotografie del
matrimonio, si ascoltano i testimoni e gli imputati, si leggono le
intercettazioni telefoniche. E gradualmente si fanno largo i dubbi sulla
versione dell'accusa.
Gli avvocati difensori si concentrano in un primo momento sul giorno del
matrimonio: tutte le fotografie ritraggono la sposa sorridente e felice,
abbracciata al marito e ai suoceri, intenta a conversare con amici e parenti. I
testimoni ricordano il clima di festa, i video la sorprendono mentre danza con
le amiche e taglia la torta. Come è possibile che una ragazza così felice,
almeno in apparenza, sia ridotta in schiavitù?
Tutti i testimoni - compreso Padre Agostino, il prete cattolico che vive a
Coltano insieme ai rom - ricordano che la ragazza non era segregata nella sua
baracca, ma circolava liberamente. La parrucchiera del paese dice di averla
vista più volte al suo negozio. Altri ricordano la partecipazione della ragazza
alle feste di Camp Darby, la base militare americana a due passi dal campo.
L'accusa risponde ricordando che anche alle prostitute vittime di tratta si
concedono brevi momenti di serenità: perché la violenza non è fatta solo di
calci e pugni, ma si nutre di soggezione e dipendenza psicologica, di premi e
punizioni, di attimi di gioia che si alternano a periodi cupi di minacce e
intimidazioni.
Vi sono tuttavia altre circostanze che gettano un'ombra sulla versione del Pm.
Dopo l'inizio del processo, il telefono della giovane sposa viene messo sotto
controllo. Le intercettazioni registrano i colloqui con il padre, che spiega
alla figlia quel che deve dire agli inquirenti: mi raccomando - implora il
genitore - dì che sei stata costretta ad andare a Coltano, dì che sei stata
segregata, dì che sei stata picchiata e violentata. La famiglia della sposa
riceve anche una telefonata della madre del giovane marito: ignara di essere
intercettata, la donna implora i consuoceri, «dite a vostra figlia di raccontare
la verità...». Non sembrano le parole di chi ha qualcosa da nascondere.
Non basta. La polizia, che ha condotto le indagini, dice di aver trovato la
ragazza in stato di soggezione, costretta a vivere nella sua baracca senza poter
mai uscire. Ma i carabinieri, che ogni giorno si recano al campo per controllare
un rom agli arresti domiciliari, non si sono mai accorti di nulla. Possibile?
La versione della difesa
Ma perché una ragazzina di 15 anni dovrebbe inventare una storia del genere? Ed
è qui che la versione della difesa appare abbastanza plausibile. La ragazza
aveva un altro fidanzato in Kosovo: nulla di male - tiene a precisare l'avvocato Giribaldi nella sua arringa - cose che succedono, soprattutto in età
adolescenziale. Trovatasi a Coltano lontana da casa, in mezzo a persone di cui
non capiva la lingua (la sposa parlava solo albanese), ha cominciato a sentire
nostalgia per la sua terra. Le intercettazioni rivelano anche contatti frequenti
con l'ex fidanzato in Kosovo, al quale la giovane prometteva di tornare presto.
Secondo i difensori, la ragazza avrebbe maturato la volontà di tornare a casa.
Ma la rottura del matrimonio avrebbe significato, per la famiglia, restituire la
"dote" ai genitori dello sposo: e proprio la restituzione di quel denaro avrebbe
messo in grave difficoltà il padre e la madre della ragazza. Così, ecco la via
di fuga. Andare alla polizia, e raccontare quello che gli agenti vogliono
sentirsi dire: una storia di violenza e di usanze "primitive", che assecondi gli
stereotipi sui rom "arretrati" e "incivili".
Come andrà a finire il processo nessuno lo sa. Finora, il dibattito cittadino si
è concentrato sulle "usanze" dei rom: il matrimonio combinato, gli sposi
bambini... Si tratta, certo, di usanze che possono non piacere: ma da qui a
parlare di tratta degli esseri umani ce ne corre. Violenze, minacce e riduzione
in schiavitù non sono la diretta conseguenza di quelle "usanze", ma reati
gravissimi che vanno provati e circostanziati. E di prove, nel corso del
processo, ne sono emerse davvero poche. Staremo a vedere.
Il fatto che la rappresentazione delle genti di colore - e delle donne di
colore, in particolare - sia stata esotizzata e finanche sessualizzata nella
percezione occidentale, non e' una novita', e i Rom non sono sfuggiti a questo
fenomeno. Scrive Borrow (1841): "Le donne e le ragazze zingare sono in grado di
accendere passione piu' che nelle descrizioni piu' audaci, in particolare in
coloro che non sono zingari, perche', naturalmente, la passione diventa piu'
violenta quando e' nota l'impossibilita' quasi assoluta di gratificazione".
Alcune premesse storiche. I Rom sono originari dell'Asia, i cui antenati,
lasciato il nord-ovest dell'India a seguito di una serie di incursioni islamiche
nell' XI secolo, sono stati progressivamente spinti in Europa sud-orientale,
dove quasi la meta' si sono stabiliti nei Balcani, e dove sono stati tenuti in
schiavitu' fino al 1864. Mentre l'altra meta' in grado di andare avanti si e'
sparsa nel resto dell'Europa. Ci sono oggi circa dodici milioni di Rom, di cui
piu' o meno otto milioni vivono nel vecchio continente e due o tre milioni si
sono stabilizzati in America e altrove, costituendo cosi' la piu' grande e
diffusa minoranza etnica del mondo. Quasi il doppio di quanti siano i danesi o
gli svedesi.
Quando i Rom sono apparsi per la prima volta in Europa, tutti credevano che
facessero parte della diffusione islamica all'interno della cristianita', e sono
stati quindi identificati con i turchi ottomani. La parola "turchi" riferita ai
Rom e' infatti ancora oggi diffusa in molti luoghi. Altra definizione impropria
usata per i Rom e' stata anche "egiziani", da cui sono derivati appunto i
termini Zingari, Gitani, Tzigani, eccetera.
Benche' esistano moltissimi riferimenti medioevali e rinascimentali riguardanti
la vera origine indiana del popolo Rom, questo fatto, col passare del tempo e'
stato dimenticato anche dagli stessi Rom. Di conseguenza, un gran numero ipotesi
errate, a volte bizzarre, sono state formulate. Tra queste, ce n'e' una che li
fa originari delle profondita' della Terra, o della Luna o di Atlantide, o li
identifica come i resti di una razza preistorica. A seconda del periodo storico
e delle credenze del momento sono stati Nubiani, o Druidi, oppure ebrei venuti
allo scoperto dopo i pogrom medioevali.
La vera origine e' stata scoperta casualmente nel 1760 quando in una universita'
olandese, uno studente che aveva imparato un po' di Romani (la lingua dei Rom)
da operai che lavoravano nella tenuta di famiglia in Ungheria, una volta
ascoltati i discorsi di alcuni studenti provenienti dall'India, che parlavano
una lingua simile, si convinse della reale provenienza del popolo Rom. Questo
porto' al primo libro mai scritto sul tema (Grellmann, 1783).
La pubblicazione del libro di Grellmann, durante l'Illuminismo, che apparve in
una edizione inglese del 1807, coincise con l'emergere di una serie di
discipline scientifiche, tra cui la botanica e la zoologia, e la necessita' di
classificare le piante e gli animali che venivano scoperti durante
l'esplorazione delle nuove colonie europee d'oltremare. Cosa che rapidamente
porto' anche alla classificazione delle popolazioni umane non europee.
E' stato proprio in quel tempo che l'idea che "mescolare le razze", sia
geneticamente che socialmente, fosse pericoloso. Un'idea che si e' diffusa
sempre piu' nella cultura e che e' stata, poi, la causa che nel XX secolo ha
portato al nazismo e alle terribili e ben note conseguenze. Ma proprio per la
sua natura proibita, l'incrocio tra razze ha acquisito anche quell'elemento
morboso di attrazione che soprattutto durante l'epoca vittoriana, ha trovato la
sua espressione in una certa arte e letteratura, con la rappresentazione di
rapporti sessuali tra colonizzatori e schiave, ovvero tra donne di colore e
maschi bianchi. La fotografia erotica del tardo XIX secolo e' infatti
caratterizzata principalmente da donne nude africane o asiatiche, e non
includeva mai immagini di donne bianche svestite.
Una parentesi curiosa: la piu' antica organizzazione che si e' dedicata allo
studio del popolo Rom e' stata la Gypsy Lore Society, fondata nel 1888 e che
ancora esiste. Alcuni dei suoi membri di sesso maschile - tutti non Rom - si
riferivano a loro stessi come "Ryes"; un'auto-designazione interpretata come
"chi aveva guadagnato una posizione privilegiata nel mondo Romani". In lingua
Romani "Rai" significa infatti "persona che ha autorita'", quindi puo' essere
"signore" oppure anche "poliziotto". Ma ha anche un altro specifico significato,
e si riferisce a chi, pur essendo non Rom, e' in grado di portarsi a letto una
donna Rom.
Per varie ragioni, gli occidentali hanno avuto (ed hanno tuttora), una maggiore
familiarita' con la schiavitu' degli africani nelle Americhe di quanta ne
abbiano avuta con la schiavitu' dei Rom in Europa. Per questo motivo, le
rappresentazioni inesatte degli zingari descritti nei cliche' letterari
dell'epoca, che delineavano in termini stereotipati un certo tipo di schiavo a
un pubblico vittoriano, e' sempre stato quello che ha incontrato il maggior
successo in letteratura.
In uno scritto di Ozanne (1878), si legge che gli schiavi Rom in Valacchia
avevano "labbra spesse e capelli crespi, con una carnagione molto scura, e una
forte somiglianza con la fisionomia e il carattere dei negri". Anche St. John
(1853) descrive i Rom cosi': "Gli uomini sono generalmente di alta statura,
robusti e muscolosi. La loro pelle e' nera o color rame, i capelli, densi e
lanosi, le loro labbra hanno la pesantezza dei negri, e i loro denti sono
bianchi come perle; il naso e' notevolmente appiattito, e il volto e' tutto
illuminato, per cosi' dire, dal vivo degli occhi".
Uno degli stereotipi piu' diffusi e' stato legato per lungo tempo a una
"preoccupazione sessuale" concentrata sugli uomini di colore, ritenuti essere
ossessionati dal desiderio per le donne bianche. Questo ha portato, poi, negli
anni '20 in America, alla pratica razzista di castrare gli afro-americani,
sottolineando una paura sessuale e un'insicurezza profonda insita nei maschi
bianchi di quel periodo. Anche i Rom nei Balcani venivano, ovviamente, visti
come una minaccia alla femminilita' bianca. Tra di loro vi era una categoria
chiamata "skopitsi", uomini che erano stati castrati da ragazzi il cui compito
era quello di guidare i mezzi delle donne dell'aristocrazia senza che ci fosse
paura di molestie per queste ultime. Tutto cio' lo si trova riflesso anche nel
codice civile moldavo dell'epoca, in cui si affermava che "se uno schiavo
zingaro avesse violentato una donna bianca, sarebbe stato bruciato vivo". Mentre
un rumeno che avesse "incontrato una ragazza per strada e avesse ceduto all'amore...
non avrebbe potuto essere punito".
E' questa castrazione del maschio di colore che si ritrova spesso nella
tradizione letteraria dell'epoca, e che e' ben espressa dalle parole di Gayatri
Spivak, in cui si percepisce la necessita' di "salvare le donne dagli uomini
neri". Ma questa fobia razzista riguardo alla mescolanza etnica non e' qualcosa
che riguarda solo il passato. Anche nel 1996 Shehrezade Ali ha fortemente
criticato il film di Disney "Il gobbo di Notre Dame" per la creazione di un
impulso subliminale a sfondo razziale negli atteggiamenti sociali in via di
sviluppo dei bambini. Ecco cio' che scrive:
"Ad oggi, nessuno dei personaggi femminili bianchi di Disney sono stati
accoppiati con pretendenti neri o non bianchi, mentre le donne di colore sono
esclusivamente legate a uomini bianchi, ignorando totalmente la loro etnia. E'
questo il modo che ha la Disney di essere tollerante? Perche' la Disney mette le
donne di colore in situazioni romantiche con uomini bianchi al posto di uomini
di colore? E che tipo di messaggio subliminale si pensa che recepiscano le
ragazzine nere o zingare quando e' ripetutamente implicito che l'unico eroe
salvatore che hanno e' un maschio bianco? E che dire dei piccoli ragazzi neri o
zingari che non hanno ancora avuto modo di vedere se stessi in un ruolo di eroe
protagonista in un film Disney? Che cosa si puo' dire circa la loro autostima?
Cio' rende visibile la continuazione del mito razzista per cui ogni donna del
pianeta, sia nera o bianca, abbia un solo eterno eroe: un uomo bianco".
Un'altra caratteristica che ricorre in questo tipo di messaggio che Shehrazade
Ali definisce razzista, e' che, alla fine, l'oggetto d'amore si rivela non
essere una Rom, dopotutto, ma una ragazza bianca che e' stata "rapita dagli
zingari" da bambina, e successivamente salvata, rendendo cosi' la relazione
romantica accettabile e persino ammirevole, in quanto entrambi i protagonisti
risultano appartenere alla stessa etnia.
Ma oltre a questa "preoccupazione sessuale" (tuttora presente anche se latente
nell'inconscio del maschio bianco) e' sempre esistito nei confronti delle
popolazioni di colore anche un profondo pregiudizio igienico oltre che morale,
in quanto viste come impure, sia spiritualmente che fisicamente. Hoyland (1816)
ha ribattuto a lungo sulla convinzione elisabettiana che la pelle scura dei Rom
fosse semplicemente a causa di sporcizia. "Gli zingari, privi della loro
carnagione bruna", scrive, "sono quelli che molto tempo fa hanno interrotto il
loro modo sporco di vivere". E Celia Esplugas (1999), nel suo grossolano saggio
pieno di inesattezze e disinformazione, rincara la dose e ribadisce che "la
pulizia e l'igiene degli zingari non e' mai riuscita a soddisfare lo standard
inglese".
Kenrick e Puxon (1972) ritengono che l'attuale odio per i Rom sia una memoria
storica che risale alla loro prima apparizione in Europa, e nasce dalla
convinzione medioevale che il nero denoti l'inferiorita' e il male che erano ben
radicati nella mente occidentale. La pelle scura di molti zingari fa dunque
essere questo popolo vittima di un pregiudizio. Il folklore europeo contiene,
infatti, una serie di riferimenti alla carnagione dei Rom. Un proverbio greco,
ad esempio, dice: "Andare dai bambini zingari e scegliere il piu' bianco". E in
yiddish esistono proverbi come: "Lo stesso sole che sbianca il lino scurisce lo
zingaro" oppure "Nessun lavaggio rende mai bianco lo zingaro nero".
A indicare il colore della pelle, una diffusa auto-ascrizione in Romani e' "Kale'",
che significa appunto "neri", mentre i gage' (i non-Rom) sono indicati nella
stessa lingua, anche da Rom dalla pelle chiara che potrebbero essere fisicamente
indistinguibili da loro, come "parne'" o "parnorre'", vale a dire "bianchi."
Questi tratti sono stati rimarcati dal viaggiatore francese Félix Colson (1839)
che visitando la Romania, dov'era prassi consolidata offrire schiave Rom come
intrattenimento sessuale ai visitatori [1], scrisse: "La loro pelle e' quasi
marrone, e alcune di loro sono bionde e belle".
Ma anche se poteva essere utilizzata sessualmente, una donna Rom non poteva
diventare la moglie legale di un uomo bianco. Un tale matrimonio veniva
considerato "un atto malvagio e cattivo", e un sacerdote che l'avesse celebrato
sarebbe stato scomunicato, come indicato in un proclama anti meticciato del 1776
da Constantin, principe di Moldavia:
"Zingari che sposano donne moldave, e anche uomini moldavi che prendono in
moglie ragazze zingare, compiono un atto che e' interamente contro la fede
cristiana, non solo perche' queste persone sono tenute a passare tutta la loro
vita con degli zingari, ma soprattutto perche' i loro figli rimarranno per
sempre in schiavitu'. Un tale atto e' odioso a Dio, e contrario alla natura
umana. Qualsiasi prete che ha avuto l'audacia di celebrare un tale matrimonio,
che e' un grande atto malvagio ed eterno, verra' rimosso dal suo incarico e
severamente punito". (Ghibanescu, 1921)
Coloro che in passato hanno scritto a proposito del trattamento degli schiavi
hanno creduto, probabilmente per liberarsi la coscienza, che i Rom fossero
effettivamente ben disposti a tale condizione. Lecca (1908) sosteneva che "una
volta fatti schiavi... sembra preferissero quello stato", e Paspati (1861) si
chiedeva se i Rom non fossero "di per se' predisposti volontariamente alla
schiavitu'". Emerit (1930), dal canto suo, riteneva che "nonostante le punizioni
che i proprietari di schiavi infliggevano a caso, gli zingari non provavano del
tutto odio per questo regime tirannico, che di tanto in tanto aveva anche qualita' paterne".
Fu Bayle St. John (1853), che baso' il suo saggio interamente su cio' che aveva
scritto Grellman e che (come il creatore di Carmen Bizet) non aveva mai
incontrato un Rom in vita sua, che per primo scrisse che gli zingari erano "una
razza molto bella, le donne in particolare. Queste formose, scure di pelle,
bellissime donne, riescono a stupirci solo a pensare a come certi occhi, certi
denti e tali figure possano esistere nell'atmosfera soffocante delle loro
tende". Preoccupandosi pero' di aggiungere, secondo la morale pudica dell'epoca
vittoriana, che era "dispiaciuto di dover ammettere la loro indole estremamente
dissoluta". Al carattere lussurioso delle donne zingare accenna anche Celia Esplugas (1999): "La sfiducia nel comportamento morale degli zingari e' estesa
al loro comportamento sessuale e gli uomini non Rom vengono attratti dal mistero
di questa razza, dalla bellezza delle donne, e dal loro stile di vita molto
libero".
La presunta mancanza di morale tra gli zingari e' stata esplicitata con veemenza
nelle critiche alle loro pratiche sessuali che hanno sempre descritto un totale
disinteresse per la decenza e il rispetto verso il corpo, in particolare da
parte delle donne zingare. Per questo, in gran parte nell'arte, nella musica e
nella letteratura del XIX secolo, la zingara e' stata caratterizzata da
stereotipi quali lo spirito libero, forte, deviante, esigente, sessualmente
eccitante, seducente, e indifferente ai sentimenti altrui [2]. Questa
costruzione romantica della donna zingara puo' essere letta come una
contrapposizione alla donna bianca, corretta, controllata, casta, e sottomessa
come l'ideale vittoriano europeo richiedeva.
Certi atteggiamenti maschili, come quelli di St. John ed altri, cioe' di parlare
della donna zingara senza averne mai incontrata una, sono ancora oggi presenti.
Nel 1981, sulla rivista Cosmopolitan, e' apparso un articolo scritto dallo
specialista in arti marziali Dave Lowry, dal titolo: "Che cosa si prova ad
essere una ragazza zingara", dove mentre l'autore sostiene di aver consentito a
una ragazza Rom, Sabinka, di raccontare la propria vita, e' chiaro fin
dall'inizio che Sabinka e' Dave Lowry stesso. Un indizio per la motivazione che
puo' spingere un uomo bianco adulto ad affrontare un tema del genere e' in primo
luogo da riferirsi alla "libido maschile" e alle "fantasie erotiche senza fine".
Ma in nessun luogo la diffusione di questa immagine erotica della donna zingara
e' piu' evidente come sul sito d'aste eBay, dove le "sexy camicette zingare"
vengono offerte ogni giorno, pubblicizzate da procaci modelle dalle
caratteristiche tutte Rom. Un altro sito, "La Zingara", informa il visitatore
che gli zingari sono normalmente di pelle scura con audaci occhi lampeggianti,
ma non e' raro trovarne dai capelli oro o cremisi... la maggior parte vivono in
carri chiamati
vardo, perennemente in viaggio... il fuoco e' il centro della vita
familiare zingara... e tante altre piccole o grandi stronzate spacciate per
verita'.
Due altri siti che forniscono dettagli del tutto inventati della cultura Romani,
appartengono a Morrghan Savistr'i, una donna che si dichiara Rom nata in
America, e Allie Theiss, una sedicente discendente dei Rom provenienti dalla
Transilvania. Sul
suo sito (adesso non piu' funzionante e in vendita, dato lo
strepitoso successo avuto - ndr), la signora Savistr'i, affermava di essere una
Maga del Caos e una
Shuvani, la cui occupazione principale sarebbe stata quella
di elaborare alcuni rituali Rom per la pulizia e la purificazione, piu' recenti
e meno complessi di quelli tradizionali che per la maggior parte i Rom non sono
in grado di fare a causa della scarsita' dei materiali, nonche' per la quantita'
di tempo richiesta per svolgerli adeguatamente. La signora Savistr'i ci faceva
anche sapere che aveva due gatti, di nome Fuzz Face e Mr. Pants, dei quali ci
raccontava tutte quante le peripezie.
Allie Theiss, invece, scrive libri di
magia gitana e amore. Confessa al lettore di non sapere di dove i Rom siano
originari (e' una che ha studiato molto - ndr), ma non importa quali siano le
loro vere origini, perche' gli zingari sono apprezzati per le loro notevoli
abitilita' psichiche e per il dono che hanno di attirare la buona fortuna,
oppure per rovinare una vita con una maledizione. Tutti, dice la signora Theiss,
sono nati con tale dono, ma cio' che rende innati i loro poteri e' il rapporto
che hanno con la natura. Il loro legame con gli spiriti della vita all'aria
aperta permette al loro dono di evolversi in modo naturale. Inoltre non vagano
piu' per il mondo in una roulotte trainata da cavalli, ma si sono modernizzati e
viaggiano in auto, in autobus e in aereo".
Tre libri che raccontano stupidita' piu' o meno simili sono: "Cuore zingaro" di
Sasha White. (Puo' un uomo piegato alla sedentarieta' convincere una donna dallo
spirito libero a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro
contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo). Isabella
Jordan: "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico"
(Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un'amante zingara!) E
infine la serie di Alison Mackie "Cronache zingare" ("In ogni letto matrimoniale
che Tzigany de Torres costruisce insieme alla moglie, gitana, egli conferisce un
fascino potente: quello che garantisce per una vita il piacere di fare l'amore...")
E poi aggiunge: "Quello che mi qualifica a scrivere di zingari? Ebbene, ho avuto
una tata andalusa che si chiamava Ahalita"; una giustificazione non infrequente
tra gli scrittori bianchi che vogliono scrivere di non bianchi (si veda ad
esempio Sue Monk Kidd: "La vita segreta delle api"). E' in questo modo che l'identita'
Romani rimane ancora in gran parte controllata dal mondo non Romani, dal cinema
di Hollywood e da romanzieri e giornalisti della domenica come quelli che ho
citato.
In ogni caso, per concludere, che un'etichetta etnica possa essere
metaforicamente applicata non e' necessariamente offensivo. Spesso puo'
accadere, ma gli stereotipi non sono dannosi fintanto che sono riconosciuti come
tali. E' noto infatti che nella filmografia i mafiosi non rappresentano tutti
gli italiani, e che l'Italia ha dato anche Botticelli, Leonardo e Michelangelo.
Oggi, con una maggiore copertura dei media e l'accesso a siti web informativi,
l'ignoranza non puo' piu' essere usata come una giustificazione. La gente deve
arrivare quindi a capire che il termine letterario "zingari" e' qualcosa di
molto diverso dai Rom, la cui vera storia e' complessa e in costante movimento.
Percio' le ragioni che portano alla perpetuazione inesorabile del mito della
zingara in quanto oggetto di desiderio sessuale devono essere cercate altrove,
ed esaminate a parte. Non per questo dobbiamo dire addio a Carmen, Esmeralda e
alle loro sorelle di fantasia, pero' dovremmo riconoscerle per chi e per quello
che realmente sono.
Note:
[1] E 'stata proprio questa consuetudine ad essere in gran parte responsabile
del fatto che molti zingari sono ormai di pelle chiara. Tra le belle ragazze, le
piu' gradite erano quelle di pelle piu' chiara e bionde, e le figlie
indesiderate di queste unioni sessuali automaticamente diventano schiave,
facendo aumentare nelle successive discendenze i tratti parne', rendendo sempre
meno visibili quelli kale'.
[2] Il fascino per il mondo proibito e tabu' delle donne zingare, in musica
e'caratterizzato al meglio con l'opera Carmen, che ne' e' l'immagine
predefinita: gitana spagnola disponibile sessualmente e promiscua e nei suoi
affetti.
Di Fabrizio (del 23/01/2013 @ 09:04:01, in Kumpanija, visitato 1486 volte)
...
Dalla prefazione di Jean Léonard-Touadi:
... Un inferno con tanti gironi e ciascuna consorteria pro-Africa che si
impadronisce di un girone e lo spaccia per il tutto. Ogni associazione ha la
"sua Africa": quella dei lebbrosi, dei bambini soldato, dell'Aids, dei pozzi da
scavare, delle mutilazioni genitali da combattere, delle periferie degradate
degli "street boys" e delle masse da evangelizzare. Tutte battaglie sacrosante.
Ci può essere il pericolo, però, che diventi l'Africa della messa in scena,
della spettacolarizzazione e dello sfruttamento della sofferenza altrui a fini
di "fund raising". La fibra emotiva qui è di rigore. Si tratta di suscitare la
"pietas" del donatore eventuale, senza minimamente preoccuparsi di fare capire
le cause remote e attuali delle situazioni. Qui gli africani sono passivi, oltre
che pazienti, in attesa che irrompa il "deus ex machina" europeo che tutto sana,
tutto risolve e salva. E gli africani, grati di tanta generosità, vengono
mostrati mentre ballano e cantano inni di ringraziamento. Quest'Africa della
drammatizzazione della bontà europea ignora la soggettività di popoli che da
sempre si sono caratterizzati per la loro precipua capacità di resistenza e di "debroullardise"
(arte di arrangiarsi). Donne, giovani e intere comunità - tramortiti dai
meccanismi infernali della globalizzazione neoliberale e da poteri locali
conniventi - che cercano di dare un senso alla loro esistenza ridotta a una
ginnastica individuale e collettiva di sopravvivenza. Cambiare l'immagine
dell'Africa non significa dare voce a quelle realtà, come spesso si sente dire;
ma tendere un megafono perché queste voci arrivino il più lontano possibile. In
altri termini, l'immagine delle Afriche che hanno smesso di guardare il cielo
degli aiuti rende giustizia alla realtà di un continente che ha imparato a
"ottimizzare l'anarchia" della politica e dell'economia ufficiali. Forse ciò
servirà poco alle operazioni di raccolta fondi ma è più aderente al vissuto
individuale e collettivo degli africani.
[...]
Dall'introduzione di Daniele Mezzana
... quest'immagine dell'Africa a Sud del Sahara è, purtroppo, rintracciabile
nei molti punti di vista che si occupano, a diverso titolo, delle vicende di
tale continente. Non solo i "cattivi" pensano a un'Africa stereotipata e, per
così dire, araldica, ma anche, spesso, i "buoni", o addirittura i buoni
"intelligenti". Tutto ciò ha come conseguenza una concezione asimmetrica delle
relazioni internazionali, a svantaggio dei Paesi africani, e una forma, in
qualche modo crudele, di forte isolamento di tali Paesi, che si risolve in una
sostanziale, spesso involontaria, negazione dell'umanità africana. Questo
accentua, se possibile, il dolore che l'Africa già patisce, poiché aggiunge ai
suoi numerosi problemi la sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, prodotta
dall'incomprensione e da uno stigma neanche tanto nascosto. La realtà, in
effetti, è profondamente diversa, o quanto meno più complessa di quanto non
pensino tante persone, anche colte e avvertite.
[...]
Penso che sarebbe un libro indicato a chi si interessa alle tematiche
solitamente trattate in MAHALLA
Di Fabrizio (del 22/01/2013 @ 09:08:31, in Italia, visitato 1567 volte)
di Massimiliano Perna - 20 gennaio 2013 -
Altreconomia
Nel campo Rom di Baranzate vivono circa 350 persone, la maggior parte
proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un anno fa iniziano le
procedure di esproprio per i cantieri della manifestazione internazionale. Lo
sgombero potrebbe essere avviato già il 15 febbraio
L'Expo 2015 si avvicina e i lavori proseguono a ritmo frenetico. Uscendo dalla
Fiera di Rho e proseguendo verso Baranzate, oltre al carcere di Bollate adesso
ci sono anche i cantieri a imporsi alla vista degli automobilisti. A pochi
chilometri dalla Fiera c'è una via lunga, piena di buche e pozze di acqua e
fango, circondata da un mosaico di muretti e reti di cinta su cui si adagiano
lamiere e vegetazione. È l'ingresso del campo Rom di Baranzate, dove vivono
circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa
25 anni fa. Un agglomerato di casette costruite abusivamente, ma semplici e
ordinate, dentro le quali vivono famiglie con bambini e anziani. Un luogo
lontano dalla città, dove la vita scorreva con le sue dinamiche quotidiane fino
a prima che l'Expo 2015 portasse tensione.
Il 21 dicembre 2011, infatti, sul sito della Regione Lombardia, sul Corriere
della Sera e su Il Giorno viene pubblicato un avviso di esproprio dei terreni
dell'area in cui verranno eseguiti i lavori di realizzazione di una bretella che
collegherà Molino Dorino all'A8 (l'autostrada "dei Laghi"). Un'infrastruttura
che passerà esattamente sopra il terreno agricolo che ospita il campo.
Nove mesi dopo, il 13 e 14 settembre 2012, alcuni rappresentanti di
Infrastrutture Lombarde S.p.a., società incaricata dalla Regione, si presentano
al campo accompagnati da polizia e vigili urbani: scattano foto, visitano ogni
abitazione e fanno firmare dei moduli di "presa in possesso" dei terreni, per un
valore di appena sette euro al metro quadro.
Il 12 dicembre, ai proprietari dei terreni, non a tutti (per via di un errore di
indirizzo: come destinazione è indicata Milano e non Baranzate), vengono inviate
le raccomandate con le quali si avvisa che il 15 febbraio il terreno dovrà
essere liberato, pena lo sgombero coatto con l'ausilio della forza pubblica.
Una domenica, Viviana, una volontaria che da 2 anni, in assoluto silenzio, si
spende per dare una mano a queste persone, che la considerano "una di famiglia",
decide di accompagnarmi al campo. Passiamo casa per casa, riceviamo la cortese
accoglienza di Vlad, Giuliano e tanti altri, che vivono con enorme ansia
l'approssimarsi del 15 febbraio. La loro preoccupazione è per i figli, che vanno
a scuola, studiano e per i quali l'espulsione dal campo sarebbe una tragica
frattura con quella che, in tanti, chiamano "integrazione". "Ho due figli che
vanno a scuola – afferma Vlad - e sono nati in Italia, anche se so che per la
legge questo non conta. Quando mia figlia scrive in italiano mi emoziono e mi
sento orgoglioso. Perché per loro voglio un futuro diverso, migliore. Se ci
buttano per strada come faremo?". "Quando sono venuti quelli di Infrastrutture
Lombarde – prosegue Vlad - io non ero in casa, hanno fatto firmare mia moglie
che è analfabeta e ha siglato con una X. Poi ho scoperto che si trattava della
cessione del terreno, tra l'altro ad un prezzo bassissimo".
A casa di Milan arrivo mentre stanno cenando. Per senso di ospitalità sbarazzano
rapidamente e mi fanno sedere al loro tavolo, offrendomi subito dell'acqua e il
pane che la moglie ha appena sfornato. Ha lo sguardo sveglio ed è pronto ad
arrivare fino alla Corte Europea di Strasburgo per far valere i propri diritti:
"Da qui, senza un'alternativa non me ne vado. Siamo pacifici e disposti a
trattare, ma devono darci una soluzione che eviti che la mia famiglia finisca in
mezzo alla strada".
Anche la comunità Rom e Sinti si è mobilitata promuovendo incontri con gli
assessori del Comune di Milano (che ha la competenza sulla zona), Majorino e
soprattutto Granelli, per cercare una soluzione che impedisca a ben 350 persone,
tra cui una settantina di bambini, più donne e anziani (c'è anche un uomo malato
e in dialisi), di finire per strada, senza un tetto e senza alcuna tutela. Gli
abitanti del campo hanno anche nominato dei legali, al fine di difendere i
propri diritti ed opporsi alle procedure attuate da Infrastrutture Lombarde.
Il Comune, dal canto suo, ha fissato per il 23 gennaio un incontro con i
rappresentanti della comunità, per proporre delle soluzioni. L'assessore
Granelli, attraverso il suo ufficio stampa, afferma: "Ci stiamo già occupando
della vicenda, stiamo facendo valutazioni e studiando proposte che formuleremo
nel corso dell'incontro del 23 gennaio con i diretti interessati. Preferiamo
parlarne direttamente con loro, senza anticipare nulla alla stampa".
Pressoché identica la posizione del sindaco Pisapia. Il suo portavoce, Marco
Dragoni, ci dice: "A fine mese ci sarà una riunione tra il Comune e i soggetti
coinvolti nella vicenda e in quella sede sarà stabilito cosa fare. Questo è il
metodo migliore per affrontare i problemi. Fino ad allora l'Amministrazione non
ritiene di dover fare dichiarazioni che possano anticipare eventuali decisioni
che saranno valutate nell'incontro già fissato".
Nessuno vuole sbilanciarsi, ma intanto nel cuore di tutte le persone incontrate
al campo risiede la stessa angoscia. Il primo pensiero è per la famiglia, per i
figli e per la scuola. Bambini come gli altri, educati e dolci, ospitali e con
gli occhi curiosi a seguire le parole che scambio con i loro padri e le loro
madri. C'è un'enorme senso della dignità nelle parole che ascolto e c'è anche il
rispetto per le forze dell'ordine che "fanno il proprio lavoro". C'è la speranza
riposta in Pisapia ("è stato avvocato di molti Rom", sussurra un uomo) e
nell'assessore Granelli. Non ci sono parole violente, né atteggiamenti
aggressivi. Questa gente vuole solo continuare a vivere e a far crescere i
propri figli, sperando che siano più forti e preparati degli stereotipi
insopportabili, dell'emarginazione e dell'indifferenza che viene a loro
riservata.
Pochi giorni fa (il 14 gennaio) il Comune di Milano ha approvato la mozione a
favore del progetto "Expo dei Popoli", un coordinamento di Ong, associazioni,
reti della società civile che lavora per la realizzazione del Forum dei Popoli
in programma per il 2015 a Milano, in concomitanza con l'Expo. Se davvero può
esistere un Expo dei Popoli, allora sarebbe bene che sia il Comune sia le
associazioni che lavorano al Forum si impegnassero affinché ne facciano parte
tutti i popoli. Compresi quelli che da soli lottano per i loro diritti in un
campo alle porte di Milano.
Bordeaux: Un polemico clip rap mette in scena la vita dei manouches
- Publié le 13 décembre 2012 dans Actualités, Faits divers, Vidéo -
sur
INFO BORDEAUX
Una volta di più. il rapper Morsay (Mohamed Mehadji) potrebbe avere
oltrepassato i confini della legalità. Il clip girato presso Berdeaux, a Taillan-Médoc,
concentra un cocktail di numerosi crimini: uso di armi da fuoco, infrazioni al
codice della strada, insulti alle forze dell'ordine ("fanculo a tutti i
condé") e minacce ripetute (s'illumina il kalache(nikov)"):
Per Cyril Martinez (Alias), già
citato in giudizio a giugno 2011 per "incitamento alla violenza",
l'obiettivo era parlare della gens du voyage e della loro situazione: "E'
la prima volta che facciamo un video con dei manouches, Volevamo mostrare che i voyageurs
in Francia non sono dimenticati."
Nessun dubbio che riunendo tre rapper molto controversi (Morsay, Alias e Angelo),
questo video farà parlare di sé.
Fondatore del collettivo "Truand 2 La Galère", Mohamed Mehadji afferma qui di
"non dimenticare l'Algeria, paese da cui vengo." Alcuni commentatori su
Internet suggeriscono che un ritorno in questo paese "sarebbe un vantaggio
per tutti."
[cc] Infos Bordeaux, 2010-2012, Dépêches libres de copie et diffusion sous
réserve de mention de la source d´origine [http://www.infos-bordeaux.fr/].
Il Giorno della Memoria 2013 sarà ricco di appuntamenti organizzati
dall'associazione Sucar Drom e dall'Istituto di Cultura Sinta, in collaborazione
con i partner del
progetto europeo Memors e con altri partner. Gli appuntamenti
più significativi sono appunto quelli organizzati per Memors, in particolare per
l'inaugurazione del primo museo virtuale sulle persecuzioni subite da sinti e
rom durante il fascismo. Diversi anche
gli appuntamenti in Provincia di Mantova.
In ultimo è da evidenziare il confronto storico che si terrà a Milano dal
titolo: "Shoah e Porrajmos, un nuovo patto sulla memoria" che vedrà come
relatore, per la prima volta in Italia, il prof.
Ian Hancock dell'Università del
Texas.
Tutti gli appuntamenti
18 gennaio 2013
-
Mantova, Il dramma del Porrajmos, Liceo delle Scienze Umane "Isabella d’Este",
Aula Magna
Liceo "Isabella d’Este" - Conservatorio di Musica "L. Campiani".
20 gennaio 2013
- Castiglione delle Stiviere (MN), inaugurazione mostra "Porrajmos, altre tracce
sul sentiero per Auschwitz", ore 11.00, Biblioteca comunale.
- Palazzolo sull'Oglio (BS), inaugurazione mostra "Porrajmos, altre tracce sul
sentiero per Auschwitz", ore 16.00, ANPI Brescia.
26 gennaio 2013
- Rivergaro (PC), inaugurazione della mostra "Porrajmos, altre tracce sul
sentiero per Auschwitz", Biblioteca comunale.
- Mantova, E come potevamo noi cantare, lettura concerto per la Giornata della
Memoria. Musiche del repertorio popolare rom e yiddish, Ravel, Bloch, Mozart.
Testi di Sejdic, Kerim, Schopf,
Katzenelson, Liceo Musicale "Isabella d’Este".
- Tossicia (TE), commemorazione del Porrajmos con inaugurazione di una targa
dove sorgeva il campo di concentramento per sinti e rom, progetto Memors, ore
9.30
- Prignano sul Secchia (MO), Memorie del Porrajmos, conferenza con il prof. Ian
Hancock e i sopravvissuti al campo di concentramento, progetto Memors, ore 10.30
- Cerreto Guidi (FI), inaugurazione mostra "Porrajmos, altre tracce sul sentiero
per Auschwitz", ore 16.00, Mumeloc.
27 gennaio 2013
- Inaugurazione di: Porrajmos, il primo museo virtuale delle persecuzioni subite
da sinti e rom durante il fascismo in Italia.
- Roma, campagna dosta, inaugurazione della mostra "Porrajmos, altre tracce sul
sentiero per Auschwitz"
- Mantova, Porrajmos, commemorazione al Binario 1 della Stazione ferroviaria di
Mantova, ore 9.30.
- Mantova, Consiglio provinciale e comunale di Mantova aperti, prolusione
ufficiale del prof. Ian Hancock, ore 11.30, Teatro Bibiena.
- Solarolo (RA), Porrajmos, con Stefano Liuzzo, ore 16.30, Oratorio
dell'Annunziata.
- Milano, Shoah e Porrajmos, un nuovo patto sulla memoria, convegno storico con
il prof. Ian Hancock, ore 18.00, progetto Memors, Sala Ricci, Fondazione
culturale San Fedele, piazza San Fedele n. 4.
2 febbraio 2013
- Castiglione delle Stiviere (MN), il Porrajmos in Germania e in Italia: la
persecuzione
razziale dei Rom e dei Sinti, ore 17.00, Biblioteca comunale
9 febbraio 2013
- Rivergaro (PC), il Porrajmos in Italia e Germania, ore 17.00, Biblioteca
comunale.
Per rimanere informati sugli aggiornamenti e su tutti gli altri eventi in Italia
vai alla paginahttps://twitter.com/Porrajmos
Domenica scorsa se n'è tornato a discutere in
un gruppo su Facebook. Tutti vogliono (o vorrebbero? Non l'ho capito
bene...) denunciare per razzismo gli autori di quella immagine e il gruppo che
li ospita.
Rileggendo quella mia noticina di due mesi fa, vorrei sottolineare due cose
distinte che notavo allora:
quell'immagine è fatta da gente stupida o ignorante, perché
da la colpa ai Rom (che notoriamente hanno e hanno sempre avuto
un altissimo tenore di vita) della perdita del loro potere
d'acquisto. Ma, insegna l'economia di strada, gli stupidi
saranno sempre ottimi clienti (anche se poi fideizzarli è un
casino!)
dai Rom ho imparato a prendere in giro la gente (ma non ho
mai imparato a denunciarla). Quale occasione migliore di questa?
Soprattutto, partendo dalla loro stupidità iniziale, perché
perdere un'occasione simile per dimostrare che si è in grado di
insegnare loro qualcosa? Gli affari possono essere persino uno
scambio di natura intellettuale, se si riesce a centrare il
punto: "la perdita del loro potere d'acquisto".
E adesso... parliamo del business.
Chi sono questi stupidi (e pure anonimi) per insegnare a diventare Rom?
Che titolo hanno? Come si svolgono le loro lezioni? Se prendessimo sul
serio la loro "provocazione", sarebbero passibili di truffa.
E, sempre prendendo sul serio la provocazione, l'unico che ha qualche
speranza di insegnare come SI DIVENTA UN ROM, visto la lontananza tra i due
mondi, è solo chi è Rom. I quali Rom, ma anche i Sinti possono metterci del
loro, di fronte a questa RICHIESTA DEL MERCATO IN TEMPO DI CRISI, dovrebbero
proporre agli stessi clienti che cercano quella tessera, la propria consulenza (ovviamente:
a pagamento) e, se si fosse capaci
di ragionare in grande, al termine di un corso di formazione la possibilità di
aprire un FRANCHISING.
FRANCHISING, magari anche solo fornendo intermediazione su come acquistare
una roulotte scassata, come vestirsi alla meno peggio, o fornendo secchielli e
panni agli angoli degli incroci più trafficati. Insomma, lezioni pratiche su
come sopravvivono questi benedetti Rom.
Se questo è il primo livello di studi (dove qualsiasi Rom appena arrivato in
Italia potrebbe proporsi come docente), esiste anche un corso avanzato, che dev'essere
gestito da Rom di più lungo insediamento e che abbiano già ottenuto un minimo
di stabilità: come arrangiare la spesa per una famiglia numerosa, come costruire
e riparare di tutto, corsi di cucito (per le romnià che si cuciono ancora le
gonne da sole), piuttosto che di baysitteraggio (già da giovanissime si
impara a badare a fratelli e cugini più piccoli, altro che rapimenti infantili!
La prima baby sitter dei miei figli è stata una romnì). Roba
pratica, insomma, non cerco i soliti intellettuali da sbarco.
Il tutto, inframmezzato magari da cene comuni (a pagamento per il corsista),
balli, partite a pallone. Perché, e qua torno al cuore del mio articolo di
allora, c'è una dimensione sociale che resiste tra Rom e Sinti (ma non è una
loro esclusiva) che permette, anzi è necessaria, di affrontare le durezze della
vita. E questo, secondo me è il CORE BUSINESS (da una parte) e la domanda
profonda e irrisolta del mondo stupido esterno: non sapere più sorridere e non
sapersi rialzare.
L'altra domanda, più superficiale ma altrettanto reale, è: stiamo
diventando più poveri, a chi diamo la colpa? L'unica risposta che può
dare chi è ancora più povero di loro (e quindi, con la sua sola presenza, è una
minaccia visiva e forse reale) è: io sono povero da generazioni - posso
darti delle dritte per sfangarla. Oppure, quando sarai povero come me, dovrai
purtroppo misurarti con chi sarà molto più allenato di te.
Mi immagino la faccia di chi sta leggendo... si starà domandando se sono serio
o dilo. Rispondo solo che al momento sono piuttosto squattrinato, e chi
per caso pensa che sia serio, sappia che sto cercando capitali e soci.
Visto i Rom sono dappertutto (quasi come i napoletani), potremmo proporre un serio
franchising multinazionale.
Ieri, 11 gennaio 2013, ho passato la giornata con Mariella Mehr, scrittrice e
poetessa Jenisch, Svizzera.
Scriverò di seguito ciò di cui abbiamo parlato, della sua vita, il suo scrivere,
la sua storia.
La Consapevolezza che ho acquisito dopo questo preziosissimo incontro, mi ha
portata a farmi tante domande, domande difficili che mi hanno messa di fronte ad
una in particolare:
"Cosa ha veramente senso in questa vita?" .
Ha senso conservare la Storia e la Memoria, ha senso Comprendere che si può
essere italiani, svizzeri, spagnoli, rom, ebrei, ... ed essere una cosa sola:
Umani.
Con una storia comune, La Storia.
Ha senso impegnarmi per fare in modo che Mariella Mehr e tutte le marielle mehr
che hanno vissuto la Storia non vengano scordate ma assimilate per andare a
completare la Nostra Identità. La mia e la tua. E starci male, ma sentirsi
cresciuti, diversi, io così mi sento, ha senso assimilare tutto, Sapere e
conservare, per essere Persone con una Identità forte, forti di quello che
siamo.
Sapendo chi e cosa ci ha portati ad essere noi, oggi. Senza passare su questo
mondo come dei vestiti vuoti.
La Storia ci insegna che ci sono dei grandi fardelli da portare, Mariella Mehr
mi ha fatto partecipe del suo e io non voglio fare altro se non spartire questo
peso, un immenso dono, dono e fardello, fattomi da questa donna incredibile.
Le mie ricerche su di lei sono iniziate qualche mese fa, quando quasi
casualmente ho assistito ad uno spettacolo teatrale che parlava proprio della
sua vita.
Da allora ho letto le sue poesie, ho deciso di fare la mia tesi su di lei e sono
andata a conoscerla.
Mariella Mehr nei suoi libri denuncia ciò che è stato in Svizzera tra il 1926 e
il 1974: fu vittima dell'"Opera di soccorso dei bambini di strada", della Pro Juventute, passando 24 anni della sua vita, dai 5 anni (quando fu strappata alla
madre) in poi, in istituti psichiatrici, collegi, subendo elettroshock,
esperimenti medici e psichiatrici, violenze e abusi, un figlio preso e fatto
adottare da estranei e la sterilizzazione.
La Svizzera, neutrale alla guerra ma non all'eugenetica, ha cercato di estirpare
le 'razze inferiori' e purificare il sangue della nazione, esattamente come
altri paesi a tutti noti.
Mariella Mehr è sopravvissuta a tutto questo, è stata attivista politica e, da
sempre, scrittrice.
''Spesso canta il lupo nel mio sangue
e allora l'anima mia si apre
in una lingua straniera.''
La figura del lupo torna molto spesso nelle poesie di Mariella Mehr. La
simbologia del lupo, comunemente usata, è il pericolo, una visione funesta. Ma
per Lei, cosa significa?
Il lupo è solo, è Solitudine, e tante solitudini fanno il suo branco e così io
mi sento.
Sola e accomunata nella solitudine con altre persone sole.
Il lupo aggredisce se è attaccato e cosi faccio io... in Cecoslovacchia ho avuto
degli incontri ravvicinati con questo animale e anche qui dove vivo adesso ci
sono lupi... per gli uomini non sono un problema... al contrario gli uomini sono
un guaio per loro... io ho paura della gente, ma di un lupo o delle bestie mai.
Questo sentire fa parte anche della sua 'diversità'? Come vive, oggi, la sua
identità di Donna Jenisch?
La mia famiglia viene dalla Polonia, dopo la Pro Juventute ho fatto ricerche con
uno storico per l'albero genealogico e i miei avi non si sa se siano Ebrei o
Rom... sono un essere umano, parlo 6 lingue correntemente, tra le quali il Romanes. Ma mi considero semplicemente un essere umano.
Nel corso del 1800 entrò molta gente in Svizzera: Ebrei, Rom, Polacchi, Lovari,
gente che voleva lavorare... questa gente è stata chiamata Jenisch dagli
svizzeri, ed è una parola che deriva dal greco e vuole dire 'doppia faccia",
come i doppiogiochisti e quindi anche questo è un termine dispregiativo e creato
da altri (come il termine 'zingari'), entrato in uso comune per indicare 'lo straniero'.
A quei tempi, durante i pogrom contro gli Ebrei, questi hanno cambiato i
documenti e comprato quelli dei Rom... viceversa i Rom hanno comprato documenti
Ebrei per entrare in Svizzera, cambiando identità per sopravvivere, a seconda
delle necessità del momento: questo è un piccolo esempio per far capire che
tutte le genti si sono mescolate... e Jenisch quindi sono semplicemente PERSONE
che hanno subito delle persecuzioni.
La cosa piu' grave dei Rom, che tengo molto a dire, è che sono suddivisi in clan
e a volte si fanno addirittura la lotta tra di loro... e così facendo non sopravviveranno a lungo... bisogna essere uniti perché siamo tutte persone, e il
nostro sangue si mescola continuamente. Questo per non categorizzare troppo, io
parlo di PERSONE, di UMANI, che hanno subito queste cose che io denuncio e
racconto nei miei libri.
Dopo l'uscita dei Suoi scritti, ha notato un maggiore interesse verso questi
argomenti? La gente vuole sapere questa parte di Storia? oppure in Svizzera è
come in Italia?
Nei libri di scuola ancora oggi, sia in Italia che in Svizzera, non è citato
alcun Rom perseguitato né omosessuale né malato di mente. Perchè queste persone
ancora oggi sono delle persone di serie B, persone che non si vogliono
considerare. E i miei libri purtroppo sono serviti a poco.
Oltre a Lei, altre persone sopravvissute hanno saputo impegnarsi per
l'informazione e la politica dei diritti?
Io ho subito a 5 anni elettroshock, a 9 cure di insulina, a 16 anni ancora
elettroshock, a 18 carcere perché avevo fatto un bambino con un uomo mezzo Rom e
mezzo Ebreo... non ho fatto mai niente di male per meritarmelo, ti giuro!
E gli altri che hanno subito queste cose sono praticamente tutti kaput,
morti... i pochi ancora vivi sono alcolisti, o gente che non é più capace di
vivere in questa società.
Bisogna sopravvivere sia fisicamente che mentalmente... per fortuna ho trovato la
Letteratura e le parole giuste per iniziare a scrivere, e questo mi ha salvata.
A 15 anni ho scritto la mia prima poesia, "L"uccello blu", (parlava di un
uccello che avevo avvistato, una specie che di solito vola sul mare e solo io lo
avevo visto) in quel periodo, come la maggior parte della mia vita, ero in una
casa psichiatrica.
Io ero un corpo per gli esperimenti, sai? non solo le menti erano soggette a
queste cose ma anche i corpi: io sono praticamente ceca a seguito di 5
interventi sperimentali effettuati da un medico non riconosciuto... la Pro Juventute ha lasciato molte tracce.
Ma in quegli anni ('26-'74), in Svizzera, la gente comune sapeva? i cittadini
erano a conoscenza di ciò che succedeva nelle loro città, nei vari istituti,
eccetera?
Naturalmente la gente sapeva.
Ma era stata fatta una enorme propaganda, la gente VUOLE credere nel bene, e la
Pro Juventute si vendeva come un'organizzazione che AIUTAVA i giovani... in
Svizzera non era così evidente come il fascismo in Italia o il nazismo in
Germania... ma la gente voleva credere nel bene e si autoconvinceva.
Come iniziò a leggere, per poi scrivere?
Quando ero piccola, a 12 anni ero in un istituto... in questo istituto le suore
avevano una enorme e fornitissima biblioteca ma era per loro, non per noi, e la
tenevano chiusa a chiave.
Allora io un giorno ho rubato questa chiave e sono andata in città a farne una
copia. E di notte andavo e prendevo una manciata di libri a caso, al buio, e
invece di dormire stavo sotto le coperte con la lampada a leggere... Goethe,
Sartre... .non ho capito niente, ero una bambina, ma tutto era stampato nella mia
testa, ho memorizzato nella mia mente e capito anni dopo.
Così ho iniziato a leggere leggere leggere, avevo Fame di Letteratura, ed era
più forte della fame normale. Questo mi ha fatto andare avanti, leggere. E poi
iniziare a trovare le parole giuste per scrivere, e sopravvivere a tutta quella
follìa.
A quei tempi, io non sapevo ancora CHI SONO, questo l'ho scoperto DOPO i
trattamenti della Pro Juventute.
Quando questi mi hanno detto 'vai a lavorare', a 16 anni, io sono
andata... 'o vai
a lavorare o ti aspetta il carcere', mi hanno detto e mi hanno mandata in una
città che io non conoscevo, a Lucerna, e girando in tutti gli alberghi e negozi,
nessuno voleva darmi un lavoro, ero troppo piccola. Poi per caso davanti ad un
bar ho incontrato un uomo che mi ha chiesto "Senti, ma che cerchi per strada?",
"Cerco un lavoro" e io avevo una faccia da ragazzo, maschio, (che ogni tanto
torna ancora oggi, quando sono arrabbiata), ho potuto lavorare come bar man ma
prima il capo mi ha portata dal parrucchiere per fare un taglio da uomo, poi al
negozio di vestiti mi ha comprato i pantaloni, il gilet, la camicia bianca da
lavoro e il giacchetto nero, naturalmente.
Poi mi ha detto: "Così puoi lavorare nel mio bar e ti chiamerai Mario'.
Ho lavorato lì un anno, poi un giorno è entrato nel bar questo uomo di 30 anni
più grande che mi ha chiesto un caffè ed è stato il primo uomo a guardarmi
davvero.
Dopo poco mi ha riconosciuta in quanto ragazza e io, presa dal panico, ho
iniziato a piangere, avevo paura che mi facesse perdere il lavoro, avevo paura
di finire in carcere...
Dopo avere scoperto della Pro Juventute questo uomo mi ha aiutata molto ed è lui
il padre del mio bambino... (è poi morto in un campo di concentramento tedesco,
era mezzo Rom e mezzo Ebreo)... lui mi ha aiutata molto...mi ha trovato un altro
lavoro, presso una famiglia, e insieme abbiamo deciso di fare un bambino.
Per la Pro Juventute se sei incinta sei un'adulta e libera di sposarti e fare
una vita e avere diritto ai servizi degli ospedali per la gestazione e il parto,
ma le autorità mi hanno segnalata e fatto una ricerca attraverso l'interpol
(pensa te!) trattandomi come una fuggitiva...
Un giorno alle 5 del mattino mi hanno arrestata presso la famiglia dove
lavoravo, mi hanno presa a Berna e messa in una cella con un cane lupo di
guardia... il cane era piu' amabile delle persone, è venuto da me senza paura e
aggressività e nel tempo del carcere è stato quel mezzo lupo a salvarmi la vita.
Io ero in carcere ma non sapevo perché...in tutta la mia infanzia io non ho mai
saputo chi ero né il motivo per cui mi venivano fatte queste cose...al carcere le
peggio criminali mi chiedevano perché ero lì ma io non lo sapevo..allora la mia
testa ha prodotto una fantasia di un qualche crimine che avessi potuto
commettere, per non impazzire..e senza passare per nessun giudice io finivo in
galera.
Il padre del bambino mi cercava, ma i carcerieri non mi hanno dato nessuna sua
notizia e impedivano a lui di avvicinarsi, inventando bugie.
Infine ho dato alla luce questo figlio in carcere.
Secondo la legge, avevo 3 anni di galera da scontare, ma un giorno mi hanno
detto "se dai tuo figlio in adozione sei libera subito, altrimenti il figlio te
lo prendiamo lo stesso ma tu resti qui fino a concludere i 3 anni di carcere".
Io ero disperata, amavo mio figlio ma non sopportavo più questo carcere, che era
il peggiore carcere femminile della Svizzera. Così ho firmato e sono uscita.
A Berna ho trovato un altro lavoro, ho pensato che se lavoravo la Pro Juventute
mi avrebbe restituito il figliolo, invece...così non è stato e la vita di questo
figlio è rovinata quanto la mia.
Mia madre è stata una delle prime donne alla quale la Pro Juventute ha strappato
i figli e a sua volta mio figlio è stato uno degli ultimi strappati alla
madre...tutta questa storia è un ORRORE e una VERGOGNA alla quale non si vuole
credere, quando io racconto queste cose la gente non crede, pensano che io sia
una folle che nel suo delirio si inventa le cose.
Eppure dopo diverse lotte gli archivi con i documenti della Pro Juentute sono
stati aperti, sono documenti visibili a tutti. Ma queste cose non si vogliono
sapere.
Io mi sono battuta per i diritti miei e di tutta questa gente, i diritti, non i
soldi, e l'aiuto per sopravvivere a tutto questo, ma gli Jenisch della
Svizzera invece volevano il silenzio su questa vergogna, volevano solo soldi,
per questo sono stata più volte aggredita, una delle quali sono stata gettata da
un treno in corsa...
I giornalisti volveano la Verità, qualche attivista di sinistra, qualche gente
di buon cuore, ma gli Jenisch no, pochissimi volevano che la Verità venisse
fuori e di conseguenza i diritti per queste donne e uomini devastati da questi
trattamenti.
Per 20 anni ho fatto politica, attivismo, ma è servito a poco se non a
niente... ora la gente non sa nulla di questi orrori, anche se le conseguenze ci
sono tutt'ora. Abbiamo ricevuto una cifra irrisoria come risarcimento morale,
due soldi in croce per una vita COMPLETAMENTE rovinata... per 24 anni vissuti
nell'orrore.
E' stata tutta una farsa enorme.
Poi abbiamo interrotto l'intervista e parlato d'altro, perché "altri cinque
minuti a parlare della Pro Juventute e cado a terra svenuta, mi fa troppo Male".
Mariella Mehr ha partecipato a vari festival di letteratura in Europa, vincendo
diversi premi e riconoscimenti, i suoi libri sono pubblicati in diverse lingue e
reperibili tramite ordine in qualsiasi libreria.
BIBLIOGRAFIA DI MARIELLA MEHR(in Italiano):
- "Steinzeit"
- "La Bambina"
- "Il Marchio"
- "Notizie dall'Esilo"
- "Accusata"
- "San Colombano e l'attesa"
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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