Di Fabrizio (del 09/12/2012 @ 09:08:05, in casa, visitato 1469 volte)
La Stampa di
GIUSEPPE LEGATO 30/11/2012 - IL CASO Il "quartiere" sarà ricostruito lontano dalla tangenziale
Una delle villette realizzate a Tetti Rolle. Quattro sono state condonate o
semicondonate: i sinti, pagando, potranno ricostruirle altrove
NICHELINO
Il villaggio quasi interamente abusivo realizzato dai sinti a ridosso della
tangenziale Sud - tra le uscite Debouchè e La Loggia - verrà abbattuto.
L'amministrazione di Nichelino ha presentato nei giorni scorsi in commissione un
progetto ribattezzato «di normalizzazione» di un'area edificata in barba a molte
delle regole urbanistiche vigenti.
L'insediamento
Si tratta di una quindicina di case basse (un piano al massimo con mansarda) di
cui quattro condonate (o semi-condonate). Sono state erette una ventina di anni
fa e con il tempo hanno finito per costituire un autentico mini quartiere della
città. Non è un luogo con tutti i comfort: l'illuminazione è scarsa, le fogne
assenti. Ma il problema principale è che la maggior parte delle costruzioni
siano state realizzate a una decina (al massimo una ventina) di metri dalla
carreggiata della tangenziale. A dividerli dalle tre corsie d'asfalto (direzione
Savona-Piacenza) c'è solo un guard-rail, poi più nulla. Una situazione
rischiosissima che potrebbe trasformarsi in tragedia da un momento all'altro: se
un camion o un'auto dovessero uscire di strada proprio in quel tratto
piomberebbero dentro le case. E cosi all'idea del Comune di sanare un abuso
clamoroso si è unito l'appello del presidente dell'Ativa (la società che
gestisce la tangenziale di Torino) Giovanni Ossola, che tempo fa aveva lanciato
l'allarme: «Quelle case rappresentano un pericolo enorme».
Il progetto
Ora si vara il piano che consentirà di abbatterne almeno dodici. Così spiega
Domenico Sibilla, dirigente dell'ufficio tecnico all'interno del Comune:
«Moltissime delle case in questione sono costruite al di fuori della fascia di
rispetto». L'idea è quella di consentire ai sinti «di ricostruire interamente a
loro spese le case in una zona, sempre a Tetti Rolle, lontana dalla carreggiata.
Pagheranno tutto loro: per il Comune - assicura - questa sarà un'operazione a
costo zero».
I tempi
Il sindaco Giuseppe Catizone definisce questa soluzione «una sintesi tra
ripristino della legalità e garanzia di equità sociale. I problemi non si
risolvono soltanto con le ruspe, ma anche con il dialogo». Il Comune anticiperà
le spese di urbanizzazione dell'area, che saranno recuperate sul costo dei
fabbricati a carico dei sinti. Solo dopo aver pagato potranno entrare nelle case
nuove. Il piano presentato da Palazzo Civico offre anche dettagli
architettonici: gli alloggi saranno realizzati all'interno di edifici disposti a
corte e si affacceranno su un cortile interno con giardino, ipotesi progettuale
che pare soddisfi anche le richieste delle famiglie. Il documento arriverà in
Consiglio comunale entro l'anno, poi si aspetteranno le osservazioni della
Provincia e infine partiranno i cantieri.
Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) - Lo sgombero del campo Rom di via Del
Fortino è stato portato a termine brillantemente nella mattinata di oggi, con
l'abbattimento delle baracche e l'avvio delle attività di bonifica dell'area.
L'operazione coordinata dal sindaco di Melito Porto Salvo, Gesualdo
Costantino, si è svolta in assenza di problemi di ordine pubblico, con le
pattuglie di carabinieri e polizia che hanno monitorato la situazione a distanza
senza alcuna necessità di intervenire. I mezzi pesanti e le maestranze sono
entrati nel campo intorno alle 8,30, provvedendo all'abbattimento delle baracche
ormai disabitate e alla messa in sicurezza dell'area, letteralmente invasa da
enormi cumuli di rifiuti di ogni genere. La decisione dell'Amministrazione
comunale di procedere al definitivo smantellamento del campo non ha incontrato
resistenze. Anzi ha trovato la piena collaborazione da parte di un gruppo di ex
residenti che, forniti di caschi e tute da lavoro, hanno voluto affiancare gli
operai nelle operazioni di pulizia.
Giova ricordare che alle famiglie rom sgomberate dal campo sono stati assegnati
gli alloggi appositamente acquisiti dal Comune. Avviato circa dieci anni, il
processo di delocalizzazione è stato ultimato con successo dall'Amministrazione
comunale a guida Costantino. Dal momento dell'insediamento avvenuto lo scorso
mese di maggio, il sindaco ha inteso dare una forte accelerata al progetto che
ruotava attorno a due capisaldi: l'inclusione nel tessuto sociale delle famiglie
rom; la riqualificazione dell'area, con il recupero del palazzetto dello sport,
l'insediamento della caserma della Polizia Municipale nei locali dell'ex carcere
di via Del Fortino, dove verranno trasferiti anche gli uffici afferenti all'area
delle politiche sociali e dove verrà istituita la biblioteca comunale.
L'operazione odierna è stata concordata nei minimi particolari con la Prefettura
di Reggio Calabria. In queste ultime settimane, il sindaco, dottore Costantino,
ha avuto diversi incontri con il prefetto Piscitelli, seguiti da "vertici" con
il dirigente del Commissariato di polizia di Condofuri Marina, Filippo Leonardo,
con il comandante della compagnia carabinieri di Melito, Gennaro Cascone e con
il comandante della Polizia Municipale, Antonio Onofrio Laganà.
Il campo rom insisteva nell'area di via Del Fortino da altre mezzo secolo. Il
suo quasi totale azzeramento (nella parte alta sono rimaste in piedi un paio di
baracche, occupate da famiglie che avranno assegnata a breve l'abitazione), ha
di fatto rappresentato un evento storico per la cittadina di Melito di Porto
Salvo. Di fondamentale importanza è risultata anche la collaborazione intessuta
dall'Amministrazione comunale con l'Opera Nomadi. La via del dialogo
privilegiata dall'assessore di riferimento, il vicesindaco Annunziato Nastasi,
alla lunga ha consentito di centrare perfettamente l'obiettivo prefissato.
"Per l'Amministrazione comunale di cui mi onoro di essere la guida - ha
dichiarato il sindaco, Gesualdo Costantino - quella di oggi sarà una giornata da
ricordare a lungo. Dopo oltre cinquant'anni è stata cancellata l'autentica
bruttura costituita da questo campo, all'interno del quale centinaia di persone
hanno vissuto in condizioni igieniche-sanitarie pessime. Ringrazio sua
eccellenza il prefetto Vittorio Piscitelli, per il sostegno che ha assicurato a
questa operazione, così come ringrazio le forze dell'ordine per averci
affiancato quest'oggi con assoluta professionalità, la polizia municipale, la
protezione civile e quanti si sono impegnati per chiudere una pagina ingloriosa
delle vicende nostrane. Da oggi si cambia registro. Quest'area sta per diventare
oggetto di interventi importanti. Procederemo, infatti, al recupero del
palazzetto dello sport, alla riqualificazione dell'ex depuratore comunale, al
posto del quale sorgerà un Parco dell'acqua, all'insediamento della caserma di
Polizia municipale, degli uffici delle politiche sociali e delle attività
produttive, nei locali dell'ex carcere. In questo modo avremo raggiunto diversi
obiettivi. In primo luogo avremo favorito l'inclusione sociale dei rom e, in
seconda battuta, restituiremo alla collettività un'area rimasta per troppo tempo
abbandonata al degrado".
Di Fabrizio (del 20/10/2012 @ 09:10:55, in casa, visitato 1280 volte)
In questo video, realizzato nel 2007, vengono descritti i ghetti urbani
calabresi in cui sono emarginati i cittadini rom e tanti altri cittadini poveri.
Di Fabrizio (del 19/10/2012 @ 09:05:32, in casa, visitato 2375 volte)
Leggevo mercoledì scorso l'articolo di Maurizio Spada:
DALLA
CASA BENE RIFUGIO ALLA CASA SOCIALE e già nelle prime righe mi imbatto in
questa affermazione: "A parte i popoli migranti come i Rom tutti gli altri
hanno bisogno di una casa:" e subito dopo "ora osserviamo che a questo
bisogno fondamentale si risponde nei modi più disparati."
Iniziale caduta di braccia: i Rom rimangono, se non col nomadismo inscritto
nel DNA, dei migranti, gente che non è destinata a stanziarsi e quindi di
casa
non ha bisogno. Possibilmente col solito equivoco: non siamo NOI i cattivi che
non vogliamo concedergliela, sono LORO a non averne bisogno. Quindi, norme e
diritti sono salvi. Ma che differenza può esserci tra un nomade e un migrante?
Forse quel "popoli" iniziale che muta una condizione accessoria e
temporanea (l'essere migranti) ad una situazione culturale loro (il
popolo migrante), senza individuare una altro aspetto culturale partorito
da noi (un popolo sfollato e cacciato, quindi PER FORZA migrante).
Altro sconcerto (ma ormai dovrei saperlo): l'articolo è
ospitato dalla rivista
ArcipelagoMilano: da quattro anni ospita un meritorio dibattito che riunisce i
resti del riformismo milanese, che in passato ha giocato un ruolo fondamentale
nella storia politica cittadina. E "politicamente" sono preoccupato che anche
qui passi il discorso di bisogni abitativi differenti "a prescindere"
(attenzione: il differenzialismo si applica inizialmente ad una
minoranza, per allargarsi in seguito alle altre fasce deboli di popolazione).
Superati questi due scogli iniziali, mi sono impegnato a leggere il resto
dell'articolo, nella speranza di correggere il mio giudizio di partenza. Alla
fine mi è rimasto un senso di delusione: ben scritto e documentato (impreziosito
da citazioni di Heidegger, oltre che degli imprescindibili Marc Augè e dell'Housing
Sociale che in questi casi non mancano mai), ma quello che ad una prima
lettura si presenta come un viale elegante, si chiude come un vicolo senza
uscita.
Nella mia ignoranza, riparto dalla seconda frase che ho citato all'inizio: "ora osserviamo che a questo
bisogno fondamentale si risponde nei modi più disparati." E dall'articolo
di Maurizio Spada vorrei estrapolare un capitolo:
In questa situazione si ritiene che a qualcuno interessi che le case siano
costruite a regola d'arte seguendo principi di sostenibilità energetica e
sociale? Un po' diverso è stato l'operare del mondo cooperativo, almeno nella
prima metà del secolo scorso, infatti sono di quegli anni progetti di città
giardino e d'interventi edificatori che prevedevano la proprietà indivisa,
prezzi d'affitto calmierati congiuntamente a una vita di relazione diversa e una
filosofia che voleva alcuni servizi in comune e molta solidarietà, come ad
esempio i quartieri della Società Umanitaria dei primi del '900. Purtroppo nel
secondo dopoguerra la cooperazione, che intanto sceglie la proprietà divisa
seguendo le mode, finisce per operare come le immobiliari: anche se all'inizio
si costruisce per i soci che le abitano, dopo qualche anno le case possono
essere vendute entrando così nel libero mercato e generando notevoli affari.
Una città, grande o piccola che sia, agisce e cresce essenzialmente su due
logiche contrapposte:
da una lato la spinta razionalista e macroeconomica, per cui
una determinata soluzione abitativa viene ripetuta come una
formina da spiaggia;
dall'altra una spinta più anarchica e microeconomica, per
cui i diversi strati della popolazione che la abitano, si
differenziano in base a storie, bisogni, localizzazione, ecc. e
queste differenze si riflettono nell'abitare.
Vediamo quindi se partendo dai "Rom [che] tutti gli altri hanno
bisogno di una casa" si riesce a giungere ai "modi più disparati."
Attenzione però, il mio non sarà una specie di esercizio filosofico, ma vorrei
ragionare su un concetto che partendo dai Rom (e dai Sinti, e dai Caminanti)
potesse essere utile in una discussione meno settoriale: LA CITTA' PER TUTTI
(sapendo comunque che il PER TUTTI è già di per sé un'espressione che appartiene
all'utopia). Lo spunto è dato dal
PROGETTO ROM, SINTI E CAMINANTI 2012-2015 che proprio in questi giorni
dovrebbe essere discusso in comune, per essere presentato in giunta a fine
mese. Un aspetto non secondario è che il progetto iniziale dovrebbe
contenere tutta una serie di osservazioni, maturate dal confronto con
associazioni, consigli di zona, i rom stessi; e da questo punto di vista si
tratterebbe di una novità importante. Sarebbe utile se in questa
discussione rientrassero le proposte fatte due anni e mezzo fa dal
Tavolo Rom, riguardo l'abitare nell'area metropolitana di Milano.
Proposte "le più disparate", ma che presuppongono un processo,
partecipato e condiviso, che superi la situazione attuale dove "popoli
migranti" ed abitare sono destinati a non incontrarsi mai, sancendo una
situazione abitativa differenziale e da terzo mondo. Con un rischio che riguarda
tutti: le condizioni socio sanitarie di un qualsiasi insediamento spontaneo
lasciato a se stesso, non si fermano ai limiti del campo, ma tracimano. Le
malattie sono per loro natura antirazziste, colpiscono tanto Rom che i loro
vicini, il degrado umano ed urbano di un campo abbandonato ricade su tutta la
zona circostante. Quindi la questione del superamento dei campi ATTUALI, non
riguarda solo l'1‰ della popolazione, ma va affrontata
nello spirito del riformismo milanese degli anni '60, quando menti e risorse
furono impiegate per risolvere l'emergenza sociale e abitativa dei tanti
immigrati che arrivavano dal sud Italia.
Mi limito ad alcuni punti del documento del Tavolo Rom:
Non da ora, ma almeno da una ventina d'anni, ci sono Rom e
Sinti che le case le abitano (o le occupano). In alcuni casi,
senza grossi problemi (e quindi noi smettiamo di considerarli
Rom e Sinti, come se la normalità non fosse una notizia), in
altri casi le situazioni sono più conflittuali. Vuoi perché
funziona nei fatti una sorta di integrazione all'incontrario,
per cui le devianze sociali maturate in un campo rom si saldano
con le tipiche devianze da ghetto urbano, sia perché la
destinazione d'arrivo si trasforma da campo orizzontale a
verticale, replicandone tratti positivi e negativi. Ma il
fenomeno dell'urbanizzazione riguarda, in misura diversa, tutti
i gruppi presenti in città.
Un problema legato al passaggio da una stanzialità non
riconosciuta (campo sosta) ad una ufficiale (casa), è la
sostenibilità. Lavoro, in parole povere. Non si può parlare di
percorso verso l'autonomia, quando le famiglie rom e sinte che
scelgono di andare ad abitare una casa, non ne hanno i mezzi;
ricadranno nella dipendenza dalle mafie locali, piuttosto che
dalla chiesa, dal volontario o dall'associazione di turno. O
nella mentalità del ghetto, cioè ricercare le risorse necessarie
all'interno del proprio clan, senza interazione col mondo
circostante. Se di lavoro si tratta (ma preferirei usare il
termine SOSTENIBILITA'), pur in una situazione di grave crisi ci
sono da anni fette di popolazione rom e sinta che hanno trovato
lavoro, come dipendenti o lavoratori autonomi, persino
imprenditori, e altri si sono riuniti in cooperative. Il
documento propone quindi la creazione di un'AGENZIA, con compiti
di supporto e consulenza, che veda la presenza di soggetti
istituzionali, sindacali e di categoria. Ma, contemporaneamente,
una simile agenzia dovrebbe farsi carico del problema più
propriamente sociale: queste comunità soffrono di un rapporto
altamente conflittuale col resto della popolazione, e questo
conflitto va mediato e governato per evitare "crisi di rigetto".
Potrà sembrare l'ennesimo ente DIFFERENZIALISTA, in realtà
dipende dai soggetti locali che si riusciranno a coinvolgere:
perché una simile unione e confronto di forze diverse, si
trasformi in un laboratorio di mediazione sociale diffusa,
nell'INTERESSE GENERALE.
Alcuni Rom e Sinti (anche qua, dei gruppi più diversi) sono
disposti a trasferirsi in cascina, potendo mantenere lì uno
stile di vita familistico, più vicino alle loro tradizioni.
Attenzione:
alcune hanno aperto un mutuo da anni, eppure sono ancora
"parcheggiate" in un campo. Ma il discorso, COMUNE anche
stavolta, che si pone è: se non ci fossero queste famiglie,
questo capitale edile di cascine abbandonate, che fine farebbe?
E' una questione da affrontare CON URGENZA anche a livello
cittadino, dato che sempre di più si parla di città
metropolitana, che supera grandemente i confini cittadini.
La città metropolitana, e la generale scarsa attenzione che
viene riservata alla città fuori dalla cerchia dei Navigli, ci
porta in quel terreno esteso ed indefinito della periferia
metropolitana. Proprio lì dove si ammassano i campi rom,
comunali e spontanei. Se di superamento vogliamo parlare, ho in
mente un esperimento che da poco è nato nel campo comunale di
via Idro: le stesse strutture vengono utilizzate per il resto
della cittadinanza e lì periodicamente si svolgono proiezioni di
film, presentazioni di libri, riunioni e feste aperte alla
cittadinanza. Il campo si trova all'inizio del neonato Parco
della Media Valle del Lambro, ed è sede una cooperativa di
operatori del verde, un insediamento lì sarebbe del tutto
conseguente. Se aggiungiamo che l'insediamento è in gran parte
autocostruito, che le famiglie condividono le loro piazzole con
ogni tipo di animale da cortile e fattoria (allevato secondo le
norme di legge), quel piccolo insediamento può essere realmente
una risorsa per la zona, per le scuole, per gli urbanisti.
Diverse soluzioni, che comprendono vari aspetti, tutti problematici,
dell'abitare una metropoli complessa e stratificata come Milano. Non intendo
restringerle, ripeto, alla sola questione rom, sto cercando di capire come sia
possibile ragionare assieme, e vedere come questa presenza può tramutarsi in
ricchezza per Milano, o dagli errori politici passati ricavarne buone pratiche future.
Mi viene un dubbio: esiste una logica che lega tutto quanto ho scritto
sinora? Forse sì. Partendo da un gruppo tra i più disagiati e discriminati (in
città, come altrove), che addirittura "di una casa non avrebbe bisogno",
da milanese ho provato ad allargare il discorso a tutta la comunità che qui vive
ed interagisce, provando a spostare l'equilibrio dello status quo. Credo che si
chiami... forse POLITICA?
Mercoledì hanno rovesciato i cassonetti e minacciato di bloccare via del
Cornocchio. Ieri mattina, meglio organizzati, si sono presentati con cartelli e
iniziato lo «sciopero dei bambini». Nel senso che i piccoli non sono stati
mandati a seguire le lezioni come tutte le altre mattine.
Sono i nomadi di origine macedone ospiti del campo comunale, cinque famiglie
per un totale di una trentina di persone, che da qualche giorno hanno dichiarato
una sorta di stato di agitazione. Per colpa delle bollette.
«Noi siamo qui nel campo da anni e abbiamo sempre cercato di lavorare, senza
creare troppi problemi - hanno raccontato i capofamiglia reclamando un
intervento delle autorità. - Ma da qualche tempo tutti noi abbiamo perso il
lavoro e ora non ci sono più i soldi per pagare l'acqua e la luce. E abbiamo
paura che ci taglino le utenze».
Un rischio in realtà non troppo concreto che si lega tuttavia ad una altra
lunga serie di lamentele. Queste, almeno in parte, giustificate.
Gli ospiti del campo infatti dal 2008 vivono nella struttura senza un
regolare contratto di locazione da parte del Comune e questo fatto impedisce che
venga loro concesso il certificato di idoneità alloggiativa. Un documento senza
il quale trovare lavoro è pressoché impossibile.
«Purtroppo si tratta di un problema reale», ammette l'assessore ai servizi
sociali Laura Rossi che ieri alle 14 ha incontrato i nomadi insieme al sindaco
Pizzarotti. «La situazione del campo risente di una storica inerzia e di una
mancanza di accorta gestione da parte delle precedenti gestioni». Uno scomodo
retaggio che ora l'amministrazione si trova a dovere fronteggiare: anche se le
risorse, come è noto, sono molto scarse. «Per parte loro anche i nomadi hanno
delle forti responsabilità: il degrado della struttura è in buona parte
attribuibile a loro che hanno sempre comunque potuto contare su un'assistenza
economica. Le bollette non le hanno mai pagate e ad intervalli l'amministrazione
si è fatta carico di coprire il pregresso. Ora però il problema è più serio».
Si, perchè il campo sarebbe da da bonificare e rimettere in sicurezza con
investimenti pesanti mentre il Comune non può certo mantenere all'interno di una
propria struttura persone senza un contratto che è fondamentale per il loro
permesso di soggiorno e il lavoro. «Nell'incontro di ieri ho chiesto
espressamente che gli ospiti si impegnino per iscritto a offrire la loro
collaborazione per la gestione delle struttura. E' altresì vero che le
condizioni minime di sicurezza sono a rischio». E forse proprio qui è la chiave
per capire il motivo di questa lunga assenza di un contratto: per perfezionarlo
si sarebbe dovuto investire e si è preferito non farlo. Non riuscendo però
neppure a prendere la decisione di sgomberare un'area che ormai appare
fatiscente e devastata. E gli ospiti? Loro dopo l'incontro di ieri sembrano
dichiarare una certa disponibilità anche se le bollette, che ormai superano i
mille euro l'una, dovranno essere pagate. E su chi debba mettere la mano al
portafoglio le ipotesi sono diverse.
«In Emilia è stato stanziato un milione di euro per i campi nomadi- hanno
ripetuto più volte gli ospiti. - Ma i soldi dove sono?».
«Il finanziamento riguarda l'intera regione e per Parma sono disponibili
circa 30mila euro - ribatte l'assessore. - E noi di recente abbiamo partecipato
al bando per ottenere la somma». Ma 30mila euro certo non bastano. Tra poco
arriverà l'inverno. E il clima potrebbe surriscaldarsi.
Di Fabrizio (del 05/10/2012 @ 09:10:12, in casa, visitato 2241 volte)
L'area è stata suddivisa in due zone: la prima potrà ospitare 46 carovane,
mentre la seconda comprende 51 posti destinati ai gestori di giostre (foto
Keystone)
Corriere del Ticino 27 SET 2012 18:20
A Versoix predisposto un terreno di stazionamento di 53 mila metri quadrati
GINEVRA - Una nuova area di stazionamento destinata alle popolazioni nomadi è
stata inaugurata oggi a Versoix (Canton Ginevra). Il terreno di oltre 53 mila
metri quadrati accoglierà le carovane di zingari, nonché le famiglie
proprietarie di giostre e baracconi, insediate dal 1966 in riva al fiume Versoix.
Il terreno, di proprietà del Cantone, è stato dotato d'infrastrutture
collettive, in particolare un padiglione di 120 mq comprendente due lavanderie e
una sala di riunione. L'investimento, sopportato interamente dal Cantone,
rappresenta oltre 12 milioni di franchi.
L'area è stata suddivisa in due zone: la prima potrà ospitare 46 carovane,
mentre la seconda comprende 51 posti destinati ai gestori di giostre, che
disporranno peraltro di un parcheggio per le loro infrastrutture. "La Bécassière"
sarà l'unica area di stazionamento ufficiale di Ginevra per i nomadi.
Di Fabrizio (del 17/09/2012 @ 09:20:59, in casa, visitato 1476 volte)
Corriere della SeraDura dichiarazione del vice sindaco, che su Tor de'
Cenci attacca anche il Tar: "Non si sostituisca al potere politico". I dubbi
delle Nazioni Unite sul Piano nomadi di Roma
Lo sgombero di un insediamento Rom nella Capitale (Jpeg)
ROMA - "Case popolari ai Rom? Se le scordino". Il vicesindaco di Roma Sveva Belviso scivola sulla questione dei campi nomadi. Nell'affrontare il tema dei
contestati trasferimenti di rom dal campo autorizzato di Tor de' Cenci - "Siamo
in attesa della sentenza del Tar sul ricorso fatto da alcuni nomadi" -
l'esponente del Pdl ha dichiarato che "una soluzione alternativa ai campi non
c'è - ha detto -. Inoltre non c'è alcuna intenzione di creare corsie
preferenziali per dare case ai rom, discriminando i cittadini italiani nelle
liste. Se le possono scordare". Un no secco ad ipotesi di intervento sul modello
di quelli adottati dalla Germania. Propri mentre la stessa Belviso esprime una
critica preventiva nei confronti del tribunale amministrativo: "Stiamo
attendendo che la magistratura si esprima, nella speranza che essa non voglia
sostituirsi al potere di governo politico".
Rom bosniaci nel campo di Tor de' Cenci (Proto)
RACCOLTA DI FIRME - Intanto sono salite a oltre duemila le firme raccolte per
dire no agli sgomberi di rom e sinti nella Capitale. Una delegazione dell'
Associazione 21 Luglio, le ha depositate in Campidoglio a sostegno dell'appello
"Il diritto all'alloggio non si sgombera" lanciato già il 4 marzo dalla stessa
associazione. Molti i firmatari illustri: da i premi Nobel Rita Levi Montalcini
e Dario Fo, agli scrittori Erri De Luca e Susanna Tamaro, fino ad arrivare a
Moni Ovadia e Ascanio Celestini. Nell'appello si chiede lo stop a ogni forma di
sgombero che non sia accompagnata da un serio piano di accoglienza ai nuclei
familiari.
Bambini rom a Tor de Cenci
IL COSTO DEGLI SGOMBERI - L' Associazione 21 Luglio ha presentato alle autorità
un rapporto riepilogativo sui numeri degli sgomberi dal 31 luglio 2009 - data di
avvio del Piano Nomadi - all'estate 2012. Secondo le stime dell'associazione i
450 sgomberi di insediamenti informali effettuati dal Comune negli ultimi tre
anni, sono costati 6.750.000 euro. Dieci volte più di quanto il Campidoglio ha
speso per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso periodo. Nella stima sono
comprese le spese per la rimozione dei rifiuti, per l'impiego delle forze
dell'ordine e per l'utilizzo delle unità mobili di strada.
Il cardinal Vallini a Tor de' Cenci (Omniroma)
480 FAMIGLIE SPOSTATE - Le famiglie rom ripetutamente coinvolte negli sgomberi
sono state 480 (circa 2.200 persone). La spesa per famiglia sfora i 14.000 euro.
Il calcolo è stato effettuato applicando a Roma le stesse voci di spesa che a
Milano sono state rese note da Letizia Moratti all'epoca del suo mandato. A Roma
l'ultimo grande sgombero in ordine di tempo, il 450° dall'avvio del Piano
nomadi, era stato eseguito l'11 agosto sulla collina di Valle Aurelia.
MODELLO ESTERO E ITALIANO - "In questi tre anni il comune ha “bruciato”
tantissimi soldi per gli sgomberi - dice Carlo Stasolla, presidente di 21 Luglio
-, ma paesi come la Germania dimostrano la possibilità di accedere a soluzioni
alternative. Nelle città tedesche non esistono rom accampati per strade, perché
i nuclei familiari sono stati alloggiati in strutture di accoglienza adeguate
nel rispetto della loro dignità di esseri umani". Secondo Stasolla esiste
un'alternativa virtuosa al Piano Nomadi del Comune.
Il ministro Andrea Riccardi ascolta una nomade (Proto)
CAMPI DA 20 MLN L'ANNO - "Il Campidoglio continua a insistere sulla costruzione
e gestione dei campi, strutture che costano in tutto 20 milioni di euro l'anno -
prosegue -. A Torino è in fase di sperimentazione un progetto che oltre a
prevedere soluzioni abitative più dignitose si fonda sul progressivo inserimento
lavorativo dei rom rumeni riducendo al minimo le spese per il Comune".
L'INTERVENTO INTERNAZIONALE - Secondo gli osservatori di 21 Luglio gli sgomberi
a Roma avvengono, nella maggior parte dei casi, senza un preavviso alle famiglie
interessate e molto spesso, durante le operazioni, interi nuclei familiari sono
costretti ad abbandonare i propri beni personali, senza poterli più recuperare.
Molti bambini, inoltre, sono costretti a causa del trasferimento a interrompere
la frequenza scolastica. Il tutto, secondo l'associazione, viola le
raccomandazioni contro il razzismo e l'intolleranza della Commissione Europea,
che ha esortato le autorità italiane a garantire a tutti in Rom che possono
essere sgomberati un idoneo preavviso.
I DUBBI DELLE NAZIONI UNITE - Anche il Comitato delle Nazioni Unite per
l'eliminazione della discriminazione razziale ha esortato l'Italia "a evitare
gli sgomberi forzati e fornire un alloggio adeguato a queste comunità". Alla
luce dell'intervento dell'Europa e delle Nazioni Unite, l'associazione 21 Luglio
chiede al Comune il rispetto di alcune misure "protettive", qualora si debba
procedere a uno sgombero forzato. Fra queste la possibilità di una consultazione
con gli interessati e un termine di preavviso adeguato.
Redazione Roma Online e Giuseppe Cucinotta -
11 settembre 2012 (modifica il 12 settembre 2012)
Di Fabrizio (del 15/09/2012 @ 09:10:02, in casa, visitato 1115 volte)
Segnalazione di Piero Leodi
Vi suggerisce l'ascolto di
TUTTA LA CITTÀ NE PARLA del 05/09/2012, trasmessa
in occasione del World Urban Forum 6, Napoli 1-7 settembre 2012. The Urban
Future.
Dura circa 43 minuti
06/09/2012 - Matteo ha scritto un nuovo commento in risposta al mio post del
4 settembre pubblicato nel blog SOCIALE IN RETE tratto da
Vita. I miei blog non sono testate giornalistiche e io sono mero
collettore volontario di info sociali e news di nicchia. Non ho
strumenti per valutare nel merito la questione. Per correttezza
pubblico comunque e giro a giornalisti professionisti in grado
di effettuare indagini serie l'appello e la denuncia di Matteo
Mattioli.
Paolo Teruzzi
"da 72 giorni io ed altre 13 famiglie stiamo occupando il cantiere di
autocostruzione di Filetto (RA) sul quale già da 3 anni sarebbero dovute sorgere
14 unità abitative realizzate da cittadini svantaggiati, metà dei quali
extracomunitari, individuati attraverso bando del 2006 del Comune che assumeva
su di se l'onere di "sovrintendere coordinare e vigilare in tutte le fasi la
corretta attuazione del progetto". Il Comune procedeva poi ad individure la
ditta Alisei (Alisei S.r.l., figlia della ONG) sempre attraverso bando, ditta
che nel 2010, dopo avere usufruito dell'80% del fido dichiarava fallimento
lasciando i lavori di costruzione al 40%.
Da 3 anni i lavori sono sospesi.
http://difesaconsumatori.eu/
A livello locale questa vicenda ha assunto un certo rilievo mediatico, tuttavia
è una problematica che interessa l'intero territorio nazionale e coinvolge
amministrazioni a vario titolo. In base a ricerche approssimative da me eseguite
è emerso che la società Alisei ONG non si occupa soltanto di autocostruzione ma
di progetti umanitari in Afganistan, Libia, Pakistan, Sry Lanka, Ruanda, Sao
Tomè, Angola, Congo, Haiti che interessano le più svariate discipline, a volte
anche sostenendo missioni militari (Cooperazione in contesti di guerra). La
finalità di tutto ciò è resa ancora più evidente dai rapporti che collegano
Alisei ONG a Protezione Civile, PD, Emma Bonino membro del comitato esecutivo
dell'International Crisis Group e Commissario Europeo all'ONU, e che oggi si
concretizzano ad esempio nella partecipazione all'Expo 2015 di Milano di Alisei
in quanto "impegnata in progetti agricoli di successo in vari paesi del mondo".
In merito a questa vicenda, però, ancora nessuno ha condotto una seria inchiesta
giornalistica che possa far luce sul sistema di scatole cinesi attuato col fine
di "distrarre" dei soldi impunemente.
Mi auguro possiate essere Voi a farlo.
Cos'è l’autocostruzione associata e assistita (tratto da
FONDAZIONE MICHELUCCI)
L’autocostruzione fa parte della storia sociale dell’abitare. [...] la pratica
di costruire direttamente, in tutto o in parte, la casa in cui si andrà ad
abitare, è rimasta diffusa soprattutto fra i ceti popolari.
E’ una pratica molto comune nei paesi in via di sviluppo, ma anche in molti
stati del Nord America e in alcuni paesi europei come in
Germania, Danimarca, Francia, Irlanda. [...]
Oggi, l’autocostruzione assistita è una procedura edilizia con specifiche e
consolidate modalità e tecnologie costruttive, diretta e coordinata da
professionisti, attraverso la quale un gruppo associato e volontario di persone
o di famiglie realizza, nel tempo libero dal lavoro o dall’occupazione
principale, la propria abitazione.
[...]
“Fare l’autocostruzione” significa partecipare attivamente e condividere una
modalità di produzione dell’alloggio, nella quale i futuri abitanti sono
direttamente e materialmente impegnati. Gli autocostruttori sono una comunità
organizzata, autogestita, e assistita nelle procedure e nei lavori da personale
tecnico professionale esperto e accreditato.
Agire in maniera associata con altre persone, e assistiti da professionisti,
permette di condividere le responsabilità, le problematiche, le difficoltà che
accompagnano necessariamente un impegno come quello dell’autocostruzione.
L’autocostruzione promuove la partecipazione e il coinvolgimento nelle scelte di
governo del territorio e nelle politiche di inclusione sociale.
Costituisce una occasione di socialità, di cooperazione, di mutuo aiuto tra
persone. Produce coesione e solidarietà dove la lotta per la casa rischia di
diventare una guerra tra poveri.
Investe sulle relazioni di vicinato e contribuisce alla costruzione della
comunità locale, mentre la convivenza diventa sempre più un aspetto critico
dell’abitare.
Per partecipare a un cantiere di autocostruzione è necessario avere la
disponibilità di un monte/ore settimanale per nucleo familiare, distribuite tra
le giornate di fine settimana (sabato e domenica) ed eventuali fasce orarie
libere in altri giorni della settimana. Il monte/ore settimanale e totale
necessario risulterà dalla progettazione definitiva e dai tempi in cui si
deciderà insieme di completare l’opera.
Non è necessario, anche se è auspicabile, avere competenze in uno dei campi
tecnici (edilizia, impiantistica varia, etc.) necessari sul cantiere.
E’ una occasione di autoformazione professionale e consente di acquisire
capacità e conoscenze preziose.
L’autocostruzione, che può essere totale o parziale (e con varie gradazioni),
consente un sensibile abbattimento del costo di costruzione e di accesso ad una
abitazione. L’abbattimento è in stretta relazione con la percentuale di opere
realizzate in autocostruzione, e può oscillare tra il 40 e il 60%.
L'Autocostruzione in Italia spesso è stata il pretesto di giochi politici ed
economici.
Dal 1999, anno in cui venne avviato il primo progetto a Vergiate (VR)
dall'architetto Cusatelli, padre dell'autocostruzione in Italia, ad oggi, sono
stati avviati qualcosa come 40 cantieri, in almeno 8 regioni italiane.
Il 90% di questi sono stati affidati ad Alisei ONG o sue società "figlie",
avente/i il compito di dirigere i lavori con personale tecnico qualificato,
istruire gli autocostruttori e amministrare le risorse economiche (linee di
credito intestate alle cooperative di autocostruttori).
Questi i progetti avviati da Alisei in Italia:
VERGIATE - VR: concluso.
AMMETO MARSCIANO - PG: concluso nel 2007, gravi difetti di costruzione,
infiltrazioni.
GABELLETTA - TERNI: nessuna informazione.
RIPA - PG: concluso.
BESANA BRIANZA - MI:nessuna informazione.
PADERNO DUGNANO - MI: non risulta avviato.
TREZZO SULL'ADDA - MI fermo dal 2009.
PIEVE EMANUELE - MI: fermi, mancano 1,3 milioni di €.
VIMODROME - MI: cantiere interrotto da 3 anni.
CASAMAGGIORE - CR: concluso con problemi strutturali, i proprietari abitano le
case senza avere rogitato.
SANT'ENEA - PG: finito nel luglio 2012.
SANPOLINO - BR: case rase al suolo.
BAREGGIO - MI: annullato.
PADOVA: concluso, ma con fondi del Ministero.
MONTERIGGIONI - SI: ancor prima di far partire il cantiere con la cooperativa
già avviata era già bella e sparita e i lavori non si sono mai avviati.
CADONEGHE - PD: cantiere bloccato da gennaio 2012.
PIEDIMONTE CE: in corso.
VILLARICCA - NA: in corso.
CAIAZZO - CE: in fase di avvio.
PIANGIPANE - RA: terminato con finanziamento della Regione.
SAVARNA - RA: avviato nel 2005 non è ancora stato completato.
FILETTO - RA: bloccato dal luglio 2009, buco di 500.000 €.
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