Il "caso Alicata" riapre una vecchia questione: lottare contro omofobia e
discriminazioni immunizza dal razzismo? Si può essere razzisti e democratici?
A Roma, nessuno avrebbe mai pensato di associare il nome di Cristiana Alicata a
un episodio di razzismo, vero o presunto. Dirigente Pd di osservanza "renziana", Alicata è nota per le sue battaglie a favore delle comunità gay, lesbiche e Lgbt.
Ma pochi giorni fa una sua dichiarazione sui rom ha fatto il giro della rete. E
ha provocato un terremoto.
Riassumiamo ad uso dei distratti. Domenica scorsa gli elettori del Pd erano
chiamati a scegliere, nelle elezioni primarie, il loro candidato sindaco. Ne è
uscito vincitore Ignazio Marino, che ha battuto il principale avversario, David
Sassoli. Commentando l'esito del voto, Cristiana Alicata ha accusato il
vincitore di brogli: "Le solite file di rom", ha scritto su Facebook, "che
quando ci sono le primarie si scoprono appassionati di politica...".
Parole forti, che non sono piaciute al gruppo dirigente del Pd. E che hanno
sollevato accuse esplicite di razzismo. Alla fine, Alicata ha rassegnato le
dimissioni da tutti gli incarichi di partito, ma ha voluto anche precisare la
sua posizione: "Dare a me, donna e lesbica, della razzista mi sembra un
paradosso", ha dichiarato all'Huffington Post, "capisco che, così come l'ho
scritto, il mio post può sembrare brutale, ma ho registrato quello che stava
succedendo. Non c'entra niente col razzismo".
Una donna, lesbica, attivista contro le discriminazioni, non può pronunciare
frasi razziste. Sarebbe una contraddizione in termini. Questa la tesi della
Alicata. Noi di Corriere Immigrazione, al di là dell'episodio di cronaca,
abbiamo deciso di soffermarci proprio su questo punto. E abbiamo provato a
rifletterne assieme a due esperti, entrambi romani: Marco Brazzoduro, docente
universitario (in pensione) di Politiche Sociali, e Ulderico Daniele,
ricercatore dell'Osservatorio Razzismo e Diversità dell'Ateneo di Roma Tre, e
dirigente della ong "Osservazione".
Razzisti e democratici: Quando leggiamo a voce alta le parole della Alicata,
Marco Brazzoduro si inalbera. E alza la voce. "È una sciocchezza questa", dice,
"l'antiziganismo, cioè la forma specifica di razzismo che si rivolge contro i
rom, è diffuso ben al di là degli ambienti di destra. Purtroppo abbiamo fior di
esempi, proprio qui a Roma, di antiziganismo "democratico"".
Chiediamo qualche spiegazione, e Brazzoduro non si fa pregare. "In Italia la
forma più odiosa di discriminazione sono i "campi nomadi"", spiega. "Sono veri e
propri ghetti. E i campi, a Roma, li hanno costruiti Rutelli e Veltroni, ben
prima di Alemanno. O sbaglio?".
Brazzoduro si sofferma anche sugli sgomberi: "Smantellare un insediamento senza
dare soluzioni alternative è una cosa gravissima, perché priva intere comunità –
uomini, donne e bambini – del diritto ad un'abitazione. Guardiamo cosa è
successo a Roma: gli sgomberi li ha fatti Alemanno, ma prima li hanno fatti
Veltroni e Rutelli. O no?".
Una forma specifica di razzismo? D'accordo, essere "democratici" e magari
"di
sinistra" non è una garanzia. Ma forse il discorso di Cristiana Alicata era più
complesso. La dirigente del Pd non si riferiva all'appartenenza ad uno
schieramento politico, ma ad un impegno personale e diretto contro le
discriminazioni. Forse un sindaco di centro-sinistra può essere razzista, ma
come può esserlo una che vive sulla propria pelle i pregiudizi contro le persone
omosessuali?
Marco Brazzoduro si ferma un attimo. "Le modalità con cui il razzismo si esprime
possono essere diverse", spiega. "C'è un razzismo più rozzo, quello che dice che
i rom sono ladri e delinquenti, sfruttano i bambini, rubano nelle case e così
via. E poi esiste un razzismo "rispettabile", democratico... è il razzismo dei
distinguo, di quelli che dicono "io non ce l'ho con i rom, però anche loro...". Il
razzismo di chi magari vuole lo sgombero "per il loro bene", "perché non è
giusto che vivano in condizioni inumane". Come se buttare le persone in mezzo a
una strada fosse una soluzione...".
Esiste insomma, dice Brazzoduro, un pregiudizio più difficile da decifrare, e
per questo più diffuso anche in ambienti "insospettabili". "Per esempio esiste
il razzismo del merito", spiega, "quello che dice "io ai rom voglio dare la
casa, ma loro se la devono meritare". Non ci si accorge che anche questa è una
forma di discriminazione. Se un italiano non-rom commette un reato, nessuno si
sogna di levargli la casa: subirà un processo, andrà in carcere, ma poi quando
esce tornerà a casa sua. Per i rom invece si prevede una doppia pena, vai in
galera e nel frattempo ti revoco l'assegnazione della piazzola al campo...".
Lo stereotipo della vittima: "Razzismo democratico", "razzismo del merito".
"Sgomberiamoli per il loro bene". Stereotipi "gentili", pronunciati da persone
che usano il termine "rom" per evitare gli epiteti più offensivi ("zingari", "nomadi"). Ulderico Daniele condivide questa analisi, e aggiunge un altro
elemento: "nel caso specifico della Alicata mi sembra che sia all'opera anche un
altro meccanismo, quello che definirei lo "stereotipo della vittima"".
Daniele si ferma un attimo per raccogliere le idee. Poi prosegue: "il razzismo
non è fatto solo di toni offensivi e brutali. Al contrario. I pregiudizi si
nutrono spesso di parole accoglienti, protettive. Il colonialismo europeo, per
esempio, ha sempre affermato la necessità di "aiutare" i popoli considerati meno
evoluti: non date il pesce, si diceva, insegnate loro a pescare. Il sottinteso
era che i "primitivi" non sapessero pescare da soli, cioè non fossero capaci di
vivere autonomamente, di fare le loro scelte".
"Questo in fondo", prosegue Daniele, "era il sottinteso delle parole pronunciate
dalla Alicata: se i rom vanno ai seggi per le primarie non è per una loro scelta
autonoma, che ovviamente può essere giusta o sbagliata, condivisibile o non
condivisibile, ma perché sono manipolati da altri. Sono vittime di macchinazioni
esterne, non esseri umani che scelgono, partecipano, dicono la loro, elaborano
le proprie strategie. I rom sarebbero soggetti passivi, capaci solo di
subire...".
Se i rom non possono avere un conto in banca "Voglio farvi un esempio", prosegue
Daniele. "Qui a Roma sono state fatte delle indagini patrimoniali, da cui è
emerso che alcuni rom dei campi possedevano proprie ricchezze: conti in banca,
proprietà immobiliari, risparmi nascosti sotto il materasso... Apriti cielo! Si è
scatenata la solita canea dei rom con la Mercedes, che fingono di essere poveri
per elemosinare un po' di aiuti al Comune...".
Ma cosa c'entrano le Mercedes con il razzismo democratico? "C'entrano", spiega
Ulderico Daniele, "per vari motivi. Anzitutto, per questo modo di vedere i rom
come un'entità unica e monolitica. Il mondo dei rom e dei sinti è fatto di
migliaia di persone: che tra di loro ci siano anche delinquenti, truffatori e
"furbi" di vario tipo non dovrebbe stupire. E invece l'approccio è sempre il
solito: i rom devono essere per forza tutti ladri o tutti santi. Se uno di loro
viene sorpreso a rubare, se ne deduce che sono tutti ladri. Se si scopre che una
famiglia è ricca, tutti i rom diventano proprietari di Mercedes...".
Ma il punto, per Ulderico Daniele, non è solo questo. "Non si è fatta nessuna
distinzione tra le famiglie che erano effettivamente ricche, e quelle che invece
avevano accumulato qualche risparmio. Avere un piccolo conto in banca, magari
per far fronte a spese impreviste, o per aiutare un familiare in difficoltà, è
cosa diversa dall'essere ricchi sfondati. L'accumulazione di risparmi è da
sempre una strategia di sopravvivenza dei ceti sociali più poveri: si pensi a
quel che facevano gli emigranti italiani qualche decennio fa, alle rimesse che
inviavano ai familiari rimasti in patria... e loro mica erano ricchi".
"Ecco", conclude Daniele, "qui vediamo all'opera lo stereotipo della vittima. I
rom devono essere per forza tutti indifesi, inermi, passivi. L'idea che possano
elaborare proprie strategie per resistere a condizioni di segregazione, non
passa per la mente a nessuno: così, quando si scopre che una famiglia ha un
piccolo conto in banca, non si pensa a persone che faticosamente, mese dopo
mese, hanno messo da parte qualche risparmio per i periodi peggiori. Si pensa
subito allo zingaro con la Mercedes. E non si fanno distinzioni".
Il razzismo, ci dicono insomma i nostri interlocutori, è un fenomeno complesso e
multiforme. Non assume sempre i toni dell'aggressione verbale o fisica, ma è più
spesso un insieme di associazioni mentali, di presupposti dati per scontati, di
generalizzazioni arbitrarie che appaiono plausibili e ovvie. Che possono
albergare anche negli spiriti più "tolleranti".
Di Fabrizio (del 14/04/2013 @ 09:01:51, in Regole, visitato 2116 volte)
Scritto da: Pierpaolo Farina, 11 aprile 2013
Pisapia dà 30mila euro ad ogni famiglia rom. Questo, in soldoni, il messaggio
che nelle ultime ore è rimbalzato per tutti i social networks, facebook in
primis. La notizia, ovviamente, l'ha data Libero, che parla anche di 20 case
prefabbricate, per una spesa complessiva di 700mila euro.
Peccato che non sia vero. Perché il Piano Rom varato dalla giunta Pisapia a
luglio non prevede affatto di dare contributi di natura economica a ciascuna
famiglia rom, come invece prevedeva quello varato dalla giunta Moratti nel 2008:
furono spesi 8 milioni di euro, (15mila euro a ciascuna famiglia), ma il problema
non fu risolto, perché dopo un breve soggiorno nei paesi d'origine, i Rom
lautamente pagati dalla Moratti tornarono in città.
Per inciso, poi il Piano Rom della Moratti fu bocciato il 6 novembre 2011 dal
Consiglio di Stato, in quanto la presenza Rom non è straordinaria, e quindi di
natura emergenziale, bensì ordinaria.
Il Piano Rom varato dalla giunta Pisapia il mese scorso ha sbloccato
5 milioni
di euro di fondi statali, vincolati dalla legge Maroni del 2008 ad azioni per la
gestione della presenza rom sul territorio milanese (dunque, se non si possono
utilizzare per fare altro, il centrodestra se la prendesse con il proprio
ex-ministro e attuale presidente della Lombardia).
In ogni caso, per rassicurare i patiti dello slogan "L'Italia agli italiani", il
piano Rom della giunta Pisapia prevede tre tappe, tutte finanziate dallo Stato:
Allontanamenti programmati dai campi abusivi e messa in sicurezza dei terreni
per impedire la rioccupazione;
Ospitalità nei centri di emergenza sociale, nei dormitori gestiti dalla
Protezione civile, Terzo settore e controllati dalla Polizia locale;
Un percorso di integrazione proposto dal "Piano Rom" che prevede, a fronte
dell'assistenza, l'obbligo a mandare i figli a scuola, seguire un percorso di
formazione professionale e la disponibilità a collaborare con i servizi sociali.
Ora, non è Pisapia che decide di dare i soldi alle famiglie Rom: è la
legge
Maroni che vincola quei 5 milioni di euro. E in ogni caso, il Piano Rom
approvato dalla giunta non prevede l'erogazione di contributi nella misura di
30mila euro per ogni famiglia rom. E dunque? E dunque, smettete di leggere
Libero, se mai foste talmente masochisti da spendere soldi per restare
disinformati.
Di Fabrizio (del 13/04/2013 @ 10:43:00, in conflitti, visitato 3559 volte)
COMUNICATO STAMPA Gruppo sostegno Forlanini - 333/4451206
Nella notte tra il 12 e il 13 aprile, poco prima dell'una, alcune persone
hanno tentato di lanciare delle bottiglie incendiarie oltre i cancelli
dell'insediamento rom informale di via Dione Cassio, in zona viale Ungheria (est
di Milano, zona 4). La pronta reazione degli abitanti ha evitato l'attentato,
con la fuga degli assalitori.
Secondo le testimonianze degli abitanti del campo, nei dintorni c'era un
inquietante andirivieni di auto che ha accompagnato l'attacco e ha raccolto i
fuggiaschi.
Si tratta della conseguenza di una squallida manifestazione neofascista -
imbastita da organizzazioni collaterali alla Fiamma Tricolore - che si è tenuta
nel tardo pomeriggio di venerdì, tra saluti romani, urla da stadio e soprattutto
slogan inquietanti, inneggianti al farsi giustizia da sé, all'esasperazione di
toni razzisti, alla retorica della xenofobia e del degrado.
Riteniamo profondamente sbagliato che la Questura abbia concesso
l'autorizzazione a questa manifestazione, malgrado la richiesta preventiva che
avevamo formulato, sensibilizzando tempestivamente le autorità.
Riteniamo pericolosissimo che gli slogan razzisti di qualche ora prima
abbiano avuto il loro esito in questo attacco notturno, che poteva causare una
strage crudele.
Riteniamo che non si stato assolutamente adeguato il presidio delle forze
dell'ordine nei confronti del campo, che pure avevamo sollecitato, rispetto ai
prevedibili strascichi della manifestazione; al momento dell'attacco, una
pattuglia della polizia di stato stazionava a diverse centinaia di metri
dall'insediamento, all'angolo tra via Quintiliano e via Dione Cassio, e non è
intervenuta tempestivamente, quando invece sarebbe stato più opportuno un
presidio davanti all'entrata del campo. La nostra richiesta di un intervento dei
Carabinieri tramite il 112, fatta nella notte a ridosso dell'attacco, non ha
avuto esiti.
Le hanno detto che puzza ed è stupida, è finita in psichiatria
- Barbara Matejcic -
22.01.2013.
Alla fine dell'anno scolastico T.M. (14 anni) avrebbe terminato la scuola primaria e
avrebbe continuato gli studi, probabilmente in un istituto turistico dove
avrebbe ottenuto il diploma da cuoca. Questo era il suo sogno.
Invece T.M. è a casa da mesi, assume farmaci potenti, dorme molto, guarda la
televisione, ripassa poco le lezioni e tralascia lo studio. All'inizio dell'anno
scolastico, il 15 settembre, è stata ricoverata all'ospedale municipale a
Cakovec con la diagnosi di "disturbi d'ansia", così è scritto nella cartella
clinica. Due giorni prima si mostrava estremamente spaventata, dormiva male, era
ansiosa e nervosa, piangeva, non mangiava quasi nulla, aveva gli incubi e
pregava la madre di stare sempre con lei. É Stata ricoverata a Cakovec per un
peggioramento delle sue condizioni e, dopo tre giorni, è stata trasferita
all'Ospedale psichiatrico per bambini e giovani di Kukuljevicevo, a
Zagabria.
Nel reparto psichiatrico di Kukuljevicevo è stata messa su una barella, piangeva
e chiamava la madre e si lamentava delle vessazioni subite da parte dei compagni
di classe, secondo le dichiarazioni uscite dall'ospedale.
T.M. è alunna della scuola primaria Hodosan del comune di Međimursko. È l'unica
rom tra i 16 alunni della sua classe. La sua famiglia proviene dal villaggio rom
di Pribislav trasferitasi da due anni e mezzo nella cittadina di Hodosan. Suo
padre V.M. dice che se ne andarono da Pribislav a causa della povertà del
villaggio e nella speranza in un futuro migliore. A Hodosan hanno una bella casa
dove ci troviamo a parlare. Nella stanza di T.M. le pareti sono tinte di rosa
e viola con fiori applicati e le scritte "Love" e "Girl".
[] Il direttore "Non si possono educare i bambini a bastonate ne influenzarne i
genitori"
Il padre sostiene che abbia avuto problemi nella scuola di Hodosan dopo il
passaggio in 6a. Sedeva da sola in ultima fila, gli altri bambini la chiamavano
"zingara", le dicevano che puzza e che è stupida, non volevano stare in sua
compagnia, non volevano nemmeno prenderle la palla dalle mani durante l'ora di
educazione fisica e lei spesso tornava a casa piangendo.
Nonostante ciò era brava a scuola, ha frequentato i corsi supplementari ed ha
superato la 6a e la 7a classe con successo. Il padre ha detto di essersi recato
alla scuola una trentina di volte per segnalare il comportamento degli studenti
ma il preside gli ha risposto che "non si possono educare i bambini col bastone
ne influenzarne i genitori". Nel giugno 2012, durante un'assemblea di classe, il
padre della ragazza ha pregato i genitori degli altri alunni di parlare ai
propri figli. Chiese aiuto al centro per l'aiuto sociale dicendo che avrebbe
tolto la figlia dalla scuola a causa dei pericoli per la sua salute mentale, gli
è stato risposto che avrebbe dovuto pagare una multa per l'abbandono scolastico.
All'inizio di quest'anno scolastico T.M. è crollata e da allora, sotto
consiglio medico, ha smesso di frequentare le lezioni.
Durante un'intervista telefonica l'insegnante Zeljka Tot ha detto "i bambini
sono bambini" ma ha affermato di non aver mai sentito parlare di maltrattamenti.
T.M. è stata descritta come una bambina coscienziosa e solitaria che studia
molto. Non ha mai dato problemi agli insegnanti. Ha aggiunto che non
socializzava con gli altri bambini. Il padre dice che, da quando ha smesso di
andare a scuola, nessuno ha mai chiamato per sapere come stava, ne gli studenti
ne gli insegnanti. L'insegnante ha confermato dandone la causa ai genitori che
non avrebbero saputo motivarne l'assenza.
Il direttore Ivan Baric ha detto a sua volta che si tratta di "una scuola
piccola, pacifica ed esemplare" e che non ci sarebbe niente di cui lamentarsi in
T. M., ma che le accuse del padre non sono vere. Ha confermato che il padre
fosse venuto a scuola ma solo "due o tre volte" e di certo non più di dieci.
"Non abbiamo notato nulla di quello che ha affermato, ma non possiamo sapere
esattamente cosa sia successo. Sappiamo molto sulla popolazione rom e spesso
costringono le bambine a ritirarsi dalla scuola primaria per farle sposare
precocemente " afferma il direttore Baric.
Però il padre insiste sull'importanza di continuare l'educazione della figlia e
intende trasferirla in un'altra scuola, a Kraljevec. "I medici hanno detto che è
ora sta meglio e che può tornare a scuola, ma non voglio più mandarla in quella
vecchia. Speriamo bene, altrimenti non riuscirà a finire l'ottava classe e a
continuare gli studi" ci ha detto lunedì 21 gennaio.
L'ispezione del Ministero non ha contattato i genitori
Nel frattempo, la scuola di Hodosan è stata oggetto di un'ispezione da parte del
Ministero della Scienza, dell'Istruzione e dello Sport, che ha rilevato che ne
gli insegnanti ne gli studenti avevano violato il codice etico di condotta degli
studenti e che i genitori, che avevano accusato la scuola di discriminazione,
non avrebbero specificato quando e in che modo fosse avvenuta, come indicato
nella lettera che hanno mandato dal Ministero.
Ma il padre di T. M. dice che nessuno li ha contattati in questi mesi, ne dal
Ministero ne dalla scuola, per cui si può concludere che l'ispezione del
Ministero non ha considerato le dichiarazioni di entrambe le parti e che la
conclusione è stata fatta solo sulla base di ciò che è stato detto a scuola.
Inoltre, la lettera del Ministero non menziona nemmeno le misure che potrebbero
essere adottate per reinserire la studentessa in classe e per farle terminare la
scuola primaria. Come è invece la raccomandazione del medico dell'ospedale
psichiatrico "si chiede la partecipazione della scuola e l'aiuto del personale
docente nel lavorare per migliorare le relazioni della ragazza coi compagni."
Lucia Kuharic, avvocato del Centro di Studi per la Pace al quale il padre ha
chiesto aiuto, ha detto che in tali situazioni la scuola, in base alla legge
antidiscriminazione, debba essere segnalata col ragionevole sospetto di
discriminazione presso il mediatore o ombudsman speciali previo consenso della
persona ritenuta oggetto di discriminazione. Inoltre, dice, la scuola dovrebbe
prendere alcune misure per fermare la condotta violenta nei confronti di un
bambino, condurre immediatamente un colloquio col vittima di violenza in
presenza di uno staff di scuola professionale, fornire ai genitori il
riferimento per ottenere un aiuto professionale il più presto possibile,
condurre un colloquio con il bambino o i bambini che hanno commesso violenza
mostrando loro l'inaccettabilità di tale comportamento così come ai loro
genitori e riportare tutto ciò all'interno di un rapporto ufficiale.
La scuola, dice l'avvocato, non ha fornito le prove di aver agito secondo le
regole ed il padre di T.M. è pronto a citare in giudizio la scuola per
discriminazione.
Di Fabrizio (del 12/04/2013 @ 09:09:50, in Italia, visitato 1943 volte)
Io, la festa di un popolo, l'ho sempre sognata come quella dei francesi il 14
luglio:
che si saranno tagliate anche le teste, ci saranno state le guerre, ma alla fine
"...una folla allegra e sorridente si riversa nelle strade, ai bambini si
concede tutto, i bar possono allargare quasi al limite i loro dehors, si balla e
si fa festa, si fanno pic nic sugli enormi prati tra la Tour Eiffel e l'Ecole
Militaire e ci si emoziona a guardare i grandiosi fuochi d'artificio sugli
Champs de Mars." [testo e immagine da
MAGAZINE FOTOGRAFIA]
Mi piacerebbe che questo giorno di pazzia tranquilla e contagiosa fosse:
un momento comune, da tutti condiviso;
fosse concesso ANCHE ai Rom e ai Sinti, e che la loro
giornata diventasse un'invasione pacifica delle nostre strade e
delle nostre piazze.
"Fosse concesso", per la semplice ragione che Rom e Sinti non sono animali o
fenomeni da baraccone (e neanche spaventapasseri da agitare in periodo
elettorale): a festeggiare, a ricordare le loro storie - belle o brutte che
siano - sono capacissimi da soli, nei loro tuguri isolati dal nostro mondo, ma
vorrei che, magari un giorno all'anno, ci concedessimo NOI il lusso della loro
compagnia.
8 aprile:
GIORNATA INTERNAZIONALE DEL POPOLO ROM. La vigilia ero al
Teatro Valle Occupato di Roma, a festeggiare il ROMANO DIVES con
amici vecchi e nuovi da tutta Italia e anche dall'estero. E musica, balli, vino,
poesia e teatro (persino una giornata di sole dopo mesi e mesi di pioggia!)...
Che io fossi Rom oppure no, sono uscito dal teatro e mi pareva di camminare ad
un metro da terra.
In città, in quelle stesse ore, si stava svolgendo un'altra festa, più laica
e compassata ma altrettanto importante: le PRIMARIE per scegliere il candidato
del centro-sinistra a sindaco di Roma. Non ho capito bene come (è un classico
del nostro tempo: le notizie girano ma non le capiamo), la festa civile e
democratica che doveva essere la conclusione delle primarie, si è tramutata in
una bassa polemica sui Rom richiamati alle urne da qualche prebenda.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: ma neanche il giorno
della propria festa si può rimanere in pace?? O dite che la cosa è
stata fatta apposta?
Io non lo so, chi ha lanciato il sasso, pronta, ha ritirato la mano: "Non è
razzismo!" si è subito giustificata. Così qualche ora dopo (mi aspettavo una
reazione sincronica del PDL, lo ammetto), è il Movimento 5 Stelle, anzi il suo
candidato a sindaco di Roma, che riprende la palla con la foto riportata sotto.
Devo dirlo, la tristezza è triplicata:
perché così si sono rovinate due feste lo stesso giorno, e
chi non sa godersi l'atmosfera della festa, non sarà (credo)
qualcuno di cui fidarmi;
Cristiana Alicata e Marcello De Vito non sono residuati bellici,
sono invece quella politica che avremo di fronte in un futuro
prossimo, sono quello si dice "IL NUOVO". Un nuovo, che non
riesco a distinguere dal resto del vecchiume.
Termino, ricordando una bella pagina:
Laura Boldrini, la Presidente della Camera, che riceve una delegazione di
giovani (ancora, il futuro che ritorna) rom e sinti proprio l'8 aprile. Qualcosa
si è rotto nel silenzio dei media, e così la notizia gira su diverse testate. Ne
parla anche
il Giornale, con un articolo che non condivido, ma mi è piaciuto perché
rispettoso, anche se critico.
Quello che nuovamente mi ha rattristato sono i commenti, beceri, di chi fa di
tutto per dimostrare che punti di contatto non ne vuole, non ne cerca, neanche
un giorno all'anno.
Non sono rom, questo almeno lo so, ma quel che è peggio è che in momenti
simili, credo di non essere più nemmeno italiano. Forse, è giusto così.
Di Fabrizio (del 11/04/2013 @ 09:09:10, in casa, visitato 1464 volte)
Messina: a un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di abitazioni per
i rom promosso dal Comune, quasi ultimati 10 appartamenti dove abitano
complessivamente 70 rom che prima vivevano in un campo fatiscente: costo
complessivo solo 150 mila euro.
Chiudere un campo e permettere a rom e sinti di vivere in casa, si può fare:
costa anche dieci volte meno di un campo attrezzato, risparmiano i cittadini e
ne beneficiano tutti in termini di integrazione. È quanto sta succedendo a
Messina, dove ad un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di
abitazioni per i rom promosso dal Comune, sono stati realizzati e quasi ultimati
ben 10 appartamenti dove ci abitano complessivamente 70 rom che prima vivevano
in un campo fatiscente: costo complessivo dell'operazione? Solo 150 mila euro.
Proprio nella giornata internazionale per i Rom, che si celebra oggi, a fare il
punto con Redattore Sociale sull'andamento dei lavori è l'ex assessore alle
politiche per l'Integrazione multietnica, Dario Caroniti, uno dei promotori del
progetto "Casa e/è lavoro" prima del commissariamento del Comune di Messina.
"L'ultima parte del progetto si sta esaurendo proprio in queste settimane -
spiega Caroniti -. Sono ormai completati i lavori degli ultimi quattro
appartamenti". Tuttavia, le 10 famiglie allargate sono già tutte in casa.
Il progetto è stato realizzato per iniziativa del Comune e grazie ai fondi messi
a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Gli
appartamenti, inoltre, resteranno di proprietà del Comune. "Per i primi anni i
rom non pagheranno l'affitto perché si terrà conto del loro lavoro - ha spiegato
Caroniti -, poi, dopo 5 o 6 anni, cominceranno a pagare un canone sociale. I rom
non hanno partecipato alle spese, ma hanno lavorato". In fase di avvio del
progetto, dieci rom sono stati coinvolti in un percorso di formazione promosso
dalla Scuola Edile, al termine del quale sono stati consegnati gli attestati per
la sicurezza sul lavoro. E sono stati loro, insieme a ditte specializzate, a
rimettere a nuovo stabili abbandonati all'interno della città. "Alcuni
appartamenti si trovano vicino al capolinea del tram - spiega Caroniti -,
all'inizio di una zona residenziale. Erano appartamenti al pian terreno
abbandonati nel degrado più totale. Altri appartamenti, invece, si trovano in un
villaggio di Messina centro e sono stati realizzati partendo da una scuola
chiusa". Non sono situati nel centro storico, spiega Caroniti, ma non sono
neanche in periferia: sono nel centro urbano, "in quartieri popolari dove si è
verificato un inserimento completo per la maggior parte dei rom".
Il progetto realizzato a Messina, racconta Caroniti, è il primo sull'isola, ma
in Italia di esperienze di questo tipo ce ne sono altre. Come quella di Padova,
dove sono state costruite alcune abitazioni, sempre in autocostruzione. È il
Villaggio della Speranza, seguito dall'Opera nomadi di Padova Onlus e realizzato
grazie al finanziamento del Comune di Padova e dell'allora Ministero della
Solidarietà sociale. In questo caso, sono 12 i nuclei di famiglie sinte che
hanno lasciato uno dei due campi di Padova per trasferirsi nelle 12 abitazioni
realizzate, anche in questo caso, non lontane dal centro della città. "Il
progetto si è concluso nel 2009 - racconta Marta Silvi, operatrice dell'Opera
nomadi Padova -. Le famiglie sono tutte entrate in casa e sono tutte sistemate
negli alloggi che funzionano perfettamente, consentendo la chiusura del campo di
via Tassinari. Erano tre macronuclei, tutte con parentela tra di loro: circa 30
persone". I costi per la realizzazione delle abitazioni, in questo caso, sono
stati maggiori di quelli del progetto siciliano. Si parla di circa 750 mila
euro, ma per abitazioni nuove. "Il comune di Padova ha messo a disposizione il
terreno e la prima parte dei finanziamenti - spiega Silvi -. Il resto dei fondi
sono arrivati dall'allora Ministro della Solidarietà sociale, Ferrero. Gli
alloggi sono di proprietà del Comune e le famiglie che vi risiedono pagano
l'affitto in base all'Isee".
In tutti e due i casi, inoltre, è bastato un solo anno di lavoro dalla posa
della prima pietra per vedere il progetto realizzato. Un po' più lunghe le fasi
di progettazione, ma alla fine, spiegano i responsabili dei vari progetti, non
ci sono stati intoppi e lungaggini. Quel che balza agli occhi, però, è il costo
netto dei due progetti confrontati con le spese che affrontano le
amministrazioni comunali per tenere in piedi campi attrezzati. Uno su tutti,
l'esempio di Roma, dove secondo l'associazione 21 luglio, da anni impegnata
nella difesa dei diritti dei rom, i costi procapite per i rom residenti nei
campi voluti dal "Piano nomadi" sono ben più alti. Prendendo in considerazione
il nuovo campo della Barbuta, infatti, tra costi di realizzazione (stimati
dall'associazione in 10 milioni di euro per accogliere 600 persone) e di
mantenimento (circa 450 euro al mese a persona, secondo la 21 luglio), per
singolo rom il Comune di Roma arriva a spendere oltre 20 mila euro. Per una
comunità di 70 persone, come a Messina, si supera quota 1,5 milioni di euro,
contro i 150 mila utilizzati in Sicilia. Le case realizzate dagli stessi rom e
sinti, inoltre, non hanno un costo annuo. Hanno comportato soltanto una spesa
iniziale, nel caso di Messina inferiore di dieci volte alla stima della 21
luglio per la capitale, restano di proprietà del Comune, gli inquilini pagano
regolarmente affitto e utenze e soprattutto risiedono all'interno del tessuto
sociale da cui troppo spesso sono tagliati fuori.
Di Sucar Drom (del 10/04/2013 @ 09:05:16, in blog, visitato 1308 volte)
Mantova, blitz inaccettabile!
Pubblichiamo il comunicato stampa del Consiglio direttivo dell'associazione
Sucar Drom, dopo il "blitz" delle Forze dell'Ordine che ha visto coinvolte
alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica sinta...
Mantova, la Federazione stigmatizza le modalità del blitz
La Federazione Rom e Sinti Insieme denuncia l’uso abnorme e sproporzionato della
"Forza Pubblica" nell’intervento congiunto effettuato martedì scorso, 26 marzo,
in zona Trincerone...
Mantova, Sucar Drom: il Sindaco risponda alle cinque domande!
Respingiamo con forza le accuse formulate dal Sindaco di Mantova (in foto) e
dall'Assessore comunale Rose. Il Sindaco di Mantova difende il Comandante e il
Vice comandante della Polizia Municipale, ma...
Mantova, manifestazione CHER PAR KROLL
L'associazione Sucar Drom, insieme alla Federazione Rom e Sinti Insieme, invita
tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI"
per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani, appartenenti alle
minoranze linguistiche sinte...
Mantova, presentata interrogazione in Consiglio comunale
Pubblichiamo l'interrogazione a risposta scritta presentata dal Consigliere
comunale Claudio Bondioli Bettinelli (in foto), Capogruppo "Insieme per Brioni
Sindaco", relativa all’operazione delle Forze dell’ordine, coordinate dalla
Polizia locale, in zona Trincerone, del 26 marzo 2013...
Mantova, revocata la manifestazione IA CHER PAR KROLL – UNA CASA PER TUTTI
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina, ha
avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto...
Venerdì 12 aprile, 2013, h. 17.30. Piazza San Leonardo a Mantova, presso il
Teatro del Palazzo del Mago Invitiamo tutti a partecipare alla pubblica assemblea
"IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa
per i Cittadini italiani, appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per conoscere le problematiche vissute dai sinti sul tema
dell'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire all'assemblea pubblica
scrivendo a info@sucardrom.eu
Nel più grande campo profughi dei Balcani, i rom fuggiti dalla guerra del Kosovo
hanno passato mesi in container di metallo senza elettricità, dopo che le
baracche in cui vivevano erano andate a fuoco. (Questo articolo è stato originariamente pubblicato da
Balkan Insight il 13
marzo 2013, col titolo
Montenegro's Container Camp Refugees Survive Winter
Freeze)
Le file di scatole bianche di metallo sono l'unico segno di ordine in mezzo al
caos del campo di Konik, impantanato nel buio del tardo pomeriggio nonostante il
clamore dei bambini che giocano e la musica proveniente dai container i cui
abitanti sono riusciti a 'prendere in prestito' elettricità dalle case vicine.
Siamo nel più grande campo profughi dei Balcani, situato alla periferia della
capitale montenegrina, dove vivono 1.500 profughi rom che hanno lasciato il
Kosovo durante il conflitto fra le guerriglie albanesi e le forze del governo
serbo nel 1999.
Valjdet Ramaj è uno degli abitanti del campo. La sua famiglia viveva in una fra
le tante fatiscenti baracche di legno disposte su un terreno abbandonato coperto
di spazzatura, ma è stata trasferita in una tenda quando la maggior parte di
queste strutture sono bruciate nell'incendio che ha devastato il campo a luglio
dell'anno scorso. Nel mese di novembre 2012, il governo montenegrino ha fornito
oltre 200 container da utilizzare come abitazioni temporanee, promettendo che
l'elettricità sarebbe stata installata. Ma, all'inizio dell'inverno,
l'elettricità non è arrivata.
"Le capanne erano migliori, più calde", ha dichiarato Ramaj a BIRN, affermando
che vivere in un container è "quasi come vivere in un congelatore".
Diverse decine di persone hanno protestato davanti alla sede della delegazione
UE a Podgorica nel mese di gennaio, chiedendo l'installazione dell'elettricità.
"I miei figli vanno a scuola. Quando tornano la sera, non possono fare i
compiti. È buio. Non vogliono andare a scuola. Non riescono a leggere. Non
riescono a vedere", ha detto a BIRN un altro residente del campo, Gasi Gani.
Una bolletta da 800.000 euro
Prima dell'incendio, gli abitanti di Konik avevano usato elettricità senza
pagare fino ad accumulare un debito di 800.000 euro nei confronti dell'Elektroprivreda
Crne Gore (compagnia elettrica del Montenegro, a maggioranza statale): una somma
che è improbabile i rifugiati possano mai possedere. Il problema è ora sulla via
di soluzione, anche se Zheljko Shofranac, direttore dell'Ufficio per i rifugiati
del Montenegro, ha avvertito che "nessuno può essere più esentato dall'obbligo
di pagare l'elettricità".
Molti dei rifugiati che vivono nel campo sono ancora in attesa che le autorità
risolvano la questione del loro status giuridico in Montenegro, e non hanno
quindi i documenti necessari per ottenere posti di lavoro. Ma dopo aver
trascorso la maggior parte dell'inverno al freddo, Ramaj dice di essere pronto a
firmare un contratto con la società di energia elettrica, anche se non è ancora
sicuro di come riuscirà a pagare le bollette.
"Cercheremo una soluzione, faremo qualcosa... faremo la fame, ma almeno saremo
in grado di vedere quello che mangiamo e beviamo", dice Ramaj.
Anche se manca poco alla primavera e all'arrivo della luce, per alcuni dei
rifugiati le serate sono destinate a rimanere buie. Non c'è luce nelle nove
baracche di legno sparse sulla terra senza erba, fra enormi pozzanghere, in
fondo al campo: le uniche case sopravvissute all'incendio dello scorso anno. A
differenza di chi sta nei container, le 350 persone che vivono qui non avranno
elettricità fino a quando i residenti del campo non avranno saldato il debito.
"Il debito deve essere pagato perché loro possano usare l'elettricità", ha
dichiarato SHofranac, che ha promesso: "Il governo è consapevole del problema e
sta cercando una soluzione con l'azienda elettrica".
Una luce nelle tenebre
Alcuni residenti di Podgorica sembrano simpatizzare con la difficile situazione
dei rifugiati: "Una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più
deboli", ha dichiarato a BIRN un abitante del luogo.
Ma la situazione al campo Konik è il segno di un problema più ampio che affligge
il Montenegro da anni. Anche se il paese è riuscito a evitare alcune delle più
dure conseguenze delle guerre degli anni novanta, alla fine di quel decennio
oltre il 10 per cento della popolazione era costituita da rifugiati. Ora vanno
affrontate le questioni abitative di quei rifugiati che hanno deciso di restare,
dato che sia il governo che le organizzazioni internazionali sono consapevoli
del fatto che né i container né le baracche di legno rappresentano una soluzione
al problema.
I funzionari di Podgorica sperano di ottenere il denaro necessario per
migliorare la situazione attraverso le donazioni di un progetto internazionale
istituito lo scorso anno in una conferenza a Sarajevo, che ha raccolto finora
270 milioni di euro, nel tentativo di risolvere i problemi logistici dei
profughi in Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia.
Nel marzo dello scorso anno, dopo un accordo tra il Montenegro e l'Unione
europea, tre milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 90
appartamenti e un community center per le famiglie che vivono nel campo di Konik.
"Questo progetto dovrebbe essere un indicatore dei risultati raggiunti e degli
standard che dobbiamo raggiungere per avviare i progetti che saranno realizzati
attraverso il processo di Sarajevo", ha dichiarato Shofranac.
Altri due progetti volti a fornire alloggi per i rifugiati del Kosovo sono stati
proposti per il sostegno dei donatori di Sarajevo. Uno di questi prevede la
costruzione di 62 appartamenti a Nikshic, seconda città del Montenegro, e un
altro dovrebbe fornire ulteriori 42 appartamenti per i residenti del campo di
Konik.
I lavori di costruzione dovrebbero iniziare nel settembre di quest'anno. Ma fino
a quando le nuove case non saranno ultimate, la maggior parte dei profughi
continuerà a vivere nei container di metallo e guardare con invidia alle case di
pietra e mattoni dei loro vicini.
Di Fabrizio (del 08/04/2013 @ 09:03:34, in Italia, visitato 1665 volte)
Intervista a Dolores Barbetta - Laura Eduati,
L'Huffington Post | Pubblicato: 07/04/2013 13:04 CEST
Al liceo i compagni di classe si stupivano che non portasse le gonne lunghe
delle zingare e che vivesse in una casa con quattro mura e un bagno. D'altronde
suo padre, operaio Fiat a Melfi, quando era piccola le ripeteva che avrebbe
sempre incontrato persone ottuse e ignoranti. Glielo diceva in romanés, la
lingua dei rom, la stessa con la quale ora Dolores Barbetta si rivolge alle
nomadi che chiedono l'elemosina in metropolitana: lontane anni luce dalla sua
esperienza di vita ma vicine nella tradizione culturale.
"Non sono mai entrata in un campo rom", confessa questa ragazza di 27 anni,
laureata in lettere e residente a Roma, che lunedì varcherà il portone di
Montecitorio per incontrare la presidente Laura Boldrini in occasione della
Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Con lei un gruppo di ragazzi rom
dell'Associazione 21 luglio: una vittima degli sgomberi forzati, uno studente di
Milano, una madre residente in un campo rom romano e un apolide. Dolores dice
che in quel momento, mentre entrerà alla Camera, si sentirà "una mosca bianca":
"So che la mia vita, la mia realtà, le mie giornate sono completamente diverse e
molto più fortunate della stragrande maggioranza dei rom che vivono in Italia".
Dolores sta frequentando un corso di ripresa e montaggio: vorrebbe girare presto docu-film. Legge con passione i romanzi di Irène Némirovski e Haruki Murakami.
Come moltissimi suoi coetanei, teme di dovere fare le valigie e andare
all'estero per trovare un lavoro. E sulla crisi politica dice: "Grillo era una
grande speranza e invece sta facendo il despota".
Cosa dirà a Laura Boldrini?
Dirò che i rom hanno bisogno di integrazione e gli apolidi, nati in Italia da
profughi della ex Jugoslavia, hanno bisogno della cittadinanza italiana. I
bambini che vivono segregati in questi ghetti vengono portati a scuola da
autobus con una R sulla fiancata, vivono molto lontani dai centri abitati e non
possono giocare e fare i compiti con i loro compagni
come succedeva a me, a
Melfi.
A Melfi esiste una nutrita comunità rom. La sua famiglia ha subito
discriminazioni?
I rom vivono a Melfi dal 1600. Viviamo tutti negli appartamenti, siamo italiani
e abbiamo naturalmente la cittadinanza. Eppure i gagé (i non-rom, ndr) ancora
oggi ci guardano con diffidenza. Per esempio i miei nonni materni non volevano
che mia madre sposasse "uno zingaro" ma poi il matrimonio si è celebrato
ugualmente. E quando si gioca a calcio e arriva una squadra da un'altra città
allora partono i cori dei tifosi contro gli zingari. Da piccola mi vergognavo di
essere rom ma poco a poco ho capito che questa è la mia cultura di appartenenza
e ne sono orgogliosa: i miei bisnonni erano realmente nomadi e giravano la
Puglia in carovana, mio nonno lavorava con i cavalli, le mie zie hanno molti
figli, una addirittura 13. Io invece sono figlia unica. Ma sogno di avere almeno
tre o quattro bambini. Per noi la famiglia è importante, un rifugio che ripara
anche dalla diffidenza ma che può ostacolare l'integrazione.
Fatica a dire che è rom agli estranei?
No. Lo dico con orgoglio, non mi nascondo. Per fortuna ho amici che mi vogliono
bene e raramente ho incontrato persone razziste. L'episodio che mi ha fatto
soffrire maggiormente è capitato a quattordici anni, quando un ragazzino che si
era invaghito mi scrisse un messaggio per invitarmi a uscire. Gli risposi che
non mi andava, e allora si sfogò: "Sei solo una brutta zingara, perché te la
tiri tanto?". I miei genitori mi hanno sempre parlato delle discriminazioni che
avrei potuto subire.
Perché non ha mai visitato un campo rom?
Lo farò presto. Sto frequentando un corso di montaggio e regia, la mia passione,
ma potrei cominciare a lavorare come mediatrice culturale perché conosco il
romanés. E quando incontro una nomade che chiede l'elemosina non riesco a
sopprimere la mia curiosità, mi avvicino e comincio a parlare con lei per
sentire parlare la nostra lingua. È il legame che unisce le comunità rom,
un'eredità che non riuscirò a trasmettere ai miei figli: la capisco bene ma la
parlo male. E non c'è modo di recuperarla, perché è una lingua non scritta, non
esiste una grammatica.
Come si sente quando i rom vengono definiti ladri e criminali?
È una strumentalizzazione politica. Lo so che i rom non sono tutti santi, ma è
come se dicessimo che tutti gli ebrei sono ricchi. Penso che se i rom finalmente
potessero vivere nelle case, se gli italiani capissero che un rom può laurearsi
e vestirsi come tutti gli altri, allora le cose cambierebbero.
Vive a Roma da molti anni, sarà per sempre?
Roma è una grande città del Sud, una mamma che ti vizia troppo e ti culla.
Questo mi fa felice. Ma è anche una città immobile, i romani stanno sempre in
macchina, pigri e arrabbiati. Potrei andare a vivere a Milano oppure a Berlino.
Se non troverò un lavoro dovrò andarmene, come tanti. Ho votato a sinistra e
pensavo che Grillo fosse una speranza ma si sta rivelando un despota. L'Italia
ha bisogno di cambiare in fretta.
(Claudio Stasolla, il presidente dell'associazione 21 luglio che ha
organizzato l'incontro dei rom con Laura Boldrini, suggerisce a giornalisti e
lettori di sostituire durante la lettura dell'articolo la parola "ebreo" alla
parola "rom". Soltanto così, dice, è possibile comprendere l'abisso di
discriminazione subita dai cosiddetti nomadi).
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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