CORRIERE IMMIGRAZIONE - di Sergio Bontempelli
Il "caso Alicata" riapre una vecchia questione: lottare contro omofobia e
discriminazioni immunizza dal razzismo? Si può essere razzisti e democratici?
A Roma, nessuno avrebbe mai pensato di associare il nome di Cristiana Alicata a
un episodio di razzismo, vero o presunto. Dirigente Pd di osservanza "renziana", Alicata è nota per le sue battaglie a favore delle comunità gay, lesbiche e Lgbt.
Ma pochi giorni fa una sua dichiarazione sui rom ha fatto il giro della rete. E
ha provocato un terremoto.
Riassumiamo ad uso dei distratti. Domenica scorsa gli elettori del Pd erano
chiamati a scegliere, nelle elezioni primarie, il loro candidato sindaco. Ne è
uscito vincitore Ignazio Marino, che ha battuto il principale avversario, David
Sassoli. Commentando l'esito del voto, Cristiana Alicata ha accusato il
vincitore di brogli: "Le solite file di rom", ha scritto su Facebook, "che
quando ci sono le primarie si scoprono appassionati di politica...".
Parole forti, che non sono piaciute al gruppo dirigente del Pd. E che hanno
sollevato accuse esplicite di razzismo. Alla fine, Alicata ha rassegnato le
dimissioni da tutti gli incarichi di partito, ma ha voluto anche precisare la
sua posizione: "Dare a me, donna e lesbica, della razzista mi sembra un
paradosso", ha dichiarato all'Huffington Post, "capisco che, così come l'ho
scritto, il mio post può sembrare brutale, ma ho registrato quello che stava
succedendo. Non c'entra niente col razzismo".
Una donna, lesbica, attivista contro le discriminazioni, non può pronunciare
frasi razziste. Sarebbe una contraddizione in termini. Questa la tesi della
Alicata. Noi di Corriere Immigrazione, al di là dell'episodio di cronaca,
abbiamo deciso di soffermarci proprio su questo punto. E abbiamo provato a
rifletterne assieme a due esperti, entrambi romani: Marco Brazzoduro, docente
universitario (in pensione) di Politiche Sociali, e Ulderico Daniele,
ricercatore dell'Osservatorio Razzismo e Diversità dell'Ateneo di Roma Tre, e
dirigente della ong "Osservazione".
Razzisti e democratici: Quando leggiamo a voce alta le parole della Alicata,
Marco Brazzoduro si inalbera. E alza la voce. "È una sciocchezza questa", dice,
"l'antiziganismo, cioè la forma specifica di razzismo che si rivolge contro i
rom, è diffuso ben al di là degli ambienti di destra. Purtroppo abbiamo fior di
esempi, proprio qui a Roma, di antiziganismo "democratico"".
Chiediamo qualche spiegazione, e Brazzoduro non si fa pregare. "In Italia la
forma più odiosa di discriminazione sono i "campi nomadi"", spiega. "Sono veri e
propri ghetti. E i campi, a Roma, li hanno costruiti Rutelli e Veltroni, ben
prima di Alemanno. O sbaglio?".
Brazzoduro si sofferma anche sugli sgomberi: "Smantellare un insediamento senza
dare soluzioni alternative è una cosa gravissima, perché priva intere comunità –
uomini, donne e bambini – del diritto ad un'abitazione. Guardiamo cosa è
successo a Roma: gli sgomberi li ha fatti Alemanno, ma prima li hanno fatti
Veltroni e Rutelli. O no?".
Una forma specifica di razzismo? D'accordo, essere "democratici" e magari
"di
sinistra" non è una garanzia. Ma forse il discorso di Cristiana Alicata era più
complesso. La dirigente del Pd non si riferiva all'appartenenza ad uno
schieramento politico, ma ad un impegno personale e diretto contro le
discriminazioni. Forse un sindaco di centro-sinistra può essere razzista, ma
come può esserlo una che vive sulla propria pelle i pregiudizi contro le persone
omosessuali?
Marco Brazzoduro si ferma un attimo. "Le modalità con cui il razzismo si esprime
possono essere diverse", spiega. "C'è un razzismo più rozzo, quello che dice che
i rom sono ladri e delinquenti, sfruttano i bambini, rubano nelle case e così
via. E poi esiste un razzismo "rispettabile", democratico... è il razzismo dei
distinguo, di quelli che dicono "io non ce l'ho con i rom, però anche loro...". Il
razzismo di chi magari vuole lo sgombero "per il loro bene", "perché non è
giusto che vivano in condizioni inumane". Come se buttare le persone in mezzo a
una strada fosse una soluzione...".
Esiste insomma, dice Brazzoduro, un pregiudizio più difficile da decifrare, e
per questo più diffuso anche in ambienti "insospettabili". "Per esempio esiste
il razzismo del merito", spiega, "quello che dice "io ai rom voglio dare la
casa, ma loro se la devono meritare". Non ci si accorge che anche questa è una
forma di discriminazione. Se un italiano non-rom commette un reato, nessuno si
sogna di levargli la casa: subirà un processo, andrà in carcere, ma poi quando
esce tornerà a casa sua. Per i rom invece si prevede una doppia pena, vai in
galera e nel frattempo ti revoco l'assegnazione della piazzola al campo...".
Lo stereotipo della vittima: "Razzismo democratico", "razzismo del merito".
"Sgomberiamoli per il loro bene". Stereotipi "gentili", pronunciati da persone
che usano il termine "rom" per evitare gli epiteti più offensivi ("zingari", "nomadi"). Ulderico Daniele condivide questa analisi, e aggiunge un altro
elemento: "nel caso specifico della Alicata mi sembra che sia all'opera anche un
altro meccanismo, quello che definirei lo "stereotipo della vittima"".
Daniele si ferma un attimo per raccogliere le idee. Poi prosegue: "il razzismo
non è fatto solo di toni offensivi e brutali. Al contrario. I pregiudizi si
nutrono spesso di parole accoglienti, protettive. Il colonialismo europeo, per
esempio, ha sempre affermato la necessità di "aiutare" i popoli considerati meno
evoluti: non date il pesce, si diceva, insegnate loro a pescare. Il sottinteso
era che i "primitivi" non sapessero pescare da soli, cioè non fossero capaci di
vivere autonomamente, di fare le loro scelte".
"Questo in fondo", prosegue Daniele, "era il sottinteso delle parole pronunciate
dalla Alicata: se i rom vanno ai seggi per le primarie non è per una loro scelta
autonoma, che ovviamente può essere giusta o sbagliata, condivisibile o non
condivisibile, ma perché sono manipolati da altri. Sono vittime di macchinazioni
esterne, non esseri umani che scelgono, partecipano, dicono la loro, elaborano
le proprie strategie. I rom sarebbero soggetti passivi, capaci solo di
subire...".
Se i rom non possono avere un conto in banca "Voglio farvi un esempio", prosegue
Daniele. "Qui a Roma sono state fatte delle indagini patrimoniali, da cui è
emerso che alcuni rom dei campi possedevano proprie ricchezze: conti in banca,
proprietà immobiliari, risparmi nascosti sotto il materasso... Apriti cielo! Si è
scatenata la solita canea dei rom con la Mercedes, che fingono di essere poveri
per elemosinare un po' di aiuti al Comune...".
Ma cosa c'entrano le Mercedes con il razzismo democratico? "C'entrano", spiega
Ulderico Daniele, "per vari motivi. Anzitutto, per questo modo di vedere i rom
come un'entità unica e monolitica. Il mondo dei rom e dei sinti è fatto di
migliaia di persone: che tra di loro ci siano anche delinquenti, truffatori e
"furbi" di vario tipo non dovrebbe stupire. E invece l'approccio è sempre il
solito: i rom devono essere per forza tutti ladri o tutti santi. Se uno di loro
viene sorpreso a rubare, se ne deduce che sono tutti ladri. Se si scopre che una
famiglia è ricca, tutti i rom diventano proprietari di Mercedes...".
Ma il punto, per Ulderico Daniele, non è solo questo. "Non si è fatta nessuna
distinzione tra le famiglie che erano effettivamente ricche, e quelle che invece
avevano accumulato qualche risparmio. Avere un piccolo conto in banca, magari
per far fronte a spese impreviste, o per aiutare un familiare in difficoltà, è
cosa diversa dall'essere ricchi sfondati. L'accumulazione di risparmi è da
sempre una strategia di sopravvivenza dei ceti sociali più poveri: si pensi a
quel che facevano gli emigranti italiani qualche decennio fa, alle rimesse che
inviavano ai familiari rimasti in patria... e loro mica erano ricchi".
"Ecco", conclude Daniele, "qui vediamo all'opera lo stereotipo della vittima. I
rom devono essere per forza tutti indifesi, inermi, passivi. L'idea che possano
elaborare proprie strategie per resistere a condizioni di segregazione, non
passa per la mente a nessuno: così, quando si scopre che una famiglia ha un
piccolo conto in banca, non si pensa a persone che faticosamente, mese dopo
mese, hanno messo da parte qualche risparmio per i periodi peggiori. Si pensa
subito allo zingaro con la Mercedes. E non si fanno distinzioni".
Il razzismo, ci dicono insomma i nostri interlocutori, è un fenomeno complesso e
multiforme. Non assume sempre i toni dell'aggressione verbale o fisica, ma è più
spesso un insieme di associazioni mentali, di presupposti dati per scontati, di
generalizzazioni arbitrarie che appaiono plausibili e ovvie. Che possono
albergare anche negli spiriti più "tolleranti".