Intervista a Dolores Barbetta - Laura Eduati,
L'Huffington Post | Pubblicato: 07/04/2013 13:04 CEST
Al liceo i compagni di classe si stupivano che non portasse le gonne lunghe
delle zingare e che vivesse in una casa con quattro mura e un bagno. D'altronde
suo padre, operaio Fiat a Melfi, quando era piccola le ripeteva che avrebbe
sempre incontrato persone ottuse e ignoranti. Glielo diceva in romanés, la
lingua dei rom, la stessa con la quale ora Dolores Barbetta si rivolge alle
nomadi che chiedono l'elemosina in metropolitana: lontane anni luce dalla sua
esperienza di vita ma vicine nella tradizione culturale.
"Non sono mai entrata in un campo rom", confessa questa ragazza di 27 anni,
laureata in lettere e residente a Roma, che lunedì varcherà il portone di
Montecitorio per incontrare la presidente Laura Boldrini in occasione della
Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Con lei un gruppo di ragazzi rom
dell'Associazione 21 luglio: una vittima degli sgomberi forzati, uno studente di
Milano, una madre residente in un campo rom romano e un apolide. Dolores dice
che in quel momento, mentre entrerà alla Camera, si sentirà "una mosca bianca":
"So che la mia vita, la mia realtà, le mie giornate sono completamente diverse e
molto più fortunate della stragrande maggioranza dei rom che vivono in Italia".
Dolores sta frequentando un corso di ripresa e montaggio: vorrebbe girare presto docu-film. Legge con passione i romanzi di Irène Némirovski e Haruki Murakami.
Come moltissimi suoi coetanei, teme di dovere fare le valigie e andare
all'estero per trovare un lavoro. E sulla crisi politica dice: "Grillo era una
grande speranza e invece sta facendo il despota".
Cosa dirà a Laura Boldrini?
Dirò che i rom hanno bisogno di integrazione e gli apolidi, nati in Italia da
profughi della ex Jugoslavia, hanno bisogno della cittadinanza italiana. I
bambini che vivono segregati in questi ghetti vengono portati a scuola da
autobus con una R sulla fiancata, vivono molto lontani dai centri abitati e non
possono giocare e fare i compiti con i loro compagni
come succedeva a me, a
Melfi.
A Melfi esiste una nutrita comunità rom. La sua famiglia ha subito
discriminazioni?
I rom vivono a Melfi dal 1600. Viviamo tutti negli appartamenti, siamo italiani
e abbiamo naturalmente la cittadinanza. Eppure i gagé (i non-rom, ndr) ancora
oggi ci guardano con diffidenza. Per esempio i miei nonni materni non volevano
che mia madre sposasse "uno zingaro" ma poi il matrimonio si è celebrato
ugualmente. E quando si gioca a calcio e arriva una squadra da un'altra città
allora partono i cori dei tifosi contro gli zingari. Da piccola mi vergognavo di
essere rom ma poco a poco ho capito che questa è la mia cultura di appartenenza
e ne sono orgogliosa: i miei bisnonni erano realmente nomadi e giravano la
Puglia in carovana, mio nonno lavorava con i cavalli, le mie zie hanno molti
figli, una addirittura 13. Io invece sono figlia unica. Ma sogno di avere almeno
tre o quattro bambini. Per noi la famiglia è importante, un rifugio che ripara
anche dalla diffidenza ma che può ostacolare l'integrazione.
Fatica a dire che è rom agli estranei?
No. Lo dico con orgoglio, non mi nascondo. Per fortuna ho amici che mi vogliono
bene e raramente ho incontrato persone razziste. L'episodio che mi ha fatto
soffrire maggiormente è capitato a quattordici anni, quando un ragazzino che si
era invaghito mi scrisse un messaggio per invitarmi a uscire. Gli risposi che
non mi andava, e allora si sfogò: "Sei solo una brutta zingara, perché te la
tiri tanto?". I miei genitori mi hanno sempre parlato delle discriminazioni che
avrei potuto subire.
Perché non ha mai visitato un campo rom?
Lo farò presto. Sto frequentando un corso di montaggio e regia, la mia passione,
ma potrei cominciare a lavorare come mediatrice culturale perché conosco il
romanés. E quando incontro una nomade che chiede l'elemosina non riesco a
sopprimere la mia curiosità, mi avvicino e comincio a parlare con lei per
sentire parlare la nostra lingua. È il legame che unisce le comunità rom,
un'eredità che non riuscirò a trasmettere ai miei figli: la capisco bene ma la
parlo male. E non c'è modo di recuperarla, perché è una lingua non scritta, non
esiste una grammatica.
Come si sente quando i rom vengono definiti ladri e criminali?
È una strumentalizzazione politica. Lo so che i rom non sono tutti santi, ma è
come se dicessimo che tutti gli ebrei sono ricchi. Penso che se i rom finalmente
potessero vivere nelle case, se gli italiani capissero che un rom può laurearsi
e vestirsi come tutti gli altri, allora le cose cambierebbero.
Vive a Roma da molti anni, sarà per sempre?
Roma è una grande città del Sud, una mamma che ti vizia troppo e ti culla.
Questo mi fa felice. Ma è anche una città immobile, i romani stanno sempre in
macchina, pigri e arrabbiati. Potrei andare a vivere a Milano oppure a Berlino.
Se non troverò un lavoro dovrò andarmene, come tanti. Ho votato a sinistra e
pensavo che Grillo fosse una speranza ma si sta rivelando un despota. L'Italia
ha bisogno di cambiare in fretta.
(Claudio Stasolla, il presidente dell'associazione 21 luglio che ha
organizzato l'incontro dei rom con Laura Boldrini, suggerisce a giornalisti e
lettori di sostituire durante la lettura dell'articolo la parola "ebreo" alla
parola "rom". Soltanto così, dice, è possibile comprendere l'abisso di
discriminazione subita dai cosiddetti nomadi).