Di Fabrizio (del 15/08/2013 @ 09:07:02, in Europa, visitato 1793 volte)
Ragazza scomparsa, mentre peggiora la crisi dei Rom
britannici - by Grattan Puxon
Erika Kacicova, di 13 anni, scomparsa dal 5 agosto (foto BBC)
11/08/2013 - E' stata la peggior settimana dai tempi di Dale Farm. Il governo
sta chiedendo ai consigli locali di chiudere i campi, i Rom sono cacciati dalle
vie delle città ed oltretutto è scomparsa una tredicenne (ritrovata sana e
salva dopo due settimane, vedi
DAILY MAIL, ndr.).
Erika Kacicova è stata vista l'ultima volta il 5 agosto a Darnall ed un uomo è
stato arrestato come sospettato del rapimento. La polizia l'ha definito un
incidente critico, in quanto ci sono timori per la sua sicurezza.
Nel frattempo, il segretario per le comunità Eric Pickles ha lanciato un doppi
attacco sia a Rom che Traveller. Nonostante una diffida legale, sostiene una
campagna anti-immigrati, il cui slogan "Andate a Casa o Verrete Arrestati" si
diffonderà rapidamente in tutto il paese, dopo un'esperienza pilota a Londra.
Due furgoni pubblicitari hanno girato i quartieri londinesi più poveri,
ammonendo gli immigrati illegali che sarebbero stai arrestati,
detenuti per un periodo indefinito e deportati. A meno che non avessero scelto
di autodenunciarsi, e di rimpatriare volontariamente verso destinazioni che
includono Romania, Bulgaria, Serbia e Kosovo.
Nelle stazioni ferroviarie sono apparsi poliziotti e funzionari
dell'immigrazione, per arrestare chiunque abbia un aspetto illegale.
Mentre Rom lavoratori in proprio vengono costantemente minacciati dai tutori
della legge.
"E' un inutile e continuo esercizio di spreco," dice Ladislav Balaz, di
Europe-Roma. "Molti ritornano e la giostra riparte. Si aggiungono soltanto
problemi, senza risolvere niente."
Ignorando questi fatti, Londra e le altre città più grandi si sono piegate a
mandare lontano dalle proprie strade i più poveri e i Rom senza casa. Dormono
all'aperto in una Zona Dispersa, e non avendo altri mezzi per sostenere se
stessi (se non l'accattonaggio), le due cose li sottopongono a un trattamento
fisico ancora più duro.
Pickles si è posizionato politicamente come zar britannico anti-zingari,
caricando sulla sua stessa macchina i Traveller colti nel suo collegio
elettorale. Sta alimentando le fiamme del pregiudizio richiedendo misure ancora
più severe.
Questa settimana quel paffuto ministro ha esposto in un singolo documento il
proprio concetto di robusti poteri ai consigli e ai proprietari terrieri, ora
sotto la sua giurisdizione, per reprimere rapidamente gli accampamenti illegali
e non autorizzati. Tutto ciò include chiaramente le baraccopoli dei Rom appena
arrivati, recentemente demolite a Hendon, come gli assembramenti di roulotte dei
gruppi di Romanì e di Traveller di più antico insediamento.
Mentre ai consigli viene detto di ignorare il loro dovere di fare controlli
sociali prima di uno sgombero, le forniture di alloggi alternativi per chi è in
stato di disperato bisogno, sono ridotte al lumicino. Nella migliore delle
ipotesi, per quest'anno e per il prossimo c'è una previsione di 150 piazzole,
quando le stesse autorità riconoscono la necessità per 3.000 famiglie. E ciò non
tiene conto dei campeggi privati o comunali che possono essere chiusi nel
frattempo.
"Mi sento intimidito da questo governo," dice un attivista del movimento 8
Aprile. "Ed ora abbiamo il timore di perdere Erika dalle nostre menti."
Di Fabrizio (del 10/08/2013 @ 09:06:24, in Europa, visitato 1590 volte)
(piatto abbondante da accompagnare con un vino adeguato)
La recente condanna (all'ergastolo!) dei colpevoli di omicidio di 6 rom in
Ungheria, ha riproposto il dibattito se quello sia o meno un paese razzista. Non
pretendo di conoscere la realtà meglio di altri, ma dato che quotidianamente
ricevo corrispondenze e rassegne stampa dai paesi dell'Europa Centrale e
Orientale, credo di essermene fatto un'idea.
Per seguire i miei ragionamenti (che vi potranno sembrare macchinosi e
parziali), dovrete tenere conto:
Che una RELTA' OGGETTIVA non esiste. Anche se siamo in un
unico continente, anche se molti stati sono associati alla
Unione Europea (o hanno zone confinanti legate da trattati e
iniziative comuni), nazionalismi, spinte politiche ed economiche
disgreganti la fanno da padrona. Notavo un po' di tempo fa, che
mentre i media e i commentatori occidentali si concentrano
spesso sulla situazione di miseria (o di impoverimento) all'Est,
quelli orientali non si fanno scappare occasione per descrivere
le condizioni terribili dei profughi arrivati qui. Insomma.
tutti guardano sempre le pagliuzze altrui.
Nessuno è INNOCENTE A PRIORI. A partire dall'Italia: la
situazione dei Romanì è tragica qua come altrove, le colpe
andranno anche condivise, ma non esiste uno stato che possa
ergersi a giudice degli altri.
I Romanì, pur essendo da decenni POPOLAZIONI STANZIALI
nell'Europa Centro-Orientale (Germania compresa), nel tempo
avevano mantenuto ambiti di migrazioni interne (ad esempio
Ex Jugoslavia-Albania-Ungheria-Bulgaria /
Bulgaria-Grecia-Turchia /
Ucraina-Ungheria-Slovacchia-Repubblica Ceca-Polonia-Bielorussia
/ Repubbliche Baltiche-Polonia) per motivi di
parentela ed economici, ambiti che tuttora resistono. Le recenti
migrazioni indicano che i Rom di Ungheria, Slovacchia,
Repubblica Ceca, prediligono i paesi del Nord Europa
e il Canada (finché non ha chiuso le
frontiere), quelli del Sud-Est emigrano anche nei
paesi di lingua latina (ora un po' meno, data la
crisi economica di questi ultimi).
Grossomodo, tutti conosciamo la situazione precedente al
crollo del Muro di Berlino: bassi redditi e una serie di servizi
di base forniti dallo stato. Più sfaccettata la situazione dei
Romanì come "minoranza nazionale": in alcuni casi era pienamente
riconosciuta (Serbia), in altri (Bulgaria) negata. Per fare un
paragone con un'altra situazione politico-economica: la Turchia.
Lì i Romanì (mancano cifre precise, potrebbero essere sino a un
milione), per quanto marginalizzati e discriminati, hanno sempre
riconosciuto l'autorità dello stato turco, e questo li ha messi
al riparo da massacri e violenze come quelli subiti da Greci,
Curdi e Armeni. Da questo
punto di vista oggi la situazione è ancora frammentata: Bosnia e
Slovenia sono state più volte messe sotto accusa dalla comunità
internazionale, per il mancato riconoscimento dei diritti politici
fondamentali a chi non appartenesse alle etnie maggioritarie.
ULTIMO PUNTO di queste prefazioni: quei servizi che erano
assicurati a tutti, indipendentemente dall'etnia, sono andati
privatizzandosi, ora prima ora dopo. Questo ha portato penuria
di case, lavoro, prestazioni sociali e sanitarie, di cui hanno
fatto le spese soprattutto le minoranze non riconosciute. Ci
siamo noi, Occidente, dietro queste privatizzazioni (noi le si
chiama delocalizzazioni), fu la stessa Unione
Europea, una decina d'anni fa quando si allargò a Est, da un
lato a richiedere a voce più rispetto per le popolazioni romanì,
dall'altro a strangolarle (a strangolare i settori più poveri
della popolazioni) con l'oggettivo aumento dei prezzi e i tagli
che contemporaneamente chiedeva al welfare. Una politica
sostanzialmente ipocrita, che ha però creato una classe di
burocrati su come sopravvivere all'occidente.
DINTORNI: La situazione di base (abbastanza simile in tutti i paesi dell'Europa Centro
Orientale) è la presenza di minoranze romanì più consistenti che in Occidente,
ma non coese. Quasi ovunque esistono fasce di popolazione romanì di
piccola-media borghesia - proprietari, relativamente integrati (comunque, poco
disposti a palesarsi) e altre in condizione di deprivazione estrema (ancora
peggio, se possibile, che da noi). Cosa che ha anche portato al continuo crearsi
e sciogliersi di partiti, partitini, cartelli politici romanì, funzionali a
questo o quel capoclan.
Lo stesso vale per la classe intellettuale:
professionisti, docenti, giornalisti, radio, giornali in abbondanza, con
scarsissimo influsso su quella che si chiama "vita e politica reale". Assistiamo
al paradosso che una scena abbastanza comune in Italia è la vecchia romnì che si
fa leggere qualcosa dal nipotino che finalmente può andare una scuola, sempre
più spesso da quelle parti la scena si svolge a parti invertite: sono gli
anziani che leggono per il resto della famiglia, che non ha più risorse per
frequentare la scuola.
Leggi e violenze razziali:
Un altro paradosso (ma anche in questo in Italia abbiamo una certa
esperienza), è che in diversi stati dell'est esistono norme, leggi, regolamenti
molto avanzati a tutela delle minoranze (che sono quasi infinite) e anche dei
Romanì. L'Ungheria sino a qualche anno fa era presa ad esempio per l'esistenza
di un
autogoverno rom, qualcosa di simile esiste anche in Ucraina; Serbia Bulgaria
e Romania hanno legislazioni molto più avanzate di quelle occidentali. Eppure,
quasi nessun effetto hanno nell'arginare crisi di violenza e pogrom. Che sono
difficilmente prevedibili, vanno ad ondate: fu la Romania ad inizio anni '90.
poi di volta in volta toccò a Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca.
Ricorrenti in Ucraina e nei paesi ex-URSS, ma le notizie che arrivano da lì sono
sempre datate e frammentarie.
Razzismo:.
Non è solo Ungheria (ma ricordiamoci, nessuno è innocente, molti sono
impuniti). Anche la Germania, per fare l'esempio di un paese che riteniamo
esempio di "civiltà occidentale", ha avuto di recente
spettri
nell'armadio. E sempre dalla Germania (e dagli USA) è partito, una ventina di anni fa,
un coordinamento fattivo tra vari nuclei della destra estrema e radicale
[ricordo che movimenti simili si ebbero in tutta l'Europa Centro Orientale (per
non parlare di quella Meridionale, a proposito di innocenza!), tra gli anni
'30 e '40], che attualmente opera in stretto contatto in tutti i paesi
che ci riguardano. Fisicamente, sono le stesse squadre a seminare il terrore o
fare comizi congiunti in Germania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica
Ceca, e ci sono contatti molto avanzati con Serbia, Croazia, Slovenia, Romania,
Bulgaria, Ucraina.
La Germania non è solo RAZZISMO VIOLENTO (che c'è ovunque e sa che può
farsi sentire con poco), ma è anche (non è la sola) il paradigma
del razzismo istituzionale, ad esempio:
impunità nel colpire i colpevoli di atti di razzismo "lievi
o tollerabili". Non siamo ai livelli italiani, ma ad esempio per
l'incendio che ricordavo nel link di sopra, non mi risulta che
siano mai stati identificati i colpevoli. Situazione comune in
tutta Europa (non solo all'est) e la sentenza ungherese è
effettivamente una sorpresa. Niente a che vedere, ad esempio,
col caso di
Hadareni in Romania, dove ci sono voluti una decina d'anni
per arrivare ad una sentenza, che alcuni dei parenti delle
vittime contestano tutt'ora;
il razzismo istituzionale, è anche quello di uno stato che
accoglie i profughi dal Kosovo, profughi che col tempo trovano
scuola, casa, lavoro e dopo un decina d'anni si ritengono
cittadini come gli altri. Finché, una notte,
la polizia tedesca sfonda la porta di casa e ti imbarca con
tutta la famiglia su un aereo, per tornare in Kosovo dove
non hanno scuola, casa, lavoro. Tutto, per una ragione di stato.
Ungheria:
Dopo questa lunghissima parte introduttiva, eccoci. E' o non è un paese fascista? Non lo è, rispondo, ma se Orban
sbagliasse qualcosa, allora il rischio sarebbe alto. Personaggio complesso, ha
più volte ammesso di ispirarsi a Berlusconi (senza averne gli stessi capitali),
ma a me ricorda
Dollfuss, l'ultimo cancelliere austriaco prima dell'annessione alla Germania
nazista. L'Europa contro cui sbraita, è la stessa che gli ha garantito il suo
posto attuale.
Un breve riassunto della recente storia ungherese. Con la caduta del muro, i
vecchi comunisti si riciclarono nel Partito Socialista, contrapposto all'altro
blocco dei Liberali. Ma già precedentemente la legislazione ungherese era tra le
più aperte in fatto liberalizzazioni e partecipazione dei capitali stranieri
alle imprese, per cui i due blocchi (poco influenti gli altri partiti) si sono
alternati senza grandi differenze sul piano economico. Anche perché a differenza
degli altri paesi dell'ex blocco, con l'afflusso di capitali esteri l'Ungheria
viveva una situazione di boom economico simile a quella dell'Irlanda. E
purtroppo ne ha condiviso la fine, con indebitamenti pazzeschi con le banche
(soprattutto tedesche) e una situazione di corruzione diffusa, che ha posto all'angolo i due partiti (il sistema elettorale è uninominale con soglia di
sbarramento).
Dalla crisi sono emersi due soggetti:
FIDESZ (nazionalista)
JOBBIK (ancora più nazionalista)
Ecco, cosa fare con un governo di destra, in un paese in crisi, con
un'opposizione di destra estrema con tendenze paramilitari? La scommessa di
Orban si gioca tra un necessario risanamento, e la vulgata popolare
(quell'accidenti che si chiamano elettori) che ha trovato il nemico esterno (LE
BANCHE e LE MULTINAZIONALI) e quello interno (tanto per cambiare, EBREI e
ZINGARI). Come anche da altre parti (non dirò quali) il populismo, il
nazionalismo e
l'antieuropeismo diventano le cifre distintive per restare a galla.
Politica interna: da un lato accarezzare la pancia di quell'Ungheria profonda
e rancorosa emersa dalle urne, dall'altro, come succede nei paesi limitrofi,
dare almeno l'impressione che tutto sia sotto controllo, colpendo le
manifestazioni politiche-criminali-razziste più eclatanti.
Ma se questo non bastasse? Da un lato l'indebitamento, dall'altro i
paramilitari che sognano le
croci frecciate, girano come avvoltoi attorno alla testa di Orban. Lui, a
differenza di Berlusconi, non ha giornali, tv, e altre utilità simili, il suo
rapporto con i media è pessimo. Si è proposto come l'unico salvatore possibile,
ma per farlo ha dovuto assumere le armi e la protervia dei suoi avversari più
prossimi. Dovesse fallire, la loro strada è aperta.
CONTORNO - Investitori e benefattori:
Il crollo URSS e dei paesi satelliti, davvero qualcuno crede che sia avvenuto
"solo" per motivazioni interne? Tutta l'Europa Centro-Orientale è divenuta in
brevissimo tempo terra da colonizzare per gli appetiti USA ed Europei, con la
Russia assolutamente incapace di contrastare economicamente questa tendenza.
Visto in questa chiave, il massacro e la dissoluzione della Jugoslavia sancì
l'esclusione del petrolio russo dalle rotte sud-europee, e il predominio
americano rispetto alla UE. Pian piano, mentre anche la Cina si
è fatta viva, mentre nei paesi con rilevanti presenze musulmane sono attivi
Arabia Saudita e (dopo Erdogan) la Turchia. Con la crisi economica in Occidente,
per un determinato periodo USA e Germania hanno resistito, ma con Obama anche
gli ultimi appetiti si sono ridimensionati.
Ma il colonialismo non è soltanto militare o economico: Gli investimenti
arrivano in due maniere: rilevare vecchie imprese statali o autogestite (nel
caso ex-JU), o invece tramite vari fondi di solidarietà EU e progetti caritativi
delle varie chiese, o fondazioni dagli equivoci obiettivi politici, come
OPEN FOUNDATION - ma dotate di quel tanto di pragmatismo nella strategia che manca
alla cultura europea. Come è successo e succede ancora in altri continenti, le
motivazioni di questi interventi sono tante e spesso contrastanti: da una parte
rimediare in qualche maniera al "default" economico e sociale di molti paesi,
dall'altro svuotare quegli stessi paesi della capacità di badare a se stessi e
renderli sempre più dipendenti dall'elargizioni di questi aiuti (e dal debito
che si genera). Creare nel contempo una classe
intellettuale-professionale poco legata alle dirigenze locali, che nel caso diventeranno emigranti
qualificati ma sottopagati. E' quello che è avvenuto ANCHE in Ungheria, e si ripete nei
paesi limitrofi. Orban lancia la sua guerra contro investitori che in questo
momento non ci pensano minimamente ad investire, perché hanno finito la grana.
Nel frattempo anche la Serbia sembra uscire dal suo antieuropeismo, il problema
è se l'Europa ci sarà ancora.
Di Fabrizio (del 01/08/2013 @ 09:01:18, in Europa, visitato 1868 volte)
Denitsa Mihaylova: una donna bulgara fiera delle sue
origini rom
THOMSON REUTERS FOUNDATIONSource: Sun, 21 Jul 2013 11:03 PM Author: Nevena Borisova
(Nevena Borisova is a freelance journalist in Bulgaria)
Denitsa Mihaylova e sua figlia Madona. Photo: Nevena Borisova
Denitsa Mihaylova è la prima e, sinora, l'unica donna di origine rom che lavora
la Ministero degli Esteri. Parla a sua figlia Madona di 5 anni come ad
un'adulta, chiedendole di prendere le sue decisioni, compresa quella di ordinare
da un menu completo di piatti invitanti.
Nata in una famiglia di musicisti rom, Mihaylova è cresciuta in una famiglia
che è sempre stata "al di qua e al di là delle comunità rom tradizionali."
Assieme ai genitori, apprezzati musicisti in Bulgaria, Mihaylova sin da
bambina ha girato il mondo. Nei paesi visitati, compresi Spagna e Finlandia, i
Rom sono una comunità rispettata con un proprio posto nella società.
"Mi definisco una zingara, nonostante la connotazione che questa parola ha in
Bulgaria," spiega Mihaylova pranzando in un ristorante di Sofia, con sua figlia
che ascolta con attenzione. Nessuno dei commensali avrebbe immaginato che Mihaylova
fosse di origine rom, tranne quelli che la conoscevano, ma lei avrebbe comunque
voglia di raccontarsi.
Secondo un censimento del 2011, in Bulgaria ci sono 325.343, cioè il 4,4%
della popolazione. Tuttavia, secondo il
Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite all'inizio del XXI secolo c'erano
tra i 700.000 e gli 800.000 Rom. Molti di loro sotto la linea di povertà.
Racconta. "L'integrazione dipende anche da noi e perché accada occorre avere
un ruolo attivo. Nel complesso, la comunità deve uscire da un giro vizioso. Vale
per donne, bambini e uomini. Il circolo vizioso risiede nel fatto che molte
famiglie, non avendo reddito, non lasciano andare a scuola i loro figli. I loro
bambini indossano abiti sdruciti, molti di loro abbandonano o vanno a scuola
sino alla seconda o alla terza elementare, e dopo rinunciano per iniziare ad
aiutare i loro genitori."
Molti conoscono Mihaylova per il ruolo interpretato nella serie drammatica
Casa di Vetro, dove era Maya, una ragazza rom. Il regista Dimitar
Gochev ha presentato, per la prima volta in una serie bulgara, una trama basata
sui Rom e sulle sfide sociali che devono affrontare.
Quando iniziò la carriera al Ministero degli Esteri, gli amici avvisarono
Mihaylova di non rivelare le proprie origini, così "sarebbe stato più facile
avanzare in carriera." Ma lei lo fece lo stesso.
Aggiunge: "Sentivo in qualche modo l'obbligo di lavorare più di qualsiasi
altro; ho questo peso sulle spalle - cercare di cambiare gli stereotipi su di
noi."
La famiglia di
Mihaylova appartiene al clan Yerli - una comunità di mentalità aperta. Altri
clan, come i Kalderash, rifiutano l'idea che le donne vadano a scuola o lavorino
(SIC, conosco molte kalderasha, in Italia e
altrove che non corrispondono a questa immagine stereotipata, ndr). Fermamente contrari alle influenze
esterne, le ragazze dei clan Kalderash si fidanzano a 15 anni. L'ex marito di Mihaylova
è di origine Kalderash e non voleva affatto che lei avesse una carriera.
"Per loro le donne sono soltanto dei beni - forse avete sentito che le
vendono. Sposano le loro parenti quando sono giovani, così il loro denaro rimane
in famiglia. Non lo sapevo finché non ho incontrato il padre di mia figlia. Non
avevo amici nella comunità. Così, scoprii ad un certo punto che ero stata
tagliata fuori da tutto." dice.
Continua: "Ero incinta di Madona, quando lui cambiò completamente. Era
diventato geloso e tirannico. Non mi era permesso di alzare gli occhi da
terra... Dev'essere stato così sin dall'inizio, ma prima non me ne accorgevo.
Capisci, sei innamorata... Stavo studiando e non avevo altra scelta che
sopportare fino all'opportunità data dal mio attuale lavoro. Il mio ex marito è
un uomo di molti mezzi, ma non mi aiutò, perché io non obbedivo."
Mihaylova ha lottato per completare la sua istruzione. Ha frequentato le
lezioni col bambino addormentato in un cesto al suo fianco, come se avesse paura
che qualcuno potesse portarle via Madona.
L'esame per il posto al Ministero degli esteri ha cambiato la sua vita.
C'erano molti candidati, ma alla fine venne scelta lei. Sorride tuttora
ricordando quel punto di svolta.
Chiestole qual è il peggior problema della sua comunità, allora le si spegne
il sorriso.
"I Rom sono tenuti nell'ignoranza e nella stupidità per ragioni politiche,
vale a dire per essere usati durante le elezioni e corrotti con i soldi. Ne sono
assolutamente convinta. I Rom sono tenuti apposta nell'ignoranza," sottolinea.
Le sue parole risuonano dei fatti legati all'educazione della comunità. Fu
solo nel 2009 che ebbe inizio il primo programma anzionale per l'istruzione dei
Rom.
"Tuttavia, lo scopo del programma era eccessivamente modesto," secondo un
articolo del marzo 2013 su Duetsche Welle. Vi si legge: "Con un budget di poco
superiore a 500.000 euro, il programma avrebbe raggiunto a fatica 1.200 rom"
Mihaylova ha una risposta sul perché questi progetti, rivolti
all'integrazione dei Rom in Bulgaria, non hanno successo:
"Purtroppo, lo scopo della maggior parte dei partiti rom, o dei cosiddetti
auto-proclamati leader, è di ottenere dividendi tramite alcuni eventi proforma,
prendere voti e fare niente," dice. "Vendono i voti dei Rom senza avere
richieste chiare. La nostra società rom ha bisogno di giovani che cambino questo
modello di pensiero."
Mihaylova visita spesso gli insediamenti rom per entrare in contatto con la
sua gente. Quello che la preoccupa maggiormente è il destino dei bambini.
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Reuters Foundation.
Di Fabrizio (del 31/07/2013 @ 09:01:50, in Europa, visitato 1673 volte)
Frescoes
porta turisti, speranza al villaggio rom
-
thv11.com
In questo remoto villaggio rom dell'Ungheria Orientale, è in pieno svolgimento
un festival musicale. E' parte di un progetto in corso dal 2009 - per attirare
visitatori che amano la musica e i murales, portando contemporaneamente soldi
nel villaggio di Bodvalenke (vedi QUI, ndr).
Dice
Ezster Pastor, creatore del progetto muralista: "L'idea dietro il nostro
progetto è semplice. Pittori rom creano murales sulle pareti delle case. Abbiamo
due obiettivi principali: combattere i pregiudizi anti-rom, che qui sono comuni
e dare a questa gente lavoro per contrastare la povertà."
Il progetto di Pastor, finanziato da due banche, ha già portato 29 murales. E
i turisti stanno affluendo a vedere i risultati: circa 3.500 visitatori ogni
anno, e visite guidate aiutano a spiegare l'ispirazione che sta dietro i
murales.
Dice Peter Boros, turista ungherese: "E' molto importante capire questa
cultura piena di colore, attraverso il cibo, la gente, l'atmosfera e
naturalmente, i murales sulle case, che raccontano storie meravigliose.
Simbolizzano qualcosa di cui sappiamo pochissimo. Qui, la si può scoprire ed
imparare."
In questa parte impoverita dell'Ungheria, i reddito medio è di 30 euro al
mese. La maggior parte dei 200 abitanti è disoccupata e vive di sussidi.
Dall'inizio del progetto, la loro vita è cambiata in meglio. I festival
permettono ai residenti di impiantare bancarelle per gli spuntini, vendere
prodotti da forno e artigianali.
Racconta Katalin Egri, che risiede a
Bodvalenke: "Ogni anno nel nostro villaggio, c'è il festival del drago e altre
celebrazioni. Ci visitano molte persone e questo ci aiuta a vivere. Prima, era
solo uno dei tanti villaggi poveri."
Gizi, un altro residente, dice: "E' cambiato tutto. Abbiamo visto i
cambiamenti nei nostri figli durante gli ultimi 4 anni, da quando hanno visto
così tante persone venire nel nostro villaggio.I prati delle case sono più
puliti e ci sono più opportunità di lavoro."
In Ungheria e in altri paesi dell'Est Europa, le comunità rom sono
discriminate e tenute distanti dalle altre. Con questo progetto, si spera di
cambiare questa mentalità, educando la gente sulla comunità rom e generando
redito per gli abitanti del posto. E i progressi sono evidenti - alla scuola
locale, la frequenza e le promozioni sono aumentati significativamente, da
quando un po' di vernice e un'idea brillante hanno riportato in vita il
villaggio.
Perché è candidata?
Nata nel villaggio di Xanthi, proviene da un gruppo rom. Fino all'età di 14
anni - quando si è sposata - Sabiha ha percorso tutta la Grecia, vendendo
fiori a celebrazioni e festival stagionali. Però, già in età giovanile ha
asserito fortemente il suo diritto all'istruzione, nonostante le varie
difficoltà. Nel 2006, ha deciso di istituire la "Associazione Educativa e
Culturale Speranza di Donne Rom", per il diritto all'istruzione infantile, ma
anche con l'obiettivo generale di miglkiorare le condizioni di vita dei
residenti. Da allora ha partecipato a
conferenze e forum europei in difesa dei diritti delle donne rom per una vita
migliore e più dignitosa, e nel 2009 ha vinto il Premio Internazionale Coraggio per le
Donne, per la sua presenza ricorrente nel mettere in luce e affrontare i
problemi della comunità rom. In questo momento, oltre che attivista è studente
di secondo grado.
Di Fabrizio (del 15/07/2013 @ 09:01:25, in Europa, visitato 1232 volte)
Di povertà abbietta, razzismo abbietto e dei rischi di una tragedia- 11 luglio:
Valeriu Nicolae
Negli ultimi anni ho visitato molti ghetti in tutta Europa. Ho visto troppi
bambini che saranno parte di generazioni disperse, troppa povertà estrema e
abuso di droghe. Troppa gente vivere della spazzatura e nella spazzatura, troppi
passati attraverso un ciclo disastroso che iniziando dall'accattonaggio
passa attraverso il riciclo dei rifiuti, prostituzione, piccola criminalità,
nuovamente riciclo di rifiuti, terminando com'era iniziato: col mendicare.
Sto scrivendo una relazione sui ghetti - schietta e senza ambiguità. Abbiamo
bisogno di politiche nazionali ed europee che si occupino dei ghetti reali, e
non di "pratiche positive", bla bla.
Credo che i ghetti in Europa (inclusi quelli nell'Europa dell'est e nei
Balcani) abbiano un potenziale esplosivo di conflitto interetnico e che siano
incubatori di criminalità e povertà estrema.
Ma non avrei mai pensato di visitae un ghetto così letteralmente esplosivo.
Kakanj è a 45' di macchina da Sarajevo. Il panorama è spettacolare - una
terra incredibilmente bella.
L'ingresso del ghetto è simile a quello di tanti ghetti urbani che ho visto.
La strada che lo collega alla via principale è piena di buche e poi diventa
sterrata.
I mucchi di immondizia sono la prima cosa che si vede entrando nel ghetto -
la maggior parte degli adulti vive col riciclo di plastica, vetro, carta o
metallo. Molte case sono meglio di quelle che ho visto da altre parti - la gente
investe quasi tutti i propri soldi nelle case - gli inverni sono rigidi sulle
montagne.
Nel ghetto vivono oltre 600 persone - la maggioranza di loro sono bambini. La
terra ha cominciato a sfaldarsi qualche settimana fa. Le miniere sono parte
dell'economia di Kakanj ed il ghetto è costruito su un terreno cedevole. 25 case
sono troppo danneggiate per viverci - grosse crepe corrono lungo tutte le
pareti.
Ma il pericolo risiede nelle crepe al suolo, più che in quelle sui muri.
L'odore del gas metano è nauseante. Mi bruciano gli occhi e ho un gusto
terribile in bocca. E' un ambiente chiaramente molto tossico, dove devono vivere
centinaia di bambini e di adulti. Qualcuno mi mostra che il gas è infiammabile.
Non ci sono reazioni da parte dell'amministrazione locale. Il sindaco dice di
non avere soluzioni, ma non è venuto a vedere cosa sta succedendo. Nonostante i
ripetuti appelli, nessuna squadra è stata mandata ad indagare sulla tossicità e
sui rischi alla salute legati al gas che fuoriesce dal suolo. C'è un alto
rischio di tragedia che significherebbe una morte di massa (soprattutto
bambini) in questo posto, se l'amministrazione locale non prenderà qualche
misura.
Perché succede questo? Perché la maggior parte degli abitanti del ghetto sono
Rom. Perché il razzismo abbietto e la discriminazione sono la principale
risposta alla povertà abbietta.
Quanto sta accadendo a Kakanj va oltre la vergogna e l'incompetenza. Rinchiude
l'omicidio nell'incompetenza e nella mancanza di reazione. Ed è qualcosa con cui
la Bosnia Erzegovina non dovrebbe più avere a che fare.
Vi scrivo perché penso ci sia bisogno di un'iniziativa a livello internazionale
che ponga in azione quello che spero sia soltanto un'amministrazione inetta. E
spero che molti di voi abbiano tratto da questa lettura, sentimenti a
sufficienza per inviare una lettera che chieda alla delegazione UE in Bosnia
Erzegovina di reagire:
Potete anche inviare una mail col link a questo articolo (QUIin originale, ndr.) al Commissario per i Diritti Umani
nel Consiglio d'Europa commissioner@coe.int,
e chiedergli di agire sulla situazione di Kakanj.
Di Fabrizio (del 11/06/2013 @ 09:01:04, in Europa, visitato 3719 volte)
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Succede anche nelle migliori famiglie: ho iniziato la primavera scorsa
scrivendo un libro su
Milano, a dicembre già l'argomento era diventato l'Italia
e adesso, tocca all'Europa.
Di che si scrive? Vediamo cosa recita l'introduzione:
Sempre più spesso sento ripetere che quello contro i Romanì è rimasto
l'unico razzismo che l'Europa ancora si permette. Il quadro che ne deriva è
abbastanza schizofrenico, quella che chiamiamo popolazione maggioritaria, li
vede:
o come criminali e asociali irrecuperabili, da rinchiudere in riserve (salvo poi
lamentarsi se queste riserve diventano discariche invivibili);
oppure come vittime della società (però vorrebbero "integrarsi" nella stessa
società di cui sono vittime).
Il quadro, desolatamente, è simile in tutta Europa. A fatica, Romanì e società
maggioritaria trovano modi di interagire, ma i risultati riguardano frazioni
minoritarie delle due popolazioni, e dopo secoli di convivenza ogni tentativo,
presente e passato, appare fragile e temporaneo.
Questo non toglie che dopo secoli di presenza nel nostro continente, anche la
galassia romanì abbia potuto
esprimere le proprie eccellenze in diverse campi.
Ma, anche se il contributo all'umanità tutta di queste personalità è stato
notevole, rimane la sensazione di casi isolati.
L'ispirazione delle pagine che seguono mi viene da un libro di Stefania Ragusa:
"AFRICA QUI storie che non ci raccontano". Nell'introduzione scrive l'autrice:
Questo libro nasce dalla domanda che, qualche anno fa, mi ha fatto Sara, una mia
giovane amica italianissima ma dalla pelle d'ebano. Era appena rientrata da una
breve vacanza a Londra, la prima fatta all'estero e da sola. [...] Sara mi
diceva che a Londra aveva visto neri che lavoravano in banca, negli ospedali,
all'università, negli studi legali, a dare notizie in tv, a dirigere il
traffico... Perché, si chiedeva, in Italia i neri, quando riescono a lavorare,
fanno solo mestieri umili? Ho risposto che tutto questo era dovuto al fatto che
l'immigrazione, africana e non, in Italia è un fenomeno recente. Perché per
iella o per fortuna non siamo riusciti a essere una potenza coloniale e perché,
fino all'altro ieri, eravamo noi costretti a emigrare. Ma ho risposto anche che
non tutti i neri, in Italia, facevano lavori umili. Che quella del "povero
negro" era in buona parte un luogo comune. Lei mi ha rivolto uno sguardo
perplesso e di sfida e ha detto: non ti credo, dimostramelo. Non era un ordine
ma l'indicazione di un bisogno, profondissimo e non ancora dichiarato. [...]
Per i Romanì in tutta Europa, non nella sola Italia, la situazione è simile,
anzi peggiore. E, mettiamoci la mano sulla coscienza, come reagiremmo NOI se
incrociassimo un medico, un vigile, un ortolano Rom o Sinto? Questo tipo di
persone esistono, le ho anche incontrate, ma la paura dello "stigma" spesso è
più forte della voglia di dichiararsi. Ricordo nel libro "Non chiamarmi zingaro"
di Pino Petruzzelli, il racconto di una dottoressa in Italia che nasconde
persino a suo marito il suo essere rom.
Se con sguardo distaccato osserviamo la situazione dei Romanì in Europa, quello
che notiamo non è tanto che nei secoli possano esserci state figure prominenti,
ma l'assenza di quella borghesia (non necessariamente che sia anche classe
dirigente), che ha accompagnato lo sviluppo di altri popoli. Questo significa
che quasi dappertutto in Europa i Romanì vivono una situazione di continuo
dopoguerra, non solo economico, ma anche sociale e politico.
Il dottore, l'avvocato, il giornalista romanì esistono, a volte superano anche
la paura di dichiararsi. Per anni ho raccolto frammenti di queste storie,
riportati da varie testate o direttamente dalla loro voce.
Riprendere qui le loro testimonianze può servirci:
ad avere un quadro meno stereotipato della più grande minoranza etnica in
Europa;
nel contempo, a comprendere quanto la forte spinta ad emanciparsi, si leghi
all'attaccamento e all'interazione con la comunità d'origine, come pure al
mantenimento della propria identità;
infine, la speranza è la stessa del libro AFRICA QUI, che le testimonianze
raccolte possano incoraggiare le giovani generazioni romanì a trovare un posto
dignitoso tra i popoli di un'Europa di cui fanno parte a pieno titolo.
Un ulteriore motivo di approfondimento, deriva dagli argomenti trattati nelle
interviste o nei ritratti che verranno presentati: da questioni quotidiane a
tematiche più propriamente politiche. Per politica, non intendo soltanto i
cosiddetti "temi classici": razzismo, integrazione, convivenze... ma anche
questioni di base che riguardano il futuro del nostro continente, trattate da
questa futura classe intellettuale. Ancora una volta, il gioco di vederci allo
specchio, e di saper cogliere i contributi ideali che possono arrivarci.
In appendice ho aggiunto tre contributi: un mio saggio su come anche le novità
della tecnologia non siano estranee alla galassia romanì, la recensione di una
serie televisiva di qualche anno fa - che descriveva in modo atipico la vita di
una famiglia rom in Slovacchia, e un raccontino finale, che spero possa essere
di buon auspicio.
Indice:
L'Europa che c'è - Pag. 2
Introduzione: - Pag. 3
Autore: - Pag. 5
Paesi, competenze e professioni: - Pag. 8
FRANCIA - L'attivista atipico - Pag. 8
SPAGNA - Un'antropologa - Pag. 10
La situazione delle donne rom in Europa - Pag. 11
SERBIA - Comunità ed emancipazione - Pag. 15
EUROPA - Biglietti da visita - Pag. 17
ROMANIA - e l'identità - Pag. 19
REPUBBLICA CECA - Professionisti di confine - Pag. 21
GRAN BRETAGNA - Un giornalista "globale" - Pag. 23
SLOVACCHIA - La preside - Pag. 26
UNGHERIA - Dalla scuola alla società e viceversa - Pag. 32
GRECIA - Il dottore - Pag. 35
SLOVACCHIA - Una dottoressa tra tradizione e cambiamento -
Pag. 37
REPUBBLICA CECA - Il frigorifero come questione culturale -
Pag. 42
AUSTRALIA - La scrittrice - Pag. 44
ISRAELE - Nomade e digitale - Pag. 47
GRAN BRETAGNA - I ricordi di una scrittrice - Pag. 49
Di Fabrizio (del 10/05/2013 @ 09:03:46, in Europa, visitato 1610 volte)
Emil Schuka con Vaclav Havel. (Photo: Romano vod'i 4/2013) Emil Schuka: Manchiamo di un concetto unificante - Prague, 3.5.2013 19:13, (Romano vod'i)
Adéla Galova, translated by Gwendolyn Albert
Dal teatro ai diritti
Emil Schuka è uno dei politici romanì più famosi nella Repubblica Ceca. Si è
laureato in legge ed è stato pubblico ministero, ma il suo sogno era di fare carriera con
qualcosa di totalmente differente. Nel 2001 la rivista Reflex citava queste sue
parole:
"Sin dall'inizio ho avuto un'enorme passione per il teatro, che semplicemente mi
incanta. Per tre volte ho frequentato il Dipartimento di Regia Teatrale al DAMU
(l'Accademia di Arti di Scena) a Praga. Da ragazzo mi esibivo nel teatro della
scuola e durante le superiori ho diretto due gruppi teatrali, uno a scuola e
l'altro nella vicina casa della Gioventù. Pensavo che il teatro fosse lo scopo e
l'ispirazione della mia vita."
Dato che non era stato ammesso all'Accademia, iniziò a cercare qualche altro
campo dove potesse evitare la matematica, che non gli piaceva per niente. Questo
lo portò alla Facoltà di Legge, ed a lavorare come pubblico ministero dopo la
laurea. Tuttavia, Schuka non dimenticò il teatro, e mentre risiedeva nella città
di Sokolov vi fondò il famoso complesso teatrale "Romen".
Euforia della rivoluzione
L'attivismo e il carisma di
Schuka diedero frutto in particolare durante gli anni della rivoluzione e del
post-rivoluzione. Assieme a Ladislav Rusenko, rappresentò il popolo rom durante
quei giorni ferventi. In una memorabile manifestazione a Piana Letna (Praga) il
26 novembre 1989, parlò sul palco assieme a Rusenko, dichiarando il proprio
appoggio al Forum Civico (Obchanské forum - OF) e a Vaclav Havel.
In un'intervista a Jarmila Balazhova del 2004, Schuka ricordava così l'atmosfera
e lo sviluppo degli eventi durante quei giorni rivoluzionari:
"Ero proprio in viale Narodní il 17 novembre, per coincidenza ero con l'etnografa Eva Davidova
e Honza Cherveňak,, e fummo testimoni degli eventi. Non avevamo buone ensazioni.
La sera stessa ci incontrammo con Lad'a
Rusenko e il 18 novembre mettemmo assieme un gruppo di Rom di Praga, perché
allora erano i più vicini a noi. Il 19 novembre scrivemmo un memorandum, che fu
firmato da circa 30 perone, inclusa la dottoressa Milena Huebschmannova.
Essenzialmente, ci era immediatamente chiaro che non potevamo rimenare ai
margini, anche se qualcuno diceva: -Non dovremmo farci coinvolgere, lasciamo che
i gagé se la sbrighino tra loro, aspettiamo di vedere chi vince e gli diremo che
siamo stati dalla loro parte sin dall'inizio. Non mischiamoci con loro, è la
loro guerra.- Naturalmente, non eravamo d'accordo. Quella gente non si unì a
noi, e neanche li volevamo. Non tutti hanno avuto la fortuna di passare per
eventi rivoluzionari ed esserne direttamente al centro. Sono davvero grato di
aver ricevuto questa opportunità. Allora le persone cantavano non solo a Letna,
ma anche in altri raduni sulla piazza Città Vecchia e in piazza Venceslao,
persino fuori Praga. Tutti erano contenti di essersi liberati delle corde che ci
avevano trattenuti. In quella situazione, quando la gente iniziò a respirare più
liberamente, eravamo semplicemente puri, senza secondi fini e noi, i Rom, ne
eravamo parte. Volevamo respirare liberamente e assorbivamo quell'atmosfera
assieme a tutti. Volevamo respirare liberamente e abbiamo assorbito
quell'atmosfera assieme a tutti gli altri. In quei giorni nessuno ho incontrato
attacchi, o pregiudizi, o riserve da parte degli altri."
Se si chiedono a Emil Schuka i suoi personali ricordi su allora, dopo oltre 20
anni, è ovvio che una certa sensazione di disillusione si è accumulata
nell'ultima decade. per raggiungere il culmine. Il suo entusiasmo è andato
perso, e ciò che rimane è il senso di qualcosa di molto tempo fa ed irreale:
"E' stato tantissimo tempo fa, oltre 20 anni, che nel corso di una vita umana è
moltissimo. Su scala storica, naturalmente, è come se fosse ieri. Non mi piace
rimpiangere il passato, come dicono. La prossima generazione sta crescendo qui.
Allora non mi rendevo conto che stavo prendendo parte a qualcosa di speciale, vi
fummo buttati dentro, a piedi uniti. Allora avevo la sensazione che quello su
cui stavamo lavorando potesse avere un futuro. Alcune cose poi sono successe,
altre no. Altre sono cambiate completamente."
L'Iniziativa Civica Romani (Romska obchanska iniciativa- ROI) ed il
collasso degli ideali
Poco dopo la rivoluzione, a marzo 1990, Emil Schuka divenne co-fondatore del
primo partito politico romanì, il ROI, che guidò per diversi anni. L'assemblea
costituente del ROI lo elesse presidente il 10 marzo 1990. Alle elezioni del
giugno 1990 il ROI, che contava 20.000 iscritti in Repubblica Ceca, si unì alla
piattaforma dell'OF e ottenne otto seggi in parlamento. Ovviamente, alle
elezioni municipali di novembre 21990, quando la coalizione dell'OF non li
contemplava, il ROI ottenne solo lo 0,11% dei voti e tre seggi. Il partito
divenne un simbolo, anche se molti dei suoi ideali originali in varie maniere
non trovavano applicazione. Tuttavia, fu Schuka ad insistere sulla proposta di
ancorare la nazionalità romanì nella nuova costituzione, a rendere i Rom cechi e
slovacchi parte dell'Unione Romanì Internazionale e creare il primo partito
unificato romanì.
Nel 2000 Schuka diventò presidente dopo un mandato dell'Unione Romanì
Internazionale. Oltre all'attività politica, fu alla base della creazione del
programma televisivo "Romale" e del primo settimanale romanì "Romano kurko".
Grazie soprattutto a lui, venne istituita la Fondazione Rajko Djuric e avviata
la famosa scuola socio-legale romanì a Kolin. Si iniziò a produrre
professionalmente il programma televisivo "Romale". Schuka creò anche il
festival di folklore internazionale Romfest, la cui edizione inaugurale a
Brno-Lishegn (1991) vide la presenza del presidente Vaclav Havel. Sfortunatamente il Romfest, che3 era quasi inestricabilmente legatoad una famosa fessta folkloristica locale, Strazhnicí ("I Guardiani"), terminò nel 1996. Venne trasformato nelo festival Romska pisenh (Canzone Romanì), che si tiene nella cittadina di Rozhnov pod Radhoshtehm.
Emil Schuka non può evitare di essere critico o quantomeno scettico quando si parla sui risultati dello sviluppo della situazione romanì in Repubblica Ceca, dal periodo post-rivoluzionario sino ai giorni nostri:
La nostra generazione, la generazione dei Romanì di ROI, non lavorava per il denaro, eravamo pieni di ideali. Il
problema più grande che intravedo è che quando è finito il ROI, non c'è stato
più nessuno a continuare, a proporsi. Non intendo a continuare direttamente nel
partito, ma avevamo la possibilità di iniziare qualcosa e mentre vincevamo una
battaglia, non abbiamo vinto la guerra in toto. Non si è trovato nessuno per
continuare il nostro lavoro, e in politica, dove è assolutamente necessario
combattere per ogni singola cosa, questo è un problema piuttosto grande. Da
allora, molti romanì si sono diplomati e laureati, ma tra loro non abbiamo
trovato nessuno che lavorasse concettualmente. Il settore no profit si concentra
su questioni a livello locale e regionale, quando ciò di cui abbiamo bisogno
sono soluzioni concettuali. Questo è evidente in organismi come la Commissione
Interministeriale sugli Affari Comunitari Rom, dove sembra che ogni ministro
debba partire da zero con i propri concetti, invece di portare avanti il lavoro
dei predecessori. La mia critica, ovviamente, è rivolta anche ai nostri stessi
ranghi. Se rimaniamo chiusi in un simile approccio, allora cosa possiamo
aspettarci?
Di Fabrizio (del 07/05/2013 @ 09:05:38, in Europa, visitato 1671 volte)
Dall'hindi all'hargot, l'incredibile storia della lingua rom
LesInROCKS -
02/04/2013 | 12h23 par
Eva Bester (nella foto: Il tempo dei gitani di Emir Kusturica)
Parlata da milioni di Rom in tutto il mondo, e dopo aver fornito nobiltà
al francese gergale, la lingua romanì resta quantomeno sconosciuta
Parole come surin (coltello), bouillave (fornicare) e
chourer (da chourave, rubare) fanno parte dei numerosi
imprestiti dal rromanì al francese che vi permettono di dare a qualcuno del
narvalo (sciocco), di insistere sul numero di berges (anni) di un
antenato o ancora di minacciare un caro amico di poukave (denuncia) o
di marave (colpire, uccidere).
Se i francesi si concentrano soprattutto sui termini canaglia, il rromanì
resta una lingua poetica, musicale e millenaria, che non ha visto la sua
ufficializzazione in forma scritta se non dopo il 1990. Come i Rom
(ortograficamente Rrom), è originaria della città di Kannauj, capitale
dell'India oltre 1000 anni fa. Si è costituita sulla base di antiche parlate
popolari indiane, nella forma conosciuta del sanscrito.
Un dialetto diventato lingua attraverso la Storia
All'inizio dell'XI secolo, popoli di lingua rromanì vennero deportati in
Afghanistan dal sultano Mahmoud di Ghazni, per le loro ricercate competenze
artistiche e artigianali. Il sultano desiderava così fare del suo borgo la
capitale dell'universo. Ma in una società islamica rigorosamente sunnita, la
loro cultura indù non si integrò. Il sultano li vendette nel nord del paese,
dove si parlava persiano. Quindi, dopo gli apporti indiani, il rromanì si
arricchì di elementi persiani, ed in seguito ai viaggi, di imprestiti greci a
cui si aggiunsero quelli dei paesi locali dove la maggioranza de Rom ha vissuto
sino ad oggi (Romania, Bulgaria, Serbia, ecc.)
Ancora oggi, la lingua del nord dell'India ha novecento parole in comune col
rromanì. L'impronta indiana è tale che padroneggiando il rromanì si può
decifrare un film in hindi. Al momento della sua uscita in Albania, il
film indiano
Il
vagabondo di Raj Kapoor ha suscitato entusiasmi sino al delirio tra il
pubblico rom, che pensava che lo fossero anche tutti gli attori del film.
Un movimento letterario rromanì molto recente
Non tutti i Rom (tra i 12 e i 15 milioni nel mondo) parlano il rromanì.
Alcuni gruppi sono stati obbligati a dimenticarlo (in Spagna, Inghilterra,
Finlandia...), ed altri l'hanno dimenticato date le condizioni del mondo
attuale. Le memorie più vive si trovano nei Balcani, dove è parato dal 95% dei
Rom. In Francia, su mezzo milione di Rom, si contano circa 160.000 che lo
parlano (poco meno del 30%). La prima menzione di una possibile
standardizzazione del rromanì risale al XIX secolo. quando il polacco Antoine Kalina
notò l'omogeneità profonda della lingua nei diversi paesi dove veniva praticata.
Otto anni dopo, un Rom ungherese, Ferenc Sztojka, pubblicava un dizionario
ungherese-rromanì, contenente circa 13.000 voci e una trentina di poesie in
rromanì. L'autore ambiva a fornire una lingua moderna, con nuove parole ed
espressioni.
Malgrado questi tentativi per accordare al rromanì uno status equivalente
alle altre lingua, occorrerà aspettare gli anni '20-'30 in Russia, perché veda
la luce un movimento letterario rromanì. In quel periodo Lenin insisteva
sull'importanza di dotare di un alfabeto le lingue che non l'avevano.
Dall'Unione Sovietica della fine degli anni '30, molte scuole e sezioni
universitarie offrirono corsi di rromanì. Da allora sono stati tradotti in
lingua quattrocento libri, ed infine si c'è stato l'accesso di grandi autori
come Puskin o Mérimée. Nel 1969 in Jugoslavia esce il primo libro scritto in
rromanì: Il Rrom cerca un posto al sole di Rajko Djurić.
Si traducono Prévert e Barbara in rromani!
Emerge allora un movimento poetico rromanì: lustrascarpe, operai, studenti
dattilografano sulle macchine da scrivere dei loro datori di lavoro poesie in un
rromanì approssimativo, se le scambiano e le leggono durante le sere. Traducano
anche Prévert e Barbara, s'intensifica il desiderio di una scrittura comune. Il
primo congresso rom ha luogo nel 1971 a Londra, e da alla luce la commissione
linguistica dell'Unione Rromani Internazionale, che ufficializzerà l'alfabeto
nel 1990, sotto il patrocinio dell'UNESCO.
Riconosciuto infine come una lingua propria a tutti gli effetti, il rromanì
oggi è insegnato ufficialmente solo in due paesi dell'Unione Europea: in Romania
e in Francia (all'INALCO). Ma come di ce il proverbio: "O gav
p-e dromesqo agor si jekh lachipe, o drom so lingrel tut othe si deś!" (Non
è la destinazione che conta, ma la strada per arrivarci!).
Grazie a Marcel Courthiade, commissario alla lingua ed ai
diritti linguistici per l'Unione Rromani Internazionale e professore di
lingua e civiltà rromanì presso l'INALCO, per la sua conoscenza e gli
illuminanti aneddoti.
Di Fabrizio (del 03/05/2013 @ 09:08:58, in Europa, visitato 2430 volte)
Venerdì 10 maggio, ore
20.45
Libreria Popolare - via Tadino 18, 20124 MILANO
Sarà... che le cose più interessanti ti accadono sempre per caso. Sarà... che
molti ne hanno scritto, e solo qualcuno c'è tornato.
Una giovane famiglia italiana, con bimbo di due anni, in Macedonia per
teatro. Entrano in contatto con la comunità dei Rom di
Shuto Orizari
(il primo
comune che è stato amministrato dai Rom stessi), e piano piano ne scoprono la
storia e le sue caratteristiche, ma soprattutto sviluppano un intenso rapporto
con i suoi abitanti, di cui sono ospiti, alla ricerca comune dei valori, delle
tradizioni e delle conflittualità che regolano la comunità.
Ne parlano con l'autore, Andrea Mochi Sismondi Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla Anna Stefi, ricercatrice e collaboratrice di Doppiozero
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