Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 03/10/2007 @ 09:43:02, in media, visitato 1946 volte)

Vi segnalo questa importante iniziativa che la CISL di Milano organizza domani pomeriggio (3 ottobre alle 16.30 in Via Tadino 23) per sensibilizzare all'interno ed all'esterno sul tema dei Rom, con la proiezione del Film Opera Gagia.
Invitiamo a partecipare numerosi per non far calare l'attenzione.
Maurizio Bove.

 
Di Fabrizio (del 27/09/2007 @ 09:38:29, in media, visitato 2585 volte)

In allegato trovate alcune pagine del messaggero pubblicate sabato 22 settembre riguardante notizie sui rom. Xoraxai

di ELENA PANARELLA
e RAFFAELLA TROILI
ROMA - Un filo sottile segna il confine tra esasperazione e intolleranza. I cittadini di Ponte Mammolo l’hanno attraversato. Quelli che avant’ieri si sono fatti giustizia da soli, e tutti gli altri, il benzinaio, il panettiere, l’operaio, il barista. Sono stanchi. «Basta - ripetono - Sono anni che andiamo avanti così, tendopoli, baracche, case lungo il fiume. Siamo invasi da questi insediamenti che hanno portato all’aumento di furti, delinquenza, degrado. E non serve a niente sgomberarli, tanto ritornano».
Ponte Mammolo, il giorno dopo. La rabbia è rientrata, l’esasperazione no. Anche se i sentimenti sono contraddittori, anche se il buonsenso è tornato ma il cuore pulsa ancora troppo forte, il colpo di coda del quartiere è ancora nell’aria. «Il Comune invece dov’é?», grida da dietro il bancone Anna, «la verità è che ci hanno lasciati soli». Siamo nel V Municipio, e gli stranieri sono numerosi e integrati. Gli zingari, i baraccati, quelli no, quelli sembrano creare solo problemi. «Non andiamo più al parco per timore d’incontrarli, sono entrati nei box, nelle case, hanno rubato i motorini. E le donne hanno paura a uscire la sera».
Esasperati i cittadini. Esasperato chi ogni giorno aiuta, quantomeno cerca un contatto, tende una mano al popolo rom. Gli operatori sociali, le parrocchie, i volontari anche loro si dicono abbandonati. «Dove sono le istituzioni?». Chi scende nei “campi”, come loro, ha il diritto di lamentarsi. Chi conta i posti vuoti sul pulmino che dovrebbe portare i piccoli rom a scuola; chi incontra le sue alunne in centro a caccia di borsette mentre i maschietti sono ai semafori, a elemosinare. Le associazioni seguono passo dopo passo il loro percorso formativo, «ma anche se tanto è stato fatto, molti bambini - segnala Paolo Perrini dell’Arci solidarietà - restano ancora nei campi. Il nostro lavoro è fondamentale per l’iscrizione, ma non può essere lasciato a sè. Va accompagnato da politiche di inclusione sociale per le famiglie». Come a dire: se le condizioni di vita rasentano l’estrema precarietà, se i rom che sono a Roma dall’80 ancora vivono nelle baracche, quale integrazione si possono aspettare questi bimbi nati a Roma, figli di una generazione anch’essa nata a Roma? «Il loro primo problema non è la scuola, ma la sopravvivenza».
Nuovi baraccati e vecchi insediamenti. «E’ una realtà che va affrontata a livello nazionale», aggiunge Salvo Di Maggio della comunità Capodarco. I piccolini cominciano bene, frequentano la materna, i primi anni delle elementari. Poi il contatto si perde, vengono risucchiati dalla loro cultura, le femmine si sposano, anche a forza. «A un certo punto il loro mondo si fa troppo diverso da quello degli altri coetanei. C’è un bimbo che non è venuto a scuola per un anno perché non poteva passare in una certa zona del campo», ricordano le maestre dell’Istituto Dalla Chiesa. «C’è chi arriva tutti giorni da lontano, da Castel Romano, dove neanche hanno l’acqua, i servizi, ci mettono amore e buona volontà. Altri sono solo nomi sui registri...». Crescono e si sentono inadeguati, «vanno a rubare Nike e tute per vestirsi come i loro compagni», ancora Perrini. Alla fine, si arrendono...


Sono circa duemila i bambini rom iscritti alle scuole della Capitale provenienti dagli oltre 25 insediamenti sparsi per il territorio. La frequenza si attesta sul 70%, con picchi dell'85% dove i campi sono più attrezzati, e minimi del 30% dove le condizioni di degrado non permettono una costanza negli studi. Di media, quindi, vanno regolarmente a scuola solo il 50% dei bambini rom. Le bambine frequentano di più fino alle elementari rispetto ai maschi, poi molte di loro, verso i 13 anni cominciano ad allentare perché le famiglie le vogliono vicine per i lavori quotidiani o magari sono costrette a sposarsi. La scolarizzazione è affidata ad associazioni che seguono passo passo il percorso formativo dei bambini dalla materna, alle medie e per qualcuno di loro anche alle superiori e nei corsi di formazione che quest'anno hanno raggiunto l'apice di circa settanta iscritti. «Per capire come è cambiata la condizione di questi ragazzi - spiega Salvo Di Maggio, responsabile della Comunità di Capodarco - basta pensare che tra il 1990 e il ’91 a Roma si registravano 180 bambini iscritti con una frequenza molto bassa. Oggi parliamo di circa 2000 ragazzi di cui circa 1400 vanno regolarmente a scuola. Si può dire che il passaggio è stato compiuto». La comunità di Capodarco controlla 11 insediamenti a sud est della città: da quello di via di Salone a quello dell'Arco di Travertino passando per via della Martora e via dei Gordiani. Insieme alla Onlus Arci Solidarietà Lazio, che segue, tra le altre, le comunità di Castel Romano, Tor de’ Cenci e Tor di Quinto, coprono gran parte del territorio capitolino per un totale di circa 1800 ragazzi. Ogni mattina vengono portati nelle rispettive scuole (dal centro alla periferia) grazie a pullman messi a disposizione dal Comune. Quelli più grandi, che hanno le strutture vicino ai campi, le raggiungono a piedi. Alcuni vengono accompagnati dai genitori, mentre la maggior parte ogni giorno è costretta a tragitti spesso snervanti: «Complessivamente noi seguiamo circa 850 ragazzi (Capodarco un centinaio in più) tra materna, elementari e medie - spiega Paolo Perrini, responsabile dell'Arci Solidarietà Lazio - Purtroppo, come ad esempio per gli iscritti del campo di Castel Romano (280 con frequenza del 50% circa), spesso i bambini devono affrontare lunghi tragitti per raggiungere la Garbatella o altre zone limitrofe, tutto a discapito dell'attività didattica perché arrivano in classe più tardi rispetto agli altri».
G. M.


di GIOVANNI MANFRONI

Sonita ha 16 anni, tanta voglia di studiare e divertirsi e un grave ritardo mentale che non le permette di stare alla pari con gli altri bambini. Ma Sonita è più forte della sua malattia. Ogni mattina, con il sorriso sulle labbra, mano nella mano con la mamma, sale sul pullman che l'aspetta davanti all'entrata del campo rom di Tor de’ Cenci. «Frequenta assiduamente la scuola - assicura Marco Birnozzi, coordinatore dell'Arci Solidarietà Lazio - Sonita fa la prima media ed è seguita da vicino da insegnati ed operatori. Quest'estate non vedeva l'ora che ricominciasse la scuola. E' sempre un gioia vederla arrivare e leggere nei suoi occhi la felicità e la spensieratezza che stona rispetto al contesto in cui vive».
Ma spesso per i ragazzi rom non accettano regole. Quasi sempre sono i genitori a impedirglielo. È il caso di Stepe, che ha ha sempre amato la scuola. «Le elemenatri le ha finite a tempo di record - precisa un operatore - Poi, una volta, finite le medie, i genitori le hanno messo i bastoni tra le ruote». Prima hanno cominciato a farle saltare qualche lezione, poi, quando ha compiuto 13 anni, hanno deciso che si doveva sposare. «Si è battuta perché questo non accadesse, tanto che ha provato a denunciare la famiglia ed è stata affidata ai servizi sociali, pur rimanendo a vivere nel campo di Lombroso». Sembrava averla spuntata, invece finite le medie la famiglia l’ha costretta a partire per Milano, dove l'aspettava il futuro marito. I genitori hanno ottenuto quello che volevano. «Faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità per riportarla a scuola - conclude l’operatore - La famiglia ormai non ci vede di buon occhio, ma non ci arrendiamo».
Alessandro, invece, del campo di Tor de’ Cenci, è stato più fortunato, se così si può dire. Fin da piccolo ha coltivato la passione per i computer. «E’ sempre stato fissato», dice sorridendo Marco. Ha concluso regolarmente le elementari e le medie, studiare gli piaceva tantissimo, già prima di diventare il primo ragazzo del campo a prendere l'attestato di scuola superiore. La sua passione l'ha portato a terminare un corso di formazione della Regione per operatore informatico, uno di quei corsi che ti apre la strada alla vita lavorativa. «L'abbiamo seguito fin dalla scuola materna - fanno sapere dalla Onlus - è sempre stato un bambino bravissimo e con tanta voglia di riscatto».
Riscatto che ancora non è arrivato. Una volta terminati gli studi tutte le porte si sono chiuse. Per 5 anni ha fatto colloqui di ogni genere senza mai ottenere risposte positive. Oggi Alessandro a 19 anni e un futuro che non c'è. «Si parla tanto di integrazione - accusa Birnozzi - e poi quando una ragazzo fa tanti sforzi per lasciarsi alle spalle una condizione di degrado non si fa nulla per aiutarlo». Per 4 anni ha lavorato come segretario nella Onlus, «abbiamo preso a cuore la sua storia, ma poi se ne è voluto andare perché ci ha detto che gli sembrava un'elemosina». Si è rimboccato di nuovo le maniche ed è tornato a bussare alle porte girando tutte le agenzie interinali sparse per il territorio. Non si riesce a dare una spiegazione al fatto che il futuro che gli avevano promesso in realtà è fatto di «le faremo sapere» e «in questo momento non cerchiamo». Ma non si rassegna e a chi gli chiede che cosa si aspetta dal domani lui risponde deciso: «Ho studiato tanto per ottenere questi risultati e ora è giusto che qualcuno mi dia la possibilità di lavorare».

 

Ricevo da Claudio Bernieri

Nell'ambito della festa “SCOPRENDO COREA”, organizzata dalla Circoscrizione 1 del Comune di Livorno assieme alle realtà territoriali e che si terrà nell'omonimo quartiere di Livorno nei giorni 20/21/22 settembre (piazza Saragat, accanto al Pam), l’Associazione don Nesi/Corea promuove una iniziativa dedicata al popolo rom.

L’Associazione, da sempre attenta e sensibile alle problematiche e alle realtà che caratterizzano il popolo rom, intende così portare il proprio contributo ad una riflessione che possa coinvolgere tutti, cittadini ed istituzioni, anche in seguito alla tragedia dell’11 agosto dove quattro bambini persero la vita nel rogo a poca distanza dal quartiere Corea.

La sera del 22 settembre - alle 20,45 – sarà proiettato, gratuitamente, in piazza Pam nel quartiere Corea, il film-documentario “MIRACOLO ALLA SCALA”, scritto, girato e diretto da Claudio Bernieri.
Il film racconta la vita dei musicisti rom che suonano sui mezzi di trasporto milanesi. Ed è la storia di una piccola musicista rom che sogna di diventare una ballerina.
Il film è interpretato dal musicista rom “Director” Marian Badeanu e dai suoi figli Loredana e Ciprian, con la partecipazione di decine di suonatori provenienti dal campo nomadi di via Barzaghi –Triboniano a Milano, una vera favela.
A metà strada tra il reportage e un remake di “Miracolo a Milano” di De Sica e Zavattini, il film è uno spaccato neorealista tra integrazione e marginalità sociale.

La proiezione sarà preceduta dalla presentazione del regista Claudio Bernieri e l’intera serata sarà dedicata a Lenuca, Danchiu, Dengi e Eva, i quattro bambini morti che ancora a lungo ci ricorderanno quanto siano in agguato i veleni di una antropologia del disprezzo e il rischio di una disumanizzazione di massa nei confronti dell’altro.

Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare.

Ufficio stampa Stefano Romboli tel. 349 8123460

tel. 0586 424637
e.mail: fondazione@fondazionenesi.org
Stefano
e.mail: kubrick2000@libero.it

 
Di Fabrizio (del 23/08/2007 @ 09:39:11, in media, visitato 2407 volte)

Nuovi media Rom stanno prendendo le misure per educare il pubblico alle tematiche Rom

Uno dei ruoli dei media è educare la popolazione. La gente ottiene una gran mole di informazioni attraverso i media. Si possono imparare lingue, le ricette dei grandi cuochi, fitness dalle celebrità. Si può imparare tanto sugli altri popoli - come si comportano, come vivono. Il pericolo nel maneggiare così tante informazioni è di essere presi nelle rappresentazioni stereotipati su alcuni gruppi di persone.

I componenti delle OnG Rom sono coscienti del ruolo che i media possono avere. Per contrastare i pregiudizi prevalenti provano a spingere informazioni sulla cultura rom, nei programmi radio e TV e sui giornali. [...]

"I media dovrebbero trasferire informazioni complete. Ma per i media è più attraente scrivere di ciò che è negativo. Cosa scriveranno i media? Di una ragazza Rom che ha vinto il Campionato Mondiale di Taekwondo o dei Rom a Vsetín che hanno danneggiato una casa? Secondo la mia opinione dovrebbero scrivere di entrambe," dice Zdenk Horváth,  direttore esecutivo di Athinganoi, una OnG rom che tenta di aiutare il suo popolo negli studi.

Io penso che il 90% dei Cechi si crea la propria opinione sul mondo, secondo come i media coprono gli eventi. Così mi chiedo se il mio lavoro è davvero importante. Potrò realizzare quattro buoni programmi che aiuteranno 100 persone, ma poi torno a casa e vedo i Rom presentati come cattiva gente," aggiunge Horváth.

Tutte le fonti Rom come Romano voďi o Romea TV pongono enfasi sul loro ruolo educazionale. Informano il pubblico sui Rom famosi, sia storici che contemporanei. Introducono i lettori alla cultura rom e lo fanno anche i romanes per favorire il suo uso.

E' importante avere giornalisti Rom nei media nazionali, e devo essere ben professionalizzati. E' per questo che OnG come Dženo o Eomea organizzano corsi speciali per giovani Rom che vogliono diventare giornalisti. "Il prodotto" di questo è Richard Samko, il secondo Rom che è diventato presentatore alla TV ceca e anche giornalista del settimanale "O Roma Vakeren" che è trasmesso su Radio 1.

By Alice Tejkalová - University of Montana School of Journalism

 
Di Fabrizio (del 19/08/2007 @ 09:05:53, in media, visitato 1841 volte)

Parla molto di noi la questione "zingara"
Alberto Burgio

Ciclicamente, come le polemiche sui morti della strada o i roghi estivi (esempio non casuale), riesplode la questione dei campi nomadi. Che ci sia di mezzo il morto (i morti, come i bimbi arsi vivi a Livorno in quello che pare un ennesimo atto criminale) o le gesta squadriste dei padani (come l'anno scorso a Opera), cambia poco. Sta di fatto che di questa questione è impossibile liberarsi. Per nostra fortuna.
Perché? Perché la questione degli «zingari» parla di noi. Qualche giorno fa sul manifesto Enzo Mazzi diceva degli intrecci tra la loro e la nostra cultura. Si potrebbe scavare ancora e scoprire che c'è un legame profondo tra l'esperienza (e il disagio) della stanzialità e l'esperienza (lo stereotipo) del nomadismo. Che diventa un'icona del rimosso e catalizza (qui c'è una convergenza con l'antisemitismo) i furori razzisti della civitas christiana.
Ma non parla di noi solo per questo, la questione «zingara». È parte integrante della nostra storia politica. Di noi italiani (italiani come e non più delle decine di migliaia di rom e sinti cittadini di questa Repubblica), di noi europei (come altre decine di migliaia di rom e sinti e camminanti che vivono nelle nostre città). Faremmo bene a ricordarcene, e invece ce ne dimentichiamo. Perché si tratta di pagine cupe e pesanti come pietre.
La prima riguarda le guerre «umanitarie» nei Balcani. I rom di origine jugoslava (bosniaca e kosovara) sono profughi di quelle guerre di cui l'Italia fu sciagurata protagonista. Sono sfuggiti a vendette e «pulizie etniche» che hanno via via assunto le proporzioni di un pogrom. Si imporrebbe quindi, per cominciare, un bilancio serio dei conflitti che insanguinarono la Jugoslavia lungo gli anni Novanta. Un bilancio che non rimuova la destabilizzazione che li preparò con l'intervento di formazioni terroristiche sotto copertura occidentale.
La seconda pagina del nostro album riguarda le sistematiche persecuzioni inflitte a sinti e rom dopo l'89 in tutte le loro terre d'origine, dalla Slovacchia alla Boemia, dalla Moldavia alla Cechia, all'Ungheria, alla Romania. Nell'indifferenza generale della civile Europa.
La terza (sfondo alle altre) concerne lo sterminio nazista, cui il nostro paese partecipò con leggi e deportazioni. Si diceva delle convergenze con l'antisemitismo. Nel 1936 il Reich equiparò gli «zingari» - emblema di «asocialità» - agli ebrei. Lo sfondamento della Wehrmacht a est fu l'inizio di un calvario che mise capo allo sterminio di mezzo milione di sinti e rom. Ma anche l'Italia fece la sua parte. La persecuzione dei rom prese avvio qui, nei primi anni del fascismo. E le leggi del '38 riguardarono anche gli «zingari», non solo gli israeliti.
Storia? Non soltanto. Alla base di queste nefandezze operarono stereotipi che ancora impregnano le nostre discussioni. Di questo popolo si dipinge un ritratto che non è il suo. I rom jugoslavi avevano le loro case prima che esse venissero sottratte loro a forza. E all'est vivevano sì in condizioni disagiate, ma con un grado di integrazione che noi neppure immaginiamo.
Ma a chi interessa capire se urge giudicare? Si dice del degrado dei campi nelle nostre periferie. Quei campi che tanto spiacciono al cattolico onorevole Casini, ansioso per il decoro delle nostre «grandi città». Quei campi per i quali il democratico sindaco di Torino (come tanti altri dell'Unione, da Roma a Pavia) invoca «poteri straordinari» per i prefetti e interventi «anche oltre le regole pubbliche», pur di «ridurre il numero di rom». Allora bisogna dirlo chiaro: i campi come li conosciamo in Italia non si trovano in altri paesi europei perché altrove i rom vivono in comuni abitazioni grazie a un efficace sistema di sostegno, nel pieno rispetto delle regole.
Dopodiché siamo d'accordo: le prediche non bastano e nemmeno basta la memoria (che pure è un dovere politico, oltre che morale). Dunque che fare? Non si può scantonare da alcuni punti fermi. I rom rumeni non sono extracomunitari, sono europei come tutti gli altri. I rom italiani (70 mila) sono cittadini italiani, come tutti gli altri. A qualcuno potrà spiacere, ma è così. Quindi nessun diritto speciale, nessun trattamento ad hoc. Quanto agli apolidi, essi sono profughi, protetti dalla Costituzione, che riconosce loro (ancora) il diritto d'asilo. Piuttosto chiediamoci: quale risarcimento pensiamo si debba ai rom immigrati nel nostro paese l'Italia, oggi accusata dalla Ue di non applicare la direttiva «contro la discriminazione basata sulla razza e le origini etniche», ieri in prima linea nelle guerre balcaniche?
Veniamo al Kosovo. In questi anni, pur controllando militarmente parte del territorio, l'Italia non è stata in grado (per responsabilità bipartisan) di tutelare la presenza dei rom nella regione. Nel Kosovo di oggi, protettorato militare e luogo di loschi incontrastati traffici, le minoranze (i rom, ma anche la piccola comunità ebraica) non hanno possibilità di sopravvivenza e sono costrette a esodi di massa, che riversano centinaia di migliaia di persone nel resto dell'Europa e in particolare in Italia. Domanda: dopo aver bombardato case, ospedali e infrastrutture civili, dopo aver consegnato il territorio alla mafia kosovara (per tacere dello scandalo degli aiuti umanitari, delle tonnellate di beni di vario genere destinati alle popolazioni balcaniche e rimasti a Bari, dei legami con la malavita meridionale), quali programmi sociali ci impegniamo a sostenere? Quale tutela dei tesori storici e artistici, quale difesa delle minoranze, della vita e della cultura di ognuno?
Le forze di occupazione in Kosovo (di questo ormai si tratta) preferiscono assecondare l'irredentismo schipetaro-albanese e gli appetiti degli americani (che intanto hanno installato, in funzione antirussa, la più grande base militare della regione). In questo quadro si gioca la partita dell'indipendenza formale del Kosovo albanesizzato, per la quale anche il nostro governo pare propendere.
Non si finga di non sapere che, ove venisse concessa, l'«indipendenza» cancellerebbe qualsiasi possibilità di convivenza democratica e paritaria tra le popolazioni della regione. E negherebbe ai rom ogni speranza di fare ritorno nella propria terra.
Non si faccia il solito doppio gioco di causare disastri e poi lanciare accuse per le loro conseguenze.

 
Di Fabrizio (del 10/08/2007 @ 09:26:02, in media, visitato 1825 volte)


Emergenza Rom

Roma, 17 luglio 2007.

I rappresentanti delle comunità Rom della capitale raccontano in prima persona la vita da zingaro. E spiegano cosa sono i Patti della legalità voluti dalla giunta Veltroni

Realizzato da Arcoiris Roma (clicca per accedere alla pagina e visualizzare il filmato)

Riprese:Paolo Dimalio
Interviste: Francesca Chippari
Montaggio: Paolo Dimalio

lunghezza: 36,19 min.

 
Di Fabrizio (del 04/08/2007 @ 09:31:14, in media, visitato 1825 volte)

Su segnalazione di Daniele Mezzana, consiglio a lettura di un articolo di Uzodinma Iweala, sugli aiuti occidentali all'Africa.

Nel testo si fa riferimento all'"umanitarismo sexy" delle star della pop music o del cinema, ma anche al pericolo di neo-colonialismo che si cela dietro tante altre iniziative umanitarie. Anche per Rom e Sinti, vale lo stesso paragone?

Quanto sappiamo di loro attraverso un'informazione mediata, e quanto sappiamo per testimonianza diretta degli interessati?

Cosa sappiamo del reale utilizzo delle somme stanziate? E per finire, cosa fanno e come si danno una rappresentanza i Rom e Sinti stessi? Buona lettura.

 
Di Fabrizio (del 03/08/2007 @ 08:54:31, in media, visitato 1896 volte)

L'avremmo giurato: il caso della «zingara che ha rubato un bambino» non è mai esistito, se non nella mente della madre del bimbo (e per lei abbiamo qualche sentimento di pietà) e nei resoconti di certi giornali e certe televisioni, che meritano invece tutta la nostra indignazione. A cominciare, va da sé, da quel moltiplicatore di tutti gli istinti bassi che agitano il ventre della società italiana che è La Padania. La quale, dopo aver insinuato dubbi sulla mamma-testimone, che - scrive - «stranamente ritratta», continuava ancora ieri a seminare e a inseguire paure sugli “zingari” con un titolone a nove colonne: «Allarme: in azione bambini ladri». Che grande novità, eh?
Certo: i rom e altri nomadi rubano spesso, per necessità e per antica abitudine, e i bambini rubano più ancora degli adulti. È un problema che riguarda tutte le nostre città, anzi tutte le metropoli, che genera insicurezza e che va affrontato e risolto. Ma i rom, le donne rom, non “rubano” i bambini. Che lo facciano è un'antica convinzione basata soltanto sul pregiudizio verso le evidenti diversità di costumi e di vita dei nomadi. Semmai, in passato, è avvenuto il contrario: e cioè che dei bimbi nomadi siano stati rapiti “a fin di bene”, per essere convertiti ed educati secondo i “veri valori” dei paesi che ospitavano le loro comunità. L'idea che i nomadi rapiscano i bambini, pratica oltretutto insensata per comunità con altissimi tassi di natalità, ha lo stesso fondamento che ebbe quella secondo la quale gli ebrei uccidevano a scopo rituale i bambini cristiani. La differenza è che se oggi un giornale si azzardasse a sostenere che ciò avviene realmente sarebbe, giustamente, affogato nelle critiche e nel disprezzo di tutte le persone di buon senso. Con gli “zingari”, invece, non solo non accade, ma si trova anche qualche imbecille pronto a commentare e a raccontare che sì, certo, come no, ci sono molti casi...
Ma quali casi, quando, dove? Ogni allarme che è stato diffuso in passato si è dimostrato infondato. Ha portato soltanto nuove paure e nuovi pregiudizi. Ha confermato soltanto che questo timore ancestrale, retaggio di tempi lontani e assai diversi dai nostri, è ancora vivo non solo fra la gente semplice, non solo fra i genitori (ai quali un eccesso di ansia di protezione verso i propri figli può essere pure perdonato), ma anche tra persone che, per il mestiere che fanno, dovrebbero avere una certa cultura e farsi governare da un certo senso di responsabilità: cronisti di giornali e tv, commentatori strapazzoni, persino qualche “esperto” di dubbissima fama.
Alla povera Maria Ferau, che ha pagato con l'arresto un gesto che probabilmente era solo una carezza, andrebbero le scuse di molte persone, oggi. E invece avrà, probabilmente, solo silenzio e nuovi insulti dalla Padania. Che tristezza.

 
Di Fabrizio (del 26/07/2007 @ 09:48:21, in media, visitato 2859 volte)

“Immaginare il futuro tra memoria e presente” : questo il titolo del DVD che contiene due cortometraggi e una pubblicazione cartacea sul popolo rom


“Immaginare il futuro tra memoria e presente” è il DVD realizzato dal Progetto Rom Toscana dell’Arci Toscana, che sarà presentato oggi durante la XIII edizione del Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina.
Il DVD, che sarà distribuito gratuitamente, è un interessante lavoro di documentazione sul tema dei rom ed è diviso in tre parti:

  • la pubblicazione cartacea interna al cofanetto che conterrà vari scritti di operatori, politici ed esperti del settore;
  • un DVD-rom che sarà la parte interattiva con testi, collegamenti ipertestuali, video e gallerie fotografiche;
  • il DVD che contiene due cortometraggi, le gallerie fotografiche e i crediti.

Il Progetto Rom Toscana proporrà la presentazione di questo lavoro nei territori, nelle scuole e ovunque sia richiesto, ma soprattutto dove si voglia iniziare a contrastare la disinformazione e il pregiudizio nei confronti del popolo rom e a proporre un percorso comune e serio di cittadinanza.

Di seguito un breve estratto dell'introduzione al DVD

A partire dalla fine degli anni '80 l’ARCI Toscana e l’ARCI Territoriale di Firenze hanno costruito, attraverso un lungo e arduo percorso politico, i presupposti di un modello regionale condiviso per l'accoglienza degli immigrati, dei richiedenti asilo e delle minoranze, in particolare quella costituita dalla comunità Rom. Questo è stato possibile grazie alla coesione del movimento antirazzista, alla importante partecipazione di associazioni costituite da rom e alle Istituzioni che hanno accolto tali istanze.
In quegli anni l'emergenza era costituita dalla necessità di contrastare il mezzo violento dello sgombero forzato dei campi abitati da rom, come approccio risolutivo alle complesse problematiche relative all'alloggio e all'inserimento sociale. L'ideologia condivisa dei “campi nomadi, luoghi dell'apartheid, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, si è snodata attraverso l'approvazione di leggi regionali che in buona fede tentavano di tutelare il popolo rom e sinti (legge 17/88).
Con la legge regionale 73/95 si ottiene il superamento della definizione “campo nomadi” e inizia a svilupparsi la possibilità di soluzioni alloggiative differenziate sul territorio, che prevedono l'autocostruzione di strutture da parte delle stesse famiglie, il recupero di alloggi, l'edilizia popolare e, soprattutto, dimostrano la falsità della percezione sociale del rom come “nomade a tutti costi”, immagine pregiudiziale e in molti casi più che fantasiosa. La legge 2 del 2000 evidenzia finalmente la necessità di individuare in questo set di possibili soluzioni la scelta di interventi diversificati, che vadano cioè nella direzione più adeguata in base ai casi, alle risorse e alle opportunità di accesso ai vari servizi territoriali. Un grande passo in avanti è rappresentato dall’elaborazione dei due Protocolli Regionali che vedono finalmente superata l’idea di una legislazione ad hoc per il popolo rom e sinti garantendo, da un lato, la solidarietà e il sostegno nei confronti dei Comuni di accoglienza e di inserimento abitativo di nuclei rom e, dall’altro, introducendo l’importante tassello del Progetto Rom Toscana.
Il Progetto Rom presto diventa un modello metodologico di inserimento abitativo, di accompagnamento all'autonomia e di mediazione con le amministrazioni locali e il territorio, senza precedenti.
A questo punto del cammino, sarebbe bello pensare ad una Toscana che - avendo già rifiutato i CPT sul proprio territorio - si impegni a superare definitivamente il concetto dei “campi nomadi” nella pratica, nelle idee e nel linguaggio, non essendo altro che “spazi riconosciuti dell'emarginazione”.

(www.accoglienzatoscana.it)

25.07.2007

 
Di Fabrizio (del 22/07/2007 @ 09:31:43, in media, visitato 1922 volte)

"Chachipe" è un contest fotografico nell'ambito della Decade del Popolo Rom.

Chi vuole (sia fotografo professionista o no) può iscriversi entro il 15 agosto e caricare le sue immagini sul sito in quattro categorie. Il concorso è aperto a tutti, di ogni cittadinanza, residenza e affiliazione etnica, ovviamente è incoraggiata la partecipazione di chi abbia origini Rom.

E' poi possibile esprimere il proprio voto sulle foto già esposte nel sito.

Le foto che riceveranno più apprezzamenti saranno esposte alla Galeria Centralis di Budapest, dal 25 ottobre 2007.

 

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