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\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 08/10/2005 @ 17:02:14, in conflitti, visitato 1781 volte)

StranieriinItalia

Il dramma globale
Asilo: diminuiscono i rifugiati, ma aumento gli sfollati interni

António Guterres (Onu): "la questione degli sfollati interni dimostra chiaramente come razzismo, xenofobia, e conflitto etnico siano vivi e forti nel nostro mondo”
 

Il numero globale dei rifugiati che hanno dovuto abbandonare il proprio paese a causa di violenza e persecuzioni ha toccato nel 2005 la cifra più bassa da quasi 25 anni a questa parte. 

Tuttavia è cresciuto il numero di sfollati fuggiti dalle proprie case per gli stessi motivi, ma che sono rimasti dentro i confini dei propri paesi e non rientrano per questo nella Convenzione del 1951 sui rifugiati: sono oggi più di 25 milioni. 

Come ha evidenziato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres "la drammatica questione degli sfollati interni dimostra fin troppo chiaramente come razzismo, xenofobia, conflitto etnico, nazionalismo violento e fondamentalismo religioso siano vivi e forti nel nostro mondo di oggi. Noi possiamo batterli solo attraverso la tolleranza, un valore che non appartiene ad una particolare civiltà, ma un valore di civiltà". 

Attualmente, oltre seimila operatori dell'UNHCR si prendono cura in tutto il mondo di circa 19 milioni di rifugiati ed altre categorie di migranti forzati che rientrano nella competenza dell'Agenzia. “Ma da questo momento - ha dichiarato Guterres, l'UNHCR intende essere un partner ‘pienamente coinvolto’ nell'approccio collaborativo delle Nazioni Unite per far fronte alla questione degli sfollati interni. 

La lotta contro ‘l'impatto perverso’ dell'intolleranza costituisce forse la sfida più difficile che oggi l'UNHCR e i suoi partner devono affrontare – ha proseguito il Commissario -. L'ascesa del populismo ha portato a creare sistematicamente e intenzionalmente confusione nell'opinione pubblica, mischiando problemi di sicurezza, terrorismo, flussi migratori e questioni relative a rifugiati ed asilo”. 

"Per preservare l'istituto dell'asilo è necessario per noi poter individuare le persone bisognose di protezione internazionale all'interno di flussi migratori complessi, come quali che hanno luogo nel Mediterraneo e nel Golfo di Aden - ha continuato Guterres, riferendosi alle migliaia di persone che dall'Africa si spostano verso l'Europa ed il Medio Oriente. 

"Tutti gli stati sono tenuti a gestire in modo responsabile le proprie frontiere e ad adottare politiche migratorie appropriate. Essi devono anche agire con forza per eliminare il traffico di esseri umani e punire severamente chi trae vantaggio da tali traffici. Tuttavia la necessità di sorvegliare le frontiere non deve impedire l'accesso alle procedure d'asilo o un'equa procedura di determinazione dello status di rifugiato per coloro che ne hanno diritto in base al diritto internazionale. Un'azione repressiva dura e senza compromessi contro questi abominevoli criminali deve procedere di pari passo con la preoccupazione umanitaria di proteggere le loro vittime bisognose – ha concluso il commissario. 

(6 ottobre 2005)

r.m.

 
Di Fabrizio (del 23/09/2005 @ 20:38:15, in conflitti, visitato 1918 volte)

da: Polska_Roma

il 26 settembre 2005 - h. 18.00
Varsavia - Hotel Sofitel Victoria, Ul. Krolewska 11, Warsaw. Meeting Room # 3.

proiezione di
DOLORI NASCOSTI LA PERSECUZIONE DEGLI ZINGARI RUMENI NELLA II GUERRA MONDIALE
un film di Michelle Kelso, Doctoral Candidate, University of Michigan.

E' la cronaca della poco conosciuta persecuzione dei Rom rumeni durante la guerra. I nazisti e i loro alleati fecero di Ebrei e Rom un obiettivo di sterminio. Rispettivamente 300.000 e 25.000 di loro furono deportati nei campi dell'Unione Sovietica occupata dalle forze dell'Asse. Oltre metà di loro morì, gli altri sopravvissero alla fame, ai disagi, alle brutalità e agli eccidi di massa. Furono infine liberati nel 1944 e fecero ritorno in Romania, tentando di rifarsi una vita.

Per sessant'anni la deportazione dei Rom è stata ignorata dai libri di testo e nessun monumento ricorda quel sacrificio.Soltanto alla fine degli anni '90 il tema è tornato d'attualità, quando sono stati sbloccati i fondi svizzeri e tedeschi per la compensazione delle vittime e dei loro eredi.

Le sofferenze patite durante la guerra si uniscono all'attuale quadro di discriminazione che tuttora vivono i Rom in Romania. DOLORI NASCOSTI rivea la continua lotta dei Rom contro il pregiudizio, la povertà e la marginalizzazione.

 
Di Fabrizio (del 20/09/2005 @ 11:57:26, in conflitti, visitato 2624 volte)
Ritorno al futuro

di Karin Waringo

Nel dibattito sul futuro del Kossovo, il passato gioca un ruolo preminente

La chiesa del Cristo Salvatore nel centro di Pristina sembra una rimanescenza del passato. Costruita in uno stile che ricorda le chiese bizantine del Medio Evo, domina una vasta distesa, che d'altra parte è occupata solo dall'università. Il portone della chiesa è cintato da filo spinato, che gira tutta intorno all'edificio. La barriera è arrugginita dal tempo e non sarebbe di nessuna protezione se qualcuno volesse attaccare.Le finestre non hanno più vetri e anche le pietre che le contenevano sono sparse attorno. Nel corso degli anni la chiesa, che non è mai stata completata dopo la fuga dei Serbi da Pristina, è stato il bersaglio di ricorrenti attacchi e vandalismi. E' così diventato un simbolo delle relazioni tra la maggioranza Albanese, che ora determina il futuro nella provincia, e la minoranza Serba.

Raramente si sente la lingua serba a Pristina. A volte sono un paio di vecchi che lo parlano al riparo delle mura di un albergo, a volta un gruppetto per strada, come se stesse cospirando. Quasi nessuno più lo capisce, una volta era insegnato a scuola ma oggi per le strade di Pristina è una lingua tabù. I Serbi che fanno parte di organizzazioni internazionali, tra loro parlano in inglese. I giovani Rom vogliono passare per Inglesi o Americani, persino "Zingari Americani", tutto tranne ciò che sono realmente, abitanti da secoli di questa regione martoriata dalla guerra.

La capitale del Kossovo è stracolma di simboli, che ricordano l'eroica battaglia "dell'Armata di Liberazione del Kossovo", l'UÇK, contro "l'occupante Serbo". Nel centro della città, di fronte al Grand Hotel, si staglia la statua di un combattente albanese per la libertà, morto nel 1999. Sulla facciata semidistrutta del Palazzo della Gioventù e dello Sport, c'è la fotografia di un altro eroe di guerra, bardato in uniforme da battaglia. Ha un aspetto abbastanza irreale, come se emergesse da una fiction. Anche lui è morto nella guerra contro i Serbi.

Inoltrandosi nel centro, quasi accanto alla sede della delegazione EU, il monumento a Skenderbeg, anche lui un eroe, ma di tempi più remoti: Fermò l'invasione dei Turchi in Albania, ed è considerato un popolare eroe albanese. Più modesta, nella stessa strada che ne porta il nome, il ritratto di un'altra albanese, Nëna Terezë, fondatrice di un ordine religioso, che appare dappertutto nei poster in città.

Un giornalista occidentale afferma che il Kossovo si dividerà nei prossimi anni, con la sua parte settentrionale che cadrà sotto la Serbia e quella meridionale sotto l'Albania. Oggi i Serbi del Kossovo vivono quasi esclusivamente nelle enclavi, qualche migliaia in quelle più piccole come Gnjilane e Gorazdovac, qualche altro migliaio nella cosiddetta mezzaluna attorno a Pristina e forse 70.000 a nord del fiume Ibar, un'area prossima al confine con la Serbia.

Ci sono innumerevoli leggende attorno al Kossovo: i Serbi considerano il Kossovo la culla della cultura e della civilizzazione serba. Nel 1389 il principe serbo Lazar Hrebeljanovic patì in questa terra una tremenda sconfitta contro i Turchi, e questo divenne negli anni un importante elemento della coscienza nazionale serba. Fu a Kosovo Polje in serbo o Fushë Kosovë in albanese dove, nell'aprile 1987, l'allora presidente serbo Slobodan Milosevic fece il suo storico discorso, che avrebbe sancito la fine dell'ex Yugoslavia: "Nessuno sconfiggerà ancora questo popolo".

"Se vuoi capire questo odio, devi comprendere la Storia" mi spiega l'interlocutore albanese. Lo incontro la prima volta sulla terrazza di un caffè di Pec/Pejë, dove mi ero trovata con un amico. Quando ci sente discorrere in inglese, vuole unirsi all'argomento. Era coordinatore delle lezioni in francese, parla sei lingue, tra cui spagnolo e italiano. Quando lo incontro nuovamente il giorno seguente a Pristina, non posso rifiutare oltre il suo invito.

Pieno di orgoglio, passa dall'inglese al francese e poi al tedesco e insiste che dovremmo parlare anche in spagnolo. Ma a causa della Storia, rifiuta di parlare serbo, l'ultimo linguaggio che abbiamo in comune. Per lui la Storia inizia al principio del XX secolo. Nel 1918 il Kossovo fu incorporato nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. "Dopo la guerra eravamo un povero popolo di confine, con pochi di noi che si erano laureati", mi dice.

Tutto ciò sarebbe cambiato rapidamente negli anni a venire. Nel 1968 il Kossovo ricevette la sua prima università. "L'Università di Pristina era la terza in Yugoslavia", mi dice Muzaref orgogliosamente. Con la nuova Costituzione yugoslava al Kossovo fu garantito lo status di provincia autonoma e questo fu l'inizio dell'epoca d'oro che terminerà nel 1989. "Naturalmente i Serbi possono fare ritorno. A seguito degli inviti di popolare la regione, molti di loro nella seconda metà degli anni '80 si costruirono la casa. Questi Serbi possono tornare." - "E le altre minoranze, ad esempio i Rom?", gli chiedo. "Nobody likes the Gypsies.", mi risponde Muzafer con un largo sorriso. E con questo, l'argomento è chiuso.

"Jonegociata. Vetevendosje.", "Nessun negoziato. Indipendenza". Fine di agosto, è lo slogan che appare sui muri di Pristina. Si dice che dietro ci sia un giovane studente albanese. Durante i mesi estivi l'inviato speciale del Segretario dell'ONU Kofi Anan, Kai Eide, è stato in Kossovo e a Belgrado, per fare il punto della situazione. Le prime dichiarazioni di Kai Eide indicano che il suo rapporto, che sarà sottoposto al giudizio del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a ottobre, sarà meno ottimista di quelli trimestrali del Rappresentante Speciale dell'ONU in Kossovo, Soren Jessen Petersen. Kai Eide è preoccupato particolarmente per la situazione delle minoranze e le condizioni per il loro ritorno.

Mi spiega un incaricato di un'organizzazione internazionale in Kossovo, che Eide ha viaggiato più in Europa che in questa regione. Lo scopo della sua visita era non solo di avere un'idea delle differenti posizioni, ma se possibile di cercare di mediare tra le diverse opinioni. Quando il rapporto verrà vagliato dal Consiglio di Sicurezza, la decisione su come procedere in futuro sarà già ampiamente determinata. Per esempio, un'indipendenza condizionata, dove alle istituzioni locali spettano la maggior parte delle competenze di uno stato indipendente, ma che rimanga sotto il controllo di un mandatario internazionale, sembra oggi l'ipotesi più gradita.

Nella comunità internazionale la posizione da assumere sulle minoranze è il punto di rottura. L'argomento venne affrontato soltanto due anni fa, in occasione della proclamazione del piano di sviluppo del Kossovo, che avrebbe dovuto stabilire le condizioni concrete per la fine del mandato ONU. Gli stessi rappresentanti della comunità internazionale rimproverano all'UNMIK, l'amministrazione civile dell'ONU, di essere corresponsabile dell'attuale situazione. Si accusa l'UNMIK di avere rapporti troppo stretti con l'Auto Governo Provvisorio. Mancano indicazioni esplicite se il futuro del Kossovo appartenga a tutti gli abitanti o esclusivamente alla minoranza albanese.

La notte tra il 27 e il 28 agosto è stato aperto il fuoco contro quattro giovani Serbi che stavano lasciando l'enclave di Strpce sulla loro auto. Due di loro sono morti sul colpo. I giorni seguenti la notizia è circolata nell'enclave come un incendio. Probabilmente per questo alle festività di Gracanica c'erano così poche persone. Prima della guerra, quello che è uno dei più vecchi monasteri serbi della regione attraeva decine di migliaia di Rom e Serbi. Oggi sono soprattutto Rom musulmani provenienti da Gracanica.

"Perché partecipate, se siete Musulmani?" chiedo a Safet, un Rom del Kossovo. "Dio è uno", mi risponde con un ghigno maligno. Sua suocera offre una spiegazione più prosaica: "Dopo la fine della guerra, è l'unica cosa che ci permettono di fare." Un'opportunità per incontrare parenti ed amici e scambiarsi informazioni. I venditori di strada che vendono giocattoli di plastica a buon mercato, non sembrano fare grandi affari. Giusto i soldi per ripagarsi il vitto e le spese.

Il rappresentante con cui ho parlato, che insiste per rimanere anonimo, chiame le enclavi "comunità di affamati". Su oltre 200.000 appartenenti alle minoranze etniche, cacciati dal Kossovo nel giugno 1999, solo qualche migliaio ha fatto ritorno. Sono soprattutto anziani senza ulteriori possibilità.

Attacchi come quelli del marzo 2004, quando più di 4.000 Serbi, Rom ed Askali sono stati cacciati dalle loro case e proprietà, portano a successive ondate migratorie verso le enclave più grandi e la Kosovska Mitrovica. Ovunque, ci sono rovine bruciate, ma soprattutto case saccheggiate, accanto alle nuove costruzioni.

Nelle enclavi c'è paura di nuovi attacchi durante questa rincorsa ai negoziati sullo status futuro del Kossovo. Alla fine di luglio Adem Demachi, presidente dell'Associazione degli Scrittori Kossovari, ha affermato al giornale belgradese "Blic" che rimandare l'indipendenza potrebbe sfociare in nuove azioni peggiori di quelle del marzo dell'anno scorso.

Cosa c'è dietro questa strategia? Il compimento di un'operazione, iniziata nel giugno 1999 sotto gli occhi della comunità internazionale, che consegnerà il Kossovo alla maggioranza albanese? Gli abitanti dell'enclave attorno Gracanica accusano gli Shiptare, il nome che danno agli Albanesi, di nutrire ambizioni territoriali su Laplje Selo, che fa parte della "mezzaluna" a sud di Pristina. Laplje Selo lambisce la strada principale che unisce Pristina a Skopje. Lungo quel percorso sono spuntati come funghi distributori di benzina. Un diplomatico straniero sottolinea che la strada ha importanza strategica, come via di comunicazione verso Pec, o Pejë in albanese. Averne il controllo renderebbe possibile dividere l'enclave e togliere l'ossigeno ai suoi abitanti.

"Slobodnost kretenje", libertà di movimento in lingua serba. Una parola usata e ri-usata dai non-Albanesi, per rimarcare che per loro la libertà di movimento non esiste. Al momento di attraversare il ponte sul fiume Ibar, per raggiungere la sponda sud, uno dei miei accompagnatori mi rammenta di smettere di parlare in serbo. Immediatamente i nostri discorsi si spengono, per tramutarsi poi in un bisbiglio irrequieto e sospettoso.

I divieti valgono anche sull'altra sponda: il Nord Kossovo sotto il controllo di Belgrado. Stiamo parlando delle cosiddette strutture parallele o dell'ostruzionismo dei Serbi kossovari. Solo recentemente i rappresentanti serbi hanno definitivamente deciso di lasciare i loro seggi nel parlamento del Kossovo. I Serbi del Kossovo hanno boicottato le ultime elezioni, col risultato che le altre minoranze, come i Rom che vivono nelle stesse enclave, non hanno votato e sono tagliati fuori dai processi politici.

Dal 29 agosto Kosovoska Mitrovica è sotto stadio di assedio. Tutti i punti nevralgici sono presidiati dal mezzi della KFOR. L'edificio dell'OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) nella parte settentrionale della città, appare come una fortezza. Invece i soldati che compongono la Forza Internazionale di Pace sembrano più annoiati che sotto tensione. La manifestazione dei Serbi sul ponte sull'Ibar si è mantenuta pacifica e si è sciolta alle due verso la parte settentrionale della città.

La sostituzione delle targhette numerate che sul ponte indicano il punto dove fermarsi o dei bollini che attestano la nazionalità della vettura e il suo diritto ad accedere a un parcheggio riservato, è pratica quotidiana. Gli scambi commerciali avvengono in dinari. La musica, che risuona dappertutto, è serba. Mitrovica si presenta come un baluardo contro gli Albanesi a sud.

Nel centro di Mitrovica "giace" la Mahala dei Rom, che era uno dei più estesi e più antichi insediamenti dei Rom nell'Europa del Sud-Est. Oggi i suoi abitanti sono dispersi in ogni direzione, qualcuno in Serbia e Montenegro, altri nei paesi EU. Della Mahala rimangono scheletrici i muri delle case, che si stagliano all'orizzonte. La Fabricka Mahala è andata distrutta e saccheggiata, i suoi abitanti cacciati il 16 giugno 1999, sotto gli occhi di un inattivo contingente francese della KFOR. Lo scorso aprile, l'UNMIK e l'amministrazione comunale hanno siglato un accordo per la ricostruzione della Mahala. Celebrato come una vittoria e un passo verso la normalizzazione dei relazioni interetniche, l'accordo sta rivelandosi un regalo a due facce.

L'ultimo episodio di quella che appare un infinito intrigo politico, è la richiesta che una ONG internazionale ha fatto a Kofi Anan di sospendere l'immunità diplomatica per quegli ufficiali NATO responsabili della sistemazione e della sicurezza degli ex abitanti della Mahala. 700 di loro vivono nei campi per IDP (rifugiati interni) nel Kossovo settentrionale. In tre di questi campi sono stati registrati livelli di avvelenamento del sangue dei rifugiati, svariate volte superiori a qualsiasi standard internazionale. Un giornalista americano ha attribuito 27 morti avvenute in questi campi, molti bambini tra questi, agli effetti dell'inquinamento del suolo e dell'ambiente. I campi sono posti nelle immediate vicinanze delle miniere di Trepca, chiuse dall'amministrazione NATO nel 2000, a causa del pericolo costituito per le persone e l'ambiente.

Il caso ha sollevato l'attenzione dei media internazionali e i visitatori spuntano ogni giorno. Il leader del campo ha attaccato al muro dell'ufficio i biglietti da visita dei giornalisti e dei visitatori che sono passati di lì. Dietro al computer sulla scrivania, assomiglia ad un manager. Nello stesso giorno in cui sono andata lì, l'ufficiale dell'UNMIK gli sta promettendo una luna a cui non crede più: "All'inizio, ho dato fede a tutti, ma adesso non credo più a nessuno."

C'è chi ritiene sia sintomatica l'attenzione sviluppatasi attorno ai casi di avvelenamento del sangue, a pochi mesi dall'inizio dei negoziati sulla possibile indipendenza del Kossovo. Con la dimostrazione che l'amministrazione civile internazionale non è in grado di salvaguardare gli interessi degli abitanti non Albanesi del Kossovo.

La Mahala stessa è sulla linea del fronte. Collocata una volta nel centrodi Mitrovica, oggi si trova proprio sul confine tra l'area serba e quella albanese, ma nel territorio di quest'ultima, a sud dell'Ibar. Questo può spiegare perché i capi non siano particolarmente impazienti di tornare nel luogo d'origine dei loro antenati: se il Kossovo finisse per essere diviso, i Rom, tradizionalmente più vicini ai Serbi, si ritroverebbero improvvisamente dal lato sbagliato. Inoltre, il ritorno nella Mahala significherebbe la fine di un sogno accarezzato a lungo: la possibilità di chiedere la risistemazione in una nazione terza, che a molti appare l'unica salvezza da una storia di povertà e persecuzione.

"Non si parla più di Kossovo multietnico", dice un rappresentante di un'organizzazione internazionale che opera qui, "ma soltanto di coesistenza pacifica". "Se verranno risolti i problemi economici, lo saranno anche quelli politici", dice il mio poliglotta compagno di discussione. Considera un dovere patriottico per gli Albanesi della diaspora kossovara investire nel futuro del paese.

Chiedo al portiere del Grand Hotel cosa si aspetti dall'indipendenza. "Non lo so" è la sua risposta. Il suo collega dell'hotel Illiaria ha preoccupazioni differenti: I due alberghi, che appartengono allo stesso gruppo, saranno privatizzati. Oggi impiegano 700 persone, che dopo la privatizzazione di sicuro non saranno più di 250, così lui ritiene. Potrebbe significare la fine di una carriera durata 31 anni.

All'aeroporto di Slatina incontro degli Albanesi con passaporti tedeschi, ma soprattutto americani. I bambini parlano tra loro in inglese e quando si rivolgono agli anziani, usano l'albanese. Sulla valigia leggo l'etichetta Bronx, New York. Qui in Kossovo sono considerati a pieno titolo tra i pochi fortunati, quanti hanno avuto la possibilità di andarsene.

 
Di Fabrizio (del 18/09/2005 @ 23:48:21, in conflitti, visitato 2741 volte)

La giornalista e ricercatrice Karin Waringo è tornata da un viaggio in Kossovo e Macedonia, per documentare la condizione dei Rom nei due paesi.

Ho appena terminato di tradurre in italiano il suo racconto di viaggio dal Kossovo, che pubblicherò quando saranno disponibili le versioni nelle altre lingue. Nell'area documenti è intanto disponibile il rapporto (in inglese, formato .doc) sulla situazione in Macedonia.

Come molti di voi già sapranno, c'è preoccupazione per gli accordi intercorsi tra l'UNMIK in Kossovo e alcuni stati europei per il rimpatrio forzati dei richiedenti asilo dal Kossovo. La Macedonia ha iniziato i rimpatri "obbligati" già da tempo, per diversi motivi:

  • la Macedonia non ha mai firmato alcun accordo sui rifugiati da paesi esteri;
  • coinvolta nel 2001 in azioni militari dalla guerriglia albanese, ha dovuto ovviare da sola anche ai propri rifugiati interni; le prime notizie su questo conflitto dimenticato mi arrivarono da un Rom, Asmet Elezovsky, che praticamente mi scriveva con i colpi di mortaio che lambivano il Centro Culturale Rom di Kumanovo (alcune foto)
  • fu il primo punto d'arrivo dei profughi dal Kossovo, già nel 1999, e in seguito la Comunità Europea promise il suo sostegno economico, promesse rinnovate al tempo della crisi di due anni fa. Nessun sostegno a favore dei rifugiati interni o esteri è mai arrivato, anzi la stessa Comunità ha invece iniziato a rimpatriare forzatamente i rifugiati (QUI l'ultimo aggiornamento)

Insomma, dal punto di vista formale, la posizione della Macedonia è limpida. Il paese ha ospitato sino a 22.000 sfollati, spesso in condizione di deprivazione estrema. Poco più di 1.000 Rom hanno ottenuto un permesso di soggiorno che permettesse loro di rimanere in Macedonia e circa lo stesso numero sta aspettando che venga vagliata la loro richiesta.

Nel 2003 ci fu un altro punto di crisi: la situazione nei campi profughi era spaventosa e d'improvviso intervennero le forze di polizia a sgomberarli di forza. I Rom manifestarono per le vie della capitale, chiesero solidarietà all'Europa che invece continuava a chiudere loro le porte in faccia e alla fine, presi dalla disperazione, con furgoni e pullmini si incamminarono verso il confine greco. Dove in pieno luglio rimasero bloccati in una pietraia in montagna, alle spalle i corpi speciali della polizia macedone e di fronte i carri armati greci. In quel periodo, durato un mese e mezzo, Asmet Elezovsky rimase ferito negli scontri di piazza, lui che con i rifugiati non c'entrava se non per la solidarietà che mostrava loro. Tramite lui e un primo tentativo di network informativo, continuavano ad arrivarmi notizie, mentre imparavo quanto fosse difficile raccontare un conflitto in diretta alle porte di casa. L'indifferenza dei media nostrani, stese per la seconda volta il velo su quei Rom, di cui si perse notizia ai bordi della pietraia sul confine. Forse, qualcuno riuscì a scappare in Grecia, più probabilmente ora sono in qualche campo profughi in Kossovo o in Serbia.

Qualcuno ha riacquistato la libertà, e non è stato facile. Mi ricordo che nel 2003 avevo pubblicato la prima parte di quella storia in un sito che oggi non c'è più e dopo due anni di silenzio sapere che quella persona è in salvo, rende quel pugno di speranza per continuare a scrivere storie simili.

Asmet Elezovsky è vivo, l'anno scorso ho anche trovato in rete una foto di questo corrispondente che è per me in questo tempo è diventato una presenza forte quanto virtuale. Cittadino macedone, non è stato espulso e a questo punto, condivido con chi mi ha letto sin qui l'ultima mail ricevuta.

Ma prima, vi chiedo nuovamente attenzione all'appello di cui lui, con Karin Waringo e tanti altri (ci sono anch'io, a questo punto è ovvio!) vi chiediamo di fare tutto il possibile (e anche di meno, basta aderire alla petizione) perché l'Europa interrompa il rimpatrio forzato dei richiedenti asilo dal Kossovo. Ancora una volta, con la COLPEVOLE disattenzione di noi italiani, ci sono più adesioni dal Lussemburgo che dall'Italia!

Cari amici,

Mi rivolgo a voi, perché ho bisogno delle vostre opinioni, documenti, foto...
Sinora ho ricevuto risposte dalla Danimarca, Kossovo, Bosnia, Olanda...
Dopo parecchio tempo che mi occupo di questo argomento, ho bisogno di coordinare gli sforzi sulla situazione dei profughi dal Kossovo.

Assistiamo a meetings, conferenze, seminari... Ma ora è più importante, alla scadenza dello status di richiedenti asilo e sulla definizione della regione del Kossovo, di diventare anche noi parte del processo decisionale: sinora i nostri sforzi sono stati minimi, così come Rom non abbiamo voce in capitolo.

Siamo sicuramente in ritardo, ma dobbiamo provare lo stesso, a congiungere il nostro sforzo a quanti si sono già mobilitati: TERF, IRU, ODIHR, COE...

Ho bisogno di conoscere il nome dei campi, il numero dei rifugiati, i profughi interni e altre informazioni.
Potete contattarmi via email, nel frattempo raccoglierò tutto il vostro materiale, in vista della prossima Conferenza di Varsavia. Spero nel vostro aiuto, perché senza le vostre risposte dovrò abbandonare questo compito.

[...]

Asmet Elezovski
elezovski.asmet@drom.org.mk
aelezovski@hotmail.com

Tel/fax: +389 31 427 558


 
Di Fabrizio (del 12/09/2005 @ 11:13:49, in conflitti, visitato 1875 volte)

Da: Stop Deportations

Cari amici

Sinora abbiamo raccolto oltre 60 adesioni di organizzazioni e 600 di singoli cittadini, nel nostro appello contro la deportazione di Rom, Askali ed Egizi in Kossovo e per la loro inclusione nei colloqui sullo status della regione. Siamo particolarmente lieti di annunciare che hanno aderito in blocco tutte le aderenti al Romani Women Network, e che contiamo sull'adesione di TERF e IRU.

Purtroppo, sono andate perdute alcune delle vostre firme, e vi chiediamo di controllare se nell'elenco figura la vostra adesione, nel caso vi invitiamo a firmare nuovamente e a far conoscere il nostro appello ad altre organizzazioni e privati cittadini.

Anche se i processi di rimpatrio sono attualmente fermi, e secondo l'UNMIK solo qualche centinaia è stato rimpatriato a forza, questo non significa che il loro futuro non sia più a rischio. Al contrario, le autorità continuano con le pressioni verso i richiedenti asilo dal Kossovo perché "volontariamente" tornino nella provincia amministrata dall'ONU.

La situazione in tensione in Kossovo è dimostrata dall'aumentata presenza di forze militari internazionali e dalla uccisione di due giovani Serbi a Strpci nella sera dello scorso 27 agosto. Non esiste praticamente libertà di movimento per chi fa parte di una minoranza etnica. L'accesso alle scuole, ai servizi sociali e ai trattamenti medici avviene a rischio costante dell'incolumità personale. Scarse le possibilità di alloggio. La maggior parte delle case dei Rom sono state distrutte e mai ricostruite. Inoltre ogni iniziativa di rimpatrio su larga scala, causerebbe nuovi spostamenti nella popolazione locale.

In questi mesi si è conclusa la visita di Kai Eide, Ispettore dell'ONU. A breve sarà pubblicato il suo rapporto. Kai Eide si è mostrato critico soprattutto sulla situazione delle minoranze. L'impressione è che la "comunità internazionale" voglia concedere solo "un'indipendenza condizionata", e questo non incontra le aspettative della maggioranza albanese.

Come promotori della petizione, abbiamo concordato di renderla pubblica in concomitanza della presentazione del rapporto dell'Ispettore dell'ONU. Nel contempo, insistiamo nel richiedere la sospensione dei rimpatri di Rom, Askali, Egizi ed altre minoranze, che devono essere coinvolti nei negoziati del futuro del Kossovo.

Invitiamo nuovamente a firmare la petizione e a farla conoscere ai vostri contatti. Abbiamo bisogno di tutto il vostro supporto entro questo mese.

Asmet Elezovski

Karin Waringo

 
Di Fabrizio (del 09/09/2005 @ 18:56:42, in conflitti, visitato 2847 volte)

Di seguito alcuni (confusi) aggiornamenti:

Continua la raccolta di firme a livello europeo contro i rimpatri forzati, mentre dalla Germania arrivano notizie di fermi immotivati e senza possibilità di assistenza legale. Situazione simile in Italia per Rom bosniaci e rumeni.

Intanto come procede la situazione in Kossovo? L'inviato speciale dell'ONU, il norvegese Kai Eide, di ritorno da un sopralluogo di quattro giorni, definisce così la situazione: "Comprendo che la gente non si senta al sicuro". Circa dieci giorni fa, l'assassinio di due appartenenti all'etnia serba è stato un segnale d'allarme per quanti ritenevano, in buona o mala fede, che la regione fosse "pacificata".

Nonostante una campagna di stampa che da ormai un anno ha toccato vari media internazionali, i Rom profughi a Mitrovica continuano ad essere tenuti in una ex discarica di rifiuti tossici. Il loro "spostamento" in un'area dove non muoiano per avvelenamento da piombo e mercurio, doveva iniziare tra settembre e dicembre 2005, ma tuttora non è stata individuata nessuna area alternativa. In questa situazione, destano preoccupazione e sconcerto le dichiarazioni di Soeren Jessen-Petersen -rappresentante ONU per il Kossovo, che ha definito i profughi di Mitrovica (e forse i Rom più in generale, non è chiaro dal contesto generale) come "un gruppo particolarmente difficile".

E' possibile che di questi profughi non importi niente a nessuno? O che le crescenti tensioni etniche scoraggino la ricerca di nuove aree per i rifugiati? O ancora, che il business in Kossovo, sia quello del rientro dei rifugiati e della ricostruzione? LA MIA PERSONALE RISPOSTA E': SI', tutte queste cose sono possibili e allontano ogni ipotetica soluzione.

L'ultima segnalazione, allora è per ERRC, che ha presentato una causa contro l'UNMIK (il contingente militare ONU) per la sua gestione quanto meno complice dell'emergenza rifugiati.

 
Di Fabrizio (del 29/08/2005 @ 14:12:26, in conflitti, visitato 3128 volte)
In Italia ci fu un periodo, forse 10 anni fa (potrei sbagliarmi) in cui le "carrette del mare" scaricavano in Sicilia e Calabria masse di Sudanesi che scappavano dalla guerra e dalla siccità. Una situazione feroce che oggi chiamiamo Darfur.
Nel Sudan (anche in Pakistan la situazione era simile, e anche in Egitto: man mano riprendo a ricordare) però i campi profughi erano al limite per i rifugiati che erano arrivati lì da altri conflitti e miserie.
Precisiamo: più che campi profughi, erano immense distese brulle piene di tende e di gente abbandonata a se stessa, senza nessuno che badasse loro.
Il discorso sembra ritornare con questo articolo, che vi invito a leggere integralmente su:


(in pratica, i paesi da cui riceviamo più immigrati irregolari, sono anche quelli che fungono da "barriera" tra l'Italia e il resto del mondo che bussa):

Rifugiati ai confini dell’Europa
29.08.2005 [Mihaela Iordache]

Sono fuggiti dall'Uzbekistan dove vengono perseguitati. Ora 439 profughi sono ospitati presso un centro d'accoglienza creato con fondi UE a Timisoara. Dovrebbero rimanervi 6 mesi in attesa di essere spostati altrove. Se la Romania si dimostra solidale, l'UE sembra sempre più una fortezza

 
Di Fabrizio (del 24/08/2005 @ 00:00:56, in conflitti, visitato 3047 volte)

Riferimento precedente: 19 aprile 2005

TOL

TRANSITIONS ONLINE: 
Czech Republic: 
The Lessons of Lety 
by Jarmila Balazova
22 August 2005

L'acceso dibattito in corso sull'ex campo di concentramento della II guerra mondiale, vede anche una risoluzione del Parlamento Europeo. Da Romano Vod’i 

Nel 1942 fu pubblicato il decreto che stabiliva le norme persecutorie dei Rom nel protettorato tedesco di Moravia e Boemia. Si ispirava a quello già in vigore in Germania dal 1938 per la soppressione della "piaga zingara". Sessantatre anni fa, la polizia ceca, con la supervisione della polizia criminale tedesca, emise la lista di tutti "gli Zingari, Zingari mezzo-sangue e persone che vivono in maniera zingaresca" con circa 6.500 nomi. Immediatamente, iniziarono le retate e le detenzioni nei cosiddetti "campi Zingari" di Lety vicino a Pisek nella Boemia Meridionale e di Hodonin, in Moravia vicino a Kunstat. Molti altri vennero inviati coi vagoni piombati ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento. Meno del 10% fecero ritorno: circa 600 sopravvissuti.

Dal campo di Lety passarono in 1.308, tra l'agosto 1942 e maggio 1943, quando il campo venne chiuso.Intere famiglie furono rinchiuse nel campo costruito per una capienza massima di 300 persone. Il misero vitto e le condizioni igieniche, sommati alla condizione generale di disagio, contribuirono alla morte di 327 persone. Il campo era gestito dalla polizia ceca. Nessuno fu giudicato colpevole per i crimini commessi.

Ogni anno, il 13 maggio i Rom della Repubblica Ceca si ritrovano nella città di Lety, per ricordare quanti vi furono rinchiusi e perirono, come pure quelli che furono inviati negli altri campi.

La prima volta che ci andai era il 1995. La cerimonia era modesta e raccolta. Pioveva e il fango arrivava alle ginocchia, rendendo difficile il cammino. Due fatti rendevano particolare quell'avvenimento: la notte precedente un gruppo di skinheads a Zdar nad Sazavou aveva fatto irruzione nell'appartamento di una famiglia di lontane origini rom; il capofamiglia Tibor Berki era stato picchiato a morte sotto gli occhi della moglie e dei cinque figli. Il secondo episodio era che all'interno dell'ex campo di concentramento si era insediata un'industria per l'allevamento dei maiali. Pensate che da allora ogni 13 maggio nello stabilimento viene azionata l'aria condizionata, così nessuno si può lamentare dell'odore, nota Markus Pape, del Comitato per la Riparazione dell'Olocausto.

INCONTRI A LETY

Ogni anno incontro lì Fedor Gal (sociologo ed editore). Lety gli ricorda la sua personale storia e quella della sua famiglia: è nato nel ghetto di Terezin e suo padre morì in una "marcia della morte". Lo preoccupa la più recente politicizzazione dell'evento di Lety: i rappresentanti dello stato che si mischiano alla "gente comune" nel ricordare la tragedia. Il rabbino capo della Repubblica, Karel Sidon, nota a proposito dell'allevamento di maiali: "Io se fossi in voi, non mi concentrerei nel richiedere la chiusura della fabbrica. Lascerei pure che stia lì, solo mi assicurerei che sulla fronte di ogni maiale sia tatuato il nome di un prigioniero".

Parlano anche il senatore Petr Pithart, due sopravissuti, donne che hanno perso l'intera famiglia a Lety e cresciute nel dopoguerra in un orfanotrofio. Jan Vrba, che in quel campo ci è nato, e a differenza di tanti altri bambini è sopravissuto. I giornalisti gli chiedono un parere sulla fabbrica e lui risponde senza rancore: "E' tutto molto difficile da raccontare. Questo è stato un posto reale dove i Rom, compresa la mia famiglia, sono stati rinchiusi a forza. Chi provava a scappare, veniva legato al palo. Le condizioni erano paurose. Sono morti a centinaia. E' nostro dovere trovare una soluzione, non credete?" Per lui, lo è di sicuro. Non si tratta solo di spostare la fabbrica o di sostituirla con un monumento commemorativo.

Terminano le preghiere e i discorsi, ci dirigiamo verso la vicina Mirovice, dove sono sepolti diversi ex prigionieri.

Saliamo sull'autobus e poco dopo riscendiamo. Qualcuno vuole visitare l'allevamento. Ci guida Petr Uhl, ex commissario distrettuale per i diritti umani, che durante il suo mandato aveva richiesto senza successo che l'allevamento fosse spostato. Oggi come giornalista continua ad occuparsi di diritti umani. Ha denunciato Miroslav Randsford (deputato del Partito Comunista Ceco) che si è opposto quando il Parlamento Europeo ha votato perché la fabbrica fosse rimossa da Lety. Precisa: "Non ho protestato contro Ransford per come ha votato, ma per le sue affermazione alla Agenzia di Stampa Ceca (che Uhl aveva diretto all'inizio degli anni '90), quando a detto che a Lety non c'è mai stato nessun campo di concentramento! Per me, questo contribuisce alla cosiddetta -bugia di Auschwitz-. Adopera la sua posizione e la sua cultura per negare ciò che ha fatto il fascismo e l'Olocausto dei Rom. E' uno sbaglio credere che Lety riguardi solo i Rom. No: è un nostro problema. I nostri genitori hanno permesso che questo campo fosse edificato, lavorarono qui come guardie, è il momento di chiedere perdono! Nemmeno Auschwitz nacque per essere un campo di concentramento, ma sappiamo cosa è successo lì. Questa la ragione della mia protesta: non dobbiamo permettere a nessuno di negare il genocidio di una nazione o di un popolo".

Petee Uhl non è il solo che si è sentito offeso per le affermazioni di Miroslav Ransford, che a sua volta non è l'unico a fare affermazioni simili. Ransford in passato aveva affermato che i soldi impiegati per spostare la fabbrica sarebbero stati spesi meglio per educare i figli dei Rom. Dimenticandosi... che anche la società va educata. Anche la società minoritaria ha le sue pecche: nella relazione con le minoranze, il loro ruolo, il loro destino storico ecc. Anche l'attuale presidente Vaclav Klaus avrebbe bisogno di ripetizioni in storia. Dieci anni fa il suo predecessore Vaclav Havel aveva inaugurato un modesto monumento a Lety. Klaus una volta si lasciò scappare che Lety non era un campo di concentramento per i Rom, ma un posto costruito per chi non aveva voglia di lavorare. E Klaus mal sopporta le "ingerenze" europee in quelli che ritiene siano temi locali.

DA LETY AL GOETHE INSTITUTE

Il giorno seguente si è tenuto un seminario presso il Goethe Institute di Praga: "Le politiche sulle minoranze in Europa relative ai Rom e ai Sinti". Tra gli interventi più interessanti c'è stato quello di Romani Rose, del Consiglio Tedesco dei Rom e Sinti: ha parlato non solo dell'Olocausto che ha segnato indelebilmente i Rom e i Sinti tedeschi (cfr: http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=85 ndr), ma anche delle attuali manifestazioni di discriminazione e razzismo. Ha anche stigmatizzato le ultime prese di posizione del presidente Klaus come un'incredibile volgarizzazione di una tragedia e concludendo che affermazioni simili denotano ignoranza assoluta della storia del campo di Lety.

Erano attese anche le parole di Viktoria Mohacsi, una delle due deputate Rom al Parlamento Europeo e di Milan Horacek, eletto in Germania nel Parlamento Europeo nella lista dei Verdi. Entrambe hanno steso la bozza che impegnava il governo ceco alla chiusura dell'allevamento a Lety e alla costruzione di un monumento alla memoria, mozione che ha visto il voto contrario di 25 deputati (tra cui Ransford). Alla mia domanda sull'impatto che hanno le tematiche Rom nel Parlamento, Viktoria Mohacsi ha risposto: "Questo è stato il primo passo, la prima risoluzione ed è stata approvata. Livia Jaroka (l'altra deputata di origine Rom, anche lei ungherese cfr. http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=193 ndr) ed io stiamo coinvolgendo altri colleghi, facciamo pressione, molti di loro ci hanno detto di essere stupiti che anche nel loro paese non siano stati eletti dei rappresentanti Rom. Stiamo anche lavorando per il rafforzamento delle strutture esistenti (come l'European Roma Forum e il Consiglio Europeo del Gruppo di Esperti). Il futuro mi sembra buono. Credo che prima o poi riusciremo a creare una commissione specifica sugli affari Rom"

Milan Horacek, che ha collaborato alla stesura della mozione, assieme al Comitato per la Riparazione dell'Olocausto, si è mostrato pure lui alterato per le parole di Vaclav Klaus. Ha raccontato che non solo molti deputati non sapevano dove fosse Lety, ma che gli stessi rappresentati cechi al momento del voto non fossero a conoscenza di cosa si stesse parlando.Ha terminato ricordando di essere sempre stato orgoglioso di avere due cittadinanze e due paesi, Germania e Repubblica Ceca. Ma che adesso si vergogna della seconda.

I PROSSIMI PASSI

Da allora, ho visto altre due volte Milan Horacek: a prima alla televisione ceca durante un alterco con Miroslav Randsford e poi dopo un meeting col Primo Ministro Jiri Paroubek. Quella volta finì meglio.Il MInistro Pavel Nemec, con delega alle minoranze nazionali, disse ai giornalisti: "Il consiglio dei ministri sta valutando la possibilità di acquistare l'allevamento a Lety. Dobbiamo discuterne con i proprietari. Non mi sbilancio sui costi e sul tetto di spesa, se ci sarà accordo, l'acquisteremo, ma non intendiamo procedere all'esproprio".  [Le stime sul trasferimento della fabbrica e la costruzione del monumento variano tra i 10 e i 25 milioni di $ - nota di TOL] Nel contempo il Ministro negò che la decisione del governo fosse stata presa a seguito delle pressione europee.

[...]

Jarmila Balazova is editor-in-chief of Romano Vod'i, a monthly published by the Czech non-profit organization Romea. This article originally appeared in Czech in the June 2005 edition of Romano Vod'i. Translated by Ky Krauthamer.


Riferimenti: 2 Agosto

 
Di Fabrizio (del 21/08/2005 @ 12:52:08, in conflitti, visitato 2032 volte)

da: Roma Support Project im Netzwerk Fluchtlingshilfe & Menschenrechte e.V

Kontakt: Tel. 0171 -181 50 26 + 0511 -473 81 44 - Info:

Hannover: 30a Settimana Interculturale

Protezione della minoranza Rom in vista della deportazione in Kossovo

25 settembre -1 ottobre 2005

  • Martedì 28-09-05 h.9.30-16.00 / Kulturzentrum Pavillon: I Rom cittadini d'Europa. Sviluppi recenti e futuri della situazione in Kossovo
  • Venerdì 30-09-05 h. 16.00-18.00 / Kropcke, Hannover-Zentrum: Giornata del Rifugiato. Solidarietà e diritto d'asilo
  • Venerdì 30-09-05 h. 19.00 / Freizeitheim Linden, Windheimstr. 4, Hannover-Linden: "Kossovo: ci sarà un ritorno in sicurezza?" Documenti e immagini

Programma

  • Venerdì 16-09-05 h. 19.30 / Kunstlerhaus, Sophienstr. 2: Letteratura: Guerra e Pace, con Norbert Gstrein e Margarete von Schwarzkopf

30. Interkulturelle Woche 2005 in Hannover

La 30. edizione si svolgerà nell'autunno 2005. La settimana è promossa dalla Conferenza Vescovile tedesca, dalla Chiesa Evangelica tedesca e dal Metropolita greco-ortodossa. Nel contempo l'iniziativa si svolge con la cooperazione di molte organizzazioni nazionali e locali, impegnate nel confronto con le autorità per l'integrazione degli immigrati e un costante processo di apprendimento e sviluppo della società. Lo slogan è: Trovare un modo per vivere assieme.

Ulteriori informazioni: http://www.interkulturellewoche.de

La 30. Settimana Interculturale si vuole schierare a fianco di quanti, espressione della politica, dei media, delle associazioni e cittadini, si sono pronunciati contro il rimpatrio forzato concordato dal governo tedesco, in particolare dei richiedenti asilo dal Kossovo e dall' Afghanistan. Per questo, oltre alle iniziative programmate, la 30. Settimana Interculturale invita tutti a prendere parte alla manifestazione che si terrà il 30 settembre presso l'aeroporti del Niedersachsen, da dove partiranno i voli per il rimpatrio.

Invita anche ad aderire alla petizione europea contro i rimpatri forzati, promossa a giugno dal Kosovo Roma und Ashkali Forum,che può essere sottoscritta on line su www.sivola.net/download/kossovo.htm

 
Di Fabrizio (del 03/08/2005 @ 10:03:57, in conflitti, visitato 3899 volte)

[English Text]

Riprendo un appello del 10 luglio scorso, per evitare il rimpatrio forzato di una famiglia di profughi kossovari richiedenti asilo in Gran Bretagna e con gravi problemi di salute. La UK Association of Gypsy Women ha promosso una raccolta di firme in tutta Europa per far pressione sul governo perché a questa famiglia di profughi sia permesso di rimanere in Gran Bretagna, sia per i motivi di salute che per la situazione di permanente insicurezza personale che perdura in Kossovo (e se leggerete l'appello, noterete che le due cose sono strettamente collegate). So che le sole firme non cambiano l'operato dei governi e che agosto non è il mese ideale per appelli di questo genere. Ma il rimpatrio potrebbe avvenire in qualsiasi momento. Per questo è necessario l'impegno e la mobilitazione di tutti. GRAZIE


Da: Rachel Francis - UK Association of Gypsy Women

Llire Xhama. Home Office Ref: X1032702

Llire Xhama dopo una vita di persecuzioni lasciò la sua casa in Serbia. Come Rom, musulmana e portavoce della comunità albanese, ha dovuto subire violenze e umiliazioni sia dai Serbi che dai Kossovari.

Una notte di tre anni fa, casa sua fu circondata da uomini armati e data alle fiamme. Durante la fuga, Llire e suo marito furono malmenati. Llire era incinta. Suo marito morì per le percosse e lei rimase con sua figlia di quattro anni, testimone anche lei delle atrocità passate.

[Arrivati in Gran Bretagna] sia Llire che sua figlia mostrarono disordini mentali ed emotivi, conseguenze delle violenze subite. Qui è nato il secondo figlio, pochi mesi dopo il loro arrivo e nonostante tutto, hanno tentato di ricostruirsi una vita. Entrambe i bambini parlano inglese come lingua madre, frequentano la scuola, hanno amici e conducono una vita "normale".

Ora il Ministero degli Interni ha stabilito che per loro è giunto il tempo di fare ritorno da dove sono scappate traumatizzate e dove il bambino più piccolo non ha mai vissuto.

Testimonianze raccolte dalle Nazioni Unite, da Amnesty International e da altri esprimono "grave e profonda preoccupazione" sul futuro dei Rom (in particolare in quella parte d'Europa).

L'Ombudsman in Kossovo ha scritto ai governi europei per ammonire sui rischi che i rifugiati all'estero corrono ritornando in patria.

[...]

Llire and her Family Must Stay!

c/o NCADC

109 Parliament Road

Middlesbrough

TS1 4JE.

Tel/Fax: 01642 226260

INVIA

Cliccando su "INVIA" il messaggio "LLIRE AND HER FAMILY MUST STAY" verrà inoltrato alle seguenti mail del Governo Inglese e del Parlamento Europeo:

* bob.last@fco.gov.uk
* c.clarke@parliament.gov.uk
* indpublicenquiry@ind.homeoffice.gsi.gov.uk
* ashokkumarmp@parliament.uk
* dorispack@aol.com
* swoboda@europarl.eu.int
* sludford@europarl.eu.int
* ljaroka@europarl.eu.int
* vmohacsi@europarl.eu.int
* klevai@europarl.eu.int
* edegroen@europarl.eu.int
* cmoraese@europarl.eu.int
* alvaro.gil-robles@coe.int
* john.dalhuisen@coe.int
(secretary)

e una copia per conoscenza alla UK Association of Gypsy Women. Il campo testo è in bianco e potete (eventualmente) aggiungere un vostro messaggio


We the UK Association of Gypsy Women in partnership with our sisters of the International Roma Womens Network seek to register our protest in the strongest possible terms against the inhuman decision by the Home Office to deport this young Mother and her very young Children back to Kosovo against her will.

Llire and children pose no threat to the National Security of the United Kingdom, Indeed Llire's dearest wish is to be allowed to remain in the UK and raise her little family in peace and safety.

We therefore make our appeal in the hope you will use your good office to influence reconsideration of Llire's case.
Faithfully
UK Association of Gypsy Women



Llire and Her Family Must Stay!

Llire Xhama is a widow with two young children. She is a Roma from Kosovo where she and her family suffered physical assaults, racist abuse and discrimination because of their ethnicity.

Llire and her daughter fled to the UK after witnessing the brutal murder of Llire's husband, an experience that has left Llire so traumatised that she suffers severe mental ill health. At the time of this atrocity Llire was pregnant. Her little boy was later born in the North East of England, where the family now lives.

Llire's application for asylum has been refused, but she is terrified at the prospect of being returned to the 'hell' from which she escaped and fears for the future of her children.

As an Albanian speaking Muslim woman, alone with children, Llire will be at risk if she returns to Kosovo. She has no home or family to return to and no one to help her.

Today the situation for Roma people remains dangerous. In May this year, the UN's Economic and Social Council expressed 'deep' concern about ethnically motivated attacks against the Roma. It said it was "gravely concerned" about the absence of basic medical facilities and schools for the Roma.

This year Amnesty International stated its concern over "continuing discrimination against the Roma, especially Kosovo RomaŠ."

On May 18th 2004, Mr. Marek Antoni Nowicki, the Ombudsperson in Kosovo, sent a letter of concern to government authorities in Belgium, Denmark, Germany, Netherlands, Norway and Sweden, strongly advising against the return of Roma asylum seekers to Kosovo stressing that they face "considerable risks to their personal safety" and affirming that such action would violate international human rights standards.

Llire has tremendous support amongst her local community, who are appalled that the Home Office should consider the forced removal of such a vulnerable family.

Llire's children both speak English, as their first language and the family have become a valued part of their community in the North East.

Llire has won the affection and admiration of her friends with her devotion as a mother and with her courage in the face of emotional and mental devastation.

Llire's only hope of safety and recovery is to be allowed to remain in the UK with her family.

What you can do to help
Lucien with friends and supporters have set up a campaign to try and persuade Tony McNulty, Minister for Immigration to allow Llire and her Family to remain in the UK. The campaign has drawn up a petition and model letter attached, which they are asking everyone to print off, fill them in and get as many other people as possible to do the same, and return them to the campaign office. When they have collected enough signatures, the campaign will present them to the Minister.

Let your friends know about the 'Llire and her Family Must Stay! Campaign'

Llire and her Family Must Stay!

For further details/information contact the campaign at:
Llire and her Family Must Stay!
c/o NCADC
109 Parliament Road
Middlesbrough
TS1 4JE.
Tel/Fax: 01642 226260


End of Bulletin:

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Llire and her Family Must Stay!

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* bob.last@fco.gov.uk
* c.clarke@parliament.gov.uk
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* ljaroka@europarl.eu.int
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* cmoraese@europarl.eu.int
* alvaro.gil-robles@coe.int
* john.dalhuisen@coe.int
(secretary)

and CC to UK Association of Gypsy Women. Feel free to write your own opinion

 
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