Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 10/11/2013 @ 09:01:55, in Italia, visitato 1751 volte)
Se ne scriveva
ieri, ecco il testo da
UPRE ROMA
Pubblicato Giovedì, 07 Novembre 2013 22:46
Signor sindaco,
ci rivolgiamo a lei per la seconda volta in quest'anno 2013. Questa volta lo
facciamo per un fatto molto grave, accaduto il 6 novembre davanti al San
Raffaele, che ha coinvolto la comunità regolare di via Idro. Due famiglie, si
sono affrontate con esito tragico: un uomo è morto, un altro è ferito, molti
sono finiti in carcere.
Ci rivolgiamo a lei con rammarico profondo perché al dolore si aggiunge la
considerazione che si sarebbe potuto evitare questa tragedia. Non diciamo questo
per giustificare i gravissimi atti di violenza, gli autori dei quali porteranno
le conseguenze previste dalla legge. In casi come questo si parla di "zingari",
quindi di qualcosa che fa parte del normale bagaglio dei pregiudizi. Noi invece
parliamo di persone, di uomini, donne bambini che sono a tutti gli effetti
cittadini di questa città e che sono preoccupati per lo stato di abbandono, per
le condizioni di degrado in cui versano e che producono situazioni di allarme
sociale che non possono essere trascurate.
Il campo di via Idro è un campo regolare dagli anni '80, ben inserito nella
zona. Due fa la Consulta ha denunciato la situazione di grave pericolosità
determinata dalla presenza violenta di un latitante, ha richiamato
l'amministrazione sull'urgenza di realizzare gli interventi necessari, dal
rispetto della legge all'"alleggerimento" con il trasferimento di una parte
delle famiglie, a cui apparteneva la persona morta, nel Vogherese per un accordo
siglato ben tre anni fa. Nulla di tutto questo è avvenuto, nel frattempo i
conflitti sono esplosi: un anno fa è stata data alle fiamme l'abitazione della
famiglia protagonista della tragedia di ieri e nonostante l'arresto, anche se
tardivo, del latitante la sua famiglia non veniva espulsa e da allora nel campo
vige un regime di enorme tensione anche per l'ingresso di comunità abusive che
vengono tollerate da autorità ed ente gestore e che aggiungono tensione a
tensione. Questa tragedia era annunciata, lo sapevamo noi, lo sapevano tutti, le
associazioni di zona che pure sono intervenute più volte, gli enti gestori, gli
amministratori. Adesso, dopo la tragedia, la comunità di via Idro non esiste più
e anche le speranze di un intervento che ne salvi i resti sono molto deboli.
Questo non è un atto d'accusa, anche noi ci sentiamo responsabili per non essere
stati più convincenti nei confronti dell'amministrazione, ma è una richiesta di
intervento urgente perché le situazioni precarie sono tante e, mentre auguriamo
che in questo caso dietro l'abbandono non ci siano interessi per diverse
destinazioni per quell'area, come pure si sente dire, ripetiamo l'appello per le
altre situazioni nei campi regolari che da troppo tempo non vengono risolte:
parliamo per esempio dei campi di via Martirano e di via Novara, per i quali gli
interventi tuttora incompiuti risalgono alla precedente amministrazione. Anche
in questi campi la tensione è alta per le soluzioni continuamente procrastinate
e per condizioni di vita che precipitano sempre più in basso.
Signor sindaco, ci rivolgiamo a lei, perché questa tragedia non rimanga
catalogata tra i normali fatti di cronaca della nostra città, ma perché aiuti
tutti noi ad affrontare i problemi delle nostre comunità con lo stesso impegno,
lo stesso spirito solidale e con la stessa disponibilità alla partecipazione che
meritano tutti i cittadini, qualunque sia la loro etnia. Con questo spirito le
chiediamo un incontro per affrontare il quadro di una situazione che va
affrontata con urgenza per stabilire situazioni di serenità in ogni comunità,
condizione per un vero inserimento sociale.
La consulta Rom e Sinti di Milano ha avviato, in collaborazione con ERRC (Eropean
Roma Rights Center), un'azione legale per la cancellazione dei dati personali -
un vero archivio parallelo su base etnica - e per ottenere un risarcimento per
danni morali da parte delle comunità di Milano che hanno subito il censimento
etnico nell'ambito della cosiddetta "emergenza nomadi" decretata dal governo
Berlusconi nel maggio del 2008. Questa "emergenza" - e tutti i suoi effetti:
censimento, regolamento prefettizio - è stata definitivamente dichiarata
illegittima, motivando le richieste di cancellazione dei dati e il risarcimento
danni.
Il 4 ottobre il prefetto di Milano ha trasmesso all'avvocato della Consulta,
Gilberto Pagani, il verbale di cancellazione dei dati, sia cartacei, sia
digitali, raccolti con il censimento. Un primo importante risultato dell'azione
della Consulta che ora proseguirà con la causa per il risarcimento danni di chi
ha subito un censimento razziale nell'estate del 2008.
Domanda oziosa: perché non avevo scritto niente sul "regolamento di conti"
avvenuto davanti all'ospedale san Raffaele mercoledì scorso? Eppure, conosco e
frequento quella comunità dalla fine degli '80. Conoscevo bene tanto la vittima
che chi ha mollato il colpo di spranga mortale.
A parte il dolore che mi ha toccato personalmente, son rimasto zitto per due
ragioni:
- perché c'è tuttora il rischio per altre famiglie (donne, anziani e bambini,
intendo);
- perché ancora, nonostante oltre vent'anni di conoscenza, ho il timore di non
aver capito bene cosa sia successo e cosa possa succedere.
Per questo, quando venerdì ho letto su il Giornale:
Rom ucciso all'ospedale Ecco come è nata la faida mi son stupito che
qualcuno potesse spiegarmi tutto ciò. Tanto più perché l'autore, un certo
Enrico Silvestri, in via Idro è un perfetto sconosciuto, e quindi immagino
abbia delle fonti riservate e sorprendenti.
Purtroppo, la ricostruzione del giornale è una delle cose più orribili (e
forse in malafede) che mi sia mai capitato di leggere. Partendo da un fatto di
cronaca quel foglio aggiunge tutta una serie di particolari senza verità e senza
uno straccio di prova. Vediamone solo alcuni:
- Motivo del contendere... si parte dal descrivere la
situazione come generata da rivalità tra clan. Che esisteva, ma
non aveva impedito che le due famiglie vivessero fianco a fianco
da anni, e che addirittura la vittima fosse il padrino del
ragazzo che l'ha colpito. Insomma, qualcosa si è guastato nel
tempo e Enrico Silvestri ignora cosa sia successo. Posso
dirlo io: la famiglia di Marco De Ragna (che forse
hanno aggredito Luca e i suoi) aveva sì subito un altro attacco
ad inizio anno, sempre da alcuni Braidic, ma di un altro gruppo.
Scappato in fretta e furia, aveva perso i risparmi di una vita.
Ha vissuto quasi un anno in una roulotte scassata, col comune
che continuava a ripetere che l'avrebbe aiutato, senza fare
assolutamente niente. Non lo giustifico, neanche se è un amico,
ma capisco che vivere in quella situazione può portare ad un
epilogo tragico come quello di mercoledì scorso.
- La convivenza sempre più difficile, gli interventi non fatti
in via Idro, risalgono e sono stati denunciati da una decina
d'anni, passando tra diverse amministrazioni. L'ultimo
intervento, lo ricordava proprio
Il Giornale, fu nel 2005, a cui segui un lento abbandono
bipartisan. Come quando si lascia degradare un condominio,
l'abbandono si è tradotto in condizioni sempre più bestiali, in
quello che sino alla fine degli anni '90 era un campo
considerato modello di convivenza. Singolarmente, nel capitolo
precedente (e viene ripetuto alla fine) sembra che l'articolista
in questa storia veda un'irresponsabilità della Consulta Rom e
Sinti. quando questa accusa le varie amministrazioni di
abbandono. D'altronde, è più facile accusare i Rom di essere
bestiali, piuttosto che di essere tenuti in bestiali condizioni
di vita.
- Continuo a chiedermi quale siano le fonti di questo Enrico
Silvestri, perché volendo mostrare di conoscere la questione,
inanella una serie di errori descrivendo particolari che non
c'entrano con la cronaca. Via Idro ... nato oltre trent'anni
fa è dell'estate 1989 (24 anni), è sempre stato abitato da
Rom Harvati (e non da Sinti) e non hai mai visto 600
presenze, attestatesi negli anni tra le 100 e le 200, in
maniera piuttosto stabile. Ma 600 presenze è un numero
(inventato di sana pianta) che fa paura.
- Perché, subito dopo, arrivano le affermazioni forti: I
Braidic odiano i De Ragna a cui seguirà E adesso la
vendetta: la morte di Luca deve essere pagata con la morte di
Marco. Lo so, ve lo dico chiaramente, lo temo, ma so anche
che ci sono quelli imparentati tanto con i Braidic che con i De
Ragna. E proprio in questi giorni, vedo che al campo qualcuno si
lascia andare a parole di vendetta, altri (che di cognome
facciano Braidic o De Ragna) in silenzio e fatica stanno
provando a calmare gli animi.
Per il Giornale e per quelli che sono i suoi giornalisti, non esiste niente
di peggio che un Rom che provi a portare pace. Bisogna essere per forza stupidi
e sanguinari. Meglio morti che rom, pensano. Non è che io ce l'ho per forza con
quella testata, ma successe già a dicembre 2005, che via Idro venne accusata di
colpe che non erano sue.
Mandammo la smentita, e "naturalmente" non fu mai pubblicata.
Di Fabrizio (del 08/11/2013 @ 09:02:54, in media, visitato 1523 volte)
Un anno contro l'antiziganismo -
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Martedì, 22 ottobre, 2013 -
Talvolta basta un incontro, uno sguardo, una parola per abbattere le spesse
barriere che ci separano fisicamente e idealmente dalle famiglie rom che abitano
le periferie delle nostre città.
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del Theatre Roma (Teatro Rom) di Shuto Orizari, quartiere alla periferia di
Skopje, in Macedonia, e unica municipalità rom al mondo.
Riconosciuto ufficialmente nel 2000, il teatro debutta con Dog Years di Günter
Grass, spettacolo teatrale pluripremiato messo in scena nel 2001 a Stenkovec 2 e
Dare Bombol, campi profughi per rifugiati rom ai confini con il Kosovo. Un
teatro di impegno civile che attraverso la promozione della cultura e della
lingua romanes intende "parlare dei rom parlando dell'uomo".
Pratica teatrale autofinanziata e forma di resistenza culturale in direzione
ostinata e contraria, verso il sogno di un Teatro Nazionale Rom. Nel 2009
l'incontro fra la comunità di Shuto Orizari, il Theatre Roma e la compagnia
italiana Teatrino Clandestino porterà in scena il progetto OpenOption,
esperienza umana e teatrale raccolta in Confini Diamanti. Viaggio ai Margini
d'Europa, ospiti dei rom, reportage narrativo di Andrea Mochi Sismondi.
Da oltre due anni, tutte le attività sono ferme per mancanza di fondi. Insieme
potremo far sì che il Theatre Roma torni a vivere e continui a esercitare la sua
necessaria funzione civile, culturale e sociale!
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Di Fabrizio (del 07/11/2013 @ 09:06:41, in Italia, visitato 1148 volte)
Il Messaggero Domenica 03 Novembre 2013 - 19:29 "Divieto di sosta
ai nomadi, rimozione forzata": il cartello fa scoppiare la polemica
Sta facendo parecchio discutere un singolare divieto di sosta presente sul
territorio comunale di Fermo. Per l'esattezza a Casabianca, in un'area comunale,
a due passi dal centralissimo viale che porta al mare. Cos'è? Un divieto di
sosta "ai nomadi" che rischiano, stando al messaggio che arriva dal cartello, la
rimozione forzata della vettura.
Chiaramente il messaggio non è rivolto al noto gruppo pop rock che tanti
successi ha mietuto nella storia musicale italiana che, anzi, se venisse a
soggiornare a Fermo sarebbe certamente benvenuto. No, il messaggio è per i
nomadi veri, ovvero per quelle popolazioni che vivono spostandosi da un posto
all'altro. Ma attenzione: non ai pastori, ai beduini o ai berberi ma, mettiamola
così, agli zingari, ecco! Nessuna multa è stata finora elevata e, a quanto
risulta, nemmeno un'auto, una roulotte o un camper sono stati portati via dal
carroattrezzi.
Allora a che serve quel cartello? E soprattutto: non rischia di essere
discriminatorio? Se non lo è allora il sindaco di Porto Sant'Elpidio Nazareno
Franchellucci può mandare una pattuglia dei suoi vigili a Fermo per apprendere
le modalità in base alle quali i nomadi possono essere multati, i camperisti
"normali" no. Così risolverebbe una volta per tutte l'annoso problema dell'area
camper sul lungomare della sua cittadina dove d'estate arrivano, insieme ai
camperisti, carovane di zingari e nessuno può dire loro niente perché altrimenti
sarebbe discriminatorio. Se funziona potrebbe piazzare un cartello come quello
di Casabianca e via. Problema risolto.
Di Fabrizio (del 06/11/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1640 volte)
In effetti, sulla piccola Maria, greca o bulgara che sia (apposta, non ho
usato rom), ne hanno scritto tutti, da tutti i punti di vista. Razzisti,
buonisti, populisti, legalitari, opinionisti... (ho dimenticato qualcuno?) hanno
esposto la loro commozione PER LA RICADUTA MEDIATICA di questo caso, creando un
coro di voci diversissime tra loro.
Sia detto, se si parla di opinioni, ognuno ha diritto a dire e a difendere la
propria. Anche con veemenza, ci mancherebbe. Anche usando SOLITI e RITRITI
strumenti retorici. Quindi: accalorandosi. TUTTO GIUSTO.
Ma poi, e questa è la retorica di chi ha assistito a molte storie simili,
cala il sipario. Il pubblico torna a casa e pulisco la platea. C'è un tipo,
seduto in sala regia, che si sta chiedendo cosa sia rimasto nella testa della
gente di questo "spettacolo".
Avevo segnalato all'amico Giancarlo Ranaldi un link in inglese:
Bulgaria insisting Romani girl be returned from Greece E lui, che magari
sarà pieno di difetti ma è comunque persona sensibile e attenta, mi ha girato
un commento, che vale la pena leggere:
Quindi... le autorità Bulgare insistono per il ritorno di Maria. La Grecia
non sa bene cosa fare e, per il momento, si è limitata ad arrestare gli
"affidatari". Ma, allo stesso tempo, in Bulgaria hanno arrestato i "genitori
biologici", che rischiano sei anni di carcere. Degli altri bambini, fratelli e
sorelle di Maria, non è dato sapere e, forse, è pure meglio. I "media" Bulgari,
infatti, sconvolti dalla povertà, chiedono al Governo d'intervenire, ma sarà
molto difficile che Maria possa essere riaffidata ai suoi genitori e potrebbe
finire in orfanatrofio (per la rieducazione?) fino al compimento del 18o anno di
età. Ma povera figlia...
Intendiamoci (è sempre il testimone di storie passate a dirlo): lo scorso
mese è successo qualcosa di insolito e di positivo, a
Napoli, a
Parigi, sulla psicosi greca (e quella irlandese), ci sono state tante
persone, persone comuni intendo, che hanno espresso solidarietà e sentimenti
umani verso i Rom. Niente che non faremmo per un nostro vicino, amico, per una
bestia domestica, ma questa volta erano Rom. E quattro casi distinti. E' IMPORTANTE.
Ma se rileggo le riflessioni di Giancarlo, penso che poi la vita continua,
anche per i Rom, quando si spengono i riflettori dell'attenzione pubblica. Se le
previsioni greche possono apparire impietose, non è che negli altri ultimi casi
siano migliori. Difficile, anche su queste pagine, dare conto delle evoluzioni,
di tutto ciò che succede o succederà: tenetemi informato, se ce la fate, o
tenetevi informati su
MAHALLA INTERNATIONAL o sul suo corrispondente su
Facebook.
Di Fabrizio (del 05/11/2013 @ 09:02:51, in scuola, visitato 1275 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale
Molte persone rom, nate in Italia o che vi risiedono da decenni, non hanno
alcun documento di identità né un regolare permesso di soggiorno. Si stima che
circa 15.000 minori rom siano apolidi o a rischio di apolidia. Senza i
documenti, ogni percorso di inclusione sociale è loro precluso: queste persone
non possono lavorare regolarmente, affittare una casa o iscriversi
all'Università. Restano "invisibili", privati di diritti fondamentali,
generazione dopo generazione.
Per contribuire a risolvere questo grave problema, ASGI (associazione per gli
studi giuridici sull'immigrazione), Associazione 21 luglio e Fondazione Romanì,
con il sostegno di Open Society Foundations, promuovono un corso finalizzato a
formare 15 operatori para-legali specializzati nel supportare le persone rom
nell'ottenimento dei documenti (permesso di soggiorno, passaporto, carta
d'identità ecc.) e nel promuovere il miglioramento delle relative prassi a
livello locale e nazionale.
Nell'ambito del corso saranno affrontati i seguenti temi: la normativa rilevante
in materia di ottenimento dei documenti (riconoscimento dello status di apolide,
rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di altri permessi di
soggiorno in deroga alle norme generali in materia di ingresso e soggiorno dei
cittadini stranieri in Italia, acquisto della cittadinanza italiana, ottenimento
del passaporto del paese d'origine); metodi per promuovere il diritto delle
persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale (supporto
individuale, attività di advocacy, iniziative di informazione rivolte alla
comunità ecc.); il ruolo degli operatori para-legali e le modalità per seguire i
casi individuali.
Il corso prevede la partecipazione a due workshop residenziali di due giornate a
Firenze; l'impegno a seguire, con il supporto degli avvocati dell'ASGI e
dell'Associazione 21 luglio, tre casi di persone rom prive di documenti,
affinché possano regolarizzare il loro status giuridico; la partecipazione al
convegno finale e a una giornata conclusiva di valutazione e progettazione.
I partecipanti interessati saranno inoltre invitati a presentare progetti per la
realizzazione di micro-interventi finalizzati a promuovere il diritto delle
persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale. Il progetto
selezionato come migliore riceverà un finanziamento di 5.000 euro.
I costi di viaggio, vitto e alloggio saranno coperti dal progetto.
I requisiti per partecipare al corso e le modalità per la presentazione delle
domande sono specificati nel bando allegato.
Le domande di iscrizione, corredate della documentazione di supporto completa,
devono essere inviate per e-mail all'indirizzo
formazioneasgi@gmail.com entro il
15 dicembre 2013.
Il bando e il modulo per l'iscrizione possono essere scaricati
QUI
Si prega di girare questa comunicazione a tutti coloro che potrebbero essere
interessati.
Corso realizzato nell'ambito del progetto "OUT OF LIMBO" con il sostegno di Open
Society Foundation
ASGI
Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
Via Gerdil n. 7
10152 Torino
Tel./Fax: 011.4369158
sito web: www.asgi.it
email : formazioneasgi@gmail.com
Di Fabrizio (del 04/11/2013 @ 09:08:47, in media, visitato 1480 volte)
di Cinzia Gubbini
su
Cronache di ordinario razzismo
La giovane rom espulsa dalla Francia verso il Kosovo durante una gita scolastica
in Francia ha scatenato un aspro dibattito politico sulle leggi
sull'immigrazione. In Italia ci concentriamo sui reati del padre della ragazza e
sulla "cultura rom"
Léonarda Dibrani ha 15 anni, e la sua è una storia che ha fatto il giro del
mondo. Nella Francia socialista, dove mai si era assistito a una cosa del genere
nei due mandati del presidente Sarkozy, la giovane rom la cui famiglia è
originaria del Kosovo, è stata prelevata dal bus della scuola mentre era in gita
scolastica con i suoi compagni. Da lì è stata portata direttamente in aeroporto
per essere espulsa con sua madre e i suoi cinque fratelli. Il padre era già
stato rimpatriato a Mitrovica. In Francia la storia è diventata un affare di
Stato. Il presidente Hollande è intervenuto in televisione per lanciare un
messaggio alla nazione: l'espulsione di Léonarda ha rispettato la legge, ma la
polizia ha agito "senza discernimento". Per questo il presidente ha proposto a
Léonarda di tornare in Francia per continuare i suoi studi. Ma senza la
famiglia. Altro "inciampo" del governo socialista che ha scatenato una nuova
esplosione di polemiche. Il ministro dell'Interno Valls ha inoltre diramato una
circolare in cui vieta di intervenire nel "quadro scolastico" per effettuare
delle espulsioni.
La storia di Léonarda
La ragazza rom e la sua famiglia hanno fatto per quattro volte (c'è chi dice
sette) domanda di asilo in Francia. Si sono stabiliti lì il 29 gennaio del 2009
nel Comune di Levier, vicino al confine svizzero. Secondo quanto raccontato dal
padre di Léonarda venivano dall'Italia. La stessa ragazza era nata in Italia, a
Fano, mentre l'ultima della famiglia, una bambina di un anno, è nata in Francia.
Ma il padre, Resat Dibrani, 47 anni, ha spiegato di aver distrutto tutti i
documenti italiani e raccontato che la famiglia arrivava dal Kosovo - dove lui è
nato - sperando di avere qualche possibilità di ottenere asilo. "Se avessi detto
che venivo dall'Italia mi avrebbero immediatamente rimandato indietro", ha
spiegato. La famiglia Dabrani invece vuole vivere in Francia. E che siano
intenzionati a fare sul serio lo dimostra il fatto che i figli vanno tutti a
scuola, sono ben integrati, parlano perfettamente francese tanto che le due
ragazze più grandi sono in possesso dei requisiti di lingua e conoscenza della
cultura francese inseriti da Sarkozy per ottenere la naturalizzazione.
Tutto però finisce quando il padre viene arrestato per mancanza di documenti a
Colmar, in Alsazia. Lui viene rinchiuso in un centro di detenzione a Strasburgo.
La sua famiglia viene messa in una casa di accoglienza, in ottemperanza alla
legge che prevede il divieto di "trattenere" i minori, dove tentano la
regolarizzazione in base alla circolare Valls del 2012 (di cui parleremo più
avanti). Il 9 ottobre, all'improvviso, la polizia si presenta alle 7 di mattina
alla porta della famiglia Dibrani. Solo Léonarda non c'è: ha dormito da una
amica - ora che da due mesi è costretta a vivere nel centro di accoglienza- in
modo da essere puntuale alla partenza per la gita scolastica, che prevede la
visita a una officina della Peugeot. La prefettura rinuncia? Neanche per idea:
uno dei professori viene raggiunto sull'autobus da una telefonata del sindaco:
l'autobus si deve fermare perché una volante della polizia sta per andare a
prendere Léonarda per eseguire l'espulsione. Si può immaginare il panico: il
professore dice di non poter fare una cosa del genere, ma a fargli cambiare idea
ci pensa la polizia. Nella
lettera dei professori viene descritta molto bene
quella giornata.
In Francia, e in Italia
La vicenda ha scatenato un putiferio quando gli studenti sono scesi in piazza
per protestare contro questa espulsione. C'è stata una vera e propria rivolta
dei ragazzi. Viene da chiedersi se in Italia sarebbe mai avvenuta una cosa del
genere. E forse è interessante leggere la storia di Léonarda analizzando come è
stata affrontata in Francia, e come è stata affrontata in Italia. Il dibattito
in Francia ha riguardato soprattutto (e quasi esclusivamente) la legge che ha
portato alla espulsione della famiglia Dibrani. Quando è stato eletto il nuovo
governo, si è subito posto il problema se fare o no una regolarizzazione
("tradizione" presto abbandonata dall'Italia). La risposta è stata sì ed è stata
emanata la
circolare Valls che prevede la possibilità per le persone irregolari
soggiornanti da almeno cinque anni in Francia di presentare richiesta di
permesso di soggiorno. E' stata molto criticata, perché prevede un esame
individuale assegnato alle prefetture, il che rende molto discrezionale la sua
applicazione. Ma leggerla è comunque interessante, soprattutto per fare un
paragone con l'Italia, per l'approccio che propone sottolineando le storie di
sfruttamento sessuale, presenza di minori scolarizzati, e così via. Ma aldilà di
questo, la questione è che permane un elemento di "temporalità" che ha escluso a
priori casi come quelli della famiglia Dibrani. Che aveva tutte le
caratteristiche previste nella circolare, solo che mancavano pochi mesi al
compimento del quinto anno su suolo francese. Il che ha obbligato Hollande a
sostenere che l'espulsione era stata eseguita "secondo la legge".
Secondo aspetto: la reazione della "comunità". Come abbiamo visto i professori e
la scuola hanno preso parola, scritto una lettera pubblica e apertamente
condannato l'espulsione, anche se in linea con la legge del governo socialista.
Gli studenti sono scesi in strada, protestando contro l'espulsione violenta di
una minorenne e della sua famiglia. Una famiglia rom. Sarebbe mai accaduto in
Italia? Il tutto in un contesto di forte spaccatura visto che secondo un
sondaggio tre francesi su quattro sono d'accordo con la decisione di espellere
la famiglia Dibrani.
La stampa italiana
E veniamo all'Italia. Dopo le prime notizie che hanno reso conto di quanto
accaduto, e delle conseguenze di questa storia sulla calante popolarità di
Hollande ecco cominciare i reportage. Anche i giornalisti italiani, come i
giornalisti di molti paesi, si sono recati a Mitrovica per intervistare la
famiglia Dibrani. Leggere questi articoli è interessante: sembra esista una
specie di "lente italiana" di cui i giornalisti italiani non riescono a disfarsi
quando devono osservare una famiglia rom. Persino una famiglia espulsa da un
altro paese, in tutt'altro contesto, completamente estraneo alla politica
italiana. Ad esempio: Francesco Battistini che tiene un blog sul Corriere della
Sera dal titolo "La città nuova", dedicata ai temi interculturali, descrive un
quadro in cui il papà - noto come una persona violenta - è il cattivone (qui
l'articolo). I bambini più piccoli sono "gattini", molto contenti di vivere in
una catapecchia kosovara "perché c'è il sole". Il loro entusiasmo rovinerebbe il
"copione mediatico" messo in piedi dal papà rom violento, che invece vuole per
forza tornare in Francia con la sua famiglia. Battistini non lo dice, ma sembra
voler sottolineare: a fare qualcosa di losco! La conclusione del giornalista è
che nella cultura rom, definita "gattare rom" (sempre per la metafora dei gatti,
che all'autore pare evidentemente essere molto efficace), è meglio essere "bradi
ma tutti uniti". Ovvero: se fossero una famiglia mediamente più "evoluta" la
quindicenne la manderebbero di corsa in Francia a studiare. Sola come un cane,
verrebbe da dire.
Ma di questi giudizi un tantino affrettati è zeppa la stampa nostrana del "dopo
choc" da espulsione. Pure per il corrispondente da Parigi Alberto Mattioli de La
Stampa, 10 giorni dopo l'espulsione di Léonarda, il tono dedicato all'espulsione
della giovane rom cambia totalmente. Prima è di cronaca, anche vagamente
indignato. Il 19 ottobre, parlando dell'intervento televisivo di Hollande ecco
cosa dice il giornalista: " ha trasformato definitivamente l'«affaire Leonarda»
in un affare di Stato o, a seconda dei punti di vista, in un'incredibile
telenovela politico-mediatico-emozionale con complicazioni da psicodramma
nazionale" (qui l'articolo). Su
Il Giornale del 17 ottobre i precedenti del
padre di Léonarda diventano "violenza fisica contro la moglie e la figlia". Una
accusa piuttosto pesante, addossata a un uomo in un momento difficile, inserita
in una frase e tra due virgole e introdotta da un "pare peraltro".
Insomma: una storia che mette sul piatto un problema serio, complicato da
risolvere, ma anche urgente come la gestione di famiglie che hanno bambini
scolarizzati anche se non "regolarmente soggiornanti", in Italia assume un tono
moraleggiante. Sotto i riflettori non c'è la "rule of laws" e il sistema di
controllo dei flussi migratori. Ma la famiglia-vittima, le sue presunte
contraddizioni. E, ovviamente, il reato bieco.
Parlo di questo libro PROPRIO perché non c'è una sola parola su rom, sinti,
travellers, gorani, askali ecc.
Che poi, più che altro per ragioni di sintesi, è il motivo per cui
Polansky continua ad adoperare la parola zingari, non volendo riscrivere ogni
volta le Pagine Gialle. Ovvio che questa parola a molti non va giù e vedrò in
seguito di capire perché a volte le parole sono un muro ed altre un ponte.
Leggo nell'introduzione:
Dopo aver vissuto con gli zingari nei ghetti dell'Europa dell'est, nei campi
dei rifugiati delle Nazioni Unite in Kosovo, in Macedonia, e sui marciapiedi in
India, credevo di aver capito finalmente cosa significasse essere poveri, perché
loro erano poveri.
Ma quando sono tornato negli Stati Uniti dopo aver vissuto all'estero per 37
anni, non ero così sicuro di capire i poveri in America. Perché c'erano cosi
tanti senzatetto nel paese più ricco del mondo? Perché centinaia di migliaia
dormivano all'aperto o cercavano un letto nei rifugi dei senzatetto e nelle
missioni?
Sapevo che c'era un solo modo per scoprirlo: vivere con i senzatetto così come
avevo fatto con gli zingari in Europa e in India. Alla fine non c'è stato
bisogno di andare a New York, Chicago o San Francisco per trovarli. Ce n'erano
anche nella mia città, dappertutto nel cuore dell'America.
Per parecchi mesi durante l'inverno del 2000-2001 ho ammazzato il tempo con
loro, ascoltando le loro storie. Come con gli zingari, non ho giudicato la loro
scelta di vita. Ho solo raccolto le loro storie e usato le loro parole per
scrivere queste poesie.
Da qua parto con una riflessione: perché ci sono persone che a vario titolo e
dalle posizioni più diverse, scrivono di rom e sinti (per non parlare del
resto)?
- C'è chi lo fa, perché attratto dalla cultura, dalle origini,
dalla lingua di un popolo misterioso, anche se presente da
secoli nel nostro continente.
- C'è chi invece è spinto a farlo dall'esposizione scandalosa
della miseria che è legata a questo stesso popolo.
Sospetto che esista un collegamento tra i due punti, ma non mi è chiaro: da
un lato questa miseria contribuisce a rendere più oscuro il fattore
storico-linguistico-culturale, dall'altro l'isolamento indotto dalla miseria è
un fattore di conservazione di questi tratti.
Non me ne voglia il primo gruppo, ma è il secondo aspetto quello che ci
impatta (per razzismo o all'opposto per pietismo). Ci IMPATTANO non tanto i
furti, i bambini malnutriti, lo schifo dei campi, ma il fatto che nella nostra
società sopravvivano e siano SOVRAESPOSTE simili condizioni di vita medioevali,
un affronto alla nostra ricchezza. Ricchezza, specifico, di ex poveri che hanno
una paura fottuta della crisi e di ritornare con le pezze al culo.
Fosse una povertà, una miseria lontana, sarebbe tollerabile, ma con questa
occorre fare i conti. Razzismo e pietismo sono la sintesi dell'impossibile
tentativo di ignorare o esorcizzare questa esibita differenza.
Ecco che la prefazione citata sopra smaschera una parte del trucco: anche nei
ricchi Stati Uniti, dove Rom e Kalé sono relativamente invisibili, c'è gente che
vive come questi ultimi in Europa. Tra loro, molta gente bianca.
Credo che abbiamo una paura fottuta, nelle attuali incertezze, di finire come
questa gente. Scrive Paul Polansky di aver "usato le loro parole" nelle sue
poesie. Parole violente, rabbia, che ci sembrano estranee alla nostra
tranquillità (che prima o poi sarà rotta da qualche scandalo), ma ancora non
bastano a stabilire un confine con l'ALTRO. Leggo, a pagina 11:
Per lo più si pensa
che se vivi sulla strada
sei solo un pezzo di merda
che non vale niente.
Sì, ci insultano,
ci prendono a calci in culo.
I porci ci sbattono in galera,
o ci dicono di andar via.
Alcuni senzatetto chiedono l'elemosina,
altri mostrano un cartello.
Ehi, abbiamo anche bisogno di aiuto.
Sigarette, birra, cibo,
benzina, droghe.
Proprio come
tutti gli altri.
Polansky non giudica, riferisce. E per farlo, per riportare quei pensieri
così come nascono nudi e crudi, vive e convive. Quello che manca a gran parte
del resto della cronaca. Potremmo chiamarla empatia, in ogni caso è la lezione
che dovrebbe arrivare anche a chi SCRIVE-GIUDICA-DECIDE PER Rom, Sinti ecc.
Il secondo insegnamento che arriva da questa raccolta è, forse, culturale.
C'è violenza, crudeltà, scandalo, nelle poesie, ma senza compiacimento. Quegli
homeless rischiano un annichilimento culturale, se mai hanno avuto una cultura
come noi la intendiamo, al pari dei loro sfigati cugini rom e sinti in Europa.
Ma la perdita della propria cultura, non necessariamente significa il vuoto.
Spesso significa adattare la propria cultura e le proprie tradizioni alla
situazione contingente, poter creare prima o poi una cultura che sarà differente
dalla tradizione e anche dal modello maggioritario. Se riusciremo a capire e
rispettare, prima che la testa, l'ingombrante presenza fisica dei dropout.
Termino, con gli appuntamenti a Milano e dintorni:
- Lunedì 4 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la
partecipazione di Enzo Giarmoleo poeta e traduttore del libro.
L'incontro avrà luogo al CAM Ponte delle Gabelle, in via San
Marco, 45 a Milano.
- Martedì 5 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la
partecipazione di Valeria Ferrario che avrà luogo allo Spazio
Cantiere "Simon Weil" in Via Giordano Bruno 9 a Piacenza;
- Mercoledì 6 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la
partecipazione di Luca Chiarei e Gaetano Blaiotta con
intrattenimento musicale a cura di Achille Giglio al
contrabbasso. L'incontro avrà luogo al Twiggy Club via de
Cristoforis n. 5, a Varese;
- Mercoledì 12 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la
partecipazione di Tito Truglia ed Enzo Giarmoleo che avrà luogo
all'Osteria Letteraria Sottovento in Via Siro Comi n. 8 a Pavia;
- Giovedì 14 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la
partecipazione di Giorgio Mannacio e Beppe Provenzale che avrà
luogo alla Libreria Linea d'Ombra in Via Calocero, 29 (MM2
Sant'Agostino) a Milano;
- Venerdì 15 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la
partecipazione di Enzo Giarmoleo, vari studiosi e rappresentanti
di alcune associazioni che si occupano dei senza dimora nella
nostra città. L'incontro avrà luogo alla CGIL in Piazza Segesta
con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio ) a
Milano;
Di Fabrizio (del 02/11/2013 @ 09:08:29, in media, visitato 1422 volte)
Mymovies.it
Un film di Joanna Kos, Krzysztof Krauze. Con Jowita Budnik, Antoni Pawlicki,
Artur Steranko, Andrzej Walden, Zbigniew Walerys Biografico, durata 131 min. -
Polonia 2013. MYMONETRO Papusza * * 1/2
Papusza ("bambola" in lingua Rom) è Bronislawa Wajs (1908 - 1987), vissuta in
Polonia. E' la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le
opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di
dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto,
sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata
al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel
corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più
anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed
etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si
rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza. Inizia a conoscere il modo di
vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero
un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una
sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui
si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951
l'uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su
storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l'appoggio di
alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge
che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li
costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera.
Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure),
scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest'ultimo riesce a
farli pubblicare e a farle pervenire un compenso. Tuttavia, ben presto, i gitani
iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro
tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire
l'ostracismo del suo stesso popolo, vive nell'isolamento ed è frastornata dai
sensi di colpa. I coniugi Krauze hanno scritto e realizzato un biopic senza
dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi.
Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero,
è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e
da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di
Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La
messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto
convenzionale e la rappresentazione della vita nell'accampamento mostra spesso
immagini stereotipate.
Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei
protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e
sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La
narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si
sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche
diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare
concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la
carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di
Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente,
dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.
Di Fabrizio (del 01/11/2013 @ 09:06:15, in Europa, visitato 1426 volte)
by John Feffer
Spesso è stato fatto il paragone tra i Rom dell'Europa centro-orientale e gli
Afro Americani negli Stati Uniti. Allo stesso modo i Rom hanno patito la
schiavitù, la segregazione, una discriminazione rampante, assimilazione forzata.
Hanno anche svolto campagne per i diritti civili in quasi tutti i paesi dove
vivono. Tuttavia, sinora sono state campagne dall'effetto limitato. Anche se
alcuni Rom hanno raggiunto successo sociale, economico o politico, la comunità
nel suo complesso resta ai margini.
Nel 1995, partecipai ad uno scambio tra attivisti romanì e veterani afro
americani del movimento civile, a Szentendre vicino a Budapest. I due gruppi
condivisero molte storie sulle rispettive storie ed esperienze. Erano storie che
si muovevano spesso in un pensiero parallelo a distanza di anni. Un partecipante
afro americano, ad esempio, descriveva il sit in di Greensboro del 1960, a
Woolworth in Carolina del Nord. Un partecipante rom dalla Repubblica Ceca ha
raccontato una storia suoi suoi recenti sforzi per organizzare dei sit-in nella
sua città natale, dove diversi ristoranti hanno posto agli ingressi dei cartelli
che vietano l'ingresso ai Rom.
Ricorda: "Quando proposi questo sit-in la prima volta, molti amici mi dissero
che non c'era ragione per farlo." Infatti, la prima protesta si presentarono
solo in dieci ai tavoli chiedendo di essere serviti. La voce si sparse in
fretta. La seconda protesta le persone erano di più. "Alla terza protesta, si
mostrò anche mio padre," continua l'attivista. "E vennero anche persone bianche
in solidarietà."
L'organizzatore dello scambio di Szentendre era Michael Simmons, che aveva
condotto il programma Est-Ovets dell'American Friends Service Committee (AFSC).
Veterano dei movimenti dei diritti civili USA, Simmons andò anche in prigione
per le sue prese di posizione. Lì, entro in contatto con i quaccheri e poi
iniziò a lavorare per AFSC sulla relazioni USA-URSS. Gradualmente, il programma
si allargò all'Europa Centro-Orientale.
Fu anche il primo che mi assunse una volta che uscii dal college, come
assistente amministrativo nel 1987. Più tardi, nel 1990, viaggiai attraverso
l'Europa Centro-Orientale, proprio per intervistare le persone su cosa doveva
essere fatto nella regione dal programma Est-Ovest. In cima alla lista dei miei
compiti era il lavoro sulle tematiche rom. Il programma di scambio a Szentendre
nel 1995 fu soltanto una della serie di iniziative di AFSC per favorire un
approccio da diritti civili nelle comunità rom.
Dopo aver lasciato AFSC, Michael Simmons decise di rimanere a Budapest e
continuare nel suo lavoro sui diritti umani. Lo ricontattai a Filadelfia, dove
aveva fatto ritorno per prendersi cura di alcune questioni personali. Parlammo
di parecchie cose, ma fui particolarmente interessato al suo punto di vista sul
lavoro coi Rom 20 anni dopo. Nel corso degli anni era diventato piuttosto
pessimista.
Da un lato, la situazione dei Rom non era migliorata significativamente. "La
situazione dei Rom è peggio di quella degli Afro Americani - non in termini di
schiavitù o di mezzadria, ma in termini di realtà attuale." sottolineava. "Ci
sono un paio di ragioni. Una è che in questo paese, gli Afro Americani furono
capaci di costruire una società alternativa. Nella comunità Afro Americana era
possibile studiare dalle elementari al dottorato, senza avere troppi contatti
con i bianchi. Incontravi tutte le tue necessità all''interno della comunità, i
Rom non hanno niente del genere."
Dall'altro, l'organizzazione politica non è realmente penetrata nella società
rom. "Ci sono formazione, conferenze e seminari rom, come avevo fatto altre
volte, non sapendo fare di meglio. Ma non significano niente," dice. "E così i
Rom - non voglio dire che siano opportunisti, perché non hanno nessuna
possibilità di lavoro - aspirano ad arrivare in una OnG a Budapest, Bruxelles,
ora anche in Polonia, all'OCSE, Ginevra, New York, o una borsa di studia a
Cambridge o da qualche altra parte. Ma non esiste una sforzo organizzativo sul
locale. Non c'è un senso di un'organizzazione democratica comunitaria. A livello
base non c'è nessun cambiamento. La condizione odierna dei Rom è la stessa del
1989, al di là delle cifre che sono state spese."
Abbiamo parlato della prima visita in Unione Sovietica, della crescita
dell'estremismo di destra, e del perché si fosse trasferito a Budapest, dopo
avermi detto tempo fa che non avrebbe mai potuto vivere se non a Filadelfia.
[...]
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