Rom e Sinti da tutto il mondo

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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 10/11/2013 @ 09:01:55, in Italia, visitato 1751 volte)

Se ne scriveva ieri, ecco il testo da UPRE ROMA

Pubblicato Giovedì, 07 Novembre 2013 22:46

Signor sindaco,

ci rivolgiamo a lei per la seconda volta in quest'anno 2013. Questa volta lo facciamo per un fatto molto grave, accaduto il 6 novembre davanti al San Raffaele, che ha coinvolto la comunità regolare di via Idro. Due famiglie, si sono affrontate con esito tragico: un uomo è morto, un altro è ferito, molti sono finiti in carcere.

Ci rivolgiamo a lei con rammarico profondo perché al dolore si aggiunge la considerazione che si sarebbe potuto evitare questa tragedia. Non diciamo questo per giustificare i gravissimi atti di violenza, gli autori dei quali porteranno le conseguenze previste dalla legge. In casi come questo si parla di "zingari", quindi di qualcosa che fa parte del normale bagaglio dei pregiudizi. Noi invece parliamo di persone, di uomini, donne bambini che sono a tutti gli effetti cittadini di questa città e che sono preoccupati per lo stato di abbandono, per le condizioni di degrado in cui versano e che producono situazioni di allarme sociale che non possono essere trascurate.

Il campo di via Idro è un campo regolare dagli anni '80, ben inserito nella zona. Due fa la Consulta ha denunciato la situazione di grave pericolosità determinata dalla presenza violenta di un latitante, ha richiamato l'amministrazione sull'urgenza di realizzare gli interventi necessari, dal rispetto della legge all'"alleggerimento" con il trasferimento di una parte delle famiglie, a cui apparteneva la persona morta, nel Vogherese per un accordo siglato ben tre anni fa. Nulla di tutto questo è avvenuto, nel frattempo i conflitti sono esplosi: un anno fa è stata data alle fiamme l'abitazione della famiglia protagonista della tragedia di ieri e nonostante l'arresto, anche se tardivo, del latitante la sua famiglia non veniva espulsa e da allora nel campo vige un regime di enorme tensione anche per l'ingresso di comunità abusive che vengono tollerate da autorità ed ente gestore e che aggiungono tensione a tensione. Questa tragedia era annunciata, lo sapevamo noi, lo sapevano tutti, le associazioni di zona che pure sono intervenute più volte, gli enti gestori, gli amministratori. Adesso, dopo la tragedia, la comunità di via Idro non esiste più e anche le speranze di un intervento che ne salvi i resti sono molto deboli.

Questo non è un atto d'accusa, anche noi ci sentiamo responsabili per non essere stati più convincenti nei confronti dell'amministrazione, ma è una richiesta di intervento urgente perché le situazioni precarie sono tante e, mentre auguriamo che in questo caso dietro l'abbandono non ci siano interessi per diverse destinazioni per quell'area, come pure si sente dire, ripetiamo l'appello per le altre situazioni nei campi regolari che da troppo tempo non vengono risolte: parliamo per esempio dei campi di via Martirano e di via Novara, per i quali gli interventi tuttora incompiuti risalgono alla precedente amministrazione. Anche in questi campi la tensione è alta per le soluzioni continuamente procrastinate e per condizioni di vita che precipitano sempre più in basso.

Signor sindaco, ci rivolgiamo a lei, perché questa tragedia non rimanga catalogata tra i normali fatti di cronaca della nostra città, ma perché aiuti tutti noi ad affrontare i problemi delle nostre comunità con lo stesso impegno, lo stesso spirito solidale e con la stessa disponibilità alla partecipazione che meritano tutti i cittadini, qualunque sia la loro etnia. Con questo spirito le chiediamo un incontro per affrontare il quadro di una situazione che va affrontata con urgenza per stabilire situazioni di serenità in ogni comunità, condizione per un vero inserimento sociale.

La consulta Rom e Sinti di Milano ha avviato, in collaborazione con ERRC (Eropean Roma Rights Center), un'azione legale per la cancellazione dei dati personali - un vero archivio parallelo su base etnica - e per ottenere un risarcimento per danni morali da parte delle comunità di Milano che hanno subito il censimento etnico nell'ambito della cosiddetta "emergenza nomadi" decretata dal governo Berlusconi nel maggio del 2008. Questa "emergenza" - e tutti i suoi effetti: censimento, regolamento prefettizio - è stata definitivamente dichiarata illegittima, motivando le richieste di cancellazione dei dati e il risarcimento danni.

Il 4 ottobre il prefetto di Milano ha trasmesso all'avvocato della Consulta, Gilberto Pagani, il verbale di cancellazione dei dati, sia cartacei, sia digitali, raccolti con il censimento. Un primo importante risultato dell'azione della Consulta che ora proseguirà con la causa per il risarcimento danni di chi ha subito un censimento razziale nell'estate del 2008.

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Di Fabrizio (del 09/11/2013 @ 09:07:37, in conflitti, visitato 2192 volte)

Domanda oziosa: perché non avevo scritto niente sul "regolamento di conti" avvenuto davanti all'ospedale san Raffaele mercoledì scorso? Eppure, conosco e frequento quella comunità dalla fine degli '80. Conoscevo bene tanto la vittima che chi ha mollato il colpo di spranga mortale.

A parte il dolore che mi ha toccato personalmente, son rimasto zitto per due ragioni:

  1. perché c'è tuttora il rischio per altre famiglie (donne, anziani e bambini, intendo);
  2. perché ancora, nonostante oltre vent'anni di conoscenza, ho il timore di non aver capito bene cosa sia successo e cosa possa succedere.

Per questo, quando venerdì ho letto su il Giornale: Rom ucciso all'ospedale Ecco come è nata la faida mi son stupito che qualcuno potesse spiegarmi tutto ciò. Tanto più perché l'autore, un certo Enrico Silvestri, in via Idro è un perfetto sconosciuto, e quindi immagino abbia delle fonti riservate e sorprendenti.

Purtroppo, la ricostruzione del giornale è una delle cose più orribili (e forse in malafede) che mi sia mai capitato di leggere. Partendo da un fatto di cronaca quel foglio aggiunge tutta una serie di particolari senza verità e senza uno straccio di prova. Vediamone solo alcuni:

  • Motivo del contendere... si parte dal descrivere la situazione come generata da rivalità tra clan. Che esisteva, ma non aveva impedito che le due famiglie vivessero fianco a fianco da anni, e che addirittura la vittima fosse il padrino del ragazzo che l'ha colpito. Insomma, qualcosa si è guastato nel tempo e Enrico Silvestri ignora cosa sia successo. Posso dirlo io: la famiglia di Marco De Ragna (che forse hanno aggredito Luca e i suoi) aveva sì subito un altro attacco ad inizio anno, sempre da alcuni Braidic, ma di un altro gruppo. Scappato in fretta e furia, aveva perso i risparmi di una vita. Ha vissuto quasi un anno in una roulotte scassata, col comune che continuava a ripetere che l'avrebbe aiutato, senza fare assolutamente niente. Non lo giustifico, neanche se è un amico, ma capisco che vivere in quella situazione può portare ad un epilogo tragico come quello di mercoledì scorso.
  • La convivenza sempre più difficile, gli interventi non fatti in via Idro, risalgono e sono stati denunciati da una decina d'anni, passando tra diverse amministrazioni. L'ultimo intervento, lo ricordava proprio Il Giornale, fu nel 2005, a cui segui un lento abbandono bipartisan. Come quando si lascia degradare un condominio, l'abbandono si è tradotto in condizioni sempre più bestiali, in quello che sino alla fine degli anni '90 era un campo considerato modello di convivenza. Singolarmente, nel capitolo precedente (e viene ripetuto alla fine) sembra che l'articolista in questa storia veda un'irresponsabilità della Consulta Rom e Sinti. quando questa accusa le varie amministrazioni di abbandono. D'altronde, è più facile accusare i Rom di essere bestiali, piuttosto che di essere tenuti in bestiali condizioni di vita.
  • Continuo a chiedermi quale siano le fonti di questo Enrico Silvestri, perché volendo mostrare di conoscere la questione, inanella una serie di errori descrivendo particolari che non c'entrano con la cronaca. Via Idro ... nato oltre trent'anni fa è dell'estate 1989 (24 anni), è sempre stato abitato da Rom Harvati (e non da Sinti) e non hai mai visto 600 presenze, attestatesi negli anni tra le 100 e le 200, in maniera piuttosto stabile. Ma 600 presenze è un numero (inventato di sana pianta) che fa paura.
  • Perché, subito dopo, arrivano le affermazioni forti: I Braidic odiano i De Ragna a cui seguirà E adesso la vendetta: la morte di Luca deve essere pagata con la morte di Marco. Lo so, ve lo dico chiaramente, lo temo, ma so anche che ci sono quelli imparentati tanto con i Braidic che con i De Ragna. E proprio in questi giorni, vedo che al campo qualcuno si lascia andare a parole di vendetta, altri (che di cognome facciano Braidic o De Ragna) in silenzio e fatica stanno provando a calmare gli animi.

Per il Giornale e per quelli che sono i suoi giornalisti, non esiste niente di peggio che un Rom che provi a portare pace. Bisogna essere per forza stupidi e sanguinari. Meglio morti che rom, pensano. Non è che io ce l'ho per forza con quella testata, ma successe già a dicembre 2005, che via Idro venne accusata di colpe che non erano sue. Mandammo la smentita, e "naturalmente" non fu mai pubblicata.

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Di Fabrizio (del 08/11/2013 @ 09:02:54, in media, visitato 1523 volte)

Un anno contro l'antiziganismo - Sfoglia il calendario --- Acquista il calendario

Martedì, 22 ottobre, 2013 - Talvolta basta un incontro, uno sguardo, una parola per abbattere le spesse barriere che ci separano fisicamente e idealmente dalle famiglie rom che abitano le periferie delle nostre città.

Il Calendario 2014 "Un anno contro l'antiziganismo" ci aiuta, con gli scatti di Davide Bozzalla e la poesia di Paul Polansky, a combattere, mese dopo mese, l'antiziganismo che abbiamo ereditato dalla storia, che scorre nelle vene della società e che ne condiziona i pensieri, alimentando stereotipi e pregiudizi diffusi.

  • Acquista il Calendario 2014 dell'Associazione 21 luglio e trascorri con noi dodici mesi all'insegna dei diritti umani!

Il ricavato della vendita servirà a finanziare la ristrutturazione e le attività del Theatre Roma (Teatro Rom) di Shuto Orizari, quartiere alla periferia di Skopje, in Macedonia, e unica municipalità rom al mondo.

Riconosciuto ufficialmente nel 2000, il teatro debutta con Dog Years di Günter Grass, spettacolo teatrale pluripremiato messo in scena nel 2001 a Stenkovec 2 e Dare Bombol, campi profughi per rifugiati rom ai confini con il Kosovo. Un teatro di impegno civile che attraverso la promozione della cultura e della lingua romanes intende "parlare dei rom parlando dell'uomo".

Pratica teatrale autofinanziata e forma di resistenza culturale in direzione ostinata e contraria, verso il sogno di un Teatro Nazionale Rom. Nel 2009 l'incontro fra la comunità di Shuto Orizari, il Theatre Roma e la compagnia italiana Teatrino Clandestino porterà in scena il progetto OpenOption, esperienza umana e teatrale raccolta in Confini Diamanti. Viaggio ai Margini d'Europa, ospiti dei rom, reportage narrativo di Andrea Mochi Sismondi.

Da oltre due anni, tutte le attività sono ferme per mancanza di fondi. Insieme potremo far sì che il Theatre Roma torni a vivere e continui a esercitare la sua necessaria funzione civile, culturale e sociale! GUARDA LE FOTO DEL TEATRO (COM'ERA PRIMA E COM'È OGGI)

  • DONAZIONI MINIME:

1 calendario: 7 euro, con consegna a mano
1 calendario 10 euro, con spedizione postale

5 calendari: 30 euro, con consegna a mano
5 calendari: 40 euro, con spedizione postale

10 calendari: 50 euro, con consegna a mano
10 calendari: 70 euro, con spedizione postale

Puoi scaricare una versione digitale in pdf del calendario a 3,5 euro su LULU.com

  • COME ACQUISTARE IL CALENDARIO:

Invia una email a segreteria@21luglio.org, specifica il numero di calendari richiesti e i dati per la consegna postale (nome, cognome, indirizzo). Oppure, se sei a Roma, ti consegneremo il calendario direttamente di persona!

Per effettuare il pagamento, puoi utilizzare le seguenti modalità:

Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio;
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Di Fabrizio (del 07/11/2013 @ 09:06:41, in Italia, visitato 1148 volte)

Il Messaggero Domenica 03 Novembre 2013 - 19:29 "Divieto di sosta ai nomadi, rimozione forzata": il cartello fa scoppiare la polemica

Sta facendo parecchio discutere un singolare divieto di sosta presente sul territorio comunale di Fermo. Per l'esattezza a Casabianca, in un'area comunale, a due passi dal centralissimo viale che porta al mare. Cos'è? Un divieto di sosta "ai nomadi" che rischiano, stando al messaggio che arriva dal cartello, la rimozione forzata della vettura.

Chiaramente il messaggio non è rivolto al noto gruppo pop rock che tanti successi ha mietuto nella storia musicale italiana che, anzi, se venisse a soggiornare a Fermo sarebbe certamente benvenuto. No, il messaggio è per i nomadi veri, ovvero per quelle popolazioni che vivono spostandosi da un posto all'altro. Ma attenzione: non ai pastori, ai beduini o ai berberi ma, mettiamola così, agli zingari, ecco! Nessuna multa è stata finora elevata e, a quanto risulta, nemmeno un'auto, una roulotte o un camper sono stati portati via dal carroattrezzi.

Allora a che serve quel cartello? E soprattutto: non rischia di essere discriminatorio? Se non lo è allora il sindaco di Porto Sant'Elpidio Nazareno Franchellucci può mandare una pattuglia dei suoi vigili a Fermo per apprendere le modalità in base alle quali i nomadi possono essere multati, i camperisti "normali" no. Così risolverebbe una volta per tutte l'annoso problema dell'area camper sul lungomare della sua cittadina dove d'estate arrivano, insieme ai camperisti, carovane di zingari e nessuno può dire loro niente perché altrimenti sarebbe discriminatorio. Se funziona potrebbe piazzare un cartello come quello di Casabianca e via. Problema risolto.

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Di Fabrizio (del 06/11/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1640 volte)

In effetti, sulla piccola Maria, greca o bulgara che sia (apposta, non ho usato rom), ne hanno scritto tutti, da tutti i punti di vista. Razzisti, buonisti, populisti, legalitari, opinionisti... (ho dimenticato qualcuno?) hanno esposto la loro commozione PER LA RICADUTA MEDIATICA di questo caso, creando un coro di voci diversissime tra loro.

Sia detto, se si parla di opinioni, ognuno ha diritto a dire e a difendere la propria. Anche con veemenza, ci mancherebbe. Anche usando SOLITI e RITRITI strumenti retorici. Quindi: accalorandosi. TUTTO GIUSTO.

Ma poi, e questa è la retorica di chi ha assistito a molte storie simili, cala il sipario. Il pubblico torna a casa e pulisco la platea. C'è un tipo, seduto in sala regia, che si sta chiedendo cosa sia rimasto nella testa della gente di questo "spettacolo".

Avevo segnalato all'amico Giancarlo Ranaldi un link in inglese: Bulgaria insisting Romani girl be returned from Greece E lui, che magari sarà pieno di difetti ma è comunque persona sensibile e attenta, mi ha girato un commento, che vale la pena leggere:

    Quindi... le autorità Bulgare insistono per il ritorno di Maria. La Grecia non sa bene cosa fare e, per il momento, si è limitata ad arrestare gli "affidatari". Ma, allo stesso tempo, in Bulgaria hanno arrestato i "genitori biologici", che rischiano sei anni di carcere. Degli altri bambini, fratelli e sorelle di Maria, non è dato sapere e, forse, è pure meglio. I "media" Bulgari, infatti, sconvolti dalla povertà, chiedono al Governo d'intervenire, ma sarà molto difficile che Maria possa essere riaffidata ai suoi genitori e potrebbe finire in orfanatrofio (per la rieducazione?) fino al compimento del 18o anno di età. Ma povera figlia...

Intendiamoci (è sempre il testimone di storie passate a dirlo): lo scorso mese è successo qualcosa di insolito e di positivo, a Napoli, a Parigi, sulla psicosi greca (e quella irlandese), ci sono state tante persone, persone comuni intendo, che hanno espresso solidarietà e sentimenti umani verso i Rom. Niente che non faremmo per un nostro vicino, amico, per una bestia domestica, ma questa volta erano Rom. E quattro casi distinti. E' IMPORTANTE.

Ma se rileggo le riflessioni di Giancarlo, penso che poi la vita continua, anche per i Rom, quando si spengono i riflettori dell'attenzione pubblica. Se le previsioni greche possono apparire impietose, non è che negli altri ultimi casi siano migliori. Difficile, anche su queste pagine, dare conto delle evoluzioni, di tutto ciò che succede o succederà: tenetemi informato, se ce la fate, o tenetevi informati su MAHALLA INTERNATIONAL o sul suo corrispondente su Facebook.

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Segnalazione di Tommaso Vitale

Molte persone rom, nate in Italia o che vi risiedono da decenni, non hanno alcun documento di identità né un regolare permesso di soggiorno. Si stima che circa 15.000 minori rom siano apolidi o a rischio di apolidia. Senza i documenti, ogni percorso di inclusione sociale è loro precluso: queste persone non possono lavorare regolarmente, affittare una casa o iscriversi all'Università. Restano "invisibili", privati di diritti fondamentali, generazione dopo generazione.

Per contribuire a risolvere questo grave problema, ASGI (associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione), Associazione 21 luglio e Fondazione Romanì, con il sostegno di Open Society Foundations, promuovono un corso finalizzato a formare 15 operatori para-legali specializzati nel supportare le persone rom nell'ottenimento dei documenti (permesso di soggiorno, passaporto, carta d'identità ecc.) e nel promuovere il miglioramento delle relative prassi a livello locale e nazionale.

Nell'ambito del corso saranno affrontati i seguenti temi: la normativa rilevante in materia di ottenimento dei documenti (riconoscimento dello status di apolide, rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di altri permessi di soggiorno in deroga alle norme generali in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri in Italia, acquisto della cittadinanza italiana, ottenimento del passaporto del paese d'origine); metodi per promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale (supporto individuale, attività di advocacy, iniziative di informazione rivolte alla comunità ecc.); il ruolo degli operatori para-legali e le modalità per seguire i casi individuali.

Il corso prevede la partecipazione a due workshop residenziali di due giornate a Firenze; l'impegno a seguire, con il supporto degli avvocati dell'ASGI e dell'Associazione 21 luglio, tre casi di persone rom prive di documenti, affinché possano regolarizzare il loro status giuridico; la partecipazione al convegno finale e a una giornata conclusiva di valutazione e progettazione.

I partecipanti interessati saranno inoltre invitati a presentare progetti per la realizzazione di micro-interventi finalizzati a promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale. Il progetto selezionato come migliore riceverà un finanziamento di 5.000 euro.

I costi di viaggio, vitto e alloggio saranno coperti dal progetto.
I requisiti per partecipare al corso e le modalità per la presentazione delle domande sono specificati nel bando allegato.

Le domande di iscrizione, corredate della documentazione di supporto completa, devono essere inviate per e-mail all'indirizzo formazioneasgi@gmail.com entro il 15 dicembre 2013.

Il bando e il modulo per l'iscrizione possono essere scaricati QUI

Si prega di girare questa comunicazione a tutti coloro che potrebbero essere interessati.
Corso realizzato nell'ambito del progetto "OUT OF LIMBO" con il sostegno di Open Society Foundation

ASGI
Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
Via Gerdil n. 7
10152 Torino
Tel./Fax: 011.4369158
sito web: www.asgi.it
email : formazioneasgi@gmail.com

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Di Fabrizio (del 04/11/2013 @ 09:08:47, in media, visitato 1480 volte)

di Cinzia Gubbini su Cronache di ordinario razzismo

La giovane rom espulsa dalla Francia verso il Kosovo durante una gita scolastica in Francia ha scatenato un aspro dibattito politico sulle leggi sull'immigrazione. In Italia ci concentriamo sui reati del padre della ragazza e sulla "cultura rom"

Léonarda Dibrani ha 15 anni, e la sua è una storia che ha fatto il giro del mondo. Nella Francia socialista, dove mai si era assistito a una cosa del genere nei due mandati del presidente Sarkozy, la giovane rom la cui famiglia è originaria del Kosovo, è stata prelevata dal bus della scuola mentre era in gita scolastica con i suoi compagni. Da lì è stata portata direttamente in aeroporto per essere espulsa con sua madre e i suoi cinque fratelli. Il padre era già stato rimpatriato a Mitrovica. In Francia la storia è diventata un affare di Stato. Il presidente Hollande è intervenuto in televisione per lanciare un messaggio alla nazione: l'espulsione di Léonarda ha rispettato la legge, ma la polizia ha agito "senza discernimento". Per questo il presidente ha proposto a Léonarda di tornare in Francia per continuare i suoi studi. Ma senza la famiglia. Altro "inciampo" del governo socialista che ha scatenato una nuova esplosione di polemiche. Il ministro dell'Interno Valls ha inoltre diramato una circolare in cui vieta di intervenire nel "quadro scolastico" per effettuare delle espulsioni.

La storia di Léonarda
La ragazza rom e la sua famiglia hanno fatto per quattro volte (c'è chi dice sette) domanda di asilo in Francia. Si sono stabiliti lì il 29 gennaio del 2009 nel Comune di Levier, vicino al confine svizzero. Secondo quanto raccontato dal padre di Léonarda venivano dall'Italia. La stessa ragazza era nata in Italia, a Fano, mentre l'ultima della famiglia, una bambina di un anno, è nata in Francia. Ma il padre, Resat Dibrani, 47 anni, ha spiegato di aver distrutto tutti i documenti italiani e raccontato che la famiglia arrivava dal Kosovo - dove lui è nato - sperando di avere qualche possibilità di ottenere asilo. "Se avessi detto che venivo dall'Italia mi avrebbero immediatamente rimandato indietro", ha spiegato. La famiglia Dabrani invece vuole vivere in Francia. E che siano intenzionati a fare sul serio lo dimostra il fatto che i figli vanno tutti a scuola, sono ben integrati, parlano perfettamente francese tanto che le due ragazze più grandi sono in possesso dei requisiti di lingua e conoscenza della cultura francese inseriti da Sarkozy per ottenere la naturalizzazione.

Tutto però finisce quando il padre viene arrestato per mancanza di documenti a Colmar, in Alsazia. Lui viene rinchiuso in un centro di detenzione a Strasburgo. La sua famiglia viene messa in una casa di accoglienza, in ottemperanza alla legge che prevede il divieto di "trattenere" i minori, dove tentano la regolarizzazione in base alla circolare Valls del 2012 (di cui parleremo più avanti). Il 9 ottobre, all'improvviso, la polizia si presenta alle 7 di mattina alla porta della famiglia Dibrani. Solo Léonarda non c'è: ha dormito da una amica - ora che da due mesi è costretta a vivere nel centro di accoglienza- in modo da essere puntuale alla partenza per la gita scolastica, che prevede la visita a una officina della Peugeot. La prefettura rinuncia? Neanche per idea: uno dei professori viene raggiunto sull'autobus da una telefonata del sindaco: l'autobus si deve fermare perché una volante della polizia sta per andare a prendere Léonarda per eseguire l'espulsione. Si può immaginare il panico: il professore dice di non poter fare una cosa del genere, ma a fargli cambiare idea ci pensa la polizia. Nella lettera dei professori viene descritta molto bene quella giornata.

In Francia, e in Italia
La vicenda ha scatenato un putiferio quando gli studenti sono scesi in piazza per protestare contro questa espulsione. C'è stata una vera e propria rivolta dei ragazzi. Viene da chiedersi se in Italia sarebbe mai avvenuta una cosa del genere. E forse è interessante leggere la storia di Léonarda analizzando come è stata affrontata in Francia, e come è stata affrontata in Italia. Il dibattito in Francia ha riguardato soprattutto (e quasi esclusivamente) la legge che ha portato alla espulsione della famiglia Dibrani. Quando è stato eletto il nuovo governo, si è subito posto il problema se fare o no una regolarizzazione ("tradizione" presto abbandonata dall'Italia). La risposta è stata sì ed è stata emanata la circolare Valls che prevede la possibilità per le persone irregolari soggiornanti da almeno cinque anni in Francia di presentare richiesta di permesso di soggiorno. E' stata molto criticata, perché prevede un esame individuale assegnato alle prefetture, il che rende molto discrezionale la sua applicazione. Ma leggerla è comunque interessante, soprattutto per fare un paragone con l'Italia, per l'approccio che propone sottolineando le storie di sfruttamento sessuale, presenza di minori scolarizzati, e così via. Ma aldilà di questo, la questione è che permane un elemento di "temporalità" che ha escluso a priori casi come quelli della famiglia Dibrani. Che aveva tutte le caratteristiche previste nella circolare, solo che mancavano pochi mesi al compimento del quinto anno su suolo francese. Il che ha obbligato Hollande a sostenere che l'espulsione era stata eseguita "secondo la legge".

Secondo aspetto: la reazione della "comunità". Come abbiamo visto i professori e la scuola hanno preso parola, scritto una lettera pubblica e apertamente condannato l'espulsione, anche se in linea con la legge del governo socialista. Gli studenti sono scesi in strada, protestando contro l'espulsione violenta di una minorenne e della sua famiglia. Una famiglia rom. Sarebbe mai accaduto in Italia? Il tutto in un contesto di forte spaccatura visto che secondo un sondaggio tre francesi su quattro sono d'accordo con la decisione di espellere la famiglia Dibrani.

La stampa italiana
E veniamo all'Italia. Dopo le prime notizie che hanno reso conto di quanto accaduto, e delle conseguenze di questa storia sulla calante popolarità di Hollande ecco cominciare i reportage. Anche i giornalisti italiani, come i giornalisti di molti paesi, si sono recati a Mitrovica per intervistare la famiglia Dibrani. Leggere questi articoli è interessante: sembra esista una specie di "lente italiana" di cui i giornalisti italiani non riescono a disfarsi quando devono osservare una famiglia rom. Persino una famiglia espulsa da un altro paese, in tutt'altro contesto, completamente estraneo alla politica italiana. Ad esempio: Francesco Battistini che tiene un blog sul Corriere della Sera dal titolo "La città nuova", dedicata ai temi interculturali, descrive un quadro in cui il papà - noto come una persona violenta - è il cattivone (qui l'articolo). I bambini più piccoli sono "gattini", molto contenti di vivere in una catapecchia kosovara "perché c'è il sole". Il loro entusiasmo rovinerebbe il "copione mediatico" messo in piedi dal papà rom violento, che invece vuole per forza tornare in Francia con la sua famiglia. Battistini non lo dice, ma sembra voler sottolineare: a fare qualcosa di losco! La conclusione del giornalista è che nella cultura rom, definita "gattare rom" (sempre per la metafora dei gatti, che all'autore pare evidentemente essere molto efficace), è meglio essere "bradi ma tutti uniti". Ovvero: se fossero una famiglia mediamente più "evoluta" la quindicenne la manderebbero di corsa in Francia a studiare. Sola come un cane, verrebbe da dire.

Ma di questi giudizi un tantino affrettati è zeppa la stampa nostrana del "dopo choc" da espulsione. Pure per il corrispondente da Parigi Alberto Mattioli de La Stampa, 10 giorni dopo l'espulsione di Léonarda, il tono dedicato all'espulsione della giovane rom cambia totalmente. Prima è di cronaca, anche vagamente indignato. Il 19 ottobre, parlando dell'intervento televisivo di Hollande ecco cosa dice il giornalista: " ha trasformato definitivamente l'«affaire Leonarda» in un affare di Stato o, a seconda dei punti di vista, in un'incredibile telenovela politico-mediatico-emozionale con complicazioni da psicodramma nazionale" (qui l'articolo). Su Il Giornale del 17 ottobre i precedenti del padre di Léonarda diventano "violenza fisica contro la moglie e la figlia". Una accusa piuttosto pesante, addossata a un uomo in un momento difficile, inserita in una frase e tra due virgole e introdotta da un "pare peraltro".

Insomma: una storia che mette sul piatto un problema serio, complicato da risolvere, ma anche urgente come la gestione di famiglie che hanno bambini scolarizzati anche se non "regolarmente soggiornanti", in Italia assume un tono moraleggiante. Sotto i riflettori non c'è la "rule of laws" e il sistema di controllo dei flussi migratori. Ma la famiglia-vittima, le sue presunte contraddizioni. E, ovviamente, il reato bieco.

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Di Fabrizio (del 03/11/2013 @ 09:05:22, in musica e parole, visitato 1957 volte)

Parlo di questo libro PROPRIO perché non c'è una sola parola su rom, sinti, travellers, gorani, askali ecc.

    Che poi, più che altro per ragioni di sintesi, è il motivo per cui Polansky continua ad adoperare la parola zingari, non volendo riscrivere ogni volta le Pagine Gialle. Ovvio che questa parola a molti non va giù e vedrò in seguito di capire perché a volte le parole sono un muro ed altre un ponte.

Leggo nell'introduzione:

    Dopo aver vissuto con gli zingari nei ghetti dell'Europa dell'est, nei campi dei rifugiati delle Nazioni Unite in Kosovo, in Macedonia, e sui marciapiedi in India, credevo di aver capito finalmente cosa significasse essere poveri, perché loro erano poveri.
    Ma quando sono tornato negli Stati Uniti dopo aver vissuto all'estero per 37 anni, non ero così sicuro di capire i poveri in America. Perché c'erano cosi tanti senzatetto nel paese più ricco del mondo? Perché centinaia di migliaia dormivano all'aperto o cercavano un letto nei rifugi dei senzatetto e nelle missioni?
    Sapevo che c'era un solo modo per scoprirlo: vivere con i senzatetto così come avevo fatto con gli zingari in Europa e in India. Alla fine non c'è stato bisogno di andare a New York, Chicago o San Francisco per trovarli. Ce n'erano anche nella mia città, dappertutto nel cuore dell'America.
    Per parecchi mesi durante l'inverno del 2000-2001 ho ammazzato il tempo con loro, ascoltando le loro storie. Come con gli zingari, non ho giudicato la loro scelta di vita. Ho solo raccolto le loro storie e usato le loro parole per scrivere queste poesie.

Da qua parto con una riflessione: perché ci sono persone che a vario titolo e dalle posizioni più diverse, scrivono di rom e sinti (per non parlare del resto)?

  1. C'è chi lo fa, perché attratto dalla cultura, dalle origini, dalla lingua di un popolo misterioso, anche se presente da secoli nel nostro continente.
  2. C'è chi invece è spinto a farlo dall'esposizione scandalosa della miseria che è legata a questo stesso popolo.

Sospetto che esista un collegamento tra i due punti, ma non mi è chiaro: da un lato questa miseria contribuisce a rendere più oscuro il fattore storico-linguistico-culturale, dall'altro l'isolamento indotto dalla miseria è un fattore di conservazione di questi tratti.

Non me ne voglia il primo gruppo, ma è il secondo aspetto quello che ci impatta (per razzismo o all'opposto per pietismo). Ci IMPATTANO non tanto i furti, i bambini malnutriti, lo schifo dei campi, ma il fatto che nella nostra società sopravvivano e siano SOVRAESPOSTE simili condizioni di vita medioevali, un affronto alla nostra ricchezza. Ricchezza, specifico, di ex poveri che hanno una paura fottuta della crisi e di ritornare con le pezze al culo.

Fosse una povertà, una miseria lontana, sarebbe tollerabile, ma con questa occorre fare i conti. Razzismo e pietismo sono la sintesi dell'impossibile tentativo di ignorare o esorcizzare questa esibita differenza.

Ecco che la prefazione citata sopra smaschera una parte del trucco: anche nei ricchi Stati Uniti, dove Rom e Kalé sono relativamente invisibili, c'è gente che vive come questi ultimi in Europa. Tra loro, molta gente bianca.

Credo che abbiamo una paura fottuta, nelle attuali incertezze, di finire come questa gente. Scrive Paul Polansky di aver "usato le loro parole" nelle sue poesie. Parole violente, rabbia, che ci sembrano estranee alla nostra tranquillità (che prima o poi sarà rotta da qualche scandalo), ma ancora non bastano a stabilire un confine con l'ALTRO. Leggo, a pagina 11:

    Per lo più si pensa
    che se vivi sulla strada
    sei solo un pezzo di merda
    che non vale niente.

    Sì, ci insultano,
    ci prendono a calci in culo.
    I porci ci sbattono in galera,
    o ci dicono di andar via.

    Alcuni senzatetto chiedono l'elemosina,
    altri mostrano un cartello.

    Ehi, abbiamo anche bisogno di aiuto.
    Sigarette, birra, cibo,
    benzina, droghe.

    Proprio come
    tutti gli altri.

Polansky non giudica, riferisce. E per farlo, per riportare quei pensieri così come nascono nudi e crudi, vive e convive. Quello che manca a gran parte del resto della cronaca. Potremmo chiamarla empatia, in ogni caso è la lezione che dovrebbe arrivare anche a chi SCRIVE-GIUDICA-DECIDE PER Rom, Sinti ecc.

Il secondo insegnamento che arriva da questa raccolta è, forse, culturale. C'è violenza, crudeltà, scandalo, nelle poesie, ma senza compiacimento. Quegli homeless rischiano un annichilimento culturale, se mai hanno avuto una cultura come noi la intendiamo, al pari dei loro sfigati cugini rom e sinti in Europa. Ma la perdita della propria cultura, non necessariamente significa il vuoto. Spesso significa adattare la propria cultura e le proprie tradizioni alla situazione contingente, poter creare prima o poi una cultura che sarà differente dalla tradizione e anche dal modello maggioritario. Se riusciremo a capire e rispettare, prima che la testa, l'ingombrante presenza fisica dei dropout.

Termino, con gli appuntamenti a Milano e dintorni:

  • Lunedì 4 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la partecipazione di Enzo Giarmoleo poeta e traduttore del libro. L'incontro avrà luogo al CAM Ponte delle Gabelle, in via San Marco, 45 a Milano.
  • Martedì 5 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la partecipazione di Valeria Ferrario che avrà luogo allo Spazio Cantiere "Simon Weil" in Via Giordano Bruno 9 a Piacenza;
  • Mercoledì 6 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la partecipazione di Luca Chiarei e Gaetano Blaiotta con intrattenimento musicale a cura di Achille Giglio al contrabbasso. L'incontro avrà luogo al Twiggy Club via de Cristoforis n. 5, a Varese;
  • Mercoledì 12 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la partecipazione di Tito Truglia ed Enzo Giarmoleo che avrà luogo all'Osteria Letteraria Sottovento in Via Siro Comi n. 8 a Pavia;
  • Giovedì 14 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la partecipazione di Giorgio Mannacio e Beppe Provenzale che avrà luogo alla Libreria Linea d'Ombra in Via Calocero, 29 (MM2 Sant'Agostino) a Milano;
  • Venerdì 15 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la partecipazione di Enzo Giarmoleo, vari studiosi e rappresentanti di alcune associazioni che si occupano dei senza dimora nella nostra città. L'incontro avrà luogo alla CGIL in Piazza Segesta con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio ) a Milano;
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Di Fabrizio (del 02/11/2013 @ 09:08:29, in media, visitato 1422 volte)

Mymovies.it

Un film di Joanna Kos, Krzysztof Krauze. Con Jowita Budnik, Antoni Pawlicki, Artur Steranko, Andrzej Walden, Zbigniew Walerys Biografico, durata 131 min. - Polonia 2013. MYMONETRO Papusza * * 1/2

Papusza ("bambola" in lingua Rom) è Bronislawa Wajs (1908 - 1987), vissuta in Polonia. E' la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto, sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza. Inizia a conoscere il modo di vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951 l'uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l'appoggio di alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera. Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure), scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest'ultimo riesce a farli pubblicare e a farle pervenire un compenso. Tuttavia, ben presto, i gitani iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire l'ostracismo del suo stesso popolo, vive nell'isolamento ed è frastornata dai sensi di colpa. I coniugi Krauze hanno scritto e realizzato un biopic senza dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi.

Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero, è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto convenzionale e la rappresentazione della vita nell'accampamento mostra spesso immagini stereotipate.
Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente, dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.

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Di Fabrizio (del 01/11/2013 @ 09:06:15, in Europa, visitato 1426 volte)

by John Feffer

Spesso è stato fatto il paragone tra i Rom dell'Europa centro-orientale e gli Afro Americani negli Stati Uniti. Allo stesso modo i Rom hanno patito la schiavitù, la segregazione, una discriminazione rampante, assimilazione forzata. Hanno anche svolto campagne per i diritti civili in quasi tutti i paesi dove vivono. Tuttavia, sinora sono state campagne dall'effetto limitato. Anche se alcuni Rom hanno raggiunto successo sociale, economico o politico, la comunità nel suo complesso resta ai margini.

Nel 1995, partecipai ad uno scambio tra attivisti romanì e veterani afro americani del movimento civile, a Szentendre vicino a Budapest. I due gruppi condivisero molte storie sulle rispettive storie ed esperienze. Erano storie che si muovevano spesso in un pensiero parallelo a distanza di anni. Un partecipante afro americano, ad esempio, descriveva il sit in di Greensboro del 1960, a Woolworth in Carolina del Nord. Un partecipante rom dalla Repubblica Ceca ha raccontato una storia suoi suoi recenti sforzi per organizzare dei sit-in nella sua città natale, dove diversi ristoranti hanno posto agli ingressi dei cartelli che vietano l'ingresso ai Rom.

Ricorda: "Quando proposi questo sit-in la prima volta, molti amici mi dissero che non c'era ragione per farlo." Infatti, la prima protesta si presentarono solo in dieci ai tavoli chiedendo di essere serviti. La voce si sparse in fretta. La seconda protesta le persone erano di più. "Alla terza protesta, si mostrò anche mio padre," continua l'attivista. "E vennero anche persone bianche in solidarietà."

L'organizzatore dello scambio di Szentendre era Michael Simmons, che aveva condotto il programma Est-Ovets dell'American Friends Service Committee (AFSC). Veterano dei movimenti dei diritti civili USA, Simmons andò anche in prigione per le sue prese di posizione. Lì, entro in contatto con i quaccheri e poi iniziò a lavorare per AFSC sulla relazioni USA-URSS. Gradualmente, il programma si allargò all'Europa Centro-Orientale.

Fu anche il primo che mi assunse una volta che uscii dal college, come assistente amministrativo nel 1987. Più tardi, nel 1990, viaggiai attraverso l'Europa Centro-Orientale, proprio per intervistare le persone su cosa doveva essere fatto nella regione dal programma Est-Ovest. In cima alla lista dei miei compiti era il lavoro sulle tematiche rom. Il programma di scambio a Szentendre nel 1995 fu soltanto una della serie di iniziative di AFSC per favorire un approccio da diritti civili nelle comunità rom.

Dopo aver lasciato AFSC, Michael Simmons decise di rimanere a Budapest e continuare nel suo lavoro sui diritti umani. Lo ricontattai a Filadelfia, dove aveva fatto ritorno per prendersi cura di alcune questioni personali. Parlammo di parecchie cose, ma fui particolarmente interessato al suo punto di vista sul lavoro coi Rom 20 anni dopo. Nel corso degli anni era diventato piuttosto pessimista.

Da un lato, la situazione dei Rom non era migliorata significativamente. "La situazione dei Rom è peggio di quella degli Afro Americani - non in termini di schiavitù o di mezzadria, ma in termini di realtà attuale." sottolineava. "Ci sono un paio di ragioni. Una è che in questo paese, gli Afro Americani furono capaci di costruire una società alternativa. Nella comunità Afro Americana era possibile studiare dalle elementari al dottorato, senza avere troppi contatti con i bianchi. Incontravi tutte le tue necessità all''interno della comunità, i Rom non hanno niente del genere."

Dall'altro, l'organizzazione politica non è realmente penetrata nella società rom. "Ci sono formazione, conferenze e seminari rom, come avevo fatto altre volte, non sapendo fare di meglio. Ma non significano niente," dice. "E così i Rom - non voglio dire che siano opportunisti, perché non hanno nessuna possibilità di lavoro - aspirano ad arrivare in una OnG a Budapest, Bruxelles, ora anche in Polonia, all'OCSE, Ginevra, New York, o una borsa di studia a Cambridge o da qualche altra parte. Ma non esiste una sforzo organizzativo sul locale. Non c'è un senso di un'organizzazione democratica comunitaria. A livello base non c'è nessun cambiamento. La condizione odierna dei Rom è la stessa del 1989, al di là delle cifre che sono state spese."

Abbiamo parlato della prima visita in Unione Sovietica, della crescita dell'estremismo di destra, e del perché si fosse trasferito a Budapest, dopo avermi detto tempo fa che non avrebbe mai potuto vivere se non a Filadelfia.

[...]

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