di Cinzia Gubbini
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Cronache di ordinario razzismo
La giovane rom espulsa dalla Francia verso il Kosovo durante una gita scolastica
in Francia ha scatenato un aspro dibattito politico sulle leggi
sull'immigrazione. In Italia ci concentriamo sui reati del padre della ragazza e
sulla "cultura rom"
Léonarda Dibrani ha 15 anni, e la sua è una storia che ha fatto il giro del
mondo. Nella Francia socialista, dove mai si era assistito a una cosa del genere
nei due mandati del presidente Sarkozy, la giovane rom la cui famiglia è
originaria del Kosovo, è stata prelevata dal bus della scuola mentre era in gita
scolastica con i suoi compagni. Da lì è stata portata direttamente in aeroporto
per essere espulsa con sua madre e i suoi cinque fratelli. Il padre era già
stato rimpatriato a Mitrovica. In Francia la storia è diventata un affare di
Stato. Il presidente Hollande è intervenuto in televisione per lanciare un
messaggio alla nazione: l'espulsione di Léonarda ha rispettato la legge, ma la
polizia ha agito "senza discernimento". Per questo il presidente ha proposto a
Léonarda di tornare in Francia per continuare i suoi studi. Ma senza la
famiglia. Altro "inciampo" del governo socialista che ha scatenato una nuova
esplosione di polemiche. Il ministro dell'Interno Valls ha inoltre diramato una
circolare in cui vieta di intervenire nel "quadro scolastico" per effettuare
delle espulsioni.
La storia di Léonarda
La ragazza rom e la sua famiglia hanno fatto per quattro volte (c'è chi dice
sette) domanda di asilo in Francia. Si sono stabiliti lì il 29 gennaio del 2009
nel Comune di Levier, vicino al confine svizzero. Secondo quanto raccontato dal
padre di Léonarda venivano dall'Italia. La stessa ragazza era nata in Italia, a
Fano, mentre l'ultima della famiglia, una bambina di un anno, è nata in Francia.
Ma il padre, Resat Dibrani, 47 anni, ha spiegato di aver distrutto tutti i
documenti italiani e raccontato che la famiglia arrivava dal Kosovo - dove lui è
nato - sperando di avere qualche possibilità di ottenere asilo. "Se avessi detto
che venivo dall'Italia mi avrebbero immediatamente rimandato indietro", ha
spiegato. La famiglia Dabrani invece vuole vivere in Francia. E che siano
intenzionati a fare sul serio lo dimostra il fatto che i figli vanno tutti a
scuola, sono ben integrati, parlano perfettamente francese tanto che le due
ragazze più grandi sono in possesso dei requisiti di lingua e conoscenza della
cultura francese inseriti da Sarkozy per ottenere la naturalizzazione.
Tutto però finisce quando il padre viene arrestato per mancanza di documenti a
Colmar, in Alsazia. Lui viene rinchiuso in un centro di detenzione a Strasburgo.
La sua famiglia viene messa in una casa di accoglienza, in ottemperanza alla
legge che prevede il divieto di "trattenere" i minori, dove tentano la
regolarizzazione in base alla circolare Valls del 2012 (di cui parleremo più
avanti). Il 9 ottobre, all'improvviso, la polizia si presenta alle 7 di mattina
alla porta della famiglia Dibrani. Solo Léonarda non c'è: ha dormito da una
amica - ora che da due mesi è costretta a vivere nel centro di accoglienza- in
modo da essere puntuale alla partenza per la gita scolastica, che prevede la
visita a una officina della Peugeot. La prefettura rinuncia? Neanche per idea:
uno dei professori viene raggiunto sull'autobus da una telefonata del sindaco:
l'autobus si deve fermare perché una volante della polizia sta per andare a
prendere Léonarda per eseguire l'espulsione. Si può immaginare il panico: il
professore dice di non poter fare una cosa del genere, ma a fargli cambiare idea
ci pensa la polizia. Nella
lettera dei professori viene descritta molto bene
quella giornata.
In Francia, e in Italia
La vicenda ha scatenato un putiferio quando gli studenti sono scesi in piazza
per protestare contro questa espulsione. C'è stata una vera e propria rivolta
dei ragazzi. Viene da chiedersi se in Italia sarebbe mai avvenuta una cosa del
genere. E forse è interessante leggere la storia di Léonarda analizzando come è
stata affrontata in Francia, e come è stata affrontata in Italia. Il dibattito
in Francia ha riguardato soprattutto (e quasi esclusivamente) la legge che ha
portato alla espulsione della famiglia Dibrani. Quando è stato eletto il nuovo
governo, si è subito posto il problema se fare o no una regolarizzazione
("tradizione" presto abbandonata dall'Italia). La risposta è stata sì ed è stata
emanata la
circolare Valls che prevede la possibilità per le persone irregolari
soggiornanti da almeno cinque anni in Francia di presentare richiesta di
permesso di soggiorno. E' stata molto criticata, perché prevede un esame
individuale assegnato alle prefetture, il che rende molto discrezionale la sua
applicazione. Ma leggerla è comunque interessante, soprattutto per fare un
paragone con l'Italia, per l'approccio che propone sottolineando le storie di
sfruttamento sessuale, presenza di minori scolarizzati, e così via. Ma aldilà di
questo, la questione è che permane un elemento di "temporalità" che ha escluso a
priori casi come quelli della famiglia Dibrani. Che aveva tutte le
caratteristiche previste nella circolare, solo che mancavano pochi mesi al
compimento del quinto anno su suolo francese. Il che ha obbligato Hollande a
sostenere che l'espulsione era stata eseguita "secondo la legge".
Secondo aspetto: la reazione della "comunità". Come abbiamo visto i professori e
la scuola hanno preso parola, scritto una lettera pubblica e apertamente
condannato l'espulsione, anche se in linea con la legge del governo socialista.
Gli studenti sono scesi in strada, protestando contro l'espulsione violenta di
una minorenne e della sua famiglia. Una famiglia rom. Sarebbe mai accaduto in
Italia? Il tutto in un contesto di forte spaccatura visto che secondo un
sondaggio tre francesi su quattro sono d'accordo con la decisione di espellere
la famiglia Dibrani.
La stampa italiana
E veniamo all'Italia. Dopo le prime notizie che hanno reso conto di quanto
accaduto, e delle conseguenze di questa storia sulla calante popolarità di
Hollande ecco cominciare i reportage. Anche i giornalisti italiani, come i
giornalisti di molti paesi, si sono recati a Mitrovica per intervistare la
famiglia Dibrani. Leggere questi articoli è interessante: sembra esista una
specie di "lente italiana" di cui i giornalisti italiani non riescono a disfarsi
quando devono osservare una famiglia rom. Persino una famiglia espulsa da un
altro paese, in tutt'altro contesto, completamente estraneo alla politica
italiana. Ad esempio: Francesco Battistini che tiene un blog sul Corriere della
Sera dal titolo "La città nuova", dedicata ai temi interculturali, descrive un
quadro in cui il papà - noto come una persona violenta - è il cattivone (qui
l'articolo). I bambini più piccoli sono "gattini", molto contenti di vivere in
una catapecchia kosovara "perché c'è il sole". Il loro entusiasmo rovinerebbe il
"copione mediatico" messo in piedi dal papà rom violento, che invece vuole per
forza tornare in Francia con la sua famiglia. Battistini non lo dice, ma sembra
voler sottolineare: a fare qualcosa di losco! La conclusione del giornalista è
che nella cultura rom, definita "gattare rom" (sempre per la metafora dei gatti,
che all'autore pare evidentemente essere molto efficace), è meglio essere "bradi
ma tutti uniti". Ovvero: se fossero una famiglia mediamente più "evoluta" la
quindicenne la manderebbero di corsa in Francia a studiare. Sola come un cane,
verrebbe da dire.
Ma di questi giudizi un tantino affrettati è zeppa la stampa nostrana del "dopo
choc" da espulsione. Pure per il corrispondente da Parigi Alberto Mattioli de La
Stampa, 10 giorni dopo l'espulsione di Léonarda, il tono dedicato all'espulsione
della giovane rom cambia totalmente. Prima è di cronaca, anche vagamente
indignato. Il 19 ottobre, parlando dell'intervento televisivo di Hollande ecco
cosa dice il giornalista: " ha trasformato definitivamente l'«affaire Leonarda»
in un affare di Stato o, a seconda dei punti di vista, in un'incredibile
telenovela politico-mediatico-emozionale con complicazioni da psicodramma
nazionale" (qui l'articolo). Su
Il Giornale del 17 ottobre i precedenti del
padre di Léonarda diventano "violenza fisica contro la moglie e la figlia". Una
accusa piuttosto pesante, addossata a un uomo in un momento difficile, inserita
in una frase e tra due virgole e introdotta da un "pare peraltro".
Insomma: una storia che mette sul piatto un problema serio, complicato da
risolvere, ma anche urgente come la gestione di famiglie che hanno bambini
scolarizzati anche se non "regolarmente soggiornanti", in Italia assume un tono
moraleggiante. Sotto i riflettori non c'è la "rule of laws" e il sistema di
controllo dei flussi migratori. Ma la famiglia-vittima, le sue presunte
contraddizioni. E, ovviamente, il reato bieco.