Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Banda rock romanì da lezione di cultura a giovani rappers
the BOLTON News 7:40am Wednesday 20th November 2013 in NW
KAL con il gruppo-laboratorio di Kamosi
GIOVANI rapper di talento hanno azzeccato ogni nota dopo aver condiviso la
ribalta nella con alcune superstar reali.
I rocker romanì KAL questa settimana si sono uniti al gruppo Kamosi di Wigan
sul palco del Leigh's Derby Rooms per un master class su musica, patrimonio e
identità culturale.
La band di Belgrado ha portato con sé un importante messaggio sul riconoscere
l'identità romanì e combattere i pregiudizi. Dragan Ristic, front-man di Kal, ha
detto:
"Sono davvero impressionato dai giovani che abbiamo incontrato stasera. Vogliamo
mostrare loro che possono esprimersi attraverso la musica. Può aiutare gli altri
a capire cosa pensano e sentono... Vogliamo anche che continuino a celebrare la
loro cultura. Sono venuti qui dall'Europa Orientale e si sono adattati ad un
nuovo modo di vita, ma conservare il senso della loro identità per loro può
essere un vantaggio. Abbiamo apprezzato molto lavorare con loro e il messaggio
che abbiamo lasciato loro e di concentrarsi sulla loro istruzione e di lavorare
duro. Così potranno davvero realizzare i loro sogni e fare quello che vogliono
nella vita."
I menestrelli serbi mescolano i suoni rom balcanici con una stupefacente varietà
di stili, tra cui tango, musica mediorientale, turca e occidentale.
Tano Udila, di 13 anni, della Westleigh High School, ha detto: "Per noi è
un'opportunità fantastica di mostrare il nostro talento e parlare di chi siamo.
Il rap che abbiamo composto è tutto sull'amore, perché sentiamo che è importante
per tutti, di qualsiasi provenienza o cultura. La musica è un grande modo per
far girare un messaggio e mi ha fatto anche comprendere il valore di un'idea
sulla propria storia."
L'evento è stato organizzato da Wigan Council's Voice and Engagement Service,
Community Arts Northwest (CAN) e da Manchester's-own World Music DJ collective
Satellite State Disko (SSD).
Il titolo significa poco... solo alcuni pensieri randagi. Da qualche giorno
si sta ricordando il cinquantenario dell'assassinio di Kennedy. Ieri sera, una
radio per ricordare quei tempi trasmetteva il brano che trovate in fondo.
Ascoltavo quel pezzo, vecchio e stranoto, come se fosse la prima volta. Strade
da percorrere all'infinito, una pace impossibile da trovare, morti, pianti e
gente che non vuol vedere e non vuol sentire... Non soltanto una frontiera, un
equilibrio da cercare, ma la storia, quasi didascalica, di quelle genti ospiti
delle pagine di Mahalla. Senza essere un flamenco, senza essere balcanica,
quella è una canzone rom.
Credo che Bob non se ne sia reso conto, aveva 21 anni nel 1963... Ma, se un
gagio con radici ebraiche, è stato capace di fare un manifesto generazionale di
quella ricerca e di quel vagare, significa che la "condizione esistenziale" dei
Rom e dei Sinti è qualcosa che anche noi possiamo intendere e sentire
sulla nostra pelle. Sentirli, ogni tanto, quasi fossero vicini, forse fratelli
(no, forse sto esagerando), con cui dividere un inno.
E non alieni portatori di una cultura (ma cosa significa, cultura????)
inconciliabile col nostro modo di vita.
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
clicca sull'immagine per ulteriori informazioni
Dall'introduzione: E TU, QUANTI ZINGARI CONOSCI? Era lo
slogan di una campagna dell'UNAR dell'anno scorso. Questo piccolo volume non
parlerà della cultura rom, o delle origini della loro lingua, o delle
persecuzioni che hanno subito... Parla del conoscersi.
I Rom e i Sinti sono in mezzo a noi, ovunque in Italia e in Europa, e quando
viene loro concesso, lavorano tra noi, mandano a scuola i loro figli assieme ai
nostri. Perché a Pessano deve essere diverso? Perché aspettarsi che possano
migliorare, se si nega loro la possibilità di affrancarsi dalla miseria?
Ma questi fogli raccontano anche di una cultura, che magari non si trova nei
testi di antropologia, che è vivere quotidiano, proprio in questo Nord-Est
milanese. In parole povere: per una volta non si scrive di tutto ciò di cui
avrebbero bisogno (anzi: avrebbero diritto), ma di quello che potrebbero
insegnarci, anche da subito, se ne avessero la possibilità. Sempre per la solita
ragione: sono in mezzo a noi tutti i giorni.
Testimonianze pratiche: sono sicuro che a tutti (anche a chi non sopporta gli
zingari), interessa conoscere qualcosa su STAR BENE e MANGIARE. Scoprirete che
anche un'anziana romnì può avere qualcosa da insegnarci.
QUESTA E' LA PRIMA RAGIONE. La seconda è che queste famiglie, che stiano
accanto a noi (magari insegnandoci qualcosa) o che vadano via (ad insegnarlo
altrove), potrebbero vivere in una roulotte, in una casa, sotto un ponte, in un
campo... non cambierebbe niente nella loro cultura.
Ma, dovunque andranno o si fermeranno, dovranno trovare la possibilità e i
mezzi per vivere. Il terzo punto, altrettanto interessante, è GUADAGNARE, tutti
(voi con Maria e la sua famiglia): non vi chiediamo carità, ma rispetto e
condivisione. Se una persona dovesse dipendere per sempre dal vostro buon cuore,
rimarrà sempre qualcuno "ai margini" di cui sarà facile disfarsi. Se invece
troverete interessante quello che ha scritto Maria, a voi costerà poco, ma per
lei il ricavato della vendita di queste pagine sarà importante.
Per i soldi, certo, ma anche perché dopo tanto tempo ASSIEME si sarà
cominciato a costruire una relazione.
A tutti i lettori, un sincero augurio di continuarla.
[...]
L'autrice: Hajrija Seferovic (Maria) è
nata da genitori Kalderasha nel 1938 a Tramnik, nell'ex Jugoslavia, prima di
cinque figli. La famiglia si spostava spesso per guadagnarsi da vivere con la
vendita di cavalli, e facendo pentole e piatti di rame che vendevano ai mercati.
Maria si ricorda una gioventù bella, sotto le tende in una grande "kumpanja".
Nei vari spostamenti il suo gruppo veniva spesso in Italia. All'inizio della
guerra in Bosnia la famiglia è scappata con l'aiuto di organizzazioni umanitarie
(ONU). Alcuni dei suoi familiari sono andati a vivere in Francia, altri in
Germania e negli Stati Uniti, lei e la sua famiglia a Torino dove hanno vissuto
per 10 anni, e da dove dopo sono stati sgomberati. Da allora hanno cercato di
mettere radici a Napoli, in Sicilia, a Roma, e Bologna ma sono sempre stati
sgomberati.
All'inizio del 2000 si sono nuovamente spostati arrivando
a Pessano con Bornago, ove hanno comperato un piccolo terreno agricolo con
l'intento di fermarsi, per essere vicini al marito di Maria che era in cura a
San Raffaele per una grave malattia, che lo ha portato alla morte.
Maria allora decise di fermarsi a Pessano ma ciò non fu
possibile a causa dei continui sgomberi. In questo momento Maria sta a Trezzo
sull'Adda in una povera roulotte, dove continua a curare suo figlio cieco dalla
nascita ed ha vicino la maggiore parte dei suoi numerosi figli.
Coordinamento editoriale:
- Natalija Halilovic
- Frances Oliver Catania
- Fabrizio Casavola
Copertina:
Dettagli:
- Copyright A.S.D. La Comune, via Novara, 97 Milano (Licenza
di copyright standard)
- II edizione
- Pubblicato il 20 novembre 2013
- Lingua Italiano
- Pagine 30
- Formato del file PDF
- Dimensioni del file12.86 MB
- Prezzo 2,50 euro
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Altre pubblicazioni
Parlo di questo libro PROPRIO perché non c'è una sola parola su rom, sinti,
travellers, gorani, askali ecc.
Che poi, più che altro per ragioni di sintesi, è il motivo per cui
Polansky continua ad adoperare la parola zingari, non volendo riscrivere ogni
volta le Pagine Gialle. Ovvio che questa parola a molti non va giù e vedrò in
seguito di capire perché a volte le parole sono un muro ed altre un ponte.
Leggo nell'introduzione:
Dopo aver vissuto con gli zingari nei ghetti dell'Europa dell'est, nei campi
dei rifugiati delle Nazioni Unite in Kosovo, in Macedonia, e sui marciapiedi in
India, credevo di aver capito finalmente cosa significasse essere poveri, perché
loro erano poveri.
Ma quando sono tornato negli Stati Uniti dopo aver vissuto all'estero per 37
anni, non ero così sicuro di capire i poveri in America. Perché c'erano cosi
tanti senzatetto nel paese più ricco del mondo? Perché centinaia di migliaia
dormivano all'aperto o cercavano un letto nei rifugi dei senzatetto e nelle
missioni?
Sapevo che c'era un solo modo per scoprirlo: vivere con i senzatetto così come
avevo fatto con gli zingari in Europa e in India. Alla fine non c'è stato
bisogno di andare a New York, Chicago o San Francisco per trovarli. Ce n'erano
anche nella mia città, dappertutto nel cuore dell'America.
Per parecchi mesi durante l'inverno del 2000-2001 ho ammazzato il tempo con
loro, ascoltando le loro storie. Come con gli zingari, non ho giudicato la loro
scelta di vita. Ho solo raccolto le loro storie e usato le loro parole per
scrivere queste poesie.
Da qua parto con una riflessione: perché ci sono persone che a vario titolo e
dalle posizioni più diverse, scrivono di rom e sinti (per non parlare del
resto)?
- C'è chi lo fa, perché attratto dalla cultura, dalle origini,
dalla lingua di un popolo misterioso, anche se presente da
secoli nel nostro continente.
- C'è chi invece è spinto a farlo dall'esposizione scandalosa
della miseria che è legata a questo stesso popolo.
Sospetto che esista un collegamento tra i due punti, ma non mi è chiaro: da
un lato questa miseria contribuisce a rendere più oscuro il fattore
storico-linguistico-culturale, dall'altro l'isolamento indotto dalla miseria è
un fattore di conservazione di questi tratti.
Non me ne voglia il primo gruppo, ma è il secondo aspetto quello che ci
impatta (per razzismo o all'opposto per pietismo). Ci IMPATTANO non tanto i
furti, i bambini malnutriti, lo schifo dei campi, ma il fatto che nella nostra
società sopravvivano e siano SOVRAESPOSTE simili condizioni di vita medioevali,
un affronto alla nostra ricchezza. Ricchezza, specifico, di ex poveri che hanno
una paura fottuta della crisi e di ritornare con le pezze al culo.
Fosse una povertà, una miseria lontana, sarebbe tollerabile, ma con questa
occorre fare i conti. Razzismo e pietismo sono la sintesi dell'impossibile
tentativo di ignorare o esorcizzare questa esibita differenza.
Ecco che la prefazione citata sopra smaschera una parte del trucco: anche nei
ricchi Stati Uniti, dove Rom e Kalé sono relativamente invisibili, c'è gente che
vive come questi ultimi in Europa. Tra loro, molta gente bianca.
Credo che abbiamo una paura fottuta, nelle attuali incertezze, di finire come
questa gente. Scrive Paul Polansky di aver "usato le loro parole" nelle sue
poesie. Parole violente, rabbia, che ci sembrano estranee alla nostra
tranquillità (che prima o poi sarà rotta da qualche scandalo), ma ancora non
bastano a stabilire un confine con l'ALTRO. Leggo, a pagina 11:
Per lo più si pensa
che se vivi sulla strada
sei solo un pezzo di merda
che non vale niente.
Sì, ci insultano,
ci prendono a calci in culo.
I porci ci sbattono in galera,
o ci dicono di andar via.
Alcuni senzatetto chiedono l'elemosina,
altri mostrano un cartello.
Ehi, abbiamo anche bisogno di aiuto.
Sigarette, birra, cibo,
benzina, droghe.
Proprio come
tutti gli altri.
Polansky non giudica, riferisce. E per farlo, per riportare quei pensieri
così come nascono nudi e crudi, vive e convive. Quello che manca a gran parte
del resto della cronaca. Potremmo chiamarla empatia, in ogni caso è la lezione
che dovrebbe arrivare anche a chi SCRIVE-GIUDICA-DECIDE PER Rom, Sinti ecc.
Il secondo insegnamento che arriva da questa raccolta è, forse, culturale.
C'è violenza, crudeltà, scandalo, nelle poesie, ma senza compiacimento. Quegli
homeless rischiano un annichilimento culturale, se mai hanno avuto una cultura
come noi la intendiamo, al pari dei loro sfigati cugini rom e sinti in Europa.
Ma la perdita della propria cultura, non necessariamente significa il vuoto.
Spesso significa adattare la propria cultura e le proprie tradizioni alla
situazione contingente, poter creare prima o poi una cultura che sarà differente
dalla tradizione e anche dal modello maggioritario. Se riusciremo a capire e
rispettare, prima che la testa, l'ingombrante presenza fisica dei dropout.
Termino, con gli appuntamenti a Milano e dintorni:
- Lunedì 4 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la
partecipazione di Enzo Giarmoleo poeta e traduttore del libro.
L'incontro avrà luogo al CAM Ponte delle Gabelle, in via San
Marco, 45 a Milano.
- Martedì 5 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la
partecipazione di Valeria Ferrario che avrà luogo allo Spazio
Cantiere "Simon Weil" in Via Giordano Bruno 9 a Piacenza;
- Mercoledì 6 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la
partecipazione di Luca Chiarei e Gaetano Blaiotta con
intrattenimento musicale a cura di Achille Giglio al
contrabbasso. L'incontro avrà luogo al Twiggy Club via de
Cristoforis n. 5, a Varese;
- Mercoledì 12 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la
partecipazione di Tito Truglia ed Enzo Giarmoleo che avrà luogo
all'Osteria Letteraria Sottovento in Via Siro Comi n. 8 a Pavia;
- Giovedì 14 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la
partecipazione di Giorgio Mannacio e Beppe Provenzale che avrà
luogo alla Libreria Linea d'Ombra in Via Calocero, 29 (MM2
Sant'Agostino) a Milano;
- Venerdì 15 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la
partecipazione di Enzo Giarmoleo, vari studiosi e rappresentanti
di alcune associazioni che si occupano dei senza dimora nella
nostra città. L'incontro avrà luogo alla CGIL in Piazza Segesta
con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio ) a
Milano;
Un Minuto Con: Kelemen, violinista ungherese - orgoglioso delle sue
radici rom - By Michael Roddy (Editing by Pravin Char) Copyright Thomson Reuters,
2013.
LONDRA (Reuters) - Il violinista ungherese Barnabas Kelemen che studiò col
virtuoso Isaac Stern e ha ottenuto il premio della rivista Gramophone per il
miglior Cd del 2013 di musica da camera, ciò che lo rende orgoglioso è la sua
origine rom.
Kelemen, che era a Londra per ritirare il prestigioso premio Gramophone per
il suo disco sulle suonate per violino di Bartok ed esibirsi domenica con sua
moglie Katalin Kokas nel Kelemen Quartet alla Wigmore Hall, riconosce suo nonno
violinista come la figura ispiratrice della sua vita.
"Posso suonare lo stile gypsy e lo adoro," dice Kelemen, 35 anni, in
un'intervista alla Reuters.
"E' molto importante artisticamente," dice, notando che a causa della
discriminazione contro la comunità rom in Ungheria e altrove nell'Europa
centrale, "ci sono molti esempi di genitori che non parlano della loro
provenienza."
Kelemen, d'altra parte, è orgoglioso che suo nonno Pali Pertis potrebbe
essere stato il modello del compositore francese Maurice Ravel, quando scrisse
il famoso "Tzigane" ispirato ai Rom, se non direttamente attinto dai Rom. Fu
commissionato dalla violinista ungherese Jelly d'Aranyi e da lei eseguita la
prima volta nel 1924.
"Mio nonno nacque nel 1903 e fu un vero bambino prodigio, da giovane viaggiò
in Europa e non è improbabile che Ravel stesso abbia ascoltato mio nonno a
Parigi.
Kokas, seduto al tavolo durante l'intervista, interviene suggerendo che sia
andata così, ma Kelemen, pur non in disaccordo, dice "Non è provato".
Ecco cos'altro ha avuto da dire sul perché musica dei principali compositori
ungheresi come Bartok e Kodaly si suoni meglio che mai, sul perché gli Ungheresi
possano avere un vantaggio ma non siano gli unici a poterla eseguire, e sul
futuro della sua carriera.
Le sonate per violino per cui tu e il pianista Zoltan Kocsis avete vinto
il premio Gramophone per la musica da camera, non sono delle novità su disco,
infatti il vostro mentore Isaac Stern registrò la prima sonata già nel 1951.
Cosa rende speciale la vostra versione?
Devo dirti che la generazione di musicisti ungheresi che ora opera e ha
studiato negli ultimi 10-20 anni, ha appreso da maestri fantastici che a loro
volta furono educati dalla generazione dei Bartok e ne bevvero come il latte
materno. Ciò che per loro era nuovo, per noi è naturale, ma ancora molto fresco.
Parliamo un linguaggio che è unico e io stesso sto insegnando a nuove
generazioni di studenti. Quindi, siamo in un momento molto fortunato riguardo lo
stile di Bartok e Kodaly.
Si dice spesso che i migliori interpreti della musica russa sono i Russi,
della musica ungherese gli Ungheresi, ma è così nel vostro caso?
Non sono tra quanti dicono che Bartok può essere suonato soltanto da
Ungheresi, ma è molto importante per gli Ungheresi... e devi capire che parte
della nostra musica data da tempi antichi, alcune melodie popolari hanno
relazioni con la musica cinese e asiatica, e quindi è realmente unica...
Il premio Gramophone, il recital alla Wigmore Hall e l'apparizione a
novembre come solista nell'estremamente impegnativo concerto per violino di
Penderecki assieme alla London Philarmonic Orchestra, questo sembra essere il
tuo anno, giusto?
Non sta a me dirlo, ma faccio il mio lavoro e cerco di suonare il meglio
possibile, godendo delle cose belle che stanno arrivando. Sono sempre stato una
persona e un musicista che si è divertito nello sviluppare passo dopo passo la
sua carriera concertistica. Non mi sono mai spinto, e nessuno mi ha mai fatto
pressioni eccessive.
INTERNO GIORNO:
Glielo giuro, signor colonnello, non è colpa mia!!!
Non sono colonnello, sono commissario...
Ecco, giusto... commendatore! Stavolta sono innocente!!!
Vabbè, lasciamo perdere. Non urli e mi illustri la dinamica precisa dello
svolgimento dei fatti.
Mi può ripetere tutte le ultime parole? Sa, son foresto...
Cos'è successo! E lei, appuntato, scriva...
Aahhhh, ecco. Vede, due sere fa ero in giro con mia zia, a cercare un po' di
citofoni che non ci avessero scritto sopra. E' una nostra tradizione, sempre gli
stessi segni da anni, ma ormai di citofoni puliti non ne troviamo più...
Scusi la curiosità, perché sempre gli stessi segni?
Così... come lo chiamate voi? Copyright?
Continui. Scusi l'interruzione.
Insomma, lei conosce le case e io so scrivere, così lavoriamo in coppia come
i carabinieri. Ma per non farci riconoscere, lei aveva la gonna lunga, era senza
scarpe e col foulard. Io ero bellissimo: avevo arricciato i baffi col lardo, e
suonavo il violino. Sull'archetto avevo montato uno scalpello, è così che si
fanno i segni... vuole che le faccia vedere?
No! Vada avanti. Appuntato, sta prendendo nota?
Certo, ma le assicuro che non è facile. C'era gente che andava, veniva, sa...
non hanno niente da fare, e così ci chiedevano: "Chi siete? Cosa fate?" E io,
mostrando la tessera della mensa: "CENSIMENTO!"
Sì, ma poi?
Così in nove secondi e sette decimi (come Bolt a Mosca, faccio notare) ci
siamo trovati circondati da tutto il quartiere. forse, erano tutti lì per il
censimento... Noi gli abbiamo detto che avevamo terminato i moduli, ma quelli,
non so perché, ci hanno riempito di mazzate.
Finito?
No, signor ingegnere. La sera dopo, che mi facevano ancora male tutte le
ossa, tornano mio cugino con suo figlio e un amico. Guardano i citofoni,
sorridono alle telecamere a circuito chiuso, chiedono in giro se c'è qualcuno
che incideva dei segni. Niente, non riuscivano a trovare il citofono giusto! Per
fortuna avevano l'IPHONE, così hanno scaricato l'applicazione per ritrovarlo,
tanto, non lo sanno adoperare, l'IPHONE intendo. Nel
frattempo, s'era fatto notte, e han tirato fuori la torcia elettrica; ma loro,
furbi, mica l'accendevano, col rischio di farsi trovare. Insomma, era buio pesto
e non ci si vedeva niente, vallacapì se un segno significava una cosa o quella
opposta!
Dobbiamo stare qui ancora tanto???
Nooo. Le dico subito tutto, ma io non c'entro. Alla fine hanno suonato i
citofoni, svegliando tutto il palazzo, che li ha creduti dei testimoni di Geova
e ha mazzolato anche loro. Sono scappati, e trovano una porta aperta, proprio
dove eravamo passati noi la sera prima. Entrano e... l'appartamento è
completamente vuoto. La "concorrenza" aveva visto i segni prima di loro... A
questo punto, siete arrivati voi. Che vitaccia, signor commodoro!
SIGLA!
The Quietus
Josh Hall , August 12th, 2013 08:03 (lungo, ma con registrazioni
originali dell'epoca, vale la pena quando siete stanchi di leggere, NDR)
Josh Hall parla con Philip Knox, co-curatore della nuova compilation sul
gipsy-pop nella Jugoslavia di Tito, per discutere sulle condizioni politiche e
sociali da cui nasceva questa notevole musica innovativa
Gli anni '60 e '70 sono stati un periodo fiorente per i Rom della Jugoslavia.
Anche se Tito aveva riempito i campi di prigionia al largo dellle coste
adriatiche, in patria i Rom ottenevano per la prima volta il riconoscimento
ufficiale. Tito avevi conferito agli Jugoslavi il diritto di identificarsi
secondo il proprio gruppo, ed i Rom - storicamente perseguitati e soltanto pochi
decenni prima assassinati a decine di migliaia dagli ustascia fascisti - furono
tra i maggiori beneficiari. La cultura rom venne improvvisata elevata.
La musica di quel periodo è stata catturata in una nuova collezione del pop e
folk prodotto tra il 1964 e il 1980 dai Rom della Macedonia, Kosovo e Serbia
meridionale. Stand Up, People (Opre Roma) è un set straordinario di
tracce che dimostrano lo spirito pionieristico di quel periodo, in cui i
musicisti prendevano le forme tradizionali e le declinavano senza posa nel senso
della modernità. Le canzoni pulsavano dei tradizionali ottoni della musica folk
slava, ma erano contrapposti all'ampiezza dei nuovi stili a cui erano esposti
queste comunità. La collection è pervasa di pop occidentale, psichedelia, e
della tradizione subcontinentale da cui i Rom sono originari e con cui c'era uno
scambio diffuso, grazie alle comune posizione di India e Jugoslavia come stati
non allineati. Il risultato è un volo vertiginoso di malinconica innovazione.
Curata dai londinesi Philip Knox e Nat Morris, Stand Up, People è il
risultato di mesi passati a scavare nei mercatini delle pulci dei Balcani, nel tentativo
di gettare nuova luce su ciò che Knox descrive come "qualcosa che si è perso
nella narrazione standard della musica di quella parte del mondo." Nella
tradizione classica la registrazione viene completata da esaurienti e deliziose
note di introduttive sui testi di ogni traccia. Nelle traduzioni, la
combinazione di lacrimosità e di festa così palpabile è resa ancora più forte.
Questa dolente baldoria è il segno della qualità della collection.
Il Rinascimento rom collassò brutalmente dopo la morte di Tito. I proponenti
furono da un lato sottomessi alla musica nazionale dei nuovi stati nati nel
sangue, o semplicemente sparirono dalla pubblica vista. Le tradizioni romanì
divennero nuovamente affari privati, divorziando dalle correnti principali in
cui erano brevemente fiorite. I Rom nel mondo rimangono oggetto di persecuzione
quotidiana. Per questo Stand Up, People è importante, non solo come
documento storico, ma come controreplica a quanti tuttora intendono i Rom come
qualcosa di indesiderabile. E' una registrazione celebrativa di un tempo in cui
a questa cultura perennemente tiranneggiata fu permesso di esplorare se stessa
pubblicamente, e di una storia affascinante di un periodo di notevole
innovazione.
Abbiamo raggiunto Knox per discutere il processo di compilazione di Stand
Up, People, con le storie turbolente e gli sconvolgimenti politici e
sociali che si verificavano mentre il tutto era iin fase di creazione.
Ho letto
l'articolo che hai scritto per Sarajevo Notebook, e
stavo ascoltando le registrazioni per la prima volta.
Il trip, il viaggio, è che l'articolo è di quasi due anni fa. Fu un viaggio
di sei settimane, due mesi. Lo scorso dicembre siamo tornati a Belgrado, perché
molto del materiale finito nel CD proveniva dall'Archivio Nazionale [di Serbia].
Sapevamo che quelle registrazioni esistevano, ma in tutte le nostre ricerche non
le avevamo mai trovate. Alcuni pensavano che non esistessero, ma indagando negli
scaffali dell'Archivio nazionale li abbiamo trovati. Per fortuna c'erano molte
cose che volevamo davvero, a nostra volta avevamo del materiale che interessava
loro, così abbiamo raggiunto un accordo e abbiamo potuto, temporaneamente,
prendere in prestito quei reperti, digitalizzarli e restaurarli a Londra.
Quindi a Belgrado esiste un grande spazio di archiviazione pieno di
registrazioni?
Sì, è piuttosto sorprendente. Sotto Tito si archiviavano copie col copyright,
in teoria praticamente da tutto. Quando ci siamo andati era abbastanza caotico.
Avevano appena riaperto e penso che eravamo tra i primi a varcare l'ingresso.
Incredibilmente, in una maniera impensabile in Gran Bretagna, con assoluto stile
balcanico, questa amabile bibliotecaria ci disse: "OK, entrate e date
un'occhiata." Così abbiamo frugato tra gli scaffali, facendocela addossa dal
tanto materiale che c'era e stavamo cercando così disperatamente. Abbiamo potuto
fotografare alcune copertine, come prova che questo materiale esisteva - in
particolare alcune delle prime cose di Shaban Bajramovic' [che appare tre volte
nella compilation], che poi divenne una specie star della world music, ed è
relativamente noto in Europa. Ma nessuno credeva che avesse inciso prima del
1991, nessuno credeva che fosse disponibile. Così abbiamo trovato un sacco di
roba sua, e ne eravamo davvero entusiasti, ma non potevamo ascoltare niente,
perché non c'era una sala video-audio. Questa è la ragione per cui siamo tornati
dicembre scorso - controllare realmente quel materiale. Anche se eravamo allora
a buon punto con i CD, e sapevamo cosa farne, in realtà non sapevamo che suono
restituissero quei reperti. E' stato come un azzardo.
Come avete fatto a selezionare le tracce?
La questione fondamentale era quello che ci piaceva realmente. C'era
materiale che volevamo includendo alcune tracce. Volevamo rappresentare molte
cantanti, e poi un sacco di roba che fosse davvero inusuale, all'opposto di
quanto si aspettasse la gente. Per coincidenza, questo corrispondeva a ciò che
ci piaceva.
Quella forza delle cantanti è rappresentativa della scena nel suo
assieme?
Penso di sì, yeah. Essere donna tra i Rom è abbastanza difficile. E' una
società piuttosto patriarcale, e se sei una donna in una simile società che è
oltretutto più marginalizzata di qualsiasi altra, sei ancora più al margine
delle cose. Allora, è stato importante trovare cantanti femmine di così grande
successo, che dirigevano i prori gruppi musicali, che andavano in tour. Alcune
di loro hanno avuto storie difficili associate a ciò; non era un paradiso. C'è
una cantante, Ava Selimi, che ha pubblicato un solo 7" su cui abbiamo messo le
mani. Non siamo mai riusciti a rintracciarla, ma abbiamo molti aneddoti di gente
che la conosceva. Si dice che sia stata rifiutata dalla famiglia e dalla sua
comunità semplicemente [per] essere una musicista di successo ed essere
single, invece di svolgere il ruolo tradizionale che ci si aspettava. Si pensa
che non abbia mai lasciato la sua città nel Kosovo per quella ragione, ora
vivrebbe in un'isola della Croazia.
Parliamo un poco di Esma Redzhepova, che caratterizza fortemente
l'album.
Esma Redzhepova è tuttora una celebrità in Macedonia. Recentemente ne ha
parlato la stampa, per la sua partecipazione per la Macedonia ad Eurovision
dello scorso maggio, assieme ad un cantante di rubbish-rock che non mi ricordo.
Divenne molto celebre ai suoi tempi, negli anni '60 e '70. In quanto giovane,
donna e radicata nel ghetto, penso che ebbe da lottare. Ha dovuto uscire dalla
casa di famiglia, e la sua famiglia era del tutto contraria alla sua carriera,
non solo all'interno delle comunità rom, ma anche nazionale e internazionale in
quanto jugoslava.
Ci sono stati altri artisti che allora raggiunsero un simile
successo?
Lei è praticamente unica. Shaban Bajramovic', un po' più tardi - erano
dipinti come il re e la regina della musica gitana, anche se provenivano da
luoghi diversi e non penso si siano mai esibiti assieme. Raggiunse una buona
notorietà, in particolare con alcune registrazioni alla fine degli anni '90, che
erano quasi in stile Buena Vista Social Club. Ma allora Esma era praticamente
unica in termini di enormità del successo.
Potresti dire che gli anni '60 e '70 sono stati il periodo più
importante per quel tipo di musica, o è qualcosa che continua tutt'oggi?
C'è ancora moltissima musica dei rom incredibile nella regione, e molti
interpreti rom, ma non è detto che siano conosciuti come tali. Sono soltanto
cantanti pop o qualsiasi altra cosa - non pretendono di fare musica folk. Ma
secondo me l'era dei musicisti romanì che cantavano romanì, identificandosi
completamente e senza problemi come Rom, e consumati come tali a livello
nazionale - è definitivamente passata. Penso dipenda soprattutto dalle guerre
etniche degli anni '90, dove la gente è diventata così iper-tribale che i Rom
sono sempre stati esterni a ognuno di questi gruppi frammentati, e sono sempre
stati perseguitati un poco di più, soprattutto in Kosovo, dove credo che la
popolazione si sia ridotta dell'80%, in parte con esecuzioni di massa e in parte
con [l'esodo dei] rifugiati, molti di loro sono finiti in Macedonia.
Ora è la Macedonia il fulcro della comunità rom?
C'è il più grande insediamento rom nel mondo, appena fuori Skopje - un posto
chiamato Shuto Orizari. E' qualcosa di unico. Cammini per strada e senti parlare
ovunque romanés, le insegne sono in romanés. E' incredibile. Ma in termini di
popolazione, c'è un numero enorme di Rom in Serbia, e da altre parti dei Balcani
oltre la ex Jugoslavia, come in Romania e Bulgaria. Se la Macedonia costituisca
il fulcro culturale è difficile da stabilire - sono tutti molto diversi. Mentre
in Serbia possono essere più urbanizzati e vivere in maniera maggiormente
integrata, questo non li rende necessariamente meno rom o meno culturalmente
significativi.
Anche se c'è una popolazione rom relativamente numerosa in Bosnia e Croazia, è
una popolazione stranamente tranquilla. Non hanno la percezione di suonare
musica rom, anche se molti di loro sono musicisti e suoneranno musica folk
locale. Ma non esiste una scena, e non c'era nemmeno negli anni '60 e '70, anche
se era pieno di Rom ed erano culturalmente e politicamente attivi. Eravamo
curiosi e abbiamo chiesto a dei contatti rom in Bosnia perché avessimo questa
impressione, e loro in modo abbastanza deprimente l'hanno attribuita al successo
delle campagne antirom dei fascisti ustascia nella II guerra mondiale, quando se
sembravi rom o se parlavi romanés ti potevano sparare. La cultura è stata
trainata dei sotterranei e non è mai emersa realmente, anche quando farlo era
diventato sicuro. E' diventata una cosa domestica e privata, cosa che allora non
successe quasi mai in Macedonia, Serbia e in Kosovo.
Foto del viaggio a Belgrado di Knox e Morris
E' interessante che ci fu questa fioritura di cultura rom durante Tito,
che nel contempo era molto avverso con le espressioni del nazionalismo. Come
concili le due cose?
Penso siano precisamente parallele, l'una la conseguenza dell'altra. Cercando di
riconciliare una parte di mondo estremamente diversa e storicamente frazionata,
la strategia di Tito era di affrancare in qualche modo qualsiasi minoranza. Le
gerarchie erano diverse. Potevi dichiararti della nazione dei Croati, o della
nazione dei Serbi, e avevi un'identità in quel senso. Ma anche i Rom e gli
Albanesi avevano questa possibilità di identificarsi o le loro carte d'identità.
Penso, come conseguenza di presentare un modo leggermente più inclusivo di
essere Jugoslavi, senza tuttavia dover rinunciare alla propria identità
precedente, i Rom ottennero per la prima volta un riconoscimento. Tutte le
identità andavano rappresentate, altrimenti non avrebbe funzionato.
Avevano modo di identificarsi pubblicamente. Avevano gruppi culturali in molti
villaggi, alla stessa maniera che se fossero stati gruppi culturali Albanesi o
Turchi, stavano assieme e organizzavano musiche e concerti, probabilmente
diffondendo anche dottrina di partito. Così, è un periodo inusuale e unico, in
netto contrasto con la strategia seguita, ad esempio, dalla Bulgaria, che era
offensivamente monoculturale, e parlare o cantare in romanés era illegale. I Rom
continuavano a stare lì, producendo molta musica, ma era tutta musica bulgara
prodotta da Rom che fingevano di essere Bulgari.
Rimane un caso?
Tutta quella parte di mondo resta orribilmente razzista verso i Rom. Il
pregiudizio preesistente è diventato pubblico dopo Tito. Ma la Bulgaria è
leggermente migliorata da allora. Almeno, non c'è nessun apparato statale
ufficiale che spenga attivamente le voci rom, anche se il pregiudizio a livello
di comunità è sempre più duro da sorvegliare e valutare.
E quanto velocemente terminò quel boom, dopo Tito?
Difficile da dire. La società iniziò a collassare rapidamente dopo la morte di
Tito, ed in qualche modo si era già verso la fine. La sua morte coincise con
l'emergere di un sacco di ordini del giorno nazionalisti. Già prima di morire,
nel 1980, la cultura stava cambiando in maniera percettibile. Globalmente,
stavano iniziando ad emergere i primi vagiti della fine della guerra fredda, ed
il nazionalismo andava prendendo corpo. Ed anche la stessa musica - è quando
inizia ad emergere quella cosa chiamata turbo-folk. Quella fu la colonna
sonora delle guerre balcaniche, che ironicamente sembrava saltar fuori da
qualcuno di questi cantanti rom, che sempre andavano perseguendo il suono più
moderno e orecchiabile. Il risultato finale fu uno stile che venne per lo più
associato agli squadroni serbi della morte, uno di quegli strani colpi di scena
così difficili da conciliare.
Gli anni '80 furono un periodo diverso solo dal punto di vista stilistico. I
valori di produzione erano appena caduti, soprattutto in Jugoslavia. Quindi era
praticamente impossibile dire "Qui è l'età dell'oro", mentre la società andava
collassando anche le strutture che avevano permesso la produzione di quella
musica crollarono. I cantanti che riuscirono a mantenere il successo, smisero di
essere cantanti rom. Molti proseguirono - Esma andò avanti attraverso la guerra.
Smise di cantare in romanés, e smise con le canzoni zingare. Uno degli esempi
più estremi è questo ragazzo chiamato Muharem Serbezovski,
un Rom macedone. La maggior parte dei Rom macedoni è musulmana, e lui passò
molta della guerra a Sarajevo, identificandosi fortemente con la causa bosniaca.
Iniziò a cantare inni di guerra della Bosnia, si naturalizzò totalmente come
Bosniaco. Dopo la guerra, entrò come politico nell'Assemblea Nazionale di
Bosnia. Probabilmente aveva qualche affinità con la Bosnia perché era la
capitale della sua religione, ma smise di essere un Rom jugoslavo che cantava in
romanés e in altre lingue, diventando un Bosniaco.
Una delle cose più straordinarie sulla raccolta è l'incredibile volume
di suoni e stili che sono presenti. L'altra musica a quel periodo era
accessibile?
E' incredibilmente varia. Ci sono ballate pop abbastanza standard, e musica
tradizionale di fisarmonica, molto potente. E' distante da una raccolta
rappresentativa universalmente, anche della sola musica rom. Ci sono differenze
al nord. Dove c'è molta popolazione ungherese, la musica è più martellante,
quattro quarti, col violino che invita alla danza. Penso che molti di questi
pezzi, senza la necessaria familiarità, sembrerebbero piuttosto sorprendenti. La
gente era abituata ad una varietà musicale, ma se tu fossi stato, per esempio,
un ragazzo non-rom alla moda nella Belgrado degli anni '60, e avessi ascoltato
qualcosa della folle musica rom del Kosovo, penso l'avresti trovata abbastanza
aliena. Ma la gente la comprava, e questa è una cosa interessante, ma anche
difficile da spiegare. Tutto era iper-locale e iper-specifico, ma era
distribuito dalle etichette discografiche in tutti centri urbani, ed
apparentemente per essere comprato e goduto.
Quindi l'impresa era anche redditizia?
Tutte le etichette erano in parte statali. Era un'area grigia ambigua, in parte
nazionalizzata. Non è chiaro sin dove le decisioni fossero controllate dallo
stato. Probabilmente non in maniera enorme, perché c'era troppa roba in
circolazione e nessuno avrebbe avuto il tempo di verificare tutto. Ma la gente
comprava i dischi. Gli Jugoslavi erano abbastanza ricchi rispetto agli altri
paesi socialisti dell'Europa Orientale. Potevano viaggiare, e lo facevano.
Potevano importare beni dall'Occidente; importavano anche musica occidentale.
Cose che si cercava sempre di vendere a caro prezzo nei negozi di dischi dei
Balcani, erano le incisioni jugoslave dei Beatles o di Stevie Woneder, che
qualche collezionista pazzo sta cercando di ottenere.
Un altro momento chiave della storia è la raccolta delle registrazioni.
Quanto tempo avete impiegato?
Me ne sono interessato per anni, in maniera abbastanza amatoriale. Ci sono un
paio di etichette che stanno facendo delle cose interessanti, in particolare con
queste brass band, alcune dalla Macedonia, altre dalla Romania, che sono
piuttosto funky e hanno un senso di rinascita: Mahala Rai Banda e Kociani
Orkestar, piacciono alla gente. Ero davvero coinvolto, e così Nat, ne abbiamo
discusso assieme e abbiamo viaggiato indipendenti l'uno dall'altro per un po'
nei Balcani.
Esma Redzhepova venne e suonò a Londra attorno al 2006 con la Mahala Rai Banda,
e fu un concerto incredibile. Stranamente, per un pubblico londinese abituato
alla "world music", fu un grande avvenimento. Ho sempre cercato di collezionare
pezzi e mettere le mani sugli originali, in modo abbastanza da nerd, e mi
chiedevo dovrei avrei potuto trovare i LP di Esma. Cominci a cercare su internet
e trovi delle cose. Dopo un paio di assaggi pensai: "Cazzo, questo è buono
davvero!". Poi iniziamo ad impegnarci più seriamente, raccogliendo tutto quel
che trovavamo. E poi, quando ammassammo una certa pila di registrazioni, ci
sembrò qualcosa di importante che era andato perso dalla narrativa standard di
quella parte del mondo. Fu allora che la prendemmo davvero sul serio, e andammo
lì col preciso intento di raccogliere registrazioni, e nel contempo di
incontrare i musicisti e cercare di imparare di più sugli scenari e sulle
circostanze della produzione e della distribuzione.
Questi artisti si conoscevano tra loro? Suonavano assieme?
C'è questa voce che circolava su Esma e suo marito. Lui non era Rom, ma era uno
attorno a cui la musica girava. Molti musicisti passarono attraverso questa
sorta di accademia. Molti musicisti rom venivano assunti, e poi si mettevano in
proprio. Così fu per Muharem Serbezovski - i suoi primi concerti furono con
l'ensemble di Esma. E Elmo Chun, che interpreta la penultima traccia del
disco, quella strumentale, la cui importanza per la scena musicale rom non può
essere sottolineata abbastanza - fece parecchi arrangiamenti, fu un fulcro vero
- il suo primo lavoro fu il clarinettista per Esma.
Sembra il mondo del jazz, dove ci sono frontmen e sidemen.
Si intenda una grandissima similarità col jazz, non solo nella struttura di
mercato, ma anche per la fusione di personalità, improvvisazioni, assoli che
sono parte della tradizione. E' una delle cose che lo rende interessante,
soprattutto se assisti dal vivo a un matrimonio, dove un clarinettista e un
sassofonista si confrontano per dieci minuti. Uno spettacolo incredibile.
Hai detto che le grandi etichette discografiche erano di proprietà
statale ma, a parte questo, esisteva una cultura indipendente?
Le etichette erano relativamente poche. Non erano controllate centralmente in
quanto tali. Tutte le maggiori città ne avevano una, o diverse. Particolarmente
Belgrado. Quindi esiste la branca editoriale regionale della compagnia di stato,
poi ce ne sono di più piccole, che dovrebbero essere più indipendenti, ma non si
notano differenze nella qualità o nella natura delle registrazioni che uscivano.
C'erano etichette specializzate in quel tipo di musica?
Non molte - è questo che è strano. Troverai estremamente misterioso della musica
rom prodotta da quella che era la più grande etichetta, Radio-Televisione Belgrado,
tutta in romanés da un oscuro angolo del Kosovo. Poi trovi musica di successo
rilasciata da un piccolo studio fuori Belgrado. Un fenomeno abbastanza surreale.
Non so se è la natura di come funzionassero le cose in questo quasi-mercato, ma
non mi sembra che potesse essere competitivo, con gli artisti più grandi che
andavano verso le maggiori etichette e quelli più piccoli verso le minori.
Com'è stato il processo per ottenere le licenza di queste incisioni?
Incubo assoluto. E' stato di gran lunga il compito più duro, difficile, lungo e
meno divertente. Queste etichette erano possedute in parte da uno stato che non
esiste più, o sono adesso proprietà parzialmente privata o parzialmente statale
di nuovi stati. Molti di questi non sono a conoscenza di possedere i diritti di
queste incisioni, e per prima cosa li devi convincere di questo, se vuoi
ottenere una licenza. E' uno dei motivi per cui una release come questa ha
dovuto impiegare tanto tempo per uscire. Nessun altro sarebbe stato così pazzo
da trascorrere due anni su Skype con dei Serbi veramente arrabbiati.
E' valido per la Jugoslavia degli anni '60 come per la maggior parte della
musica oggi - è interamente impostata per ridurre al minimo la quantità di
denaro che gli artisti ricevono, se non di eliminarla del tutto. Il diritto di
proprietà degli artisti è così piccolo. E' qualcosa con cui abbiamo lottato
davvero, perché volevamo dare qualcosa agli artisti quando ne trovavamo qualcuno
che fosse ancora vivo. Una cosa rattristante e piuttosto deprimente di questo, è
che incoraggiamo questi artisti a firmare per questi incredibili complessi
sistemi collettivi internazionali, così che possano avere qualche soldo, ma
impiegare tutto questo tempo non serve a chi non è di madrelingua inglese, o non
ha familiarità col computer.
Vedi il potenziale per un risorgere dell'interesse verso questa musica?
I giovani dei paesi dell'ex Jugoslavia, quando parliamo loro di questo, sono
completamente confusi e perplesso. Puoi gli suoniamo questa musica e sono
esterrefatti che ci sia qualcosa del genere dalla loro cultura e che possa
suonare così. Molta della idea dei non-Rom sulla musica dei Balcani, anche in
quella parte del mondo, è totalmente conformata a tutti quei coglioni come [Emir]
Kusturica. Davvero, la gente è monopolizzata dall'idea che la loro musica sia -
qualcosa di veramente primitivo che spassionatamente spilla da loro; non
qualcosa sotto il loro controllo; possono rubarti il televisore ma fanno anche
questa bella musica. Allora la gente si sorprende di questa musica
incredibilmente sofisticata, sensibile ad idee complesse. Penso che se la gente
ci mettesse la testa, sarebbe davvero grande, e potrebbe significare che alcuni
dei musicisti che sono ancora in circolazione potrebbero rivisitare alcuni
pezzi.
La compilation
Stand Up, People è ora disponibile su CD e formati digitali, via Asphalt Tango Records
Riprendo questo post su
Globalist, probabilmente perché è esteticamente bello, ma anche lacerante. Almeno per
me... che Lolli e Manfredi me li ricordo giovani, un po' come fratelli
cresciuti, e li ho poi seguiti nel loro apparire e tornare, loro sì NOMADI, ma
esistenziali. E quella canzone manifesto: HO VISTO ANCHE ZINGARI FELICI, tanto
bella quanto bugiarda. Quando poi gli zingari li ho visti per davvero, erano
disperati, e quasi mai liberi. Ma era bello credersi zingari, o forse era solo
una moda.
di Gianfranco Manfredi*
Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra,
ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Mi rileggo il testo della canzone di Claudio e d'istinto mi viene da ricollegare
la metafora degli "zingari felici" alle tante altre usate in quegli anni,
metafore con cui la nostra generazione cercava di definirsi, il più delle volte
in contrapposizione con quelle che ci venivano schiaffate addosso dalla stampa e
nelle quali non potevamo riconoscerci.
Certo nemmeno riuscivamo più ad accontentarci del "Compagni dai campi e dalle
officine" perché sinceramente i campi non ce li ricordavamo neppure e le
officine, dio bono, per noi la Fabbrica mica erano le officine. Se si doveva
cantare la Fabbrica allora era meglio citare Majakovskij:
"Sono anch'io una fabbrica. E se mi mancano le ciminiere, forse, senza di esse,
ci vuole ancor più coraggio".
Le metafore che usavo io, nelle mie canzoni, "gli zombi", "gli ultimi mohicani",
"i clandestini", parlavano sì, anch'esse in qualche modo, "di vendetta e di
guerra".
Eppure per quegli strani, ma giustificabili luoghi comuni da cui neppure il
Movimento poteva dirsi immune, Claudio e io, per quanto spesso accostati,
indossavamo maschere diverse. Una malinconica (la sua) e una irridente (la mia).
Ma era poi così? Con gli zombi non c'era da star troppo allegri, tanto meno con
gli indiani delle riserve metropolitane, quanto alla clandestinità dell'animo,
spesso più pesante di quella fisica, certo non consente troppa cordialità. Se
ripenso alle mie esperienze di quegli anni, alle migliori, sono stato più uno
"zingaro felice" che uno zombi indiano e clandestino, per fortuna.
La metafora di Claudio parlava di qualcosa che lui aveva visto, non
nell'immaginazione, ma in piazza, traducendolo in versi così com'era.
Claudio parlava della felicità che avevamo conosciuto, che era quella "del far
l'amore e rotolarsi per terra". C'è poco da immalinconirsi per questo, neppure
pensando che "avec le temps, avec le temps va, tout s'en va". La felicità,
proprio quella, che non si compra e non si vende a nessun prezzo, è molto più di
una metafora e molto più di uno stato d'animo. La felicità è un'esperienza
contagiosa, che si scambia al di là della merce. Una volta insediata, non ti
abbandona. E il suo significato noi lo conosciamo bene, perché lo abbiamo
sperimentato, proprio come il significato di questi altri versi di Majakowskij:
"Il comunismo non vive soltanto nella terra, nel sudore delle fabbriche. E'
anche nelle case, a tavola, nei rapporti, nella famiglia, nel modo di vivere".
Io non ho dubbi sul fatto che il più majakowskiano dei cantori degli anni
settanta sia stato Claudio Lolli con i suoi "zingari felici".
* tratto da "Da una finestra sbagliata. Gli zingari felici di
Claudio Lolli" a cura di Gianluca Veltri, Luciano Vanni Editore, 2006
foto Paola Castagna ©
Tour primavera 2013 di
Paul Polansky
Sono
riportati solo gli eventi
confermati:
28 marzo 2013 h. 20.45
PAPACQUA, via Daino 1 - MANTOVA.
Introduzione di Igor Costanzo. Durante la
serata proiezione di fotografie in
collaborazione con Paola Castagna.
5 aprile 2013 h. 21.00
LE STORIE DEL MANEGHETO, vicolo Cere 24, VERONA
Non ci sono confini agli orti di Spagna: storie, poesie, immagini e
musica di gente di viaggio. Con la fisarmonica di Tommaso Tommo Castagnini e le
immagini di Paola Castagna. Cena alle 19.30 - meglio prenotare 045-8014299
7 aprile 2013 h. 17.30 TEATRO Valle Occupato, via del Teatro Valle
21, ROMA. Il tempo dei Rom, con Paul
Polansky, Pino Petruzzelli, Bianca Stancanelli,
la musica di Djovedì Django e degli Errichetta
Underground, la danza di Barbara Breyhan e
Daniela Evangelista, il canto di Debora Longini
e Daniela Bruno accompagnate da Ivan Macera e da
Mauro Tiberi, Stefano Liberti ed Enrico Parenti,
autori del documentario prodotto da ZaLab "Campo
sosta". Il tutto allietato dalla cucina rom.
9 aprile 2013 h. 21.00 LIBRERIA
POPOLARE, via Tadino 18 - MILANO.
Presentazione "Il pianto degli zingari"
10 aprile 2013 h. 21.00
ARCI Martiri di Turro, via Rovetta 14 -
MILANO. Paul and friends: SLAM POETRY. Alle
20.00, cena in compagnia (costo circa 10-15
euro,
consigliata la prenotazione)
11 aprile 2013 h. 21.00 ARCI Via d'Acqua,
viale Bligny 83, PAVIA. Impegno, musica,
poesia: programma in via di definizione
13 aprile 2013 h. 18.30
SUNSET CALDE' Piazza del Lago, 3 - 21010 - Castelveccana (VA)
SLAM POETRY
15 aprile 2013 h. 21.00
C.A.M. Ponte delle Gabelle, via san Marco 45 -
MILANO. Presentazione "Il pianto degli zingari"
16 aprile 2013 h. 10.00
Isis GIOVANNI FALCONE, Via Matteotti 3, GALLARATE
(VA). Le parole sono luce: dialogo con gli
studenti. Introduzione di Ernesto Rossi.
Accompagnamento musicale di Mario Toffoli
17 aprile 2013 h. 18.30 LIBRERIA UTOPIA,
via Vallazze 34, MILANO. Chiusura tour
milanese
18 aprile 2013 h. 19.30
Spazio CENTO-TRECENTO, via Centotrecento 1/a BOLOGNA
Chiusura tour italiano
Il pianto degli zingari
Danica è una ragazza intelligente. Nella scuola che frequenta a Monaco prende
ottimi voti, aiuta i compagni in grammatica. Forse farà l'insegnante, o forse la
dottoressa. Ma dalle quattro di una mattina d'inverno, di punto in bianco deve
lasciare casa libri amici lingua futuro, salire a forza con i genitori e la
sorellina su un aereo pieno di rom diretto a Pristina e a un incubo seppellito
nella mente dieci anni prima assieme a una lingua.
"Avna o nemcoja", aveva gridato suo padre quella mattina di giugno del 1999.
"Arrivano i tedeschi!", lo spauracchio che tornava nei racconti del nonno sulla
seconda guerra mondiale e sui nazisti in cerca di vergini da violentare. Ma
erano stati i vicini albanesi, vestiti di scuro, a cacciarli di casa agitando
asce e forconi. Lei aveva sette anni. Ora, alle quattro di mattina, il passato
ritorna a sfondare la porta di casa. Ma lei non è tedesca? Ha l'uniforme
scolastica, ha vinto una borsa di studio. E questa vicina che piange e protesta
coi poliziotti la considera come una figlia.
Lo stile spoglio e fattuale di Polansky è perfetto per una storia raccontata da
un'adolescente. Il reportage trasfigurato in racconto in versi è una denuncia
che rimane oltre il tempo dell'emergenza. Se non ci fossero emergenze senza
scadenza.
Il pianto degli zingari è un libro per tutti e dovrebbe entrare nelle aule
scolastiche, per animare i concetti di dignità umana, diritti dei minori,
cittadinanza, accoglienza, integrazione col volto e la voce di Danica.
Roberto Nassi
Note: Autore: Paul Polansky Edizione:
Volo press Postfazione:
Rainer Schulze
Immagini: Stephane Torossian
Traduzione: Fabrizio Casavola
Euro 10,00
di
Gianluca Grossi 22 febbraio 2013
Osservatorio Balcani e Caucaso
Provengono da un villaggio romeno, non lontano dal confine con la Moldavia.
Da lì, con la loro esuberanza e vitalità, sono partiti per il mondo. Sono i
Fanfare Ciocarlia
"A volte, quando dico alla gente che vengo da Zece Prajini, pensano che venga
dall'altro capo del mondo. Ma qui, all'altro capo del mondo, non lontano dai
confini con la Moldavia, è il giusto posto per fare musica". Sono le parole di Costica "Cimai" Trifan, trombettista di una delle più interessanti realtà
dell'intellighenzia musicale facente capo a Bucarest: Fanfare Ciocarlia.
Fanfare è una parola di origine francese, e indica la classica band balcanica;
Ciocarlia è, invece, un termine romeno con cui si designa un piccolo
passeriforme tipico di gran parte delle regioni europee.
Le radici nella storia
Per introdurre una band di simile spessore è necessario un breve excursus
storico. La Romania, infatti, come molti altri paesi dei Balcani e del Medio
Oriente, è stata soggetta al dominio turco. Gli ottomani misero a ferro e fuoco
mezza Europa e le propaggini occidentali dell'Asia, dal 1299 al 1922: per 623
anni di fila dettarono regole, mode e paradigmi culturali. È per questo motivo
che, ancora oggi, molti paesi che hanno subito la loro influenza, in un certo
senso continuano a "parlare" turco.
Fanfare Ciocarlia, con la sua esuberanza e vitalità, non può, dunque,
prescindere da questo background storico: nel suo sangue scorre ancora ciò che
rimane del mondo e della cultura ottomana. Lo prova l'utilizzo ostentato di
fiati e l'incedere di ritmi che inevitabilmente rimanda alle bande turche che
proposero i loro brani dal Diciannovesimo secolo in poi, in tutta l'area
compresa fra i Balcani e il Caucaso.
Il valore di simili ensemble musicali è, peraltro, provato ancora oggi dal fatto
che l'orchestra militare più antica del mondo è la banda Mehter, fondata a Bursa
(località situata a sud del mar di Marmara, alle pendici del monte Uludag) nel
1326, che per secoli ha affiancato i soldati ottomani imbracciando strumenti
come trombe, oboi, timpani, grancasse, cimbali...
L'universo musicale della Fanfare Ciocarlia, però, non riguarda solo il
macrocosmo turco, ma anche quello, altrettanto brillante e influente, dei rom.
Fanfare Ciocarlia, di fatto, è un'orchestra rappresentata da musicisti romanì,
che nel loro eterno peregrinare dall'India dell'anno Mille, hanno assorbito
generi e tecniche pentagrammate provenienti da ogni paese. Alla luce di ciò è
facile comprendere il motivo per cui si sono fatti portavoce di un genere
ibrido, figlio di questi due universi musicali, contaminati in più da micro
realtà musicali come quella bulgara, macedone e slava, che con il loro
eccezionale bagaglio di storia popolare, hanno sempre avuto molto da dire non
solo nell'ambito delle sette note.
Anni '90
Le prime esperienze della Fanfare Ciocarlia risalgono a metà degli anni Novanta.
Zece Prajini, punto di partenza dell'avventura musicale della band, è un piccolo
paese, di quattrocento anime, dove l'amore per canti e danze regna sovrano e
ogni occasione è buona per far festa a suon di trombe e fisarmoniche. La band
comincia a farsi notare e a delineare il suo stile durante le cerimonie più
tradizionali, quali battesimi e matrimoni.
Boatca, Balusesti, Manastirea, Piscu Rusului, sono i paesi del circondario, dove
il loro nome prende a circolare con sempre maggiore vigore, auspicando per la
prima volta un futuro che possa travalicare i confini della Romania. Sono forti
di una tradizione musicale tramandata di generazione in generazione, che viene
intercettata dalla lungimiranza di Henry Ernst, un produttore tedesco che si
presta per organizzare il primo tour ufficiale della band; sodalizio che
prosegue ancora oggi, con un migliaio di concerti alle spalle, in una
cinquantina di paesi.
12 virtuosi
Fanfare Ciocarlia è rappresentata da dodici virtuosi, a loro agio con un
infinito numero di strumenti musicali, a cominciare dai capisaldi della cultura
rom/ottomana, trombe, tube, clarinetti, sassofoni, percussioni... Spesso i ritmi
delle loro canzoni sono frenetici, anche più di duecento battiti per minuto.
Benché vari brani siano solo musicali, compongono le loro canzoni in lingua rom,
antico idioma di origine indiana: il vlax romanì, in particolare, è usato in
Romania, ma anche in Bosnia e Albania, ed è il dialetto gipsy più utilizzato.
Negli anni la loro matrice musicale originaria subisce progressive modifiche e
aggiustamenti, fino a portare a un suono che si può tranquillamente definire
"cosmopolita".
Debuttano sul mercato internazionale con Radio Pascani, disco del 1998,
registrato l'anno prima in uno studio di Bucarest. Il mix avviene presso lo
Schalloran Tonstudio di Berlino. Distribuito dalla Piranha Musik, desta
immediatamente successo in gran parte dei Balcani e in USA, sollecitando varie
strutture discografiche, non solo europee, ad appoggiare i virgulti musicali
provenienti dall'est. Molti brani non arrivano a due minuti; come la title track
che si chiude al 45esimo secondo. Alcuni pezzi sollevano più clamore degli
altri, come "Ah ya Bibi", coverizzata da Balkanarama, band statunitense di
Seattle, specializzata in gipsy music, che introduce il brano nel disco
d'esordio Nonstop del 2000. La stessa canzone è presentata dal vivo dagli
Estradasphere, band originalissima di Santa Cruz (California), che al balkan
sound associa liberamente funk, techno, pop, heavy metal e new age.
Baro Biao
Baro Biao - World Wide Wedding - giunge l'anno successivo, appoggiandosi allo
stesso entourage del lavoro di esordio. Contiene gemme come "Asfalt Tango",
anch'essa ripresa da vari artisti, fra cui la Hungry March Band - ensemble di
New York a suo agio con i repertori più diversi, dai Sonic Youth ai Black
Sabbath - che la registrano nel cd On The Waterfront. Il brano arriva anche alle
orecchie dei Basement Jaxx, band elettronica britannica che la impiega per
l'album Crazy Itch Radio del 2006.
L'avventura musicale della Fanfare Ciocarlia prosegue nel 2001 con Iag Bari -
The Gypsy Horns From The Mountains Beyond, ancora sotto la supervisione di Henry
Ernst. Nel disco viene ridato lustro alla storica "Lume, lume", interpretata da
molti autori romeni: è una canzone antica, assai cara all'immaginario rom,
proveniente dalla valle del fiume Bistra, nella regione del Banato, un inno agli
affetti più sinceri, alla solidità della famiglia, antidoti alla tristezza. La
versione più nota è quella di Maria Tanase, probabilmente la più importante
cantante romena.
Gili Garabdi - Anciet Secrets Of Gypsy Brass esce per la Asphalt Tango Records
nel 2005 e viene in parte registrato nel paese di origine dell'ensemble
musicale: Zece Prajini. Si apre con "007 (James Bond Theme)", marcando più o
meno consapevolmente la soddisfazione di avere fatto centro anche
nell'inarrivabile America. "Caravan" è un brano di Duke Ellington, fra i più
grandi jazzisti della storia statunitense. Molti i rimandi alla musica klezmer
(con cui da sempre la musica rom condivide mondi e orizzonti) e a stesure in
chiave minore. Altrettanto significativi "Alili", "Sirba modoveneasca" e "Godzila".
L'opera coinvolge vari musicisti, fra cui Grigorescu Calin al banjo e Jony Iliev
alla voce, e si aggiudica l'Awards World Music nel 2006.
Queens And Kings è il quinto e ultimo disco ufficiale della band, edito nel
2007. Vede la partecipazione di molti artisti fra cui la regina della musica
gipsy,
Esma Redzepova (che canta in "Ibrahim"),
Saban Bajramovic, musicista
serbo (scomparso nel 2008), e Monika Juhasz Miczura, cantante, conosciuta come
Mitsu (coinvolta in vari film del regista "gitano", Tony Gatlif).
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