Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Omicidi a sfondo razziale son un comune problema europeo -
Martedì scorso in Ungheria sono stati condannati quattro militanti di estrema
destra per omicidi compiuti da loro per motivi razziali. Il politologo Peter
Kreko di Political Capital ha raccontato a La Voce della Russia del significato
che ha questa condanna e anche di possibili paralleli con il processo
riguardante l'organizzazione NSU in Germania.
- Un paio d'anni fa i quattro tagliagole hanno intenzionalmente compiuto
aggressioni contro comunità zingare. Non conoscevano personalmente le vittime e,
di conseguenza, gli omicidi non sono stati compiuti per motivi personali ma,
evidentemente per motivi etnici. I criminali sono stati catturati nel 2009. Dopo
quattro anni di udienze in tribunale il tribunale di primo grado ha emesso una
dura condanna. Tre degli omicidi sono stati condannati all'ergastolo senza il
diritto di scarcerazione anticipata. Penso che la corte d'appello emetta una
condanna analoga.
- Come è stata possibile una serie di questi omicidi a sfondo
razziale nel cuore d'Europa? Si può spiegarla con una specificità ungherese?
- Non considero questo caso unico nel suo genere: nell'Europa Orientale ci sono
molti paesi con grandi diaspore zingare dove sono capitati simili aggressioni o,
almeno, ci sono state violenze contro zingari. Ciò deve servire da campanello
d'allarme che indica che all'interno delle società di molti paesi dell'est
europeo esistono simili pregiudizi capaci di giustificare moralmente i criminali
che compiono queste aggressioni. Per quanto riguarda il contesto politico
ungherese qui può giocare il suo ruolo il fatto che il partito di estrema destra
"Per una migliore Ungheria" dal 2006 si distingue per una retorica violenta e
aggressiva e, tuttavia, non è un fenomeno specificamente ungherese. Questa
retorica evidentemente influenza l'opinione pubblica, già molto ostile verso
zingari.
Il partito "Per una migliore Ungheria" non è direttamente legato agli
aggressori, ma io penso che l'ambiente politico svolge sempre un ruolo e che
all'interno di esso alcune minoranze sono percepite come "nemici" e bersagli per
attacchi. In Ungheria, anche se lo considero un particolare che accomuna
l'Europa Orientale. pregiudizio contro zingari manifesta un carattere molto più
pericoloso rispetto, ad esempio, al pregiudizio contro ebrei. Antisemitismo
tende a crescere in molti paesi, compresa l'Ungheria. Tuttavia ciò non significa
che l'antisemitismo debba generare atti di violenza. Per quanto riguarda
l'atteggiamento ostile verso gli zingari ciò avviene molto più spesso. Inoltre
la posizione sociale degli zingari non è tale da permettere loro di difendersi
dagli atti d'aggressione rivolti contro di loro.
- Come valuta il significato di questo processo?
- La condanna è molto importante perché dà un chiaro segnale all'ambiente
esterno che le autorità ungheresi sono fermamente decise di punire severamente
simili delitti. Un altro fattore importante è che, secondo la nostra
valutazione, il partito "Per una migliore Ungheria" ha perso il controllo sui
gruppi militanti propensi all'aggressione legati ad esso. Il peso politico di
questi gruppi è in calo, ma i loro membri, qualche migliaio, anche in futuro
saranno capaci di compiere azioni violente.
- In Germania da maggio è in corso un processo molto importante a carico dei
terroristi di estrema destra appartenenti a NSU (cellula neonazista
clandestina). Vede l'affinità tra una serie di omicidi e i due processi
giudiziari in Germania e in Ungheria?
- Penso che il paragone sia giustificato. Violenti, etnicamente motivati atti di
intimidazione compiuti da gruppi di estrema destra rappresentano un grande
problema non solo nell'Europa Orientale, ma anche in quella Occidentale. E' un
comune problema europeo. Da un lato l'opinione pubblica deve imparare che sia le
autorità sia i politici giudicano queste azioni come deplorevoli. Dall'altro
lato è anche importante - ed è un dato di fatto che c'è una somiglianza evidente
tra i casi avvenuti in Germania e in Ungheria, - affinché gli organismi
giudiziari responsabili per la repressione e la prevenzione della criminalità
traggano le debite conclusioni. In Ungheria, come in Germania, la vicenda
presentava dei seri errori compiuti dall'Ufficio per la difesa della
Costituzione perché molti dei criminali in passato hanno attirato l'attenzione.
Significa che in presenza di un flusso d'informazioni più efficiente si sarebbe
potuti prevenire questi omicidi. Perciò è molto importante l'autocritica, le
autorità ungheresi devono analizzare quali errori sono stati commessi e,
rispettivamente, cambiare i propri metodi di lavoro. Ciò che in Ungheria per ora
manca è il ripensamento politico di questo caso, cioè la presa di coscienza che
non solo ci sono state manchevolezze da parte della autorità, ma che si tratta
di un problema sociale. L'ostilità verso gli zingari in Ungheria è molto
diffusa. Ciò non significa che tutti coloro che disprezzano gli zingari compiono
atti di violenza, ma il problema che richiede l'attenzione e i politici devono
adottare le misure per distruggere questo pregiudizio, e non per rafforzarlo.
Da
Roma_Daily_News
30/07/2013 - Con l'emozione di chi da bambino subì i blitz su
Londra, durante cui perirono 40.000 civili sotto i bombardamenti, aerei
teleguidati e i primi attacchi balistici di missili, desidero esprimere a voi
riuniti a Hiroshima la nostra sincera solidarietà, nella comune posizione che ci
unisce contro la guerra e ogni tipo di stragi e genocidi.
I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki furono un crimine contro tutta
l'umanità e mai devono essere dimenticati e ripetersi.
Come risultato dell'ascesa del nazismo in Germania nel 1933, i Rom ebbero
oltre 500.000 morti sino al 1945. Quanto vediamo e temiamo oggi è un ritorno
dello stesso insensato razzismo, intolleranza, la medesima denigrazione nei
media, l'adozione di politiche di espulsioni, sgomberi e deportazioni che
caratterizzarono il cosiddetto "Nuovo Ordine" in Europa sotto il fascismo. Se
questa buia tendenza non viene fermata, può solo portare a un secondo Porajmos,
un secondo genocidio.
Siamo quindi orgogliosi di essere associati con voi tutti in Giappone, oggi
che lottate per la pace, tolleranza e armonia tra i popoli del mondo. Anche
sapendo che questa sia una meta lontana, è nostro desiderio che, collegati per
la prima volta con voi, ora possiamo andare avanti assieme, facendoci coraggio e
compagnia in solidarietà, amando la strada che abbiamo scelto con fermezza, e
che mai abbandoneremo.
Grattan Puxon
8 April Movement
Presidium member
International Romani Union
Vorremmo dedicare le nostre sincere condoglianze a tutte le vittime di
guerre brutali, e mandare il nostro messaggio di solidarietà a tutti quanti sono
convenuti a Londra per ricordare le vittime sinte e rom dell'Olocausto.
Il 6 agosto 1945, la bomba atomica fu sganciata su Hiroshima e uccise in
un colpo solo 200.000 persone. Hiroshima osserva ora il 68° anniversario di
quella giornata. In quella stessa Hiroshima stiamo tenendo la manifestazione in
memoria delle vittime dell'Olocausto, assieme alle organizzazioni partner: il
Movimento Internazionale Contro Tutte le Forme di Discriminazione e il Racism--Japan Committtee (IMADR-JC).
Oggi in Giappone alcuni politici e gruppi di destra propagandano più
apertamente le loro teorie negazioniste sui fatti del massacro di Nanchino o
giustificano il sistema delle "schiavi del sesso per i militari", opera entrambe
dell'esercito giapponese durante la II guerra mondiale.
Tutti noi sappiamo che ogni tentativo di negare i fatti storici o di
cancellare la memoria, riporterebbero il mondo e l'umanità ad una situazione
critica e pericolosa. E' giunto per noi il momento di entrare in azione perché
non scoppino più guerre e per sradicare tutte le forme di discriminazione,
inclusa il peggioramento della situazione discriminante per i Rom in Europa.
Ognuno di noi in quanto singola persona è piccola, ma non impotente. Facciamo
uno sforzo per realizzare un mondo che rispetti la dignità umana per tutti.
2 agosto, 2013
Kazufumi Oki
Chairperson
Hiroshima Organizing Committee for the Realization of the UDHR
(Universal Declaration of Human Rights)
Kinhide Mushakoji
President
IMADR
Amo i francesi perché dietro la loro boria e sciovinismo, si cela la
coscienza di essere popolo. E popolo, significa far parte di una comunità, a cui
vengono riconosciuti diritti, e non gentili concessioni. Dove il diritto non ha
bisogno di essere declinato con l'aggettivo "civile", ma è quasi un comandamento
religioso. Ovvio, anche lì i diritti vengono bellamente infranti, ma la cosa
difficilmente passa sotto silenzio.
Accade nella terra delle baguettes che
un deputato si lasci andare a commenti poco corretti. In Italia la notizia viene
ripresa dal
Corriere della Sera. Poteva succedere
dovunque, ma in quattro e quattr'otto il francese è stato costretto a
dimettersi. QUESTA LA DIFFERENZA FONDAMENTALE.
Indignez-vous
nasce 3 anni fa come libriccino che presto spopola in Francia. L'autore è un
autore tedesco che ne ha viste di tutti di colori.
Il libro vende bene anche da noi, ma rimane il problema di mettere assieme il
nostro tradizionale menefreghismo con i valori dell'indignarsi. Paese il nostro
di guelfi e ghibellini, metà della popolazione lo ignora, l'altra metà scopre lo
slogan INDIGNATEVI, evidentemente lo trova di suo gusto, e da quel momento
nessuno ha più avuto scampo: ci si indigna nella chiacchiere da bar, su FB, i
siti di petizioni fanno affari, per non parlare dello spam... tanto,
tutto resta come prima, visto che i nostri colpevoli hanno pelle (e lacrime) da
coccodrilli. MODA. Innocua (e funzionale) che può adattarsi all'antirazzista da
tastiera, al legaiolo, alla grande firma da giornale, al grillino che sino a due
anni fa era un servetto compiacente, al sinistro che invidia la destra.
Indignarsi: Ingenuamente mi chiedo cosa possa aver detto quel
deputato francese di così scandaloso. Niente di differente da quel che pensa (di
nascosto) buona parte della popolazione che i Rom li conosce solo attraverso i
mezzi di informazione (buoni quelli! Prima istigano e poi scrivono
articoli indignati contro il razzismo).
Ci indigniamo perché NON E' BELLO prendersela con degli sfigati a vita (poveriiiini)?
O ancora perché NON STA BENE tirare nuovamente in ballo zio Adolfo? O perché
"PRIMA VENNERO A PRENDERE GLI ZINGARI..."?
A tutto c'è rimedio, m'hanno sempre insegnato i Rom, vediamo però di
capirci:
- SFIGATI: Ricordavo all'inizio che neanche la Francia è il
paradiso, anzi quanto a razzismo neanche lì si scherza. Come da
noi, le radici del razzismo stanno nella legge e nella sua
interpretazione. Ad esempio,
la legge obbliga i comuni francesi sopra i 5.000 abitanti a
predisporre aree attrezzate per accoglienza delle popolazioni
vacanti. Buona parte dei comuni interessati preferisce pagare
multe salate (siamo in Francia!) piuttosto che rispettare la
legge ma inimicarsi i votanti. Ai Rom, alla gens de voyage,
non resta quindi che sistemarsi dove e come possibile, preda
delle stigmatizzazioni del deputato di turno (di solito MP o FN,
ma qualche volta si intrufolano anche i socialisti).
- ZIO ADOLFO: Rileggevo una recente lettera aperta dalla
Repubblica Ceca. Se lo zietto non è riuscito lui, con tutto
l'apparato che aveva a disposizione, a sterminare I ZINGARI,
pensate che qualcun altro possa farcela? E come, di grazia? I
Francesi, come gli Italiani del resto, l'hanno provato il
tallone nazista, e non è che quell'ideologia si è fermata a
Rom, Ebrei, oppositori politici o religiosi... Iniziato con
qualcuno (l'appetito vien mangiando), ha proseguito fino a
volersi pappare l'Europa intera. Secondo voi, è possibile un
nazismo democratico e selettivo, che se la prenda con I ZINGARI ma che non tocchi il buon padre di famiglia, timorato di dio e
della polizia? Forse dobbiamo ripartire dagli anni '40?
Altrimenti,
da dove si riparte? Vi propongo un esame: in quella frase su
Hitler che non sterminò abbastanza zingari, cosa avete inteso?
Cosa sareste disposti a tollerare? Cioè: i nazisti avrebbero
dovuto sterminare l'etnia (che vivesse in casa o nei carri) e/o
chi viveva in determinate condizioni (cioè, indipendentemente
dall'etnia, fuori dai nostri canoni)? Capiremmo meglio
1) sin
dove saremmo in grado di tollerare (quanto il nazismo può essere
accettabile) 2) ci daremmo nel contempo una definizione, magari
approssimativa, di cosa NOI intendiamo per zingaro (cosa noi ne
conosciamo), senza la quale brancoleremo nella pura accademia,
3) definiti i punti 1 e 2 e NON PRIMA, potremmo forse
dedicarci alle possibili soluzioni.
- POI VENNERO A PRENDERE...: Non si tratta di difendere (a
prescindere) gli insediamenti abusivi, altrimenti la situazione
diverrà comunque invivibile per tutti. Ma di riconoscere a chi vi abita
gli stessi diritti e lo stesso rispetto di qualsiasi altro
cittadino. Perché i diritti (ed il rispetto) o sono di tutti,
oppure sono privilegi. E poi per una ragione molto più
egoistica: le botte di Genova alla caserma di Bolzaneto, certe
cariche di polizia, per non parlare dell'imbarbarimento del
linguaggio politico, lo squilibrio dell'informazione sulla Val
di Susa, sono anche il risultato di quel "nazismo
democratico e selettivo" applicato lontano dai riflettori e
dai registratori, in quella terra di nessuno che sono i campi
rom. Dato che la sperimentazione ha dato buoni frutti, se non
altro a livello di reazione di massa, ecco che la stessa peste
può dilagare. SIETE AVVERTITI.
Martedì scorso a Milano è stato sgomberato il cinema occupato Maestoso.
- Non mi interessano tanto le ragioni di quest'operazione,
giusta o sbagliata che sia, ma vorrei sapere se
le modalità di
questo sgombero non debbano preoccupare (stavo per scrivere INDIGNARE) di più un LIBERALE
(ammesso che esistano ancora) piuttosto che uno STALINISTA
(ammesso che esistano ancora).
- Sono solo io a notare che tra uno sgombero "civile" e quello
di un campo, non ci sono solo affinità nei metodi, nella
"marginalità" dei soggetti coinvolti, ma anche sulle aree
coinvolte? Terreni, edifici, abbandonati e tolti al bene comune,
di cui qualcuno d'improvviso si riappropria in modalità più o
meno ufficiali, più o meno d'emergenza, per ritornare NON LUOGHI
a sgombero avvenuto. Sapendo, che ad ogni sgombero segue una
nuova occupazione.
Lettera aperta da ROMEA ai manifestanti non-estremisti anti-romanì nella
Repubblica Ceca
Prague, 9.7.2013 21:51, (ROMEA)
fk, translated by Gwendolyn Albert
I lavoratori dell'associazione civica ROMEA hanno deciso di tendere la mano a
quanti hanno partecipato alle recenti manifestazioni anti-rom e che non siano
estremisti. L'associazione spera di iniziare un dialogo con almeno qualcuno
di voi, che potrebbe portare a proposte specifiche per le soluzioni e quindi ad
una maggiore tranquillità nella nostra convivenza.
ROMEA renderà pubbliche le idee e proposte che giungeranno in risposta a questa
lettera aperta, e poi le girerà ai politici al massimo livello, chiedendo loro
di farci sapere se intendono utilizzare le vostre idee al momento di predisporre
decreti, legislazioni ed altri regolamenti, o se vogliono beneficiare in altro
modo di questo miglioramento di relazioni. L'associazione ROMEA ringrazia
tutti in anticipo per i vostri commenti e risposte costruttive.
L'associazione ROMEA ringrazia anche ognuno per la pazienza dato che non sarà
possibile rispondere immediatamente a tutte le lettere ricevute. Naturalmente,
non risponderemo a quelle lettere che non saranno costruttive o rispettose.
Lettera aperta ai manifestanti non-estremisti anti-romnella
Repubblica Ceca
A quanti interessati:
Ci rivolgiamo a voi con domande a cui neanche noi sappiamo rispondere. Speriamo
di esse3re capaci di rifletterci assieme a voi, senza recriminazioni reciproche
e in maniera costruttiva, se possibile, nell'interesse del mutuo intendimento e
di aiutare a risolvere questi problemi se malignità reciproche.
Nelle discussioni portate a commento dei nostri articoli, riguardo le
manifestazioni anti-romanì a Rumburk e a Varnsdorf alla fine del 2011, come pure
riguardo i nostri articoli di quest'anno su Cheské Budzejovice e Duchcov, è stata
espressa l'opinione che l'agenzia telematica Romea.cz tratta i manifestanti
anti-rom dipingendoli indistintamente come razzisti o neonazisti. Questa
è, ovviamente, un'impressione sbagliata. Non crediamo una cosa simile e siamo
sempre stati attenti a distinguere nelle nostre cronache i vari tipi di persone
che andavano manifestando.
Condanniamo le generalizzazioni che sono fatte su Romanì da ogni angolo della
società, ed è per questo che facciamo del nostro meglio per evitare noi stessi
di generalizzare. Ciò non significa che ci riesca sempre, almeno dalla
prospettiva altrui, ma su questo stiamo discutendo nell'associazione ROMEA e
cercando, realmente, onestamente di fare del nostro meglio.
Abbiamo parlato con molti di voi, che avete manifestato contro i Romanì in
diverse città del paese, ed abbiamo imparato che tra di voi c'è gente che ha
(alcuni) amici Rom nella vita di ogni giorno. Abbiamo anche imparato che alcuni
di voi sono frustrati per la situazione di deterioramento sociale del paese - ad
esempio, anche voi potreste essere da tempo senza lavoro. Ovviamente, ci siamo
imbattuti anche nei razzisti e gli xenofobi che hanno guidato queste proteste di
odio contro l'etnia rom nel suo complesso.
C' una differenza tra come le persone si comportano nella vita quotidiana e come
si comportano durante queste manifestazioni. A Breclav, Cheské Budzejovice, Duchcov,
Krupka, Novy Bydzhov, Rumburk e Varnsdorf (o almeno durante quelle
manifestazioni), alcuni di voi hanno marciato fianco a fianco con estremisti -
nazionalisti sciovinisti, nazIsti, razzisti e xenofobi.
A Varnsdorf, avete marciato verso lo Sport residential hotel, dove gli
estremisti hanno dato inizio a scontri per strada, ritirandosi in seguito e
lasciandovi preda dell'intervento della polizia. Forse avete imparato qualcosa e
rifiutato di accogliere estremisti sul palco nelle vostre proteste successive.
Da altre parti, ovviamente, è stato differente - non soltanto non vi siete
vergognati di partecipare ad un'azione assieme agli estremisti, qualcuno di voi
li ha anche ospitati, che ne fosse cosciente o meno. E' gente conosciuta per le
motivazioni ideologiche del loro comportamento e della loro violenza primitive,
e molti sono recidivi (e non solo per questo tipo di reato).
Un gran numero di questi estremisti non lavora, spesso sono meno istruiti,
il loro comportamento mostra segni di aggressività e tendenze sociopatologiche.
Criticano le minoranze e i romanì per quello che sono loro stessi, in gran
parte: problematici, ignoranti e disoccupati.
Questa gente vi sta sfruttando per i suoi propri scopi e finalità. Stanno
manipolando la vostra disaffezione per quanto succede nel nostro paese. Vi
stanno manipolando anche perché ogni cosa che abbia a che fare con la
coesistenza - ghetti, edilizia sociale, disoccupazione, ecc. - da tempo è
irrisolto.
Gli estremisti non offrono soluzioni. Offrono conflitti, odio che porta a
brutali aggressioni contro chiunque (ad es. contro gli agenti di polizia).
In ultima analisi, gli interventi della polizia in queste situazioni costano una
somma enorme di denaro, che si potrebbe usare per tenere i cittadini sicuri con
un servizio di pattuglie quotidiane. I comuni potrebbero usare quei soldi per
finanziare piattaforme dove tutti i cittadini potrebbero incontrarsi, al di là
delle rispettive differenze, per parlarsi e condividere esperienze. Forse avete
la sensazione che solo gli estremisti abbiano interesse nei vostri problemi, ma
vi rendete conto di dove potrebbe portare tutto ciò?
A Rumburk e da altre parti, avete urlato slogan razzisti assieme agli
estremisti, e li avete uditi chiamare alla violenza contro l'altra gente. La
stessa cosa è successa a Duchkov, dove due neonazisti hanno organizzato
un'azione anti-romanì che in seguito lodava l'uccisione dei Rom.
A Cheské Budzejovice, in piazza avete intonato il grido razzista di "porci neri"
contro i Romanì. Poi avete marciato con i neonazisti mentre facevano il saluto a
mano tesa (gridando "Heil Hitler") gridando altri slogan razzisti.
In ognuno di questi casi, la situazione ha rischiato di degenerare in violenza
fisica contro i Romanì. Era rivolta a tutta i Romanì, perché la colpa collettiva
che voi ascrivete loro, combinata alla psicosi della folla, comanda di non fare
distinzione tra i destinatari.
Vogliamo porvi le seguenti domande e cercare con voi un dialogo costruttivo. Vi
saremo molto grati per le vostre risposte:
- Comprendiamo che abbia dei problemi con
alcune persone, alcune delle quali romanì. Cosa possiamo fare
assieme nel chiedere ai responsabili di affrontare il problema
reale?
- Esattamente, cosa vi disturba, e dove, nello
specifico? Vi preghiamo di descrivere i vostri problemi
specifici - non andremo da nessuna parte con le generalizzazioni
e con quelle non faremo altro che il gioco degli estremisti.
- Credete sia possibile impedire agli individui
- qualsiasi individuo, sia della società maggioritaria o di una
minoranza - di commettere violenze contro gli altri? Può un
uomo, il presidente della Repubblica - per esempio, impedire che
un altro uomo picchi brutalmente e violenti una donna? Può una
donna, madre Teresa - per esempio, impedire che una donna uccida
il suo proprio figlio? La maggior parte dei Romanì non approvano
le azioni ingiuste di individui specifici, di cui condividono
l'etnia, ma non sono in grado di fermarli.
- Possiamo disquisire sul se e il perché i
Romanì provenienti dai ghetti siano, in misura maggiore di
quanto è consuetudine altrove, non istruiti, disoccupati e non
qualificati. Possiamo anche discutere su come questa gente debba
affrontare i problemi causati da una cultura della povertà.
Possiamo cercare assieme soluzioni, ma che non siano l'odio o la
vendetta contro un'intera minoranza.
- Stiamo dimenticando la nostra storia. Cosa
significano oggigiorno per voi gli orrori del nazismo e della II
guerra mondiale, scatenata dai nazisti?
- Questi "problemi con i Rom" che vi portano a
manifestare, sono per voi meno accettabili dei metodi che una
volta usavano i nazisti contro i membri della società ceca?
- Qualcuno di voi dice di avere avuto brutte
esperienze personali con i Romanì. Queste brutte esperienze
riguardano tutti i Romanì, o solo qualcuno di loro? Davvero
state protestando sulla base di vostre esperienze? Nella vostra
decisione che ruolo giocano le manipolazioni, le bugie, gli
stereotipi su internet?
- Non sarebbe più ragionevole fare del vostro
meglio per risolvere questi problemi con la coesistenza
pacifica, per esempio, negoziando con pazienza con le autorità
romanì locali, attraverso il lavoro di comunità, contribuendo
alla formazione infantile, ecc.?
- Secondo voi, è meglio risolvere i problemi di
coesistenza attraverso le proteste di piazza? Che risultato vi
aspettate? Credete che i Romanì faranno i bagagli e se ne
andranno? Se approvate questo modo di espellere la gente, lo
chiamate un metodo per "risolvere i problemi"?Come altrimenti
queste proteste di piazza contribuiranno a risolvere
effettivamente i problemi di coesistenza, sapreste descriverlo?
- Avete intenzione di usare violenza contro i
vostri vicini romanì? Vi chiediamo di immaginare la seguente
situazione: voi assieme a qualche estremista fate irruzione
nell'appartamento del vostro vicino e spaventate tutta la
famiglia che si accuccia in un angolo. Cosa farete,
parteciperete nel maltrattare quelle persone?
- Non credete che gli estremisti avrebbero
attaccato recentemente alcune persone romanì, anche se le
polizia non avesse bloccato i loro cortei? Non credete che i Rom
avrebbero tentato di difendere le loro famiglie da questi
attacchi?
- Vi rendete conto che fu proclamando il
principio di colpa collettiva che i nazisti diedero inizio de
facto all'Olocausto?
- Voi marciate con gli estremisti, e molto
spesso gridate slogan razzisti assieme a loro. [...] Non vi
importa se stanno facendo appello alla violenza, commettono
violenza contro gli agenti di polizia, o la violenza che può
risultarne contro i Romanì. Non siete infastiditi dai saluti
nazisti o da altre manifestazioni di estremismo... O lo siete?
Perché non avete preso le distanze dagli estremisti?
- Voi non siete estremisti, ma avete pensato a
cosa state avallando e cosa realmente volete, in questo
contesto? Potete raggiungerlo marciando con gli estremisti?
Siamo interessati nelle vostre proposte costruttive, per risolvere questa
situazione. Proveremo a rivederle e trovare una risposta o un partnernella
vostra area particolare per discuterne assieme a voi.
Frantishek Kostlàn
Jarmila Balàzhovà
Zdenehk Ryshavý
Frantishek Bikàr
Renàta Berkyovà
Jitka Votavovà
Jana Baudyshovà
Petra Zahradníkovà
the ROMEA civic association
2013: Ritorno a Lety by Paul Polansky - su
Roma.Idebate.org (su Lety, vedi
precedenti in
Mahalla)
"I Cechi non discriminano", affermava il mio
amico qualche settimana fa, tra le pivo (birre,
in originale nel testo
ndr.) di un pub di Praga. "Ora stiamo dando
la medesima considerazione al memoriale rom di
Lety, come alla tragedia di Lidice della II
guerra mondiale."
Avevo sentito dei miglioramenti al campo di
sterminio di Lety, ma dovevo ancora vederli.
Così il giorno dopo ho guidato sino a Lety con
quattro amici cechi, per scoprire cosa fosse
successo dopo che la Lidice Memorial Association
aveva assunto la gestione del memoriale di Lety.
Oltre alla non rimozione dell'allevamento di
suini costruito sopra il campo originale, in
spregio agli accordi di Helsinki, la mia più
grande lamentela è sempre stata la mancanza di
indicazioni stradali per il memoriale di Lety, o
un accesso adeguato dall'autostrada 19, la via
più vicina. Ma arrivando all'intersezione tra il
villaggio di Lety e l'autostrada Praga-Pisek,
fui contento di vedere un grande cartello
marrone indicante Lety
Pamatnik (Memoriale di Lety). A poche centinaia
di metri, un secondo cartello indica la strada.
Non è più stato necessario fermarsi e
chiedere ai passanti dove fosse il memoriale
Rom. Lungo tutto il percorso c'erano segnali
stradali ben disposti che ci hanno portato al
nuovo accesso asfaltato dall'autostrada 19.
Nel 1995, durante la conferenza stampa del
primo memoriale di Lety, avevo chiesto
all'allora ministroin carica, Igor Nemec, perché
non ci fossero segnali stradali o accesso ai
veicoli per il memoriale di Lety. Nemec aveva
replicato sarcasticamente che il governo ceco
aveva già pagato abbastanza per il memoriale
zingaro. Se gli zingari volevano segnali
stradali e un accesso adeguato, dovevano pagarli
di tasca loro.
Così, 18 anni dopo, è stato un vero
progresso. Ma i segnali stradali e un accesso
adeguato non sono stati i soli miglioramenti.
Raggiunto il sito, abbiamo trovato un parcheggio
asfaltato, servizi igienici pubblici, un centro
informazioni e due piccole cabine di legno, che
presumibilmente dovevano rappresentare le
baracche in cui gli zingari erano detenuti.
Anche se non c'era presente nessuno a
fornirci informazioni, ho capito che eravamo
agli inizi di maggio e che con la susseguente
"stagione turistica" ci sarebbe stato del
personale ad accogliere e informare i
visitatori, come indicato dai cartelloni.
Non posso essere soddisfatto, però, nel
vedere le piccole casette che si suppone
replichino le baracche dove erano confinati i
Rom. Le cabine erano grandi appena per contenere
due letti a castello e un lavabo. Secondo le
oltre 100 storie orali che ho raccolto tra il
1995 e il 1996 dai sopravvissuti di Lety, ogni
baracca conteneva tra i 50 e i 60 prigionieri.
Secondo le cronache su Lety tenute dal
municipio, la storia ufficiale nota che il campo
venne costruito per ospitare 80 prigionieri
d'inverno e 240 d'estate. Ufficialmente, ne
ospitava 600 all'anno anche se, secondo i
sopravvissuti, nel campo c'erano sempre diverse
migliaia di Rom. Se quelle cabine replicavano la
realtà, avrebbero dovuto essercene centinaia,
coprendo un'area diverse volte più grande
dell'attuale allevamento di suini.
L'altro "miglioramento" che abbiamo
incontrato è stato un grazioso sentiero di
ghiaia che porta ad alcune gradinate costruite
prima dell'ingresso al memoriale. Lì accanto c'è
il laghetto Schwarzenberg, dove molti
sopravvissuti sostengono che le guardie del
campo affogassero i bambini romanì, le nuove
gradinate si affacciano sul memoriale come in
attesa dell'inizio di un concerto.
Nel 1995 il piccolo cippo in onore di quanti
morirono a Lety, fu collocato vicino le tacche
di diverse tombe. Quando le trovai nel 1994, non
c'era altro che un campo circondato dalle
foreste di Schwarzenberg, dove molti dei
detenuti lavoravano come schiavi. Oggi il sito è
coperto da un prato ben tenuto simile al terreno
per un pic nic; non esattamente quel che si
intendeva negli accordi di Helsinki siglati dal
governo ceco... ma questa "valorizzazione" è
piaciuta ai miei amici cechi, che hanno
continuato a sottolineare la somma di soldi
spesi, perché quanto a cura Lety assomigliasse
in tutto a Lidice.
Sfortunatamente, la scheda d'informazioni in
tre lingue (ceco, romanés e inglese)
all'ingresso non è stata migliorata. La breve
storia dichiara che solo i Tedeschi furono
responsabili per Lety. Nessuna menzione alo
fatto che il campo fosse amministrato dai Cechi
e che tutte le guardie fossero Ceche, cosa
riconosciuta persino dal presidente Havel nel
suo discorso a maggio 1995, quando presenziò
alla prima commemorazione del memoriale.
Un'altra questione da risolvere è la puzza di
letame-ammoniaca proveniente dall'allevamento di
maiali. A seconda della direzione del vento,
sono ancora necessarie delle maschere a gas se
si vuole passare più di qualche minuto in visita
al memoriale. Comunque, ora sono stati degli
alberi tra il memoriale (oltre le innumerevoli
altre tombe) e l'allevamento, così da
nasconderne la vista.
I miei amici cechi non erano mai stati prima
a Lety, ma erano orgogliosi che il loro paese
finalmente stesse promuovendo e mantenendo Lety
attraverso un alto standard. Non potevano capire
perché sentivo ancora che il governo ceco non
stesse rispettando glii accordi di Helsinki a
mantenere e preservare questo sito
sull'Olocausto. Tutto ciò che potei fare, fu
suggerire di visitare la nuova "Lety Exhibition",
ora ospitata nello stesso edificio dell'unico
pub in città.
Se ero stato deluso per come il campo originale di Lety fosse stato
trasformato in un terreno da picnic, lo fui ancora di più dall'unica stanza
della Lety Exhibition. Praticamente consiste in due pareti coperte dal pavimento
sino al soffitto dalla storia fotografica delle guardie di Lety e di come
avessero sfidato gli ordini di maltrattare i prigionieri zingari.
Per non mettere in imbarazzo i miei amici cechi, non ho riso a quel tentativo
di mostrare alcune guardie del campo di sterminio come se fossero state dei veri
eroi. Questo nuovo eroe nazionale, Frantisek Kansky, secondo i documenti del
tribunale del 1946 era stato effettivamente chiamato come testimone a difesa
dell'accusato Vaclav
Hejduk, la più famigerata guardia di Lety che,
secondo molti sopravvissuti, spesso si aggirava nel campo in cerca di giovani
ragazzi e ragazze, da portare nella sua stanza dove poterne abusare sessualmente
o picchiarli a morte. Già nel 1947 Hajduck venne assolto, perché il giudice non
credeva ai testimoni "zingari".
Per quanto questa esposizione potesse essere scorretta, non ero preparato a
ciò che avrebbero trovato nella stessa stanza i miei amici. Mi chiamarono per
dare uno sguardo a cosa avevano scoperto, scritto di recente sul libro a
disposizione dei visitatori. Sulle prime, non compresi ciò che mi stavano
indicando. Anche se era proprio al centro della pagina, la mia mente non
registrò le parole in ceco, fin quando uno dei miei amici le tradusse: "Zingari
nelle camere a gas".
Avrei voluto afferrare il libro dei visitatori e marciare sino al piano
superiore (il municipio e l'ufficio del sindaco si trovano al secondo piano del
pub). Invece mi sono limitato a prendere una foto e lasciare il libro agli
altri, perché possano vedere cosa alcuni Cechi pensino dei Rom, ora come allora.
Se fosse vero quello che ha detto il mio amico di fronte alle nostre birre a
Praga, che i Cechi non discriminano, immagino che presto vedremo scritto sul
libro dei visitatori a Lidice che i Tedeschi avrebbero dovuto macellare più
Cechi. E che ora si dovrebbe impiantare un allevamento di maiali sul Lidice
Memorial, così da dare lavoro a cinque abitanti del posto, come a Lety.
Paul Polansky sta attualmente preparando la pubblicazione di un libro di
memorie sui rapporti e le interviste con testimoni locali dal campo di Lety,
raccolte tra il 1992 e il 1995, e il successivo insabbiamento da parte del
governo ceco.
La foto non viene da Istanbul, ma da Milano, c'è il parco e anche le
baracche... la continuità è data dal braccio della ruspa
Sto scrivendo domenica 2 giugno, e come molti di voi seguo, praticamente in
tempo reale, quanto sta succedendo in Turchia: Gezi.
Un anticipo di quanto sta succedendo ORA (ma non fu per niente in tempo
reale) ci fu nel 2010, anche se la lotta iniziò almeno 5 anni prima: SULUKULE
(forse qualche lettore se ne ricorda). Ora i turchi lottano per mantenere un
parco; nel caso di Sulukule, si trattava di un quartiere millenario, dove i
primi Rom si insediarono alla venuta in Europa. Ora, cacciati in altri quartieri
dove non possono più svolgere le loro attività (che erano anche fonte di entrata
per il turismo locale), non possono più permettersi di pagare gli alti affitti a
cui sono sottoposti. Dopo un millennio di stanzialità, sono tornati ad
accamparsi COME NOMADI sulle rovine delle loro ex case.
ATTENZIONE, è da parecchio che tocca ripeterlo: le politiche che i popoli
romanì sperimentano, altro non sono che un laboratorio di ciò che poi
toccherà anche ad altri. L'abbiamo voluto, l'abbiamo permesso, lo
pagheremo.
Per chi volesse,
QUI potete trovare una completa ricostruzione della vertenza
di Sulukule. Altrimenti di seguito ho preparato un riassunto, con alcuni dei
momenti principali.
Il quartiere di Sulukule ad Istanbul esiste[va] da mille anni, ed ospitava il
più antico insediamento Rom del mondo. Dichiarato patrimonio dell'Unesco, oggi è
stato quasi totalmente abbattuto nel piano di un rinnovamento urbano, ed i suoi
residenti spostati in un altro quartiere lontano dal centro, con affitti che non
sono in grado di pagare. La lettera è del 2006
Lettera aperta di Sukru Punduk, nato il 1/1/1968 a Sulukule, residente in
Edirnekapi Kaleboyu Cad. Zuhuri Sok. No: 5.
Gli abitanti del quartiere iniziarono a stabilirvisi attorno al 1504, del
calendario bizantino. Dopo l'arrivo degli Ottomani nel 1453, la comunità Rom
rimase lì e molti Rom fecero di Sulukule il punto di partenza per arrivare in
Europa. Il quartiere sorge accanto alle mura storiche del distretto di Fatih. Vi
abitano circa 3.500 Rom, che erano circa 10.000 i residenti prima che iniziasse
lo sgombero della municipalità di Fatih nel 1992. D'improvviso la municipalità
chiuse i locali musicali e d'intrattenimento, con la scusa che non pagavano le
tasse e quindi non potevano esercitare nel quartiere. Tuttavia, si può pensare
che noi siamo dei "campioni" del pagamento delle tasse, pagando tasse
sull'intrattenimento, senza mai ricevere dall'autorità riscontro delle somme
pagate. Il provvedimento di sgombero non causò soltanto la diminuzione degli
abitanti, ma anche disoccupazione per quanti rimasero, incapaci di pagare
elettricità, acqua e riscaldamento. Ora, sempre la municipalità di Fatih è
determinata ad abbattere le nostre case, nonostante noi siamo in possesso dei
documenti ricevuti nel 1983/84, quando le abitazioni provvisorie vennero
legalizzate da un'amnistia e registrate. L'insieme di questi eventi, vanno
considerati parte di un premeditato processo di rimozione della comunità romani
dal centro città. Noi, il popolo Rom di Sulukule, soffriamo la mancanza dei
nostri diritti basici come il diritto di proprietà, quello di avere un lavoro
decente, quello dell'accesso all'acqua potabile e all'elettricità.
Il numero delle case che andranno demolite è di circa 571, per un totale di
8.000 mq. Siamo venuti a conoscenza dai giornali e dalla TV che il comune ha un
piano di sviluppo e rivalutazione del quartiere. Richiediamo quindi un incontro
col sindaco, Mustafa Demir. Ci fu un incontro a novembre 2005, a cui presero
parte 17 di noi. Allora erano proprietari in 251 e 320 gli inquilini. Il sindaco
disse che le case del quartiere sarebbero state demolite e che l'area era stata
definito di rinnovo urbano. Offrì nuovi alloggi agli inquilini, senza però
andare oltre la solita "lotteria" delle abitazioni pubbliche in Turchia. Gli
alloggi erano situati a Tasoluk, a circa 2 ore e mezza dalla città più vicina,
Gaziosmanpasa. Le case sarebbero state costruite dall'Assessorato alle Case
Popolari, meglio noto come TOKI. D'altra parte, non v'è certezza su quale sarà
il costo delle nuove case e di conseguenza, se saremo in grado di pagare
l'affitto. Ed ancora, i lavori che svolgevano gli abitanti di Sulukule non si
potranno più svolgere nelle nuove case aumentando il rischio di pagamenti
insoluti. Il sindaco ha offerto due opzioni:
1. comperare il loro terreno con un ammontare incerto per metro quadro;
2. che le case siano pagate in 15 anni, deducendone il valore del terreno.
Il nostro problema è l'incertezza della situazione. Non esiste un progetto
concreto sulle somme che ci verranno offerte per le nostre terre, e quindi non
siamo in grado di decidere. Abbiamo perciò chiesto al sindaco di costruire noi
le nostre case e di disegnare un progetto comune, ma la nostra proposta è stata
rifiutata..
In seguito il comune a luglio 2006 mandò inviti individuali per illustrare la
situazione di cui ho accennato sopra. I loro argomenti si basano sulla decisione
del Consiglio dei Ministri, che chiede di determinare le aree soggette a
rinnovamento urbano, con la legge 5366. Hanno dichiarato che entro la fine di
agosto 2006 riceveremo le ordinanze di abbattimento. Finora, a nessuno nel
quartiere è giunto niente, e tutti sono preoccupati perchè non ci sono proposte
concrete di rilocazione, e nel contempo a Istambul ci sono state demolizioni nei
quartieri rom di Kucukbakkalkoy e Yahya Kemal. Anche lì le case demolite erano
registrate a norma e non sono state offerte soluzioni di rilocazione degli
abitanti.
Noi, abitanti Rom di Sulukule, non vogliamo lasciare le nostre case. Nel 1960
alcuni abitanti di Sulukule furono obbligati a trasferirsi a Gaziosmanpasa, dove
c'è oggi una comunità Rom minacciata a sua volta di sgombero e demolizione da
parte del comune. Perciò la migrazione forzata non è la soluzione per i progetti
di rinnovamento urbano. Non vogliamo essere evacuati in nuovi appartamenti, ma
continuare a vivere con i nostri strumenti, danze, musiche, dove i nostri
antenati si stabilirono un migliaio di anni fa. Non vogliamo essere esclusi
dalla comunità cittadina, né essere obbligati a migrare dalle nostre terre.
Richiediamo aiuto alle associazioni e ai singoli perché appoggino la nostra
lotta contro la migrazione forzata. Invitiamo perciò avvocati e giornalisti a
venire a Sulukule e rendersi conto di come viviamo.
Saremo grati alle organizzazioni europee o di altri paesi che chiedano
informazioni sulla situazione di Sulukule alle ambasciate e ai consolati turchi.
Apprezzeremo le vostre lettere di appoggio alla nostra comunità, per non farci
sentire soli.
Sulukule Romani Culture Solidarity and Development Association
President
Sukru Punduk
9 giugno 2008 By PELIN TURGUT - Time.com
All'ombra dei merli bizantini, un gruppo di ragazze ridenti va avanti e indietro
fra le case cadenti, smettendo occasionalmente di vibrare le loro anche e di
roteare i loro polsi. Sono inseguite da diversi ragazzi urlanti, che le
afferrano e le spingono "in prigione" verso un angolo. I bambini del quartiere
impoverito di Sulukule a Istanbul - patria della più antica comunità rom del
mondo - chiamano questo gioco Poliziotti e Ballerine, versione locale di Guardie
e Ladri emendata per riflettere sulla loro esperienza di essere nati in una vita
di danza e caccia dalla polizia.
E' giovedì pomeriggio presto e i bambini giocano per strada invece di essere a
scuola. La ragione della loro assenza ingiustificata, d'altra parte, è la paura.
"I bambini sono spaventati," dice Dilek Turan, uno studente di psicologia
volontario a Sulukule. "Non vogliono andare a scuola perché sono preoccupati di
tornare a casa e non trovarla più." C'è una ragione: il piano cittadino di
demolire le loro case parte di un controverso progetto di rinnovamento urbano in
vista di Istanbul Capitale Culturale Europea nel 2010.
Fu in era bizantina che gli antenati dei bambini rom di Sulukule si accamparono
per la prima volta su questo particolare pezzo di terra, accanto al Corno d'Oro
e appena fuori dalle mura del V secolo della vecchia Costantinopoli. La prima
registrazione della comunità, circa nel 1050, si riferisce ad un gruppo di
persone, che si riteneva provenissero dall'India (dove, per la verità, molti
storici credono siano originari i Rom), accampati in tende nere fuori dalle mura
cittadine. Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, alla comunità fu
garantito il permesso ufficiale del sultano Sultan Mehmet II di avere dimora in
quello che ora è Sulukule.
Per secoli la comunità rom si è guadagnata da vivere come indovini e ballerini
per la corte ottomana, e più tardi per i Turchi - una tradizione portata sullo
schermo nel film di James Bond Dalla Russia con Amore. Le loro fortune ebbero
una svolta negativa negli anni '90, quando le loro "case d'intrattenimento" -
abitazioni private dove le famiglie zingare cucinavano e ballavano per i loro
concittadini benestanti - furono chiuse con l'accusa di gioco d'azzardo e
prostituzione.
I Rom di Istanbul sono molto poveri, guadagnano in media circa $250 al mese, ma
la terra che abitano, una volta periferica e senza importanza, è ora un bene
immobiliare molto apprezzato a pochi minuti dal centro città. Se gli appaltatori
ed il comune locale hanno il loro senso, l'intero quartiere di Sulukule - che
ha 3.500 residenti - verrà raso al suolo entro la fine dell'anno per far posto a
620 case signorili in stile neo-ottomano.
"Ogni giorno, ci domandiamo quale casa verrà demolita," dice Nese Ozan,
volontario della Piattaforma Sulukule, una coalizione di architetti, attivisti e
lavoratori sociali contro la demolizione. Ogni tre o quattro case derelitte di
un blocco, una è stata ridotta ad un mucchio di residui e di metallo ritorto.
Una X rossa segna le prossime, quelle in prima linea per le squadre di
demolizione.
Mustafa Demir, sindaco della municipalità conservatrice di Fatih che sponsorizza
il programma di demolizione, dice che c'è bisogno di un progetto di rinnovamento
sociale "per rimpiazzare i tuguri". Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha
chiamato Sulukule "terribile" ed espresso stupore per le proteste
anti-demolizione. Che il quartiere abbia un disperato bisogno di risanamento è
chiaro, ma i critici accusano le autorità di aver mancato di includere una delle
più antiche comunità nei piani per lo sviluppo. Invece, ai Rom sono state
offerte due opzioni: possono vendere le loro proprietà a basso prezzo (o doversi
trovare di fronte all'esproprio), o traslocare nel quartiere popolare di Tasoluk,
a circa 25 miglia dalla città, e pagare un'ipoteca di oltre 15 anni che pochi
possono permettersi.
"La municipalità non capisce che se intende rinnovare quest'area, c'è bisogno di
fare in maniera che permetta alla comunità di continuare a vivere qui," dice
Ozan. "Non possono limitarsi a sgomberare tutti, radere l'area la suolo e
costruire un sobborgo. Questa è una comunità storica."
Il ricercatore rom britannico Adrian Marsh vede un programma più scuro al
lavoro. "Quello che abbiamo è la municipalità più religiosa del paese che si
confronta con quello che ritiene storicamente il gruppo più irreligioso ed
immorale," dice. "Se rigenerassero la comunità in maniera inclusiva, avrebbero
3.000 voti extra, ma non stanno agendo così. Perché? Perché considerano la
comunità di Sulukule irrecuperabile." Soluzioni a lungo termine come permettere
ai Rom di impiantare music halls legali ed ottenere un guadagno, non sono
gradite alle autorità locali dominate dagli islamisti, perché non intendono
promuovere questo tipo di intrattenimento, ragiona Marsh.
Questo è molto più certo: disperdere la comunità rom di Sulukule distruggerà la
loro cultura, che è legata alla vita comunale. Famiglie estese condividono case
e forme musicali, usando le strade come estensione delle loro stanze. "Sulukule
presenta un modo di vita unico," ha concluso un gruppo di ricerca sul design
urbano dell'University College di Londra. "Questo dev'essere tenuto in conto e
preservato quando viene introdotto un nuovo sviluppo per l'area."
La Piattaforma Sulukule ha richiesto un'ingiunzione del tribunale contro la
demolizione ed il parlamento ha ha nominato un comitato di studio. Ma i
bulldozer non aspettano. Il gioco di Poliziotti e Ballerine non sta andando bene
per lo spettacolo.
Sabato, 21 giugno 2008 - ISTANBUL – Turkish Daily News
Operai della municipalità di Fatih-Istanbul giovedì hanno distrutto una casa nel
quartiere di Sulukule, anche se dentro c'era ancora gente, così si è lamentato
un portavoce di un'organizzazione che combatte la trasformazione urbana
dell'area. La municipalità ha rifiutato le accuse.
Sulukule è sotto esame da quando un progetto di trasformazione urbano è
cominciato nell'area, il cui progetto vorrebbe eliminare lo spazio vitale e
minacciare la cultura del popolo Rom, che hanno vissuto nel quartiere da
secoli.. Ciononostante, la municipalità ha iniziato le demolizioni a febbraio.
La casa al numero 15 di via Neslişah Camii è stata distrutta anche se non era
tra gli edifici indicati da distruggere come parte del progetto, ha reclamato
Hacer Foggo, rappresentante della Piattaforma Sulukule. "Gli abitanti hanno
pensato che fosse un terremoto. Nella casa c'erano due sorelle. Nessuno è stato
ferito nella demolizione, ma la casa è inabitabile," ha detto. Foggo ha anche
lamentato che, testimoniano i residenti del quartiere, la squadra di demolizione
ha detto "Abbiamo distrutto la casa per errore" e sono andati.
Mustafa Çiftçi, consigliere comunale per le aree rinnovabili, ha rigettato le
lamentele, dicendo che non c'è stata alcuna demolizione di un edificio che non
fosse vuoto. "Prendiamo rapporti per impedire situazioni come queste.
Distruggiamo edifici che siano assolutamente vuoti," ha detto Çiftçi.
Non c'è solo Sulukule. Radikal, 11/02/2010
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro quartiere
è stato attaccato e dato alle fiamme sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo
stato aveva promesso loro assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi,
soltanto poche famiglie possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni
temporanee. Qualcuno può scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da
bruciare e di acqua calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case
hanno acqua corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono
i Rom, "nel passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono
fogli di plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i
miglioramenti di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è
accatastato lì vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime di
discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo
stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono
affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei
nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A Capodanno
ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom, anche se il
proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava fumando nel
locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di fumare
sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di ciò,
iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di pietre
contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della locale
Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di Gordes.
La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per giorni
dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio".
Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno
date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre
altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a
condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18
famiglie stanno vivendo nella miseria...
Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies
adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918
NOTA: Quanto sopra fa parte di un rapporto che scrissi a maggio 2010 per alcuni
amici di Amnesty International Italia, riguardo la situazione abitativa dei Rom
in Europa. Chi fosse interessato, può richiedermene una copia
via mail (file
.pdf, 36 pagine, 378 KB)
CORRIEREIMMIGRAZIONE 22 aprile 2013 | di Stefania Ragusa
La deportazione dei rom dalla Germania al Kosovo: chi se la ricorda più? Eppure
è un fatto di pochi anni fa. Un bellissimo libro di poesie ci aiuta a non
dimenticare.
Dei saggi non noiosi si dice spesso che si leggano come romanzi. In questo caso
ci troviamo, invece, di fronte a una raccolta poetica che ha l'effetto di una
narrazione giornalistica di alto livello, capace di unire la precisione storica
dei fatti con i vissuti dei protagonisti. Ne Il pianto degli zingari
Paul Polansky, intellettuale controverso ma imprescindibile per chiunque sia
interessato al tema rom, ci parla di una vicenda assi incresciosa, vicina nel
tempo e nello spazio, ma finita in uno spesso e ovattato dimenticatoio: la
deportazione dei rom, dalla Germania al Kosovo, in campi pesantemente inquinati
dal piombo, nel 2010.
In molti casi, ad essere deportati, sono stati bambini nati e cresciuti in
Germania, che non conoscevano altra lingua che il tedesco ed erano assolutamente
impreparati alla vita nei campi. Si trattava dei figli dei profughi arrivati
soprattutto in Germania, ma anche in altri Paesi europei, in seguito alla guerra
dei Balcani del 1999. I rom erano stati considerati dalla maggioranza albanese
collaborazionisti dei serbi, le loro case bruciate e distrutte. Per questo, a
più riprese, erano fuggiti all'estero. Ma alla nascita del Kosovo, grazie a
sbrigativi e discutibili accordi con Pristina, e nonostante segnali evidenti che
davano a pensare circa la loro effettiva sicurezza, sono stati rimandati
indietro.
Il racconto è affidato a Danica, una bambina molto intelligente, che frequenta
la scuola a Monaco, prendendo ottimi voti, e sogna di fare il medico o
l'insegnante. Danica ricostruisce la vicenda in poche, calibrate parole. A
partire dalla notte in cui arrivarono gli albanesi a bruciare la loro casa: "I
nostri vicini Albanesi non ci violentarono/ Soltanto, continuarono ad urlare/
che avevamo soltanto due minuti/ per salvarci la vita/ Erano le quattro/ quella
mattina/ quando scappammo/ ancora in pigiama ...". Poi ci fu l'arrivo e l'incontro
con le cugine nate in Germania e che non parlavano romanés, figlie dello zio
scappato anni prima: "Alla fine della giornata/ stavano insegnandomi/ una nuova
lingua/ dissero che dovevo dimenticare/ di essere una zingara". Poi, la nuova
vita, la scuola, la vicina affettuosa, l'avvocato rassicurante ma certamente non
in grado di ipotecare il futuro e il padre che non voleva diventare un tedesco
ma che si trova a ricredersi in pochi istanti di fronte alla possibilità di lavorare. E poi, ancora, l'epilogo inaccettabile con i poliziotti che, come gli
Albanesi, arrivano la mattina presto "ed erano come la Gestapo nelle storie di
papà". Ma Danica anche all'interno del campo avvelenato dal piombo, mette in
atto la sua resistenza. Insegna il tedesco agli altri bambini. Prova a
incontrare il mondo fuori. E progetta il ritorno in Germania.
In appendice un testo firmato da Rainer Schulze, docente di Storia moderna
Europea all'università di Essex, tratteggia un quadro di riferimento che permette
di inquadrare meglio la vicenda. Il pianto degli zingari, che è stato tradotto
da Fabrizio Casavola, grande conoscitore del mondo rom e ideatore del blog
Mahalla, illustrato da Stephane Torossian e pubblicato da Volo Press, è un testo
che si presta a molti livelli di lettura. Anche per questo sembra fatto apposta
per essere proposto nelle scuole. Noi ci auguriamo che lo sia, che non si perda
diventando una piccola perla riservata agli addetti ai lavori. Perché di questa
informazione e di questa memoria oggi c'è bisogno come il pane. Soprattutto tra
i più giovani.
Operazione prevenzione: controllati i campi nomadi
- I Carabinieri hanno identificato 300 persone. Multe per motivi
igienici e una denuncia Segnalate all'Ipes due famiglie in roulottes che risultano titolari
di alloggi sociali [local
ALTO ADIGE]
Ci sembrava un film degli anni '70 dove per catturare una banda di criminali
circondavano un intero rione per non lasciare fuggire nessuno.
Ancora oggi che siamo nell'anno 2013, quando in Europa si parla di pari diritti
e pari opportunità per tutti, Bolzano, nell'area di sosta in via Trento 50 (ma
non solo), dove la maggioranza di persone che ci abitano sono anziani, bambini e
ragazzi, le forze dell'ordine sono intervenute in massa per "un controllo di
routine" secondo loro, identificando tutti gli abitanti senza dare ulteriori
spiegazioni, come se nessuno sapesse che in via Trento 50 ci abitiamo solo noi,
famiglia Gabrielli, nati e residenti a Bolzano da sempre.
Ovviamente non c'era nulla di cui le forze dell'ordine potessero accusarci, in
compenso questo dispiegamento impressionante di forse dell'ordine è riuscito a
spaventare i bambini e anziani. Questo, che è un vero e proprio atto di forza
solo "per un controllo di routine", è oltraggioso e vergognoso per tutti noi che
con tutte le nostre forze stiamo cercando di farci conoscere dai nuovi vicini
per riuscire a convivere in pace e armonia con tutti. Dopo questo raid delle
forze d'ordine che cosa penseranno i nostri vicini? Che cosa diranno vedendo
tutti quei carabinieri!
A quanto mi risulta, i controlli sono stati fatti in vari insediamenti di
"zingari", ma tutt'ora non ne sappiamo il motivo. Mi rivolgo ai cittadini di
Bolzano: pensate se un giorno le forze d'ordine, polizia o i carabinieri, con un
dispiegamento impressionante di forze arrivassero a casa vostra vi chiedessero i
documenti per identificarvi, trattandovi come delinquenti e senza darvi nessuna
spiegazione. Voi che fareste?
Mia madre che ha vissuto i tempi delle deportazioni hitleriane e ne ha ancora
vivo il ricordo, ha detto che le sembrava di essere tornata in dietro nel tempo,
all'epoca dei raid che rastrellavano sinti e rom per portarli a morire nei campi
di concentramento.Come presidente dell'Associazione Nevo Drom, mi sento obbligato a condannare
questi atti di forza e auspico che in avvenire nel Trentino Alto Adige e in
tutta l'Italia, non si ripetano mai più episodi ingiustificati di questo genere
che trattano i Sinti come cittadini senza diritti.
Radames Gabrielli
cronaca e foto su
MilanoInMovimento
COMUNICATO STAMPA
Milano, 15.4.2013 - Gruppo sostegno Forlanini
Questo pomeriggio, alle 18,30, si è tenuta una seconda manifestazione
promossa ancora una volta da organizzazioni collaterali alla Fiamma Tricolore in
prossimità dell'insediamento di via Dione Cassio, sul lato di viale Ungheria,
dopo quella di venerdì scorso.
La manifestazione non era stata autorizzata, ma è di fatto stata esplicitamente
tollerata dalle forze dell'ordine nel suo avvio e nel suo sviluppo (prima con un
blocco stradale, poi con vari tentativi di corteo, poi con le scorribande
isolate verso il campo dal lato di viale Ungheria e successivamente con un vero
e proprio assalto fino ai confini dell'insediamento, con il lancio di sassi
all'interno del campo, che ha causato il ferimento di un abitante e
comprensibile ansia negli abitanti).
La gestione della piazza da parte delle forze dell'ordine è stata assolutamente
approssimativa e insipiente, lasciando ampio varco alle iniziative dei
manifestanti, tra i quali stavolta hanno fatto ampia mostra di sé slogan
fascisti (“Boia chi molla” ecc.), saluti romani, esibizione di magliette
coll'effigie del duce.
Stigmatizziamo fortemente questa pessima gestione dell'ordine pubblico: ci era
stato assicurato che non sarebbe stata autorizzata alcuna manifestazione, specie
dopo la prima, del 12, che aveva già avuto caratteri molto preoccupanti già
segnalati, e dopo in particolare il tentativo di attacco al campo, con bottiglie
incendiarie, verificatosi nella notte tra il 12 e il 13 aprile, che abbiamo
denunciato.
Ci preoccupa molto la sottovalutazione di questo evento, che sappiamo esser
stato attribuito da alcune interpretazioni, anche delle forze dell'ordine - più
che agli esiti della manifestazione neofascista di poche ore prima, in cui si
era invocato il diritto dei cittadini a farsi giustizia da soli - agli
strascichi di un incidente stradale pur grave che era avvenuto nei pressi del
campo in via Dione Cassio il pomeriggio del 12 e che è stato pretestuosamente
messo a carico di ospiti del campo, mentre neanche dai controlli della Polizia
locale risulta un loro reale coinvolgimento.
Il ripetersi di episodi in cui si tenta, si esibisce o si mette in opera
l'attacco violento fa capire da quale parte, in realtà, vengono l'insicurezza e
la minaccia che si addebitano agli abitanti del campo; ci sono forze razziste e
neofasciste che stanno investendo potentemente sulla questione, soffiando sul
fuoco del disagio e dell'emarginazione, e che non sono adeguatamente contrastate
dalle forze dell'ordine, che pure avrebbero tutti i titoli per intervenire e
prevenire, come anche oggi sarebbe potuto succedere, con la proibizione della
manifestazione.
Ci è giunta notizia che nella giornata del 16 potrebbero ripetersi, anche in
prossimità del campo, nuove manifestazioni. Chiediamo che non vengano
assolutamente autorizzate né tollerate, per evidentissimi motivi.
Per parte nostra, insisteremo - insieme colle altre associazioni che lavorano
nel campo - sulla strada dell'inclusione sociale, della democrazia e
dell'antirazzismo, che sappiamo essere quella che meglio tutela i diritti civili
e sociali di chiunque viva in un territorio, sia esso italiano o straniero.
Sollecitiamo i poteri pubblici - a partire dal Comune, i cui progetti di
inclusione sociale, che stanno per avviarsi, ci sembrano muoversi nella
direzione giusta -, le forze politiche e sociali e i titolari della gestione
dell'ordine pubblico e della convivenza a perseguire insieme a noi, con
fermezza, quella strada.
COMUNICATO STAMPA Gruppo sostegno Forlanini - 333/4451206
Nella notte tra il 12 e il 13 aprile, poco prima dell'una, alcune persone
hanno tentato di lanciare delle bottiglie incendiarie oltre i cancelli
dell'insediamento rom informale di via Dione Cassio, in zona viale Ungheria (est
di Milano, zona 4). La pronta reazione degli abitanti ha evitato l'attentato,
con la fuga degli assalitori.
Secondo le testimonianze degli abitanti del campo, nei dintorni c'era un
inquietante andirivieni di auto che ha accompagnato l'attacco e ha raccolto i
fuggiaschi.
Si tratta della conseguenza di una squallida manifestazione neofascista -
imbastita da organizzazioni collaterali alla Fiamma Tricolore - che si è tenuta
nel tardo pomeriggio di venerdì, tra saluti romani, urla da stadio e soprattutto
slogan inquietanti, inneggianti al farsi giustizia da sé, all'esasperazione di
toni razzisti, alla retorica della xenofobia e del degrado.
Riteniamo profondamente sbagliato che la Questura abbia concesso
l'autorizzazione a questa manifestazione, malgrado la richiesta preventiva che
avevamo formulato, sensibilizzando tempestivamente le autorità.
Riteniamo pericolosissimo che gli slogan razzisti di qualche ora prima
abbiano avuto il loro esito in questo attacco notturno, che poteva causare una
strage crudele.
Riteniamo che non si stato assolutamente adeguato il presidio delle forze
dell'ordine nei confronti del campo, che pure avevamo sollecitato, rispetto ai
prevedibili strascichi della manifestazione; al momento dell'attacco, una
pattuglia della polizia di stato stazionava a diverse centinaia di metri
dall'insediamento, all'angolo tra via Quintiliano e via Dione Cassio, e non è
intervenuta tempestivamente, quando invece sarebbe stato più opportuno un
presidio davanti all'entrata del campo. La nostra richiesta di un intervento dei
Carabinieri tramite il 112, fatta nella notte a ridosso dell'attacco, non ha
avuto esiti.
Milano, 13 aprile 2013
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