Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di Fabrizio Casavola, con la collaborazione di
Jovica Jovic -
Scaricatelo gratuitamente
Perché
Quello che leggerete, è già stato pubblicato negli ultimi anni, sul mio blog
Mahalla ed anche da altre parti. Niente di nuovo, se non il tentativo di fare
ordine e cercare il filo del discorso.
Di fatti accaduti 70 anni fa, e che spesso hanno radici più antiche.
Nessuna pretesa di un scrivere un documento storico, solo vorrei vedere allo
specchio questa Memoria. Cercare, attraverso testimonianze di personaggi noti e
altri che non lo sono mai stati, di capire dopo tutto questo tempo come la
memoria può convivere, quanto ci appartiene e quanto invece sia distante.
Fate conto di fare una chiacchierata, seduti ad un tavolo, magari con una
tazza di brodo caldo in mano. Per capirsi, per condividere. Per sapere dove si
può finire. Pagine di canzoni, poesie e qualche riflessione.
La memoria è un lusso, il dialogo una necessità. Quindi, dopo averci pensato un
attimo, ho pensato bene che chiunque potesse scaricare gratis questi appunti.
Sperando che il lettore alla fine mi scriva... una lettera, un pensiero o una
cartolina.
Ringraziamenti
La foto di copertina è di Cristina Simen, e anche quelle del campo di
Rho dopo la demolizione. Le foto del campo di Rho in festa sono di Ivana
Kerecki, sua anche la registrazione del video finale della festa dello
Zecchino d'Oro
Voglio inoltre ringraziare: Doriana Chierici Casadio, Gaia Moretti, Carlo
Stasolla, Luca Bravi, Carlo Berini, Sergio Franzese, Federico Bevilacqua e
Alessandro Morazzini per i contributi e le istruttive e civili discussioni. Infine, un ringraziamento particolare al Teatro Officina per la
calda ospitalità che mi ha offerto.
Copyright Attribuzione Creative Commons 2.0
Pubblicato il 21 gennaio 2014
Lingua Italiano
Pagine 31
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La
libreria di Mahalla
e per gli amici e i lettori di Milano e dintorni,
RICORDATEVI L'APPUNTAMENTO DI STASERA!
Elena Gorolovà, portavoce del gruppo di donne colpite da
sterilizzazione coercitiva
Il Comitato di Helsinki ceco crea una legge per risarcire le persone
sterilizzate illegalmente - Prague, 14.1.2014 17:18, (ROMEA)
Czech Helsinki Committee, translated by Gwendolyn Albert
Il Comitato di Helsinki ceco (Chesky helsinsky vybor - ChHV) ha completato una
carta da usare come guida per il risarcimento delle persone sterilizzate
illegalmente. La ONG sta ora presentando la bozza di legge redatta al Parlamento
Ceco e al Ministro della Giustizia e chiede ad essi di pensare al più presto ad
un'adeguata soluzione al problema della sterilizzazione illegale.
La pratica di sterilizzare le persone senza il loro consenso informato è stata
eseguita, in passato, nel territorio della Repubblica Ceca. Fino al 1991, tale
prassi era frutto di una politica dello Stato volta a limitare la riproduzione
di gruppi considerati scomodi dal regime cecoslovacco.
Dopo il 1991, la Repubblica Ceca ha continuato ad eseguire la pratica di
sterilizzazione delle persone senza il loro consenso informato non adottando
misure legali atte a stabilire le condizioni entro le quali la sterilizzazione
potesse essere legale per legge, tra cui quella del consenso libero ed
informato. Centinaia di persone hanno perciò perso l'opportunità di avere figli,
cosa che ha portato molti traumi ad individui e persone.
"Dopo che la Repubblica Ceca è stata a lungo inattiva in questo senso nonostante
le ripetute critiche alla sua situazione provenienti sia a livello
internazionale che nazionale dai difensori dei diritti umani, il Comitato di
Helsinki ceco ha deciso di contribuire ad accelerare il processo di adozione di
misure legali atte ad assicurare l'effettiva e rapida implementazione del
risarcimento alle persone sterilizzate illegalmente tramite la presentazione di
questo materiale." ha dichiarato Michaela Tejnorovà, avvocato del ChHV. Una
ricerca statistica sul campo, che ha accompagnato la scrittura della bozza del
ChHV, ha mostrato come alcune donne stiano tuttora ricevendo risposte negative da
alcune istituzioni mediche relative all'ottenimento delle cartelle cliniche
relative alla loro sterilizzazione.
"Alcune donne erano scettiche sul collaborare con noi a riguardo di questa
problematica dato che, per molti anni, avevano provato e fallito
nell'ottenimento di un risarcimento. Riaprire questo tema ha riportato loro
memorie dolorose e ha ricordato loro tutte le diverse conseguenze di ciò che è
stato fatto loro, non solo quelle mediche." dice Elena Gorolovà del gruppo di
Donne colpite da Sterilizzazione Coercitiva che collabora col progetto del ChHV.
Altri articoli di Mahalla sulle sterilizzazioni forzate
La rosa sepolta
Dove ricercheremo noi le corone di fiori
Le musiche dei violini e le fiaccole delle sere
Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci - quando traverso il pianto
Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi
Dietro quel trotto senza suono per le valli
D'esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.
Ma il più distrutto destino è libertà
Odora eterna la rosa sepolta.
Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.
Franco Fortini - Foglio di via (Einaudi 1946 - 1980)
Chi era Franco Fortini (la domanda è d'obbligo per i lettori più giovani)? Uno
dei maggiori intellettuali ed operatori culturali italiani della seconda metà
del secolo scorso. Rileggete la sua poesia con un occhio al
testo (in italiano)
di Gelem Gelem, e ditemi se non suonano simili.
Ne avevo già scritto
qualche settimana fa: c'è
anche una memoria nostra, recente - non occorre tornare alla preistoria, che era
capace di interloquire, di intercettare (quindi di iniziare a comprendere),
motivi profondi della cultura (la domanda ricorre:
cosa è la cultura
e a cosa serve?)
romanì, tanto di quelli che vivono senza speranza nei ghetti e nei campi, che di
quella fascia minoritaria di classe intellettuale.
Può essere, uso termini semplicistici, cultura alta (come in Franco Fortini),
cultura pop e folk (come con Bob Dylan), o soltanto memoria popolare (vedi
l'anno scorso). Le divisioni in generi non mi interessano, vanno tenute
assieme con la medesima dignità.
Leggi Scrivo, avendo in mente che la nostra cultura del recente passato,
aveva radici più antiche, ugualmente condivise. Ma queste radici possono
inaridirsi, anche dove sembrava avessero attecchito:
in difesa popolazione rom? Vi assicuro che qui in Italia i rom ci sono, e
sono proprio le persone più spregevoli e disoneste, maleducate e cattive che io
abbia mai visto. Non fraintendete, il fatto che abbiano subito un genocidio
durante l'ultima guerra mondiale non li giustifica affatto, non giustifica il
loro comportamento. Il degrado in cui vivono (e dove vogliono stare e continuare
a viverci) è frutto delle loro colpe,
Lorenzo Cardinali
Non bisogna avere paura delle parole, basta siano corrette. I rom, nella
stragrande maggioranza, vivono di di furti, per questo non sono simpatici a
nessuno, ma pochi, pubblicamente, lo ammettono. IC redazione
Nessuno stupore: può accadere a chiunque, forse in futuro persino a Rom e
Sinti. La responsabilità di percorrere assieme un pezzo di strada o di
allontanarci, è nostra.
Di Fabrizio (del 26/01/2014 @ 09:02:40, in Europa, visitato 1538 volte)
I Rom residenti a Govanhill intendono essere parte della soluzione
by Catriona Stewart,
Columnist/reporter. Wednesday 08/01/2014
EveningTimes
[...]
Tutti parlano dei problemi più pubblicizzati nella comunità del South Side -
provvisorietà, sovraffollamento, crimine.
E' il tipo di discorsi che si ascoltano in continuazione dai residenti
stanchi dei problemi di
Govanhill... e della sua reputazione.
L'unica differenza è che questo gruppo è rom, la comunità regolarmente
accusata di scatenare i problemi.
"I problemi c'erano già prima del nostro arrivo," dice Marcela Adamova,
operatrice di sviluppo per i Rom presso Oxfam Scozia.
"Veniamo però colpevolizzati per cose non causate da noi. E' soltanto un
piccolo gruppo di persone che sta dando a tutti una cattiva reputazione."
Uno dei problemi principali, ritiene Marcela, è la mancanza di comunicazione
tra i residenti "storici" di Govanhill ed i Rom.
Come risposta, assieme ad Eva - Kourova, lavoratrice di comunità, ha
creato un nuovo centro comunitario in Albert Road per Rom e no.
Dice Eva: "Vogliamo che i Rom abbiano a disposizione gli stessi servizi di
chiunque altro a Govanhill; un posto dove incontrarsi e parlare. Ma speriamo che
anche gli altri abitanti del luogo prendano parte attiva a questo dialogo, tra i
due gruppi. "
"Qui una gran parte del problema sono la mancanza di comunicazione e
comprensione culturale."
I gruppi rom dalla Slovacchia e dalla Romania iniziarono ad arrivare a
Glasgow, e la maggioranza di loro si insediò a Govanhill.
Il rapporto più recente, Mapping the Roma Community in Scotland, stima ci
siano tra i 3.000 e i 4.000 Rom che vivono nella città.
Per una comunità piccola, l'influsso è stato enorme e la gente del posto ha
trovato difficoltà nell'accogliere questi nuovi vicini.
I Rom sono stati rimproverati di scaricare rifiuti abusivamente,
comportamenti antisociali e problemi alloggiativi come il sovraffollamento.
Dice Marcela, proveniente dalla Slovacchia: "Siamo arrivati a Glasgow per le
stesse ragioni degli altri gruppi - un'opportunità di vita migliore. Ma voci e
preconcetti possono rendere tutto difficile. Siamo una cultura di strada che gli
altri trovano scomoda. A noi piace, parlare e socializzare all'aperto, è così
che condividiamo le notizie e scopriamo cosa succede. Ma la gente pensa che
stiamo complottando. Inoltre, per noi non è insolito avere i nostri nonni che
vivono con noi o sostenere altri parenti, ma la gente si lamenta del
sovraffollamento. E poi, appartamenti in cui vivano sino a 20 persone, come dice
la stampa - in realtà è una cosa veramente rara. Non sono mai stata in un
appartamento con così tante persone."
Madalin Caladras, un giovane di 20 anni, negli ultimi cinque ha vissuto a Govanhill.
Eva e Marcela ritengono che potrebbe lavorare con loro - il suo inglese è
eccellente - ma Madalin ha altri progetti.
Madalin ritiene che la zona non sia più come quando arrivò ed ora spera di
trasferirsi in Francia - parla sia inglese che francese.
Dice: "Qui mi sento stabilito; arrivai perché mio zio era qui e parlava bene
della zona. Ma non è più come quando arrivai. Qua la gente combatterà per
strada, è abbastanza intimidante. La mia famiglia è a Parigi e così spero presto
di trasferirmi là."
Lenka Milkova ha vissuto quattro anni a Govanhill e ne ha fatto della zona la
sua dimora.
Aggiunge: "Qui mi sento bene. Sono felici di stare qui. E' molto meglio che
tornare indietro e sento per il bene dei miei figli che vivere qui è il mio
futuro e questo la chiamo casa. Le opportunità per noi potrebbero essere
migliori e mi preoccupo che i miei figli siano esposti alle discriminizioni di
altri gruppi giovanili, ma vogliamo lavorare e riuscire."
Marcela dice che ora l'obiettivo è lavorare per migliorare la vita della
prossima generazione di Rom.
Le scuole dell'area si sono attivate per aiutare gli alunni in classe e a
rimanere a scuola.
Marcela, 33 anni, due anni fa ha anche fondato il gruppo Romano Lav -
Voce Romanì in romanes - per dare sostegno ai Rom della zona.
Dice Eva: "Sono stati spesi un sacco di soldi e di sforzi in indagini,
relazioni scritte e impiegati, piuttosto che nel personale e nei servizi di
prima linea. Ma il problema principale è la comunicazione, e speriamo davvero
che gli abitanti di qui vengano a trovarci in Albert Road. Parlare tra noi - è
l'unico modo di risolvere i problemi."
Di Fabrizio (del 25/01/2014 @ 09:05:45, in scuola, visitato 2002 volte)
da
Scheda
Autori:
Daniela Sala
Credits:
Musiche: Grre en famille - "Roots culture"; Grre en famille - "Chacun pour soi"
Data: 18 dicembre, 2013 - 15:56
Sfantu Gheorghe è una piccola cittadina nel nord della
Romania che conta 60mila
abitanti e si trova nella regione storica della Transilvania. In questa zona la
minoranza seclera
(di lingua ungherese), costituisce circa il 75% della
popolazione, mentre nella sola Sfantu Gheorghe la popolazione di etnia rom è
stimata tra le 5 e le 6mila persone. Duemila di loro vivono ad
Orko, un
quartiere ghetto ai margini della città. Ufficialmente, almeno stando ai dati
dell'ultimo censimento, in tutta Sfantu Gheorghe le persone di etnia Rom non
sarebbero più di 200.
Nella sola scuola di Orko, la scuola San Filippo Neri che va dall'asilo alle
medie, i bambini iscritti sono più di 500. Tutti Rom. "Non è una scuola per Rom
- ci tiene a precisare Robert Kiss, direttore della scuola - chiunque può
iscrivere i propri figli qui". Semplicemente, spiega, è la scuola di questo
quartiere e trovandosi a ridosso del quartiere rom è normale che i genitori
iscrivano i propri figli qui. Peccato però che a ridosso della scuola abitino
anche famiglie di etnia ungherese: tutti i loro figli sono iscritti ad altre
scuole in città.
La scuola di Orko esiste grazie ad un prete, Markos Andras. Mandato qui
all'inizio degli anni '90, visto che la maggior parte dei rom qui sono di
religione cattolica, Andras fece costruire un luogo di ritrovo per gli abitanti
del luogo. In breve si rese conto che la maggior parte dei bambini e ragazzi di
Orko non sapeva né leggere né scrivere e i pochi che frequentavano le scuole in
città erano fortemente discriminati e abbandonavano gli studi dopo pochi anni.
Così nel 1999 la struttura è stata convertita in una scuola e da allora funziona
ininterrottamente. Lo spazio è poco e i bambini molti, così le lezioni si
svolgono in due turni, mattina e pomeriggio.
L'analfabetismo, rispetto a 15 anni fa è certamente in calo, ma i numeri
testimoniano un tasso di abbandono scolastico tuttora altissimo. Se infatti gli
alunni iscritti alla prima elementare sono 59, quelli di quinta sono meno della
metà, solo 23. E alle medie va ancora peggio: 25 in prima media, 18 in seconda e
solo 10 in terza.
Il caso di Orko è tutt'altro che è un caso isolato: nel 2006 30 città rumene
hanno ricevuto dei fondi dall'Unione europea per l'integrazione scolastica dei
minori rom e per 4 anni, fino al 2010 la regista e attivista per i diritti umani
rumena Mona Nicoara ha seguito e documentato le vite di 3 studenti Rom di Targu
Lapus per vedere come l'integrazione stava funzionando. Il risultato è il
documentario "Our school" (vedi
QUI, ndr.): i giovani protagonisti non solo alla fine non sono
integrati nelle scuole della città ma sono addirittura spostati in una "scuola
speciale" per disabili mentali. Nel 2007 la Corte europea per i diritti
dell'uomo ha condannato la segregazione scolastica dei rom come una violazione
della dignità umana. Sentenza ad oggi senza conseguenze.
Di Fabrizio (del 24/01/2014 @ 09:03:17, in Italia, visitato 1906 volte)
Volantino distribuito stamattina all'apertura del
Terzo Forum delle politiche sociali, presso il Teatro Elfo Puccini in
Corso Buenos Aires, 33 MILANO
E' passato un anno dall'ultimo Forum delle Politiche Sociali. In questo lasso
di tempo abbiamo cercato più volte di richiamare l'attenzione
dell'Amministrazione comunale sulla grave situazione del campo rom di via Idro,
comunale e regolare, abbandonato a sé stesso da ormai troppo tempo.
Abbiamo chiesto che tornasse a occuparsi del campo, tempestivamente e con
adeguate risorse economiche e umane, riqualificando gli spazi comuni,
ripristinando la legalità e le basilari condizioni di sicurezza e vivibilità,
individuando un "gestore" capace e affidabile, coinvolgendo
i cittadini della
zona 2 e il Consiglio di Zona.
Abbiamo avuto vari incontri con l'assessore Granelli, siamo stati ascoltati e
rassicurati, ma alle parole sono seguiti pochi fatti. Proprio pochi e di poco
rilievo.
Intanto la situazione si è ulteriormente deteriorata. Alcune famiglie sono state
costrette a scappare dal campo perdendo tutto quello che avevano. In una
sciagurata lite ci è scappato il morto. Altre famiglie ricevono quotidiane
minacce e si sono rassegnate a lasciare a loro volta il campo, ma per loro non
si riesce ancora a trovare una soluzione adeguata.
Per effetto di questa situazione è diminuita la frequenza scolastica e si sono
del tutto interrotte le attività volontarie - educative, ricreative e sociali ‑
condotte nel campo e in particolar modo nel Centro polifunzionale, che è stato
devastato nell'indifferenza generale e risulta ormai inutilizzabile.
Poteva andare diversamente? Pensiamo di sì, e comunque non crediamo che possa
essere tutto attribuito alla cattiva sorte. Per il campo di via Idro si sarebbe
almeno potuto tentare di fare qualcosa, ma non si è fatto niente. Se ciò è
dovuto a una scelta non lo sappiamo, ma se fosse così, è evidente che non si è
trattato di una scelta giudiziosa.
Allo stato delle cose, la riqualificazione del campo è diventata, se non
impossibile, certamente molto difficile e il problema della comunità rom di via
Idro, formata da un centinaio di cittadini italiani, resta irrisolto.
Ed è questo problema che vorremmo sottoporre all'attenzione del Forum,
accogliendo l'invito dell'assessore Majorino ‑ che finora si è tenuto fuori
dalla questione di via Idro, come se non lo riguardasse. Non ci aspettiamo che
sia risolto in questi giorni, ma non vorremmo che tra un Forum e l'altro le cose
restino così come sono, o trovino il modo di peggiorare.
La Rete delle associazioni e degli amici della Comunità rom di via Idro
ciclostilato in proprio - 24 gennaio 2014
Di Fabrizio (del 23/01/2014 @ 09:10:01, in Italia, visitato 1553 volte)
Posted
on 15 gennaio 2014
La voce degli attivisti rom e sinti
Come accaduto per i miei genitori, che hanno vissuto
sotto i ponti per due anni. Ed è lì che mio padre è stato colpito da un ictus.
Di Gladiola Lacramioara Lacatus.
Molti dei rom che abitano in Italia, in particolare nella regione in cui vivo
io, la Calabria, sono arrivati da altri Paesi per vari motivi, come la ricerca
di un lavoro per poter mantenere i propri figli.
Cercano di dare loro un futuro migliore.
Arrivati qui, però, si ritrovano spesso a vivere in pessime condizioni, perché
la maggior parte di loro non ha il documento d'identità, il codice fiscale, e
per avere questi documenti devono essere in possesso di alcuni requisiti, come
un alloggio e una retribuzione.
Il punto è che per entrare in possesso di questi requisiti hanno bisogno di
un
lavoro regolare e non in nero. E per dei rom che si ritrovano spesso costretti a
vivere nei campi, isolati dal resto del mondo, questo non è affatto scontato.
Senza questi criteri e documenti non possono usufruire del servizio medico
sanitario.
Ed è questa la situazione che vivono anche i miei genitori, arrivati in Italia
dalla Romania, i quali sono oggi ospiti presso una casa d'accoglienza per
persone in difficoltà. I miei genitori hanno vissuto sotto un ponte per circa
due anni ed è lì che mio padre ebbe un ictus, che lo ha limitato nella
deambulazione e uso della parola.
Nonostante adesso siano in una struttura e non più per strada, non hanno i
documenti e l'assistenza medico sanitaria, e questo perché mia madre non ha
trovato un lavoro.
Sono 5 anni che non sento la voce di mio padre, che non posso avere una
conversazione con lui, spesso mi ritrovo a piangere e a volte a darmi la colpa
di tutto ciò.
Abbiamo problemi con i farmaci che sono molto costosi e non possiamo
permetterceli: mamma chiede spesso aiuto a persone che hanno l'assistenza
medica, ma questo non potrà farlo ancora per molto.
Grazie all'aiuto delle suore presso le quali sono ospite, abbiamo portato mio
padre in comune per iscriverlo all'anagrafe, però ci hanno detto che se non ha
un lavoro fisso non può essere iscritto all'anagrafe.
Io e mia sorella siamo ospiti presso una casa famiglia da 6 anni, da quando
abbiamo avuto un incidente nel campo dove alloggiavamo (vivevamo dentro una
baracca costruita dai nostri genitori).
E' difficile vivere in queste condizioni soprattutto per le persone malate, che
hanno difficoltà nel trovare lavoro.
Spesso si crede che i rom non vogliano vivere nelle case e non vogliano lavorare
come tutti gli altri cittadini. Ma non è vero. Sono le difficoltà che incontrano
qui in Italia, la vita nei campi, la discriminazione e i
pregiudizi diffusi nei
loro confronti, che li spingono ai margini della società.
Spero che un giorno l'Italia diventi un Paese dove anche i rom potranno vivere
normalmente. Insieme agli italiani. Senza più discriminazioni e pregiudizi.
*nella foto Gladiola
Mercoledì 29 gennaio, ore 20.45
Libreria Popolare, via Tadino 18 - Milano
Incontro con l'autrice Hajrija (Maria) Seferovic in compagnia
di Frances Oliver Catania e Fabrizio Casavola
Un piccolo libro che rappresenta una scommessa: avevamo incontrato qualche
anno fa questa anziana signora in un suo momento di grave difficoltà.
Assieme, si è provato ad affrontare i problemi (ancora irrisolti) e ci si è
conosciuti meglio.
Sempre assieme, si è messo per iscritto tutto quello che Maria Seferovic
ricordava di una vita, suo malgrado, avventurosa, i consigli e le conoscenze che
avrebbe potuto dare a qualche concittadino più giovane. Partendo da quello che
può interessare tutti noi: COME STAR BENE E COSA CUCINARE, aggiungendo qualche
altro rimedio e ricetta, e farcendo il tutto con qualche racconto nato proprio
nel suo nord est milanese.
Vi proponiamo, durante questo incontro, di provare a rifare lo stesso percorso
di conoscenza e di amicizia, parlando di viaggi e della cultura che nasce dal
continuo spostarsi, di rimedi naturali, di cucina (esotica?), concedendole un
sipario che le è stato a lungo negato.
Ed infine, la storia, grande e piccola: i due conflitti che hanno segnato la sua
vita. Perché, ci ritroviamo a due giorni dalle celebrazioni del Giorno della
Memoria, e visto che il rischio è di dimenticarsene subito, un buon modo per
tenere viva la memoria è cominciare a conoscersi, attraverso quella cultura che
è il vivere quotidiano.
Maria Seferovic forse l'avete intravista per la prima volta ripresa nel film
"Io, la mia famiglia rom e Woody Allen", arrancare con un carrello della spesa
nelle campagne lombarde. Nasce a Travnik (attuale Bosnia) nel 1938, prima di
cinque figli. La famiglia si spostava spesso per guadagnarsi da vivere con la
vendita di cavalli, e facendo pentole e piatti di rame che vendevano ai mercati.
Dalla fine degli anni '60 con la sua kumpanja alterna soggiorni in Italia e
nell'ex Jugoslavia, che abbandona definitivamente allo scoppio del conflitto
negli anni '90.
Attualmente risiede nel nord est milanese. Anche se scrive lentamente e a
fatica, è un'autentica enciclopedia vivente.
di Zuzanna Krasnopolska in
Società Italiana delle Lettere|
Bronisława Wajs - detta Papusza, poetessa dimenticata, incompresa e sconosciuta,
è stata riscoperta nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua storia scritta
dalla giornalista Angelika Kuzhniak e intitolata Papusza. In più il film scritto
e diretto da Joanna Kos-Krauze e di Krzysztof Krauze "Papusza" (i coniugi-autori
del premiato "Nikifor" del 2004) ha fatto riscoprire l'eccezionalità di
quest'artista così insolita.
Bronisława Wajs nasce... non si sa quando. Gli zingari non prendono nota delle
date sul calendario, regolano il passare del tempo in base al ritmo della
natura. Bronisława nacque nel giorno in cui gli agricoltori terminarono la
mietitura del grano, metà agosto del 1910 (o 1908 o 1909, secondo le diverse
testimonianze). Il padre rimane una figura sconosciuta, la madre è una zingara
galiziana. La ragazza cresce in mezzo alla natura, osserva attentamente gli
alberi, i fiori, gli uccelli. Di sera siede al ruscello e canta. Sa anche
ballare bene. Conosce il potere magico delle erbe. E' bellissima, la chiamano "Papusza",
cioè "Bambola".
Zingarella povera, giovane,
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l'oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli (frammento di "Orecchino di foglia", p. 57)
Impara a leggere e a scrivere da sola, comprando (e pagando con galline rubate)
qualche minuto di lezione dai ragazzi che frequentano le scuole e da una
commessa ebrea. Conosce Jerzy Ficowski (1924-2006) - poeta, critico, scrittore,
traduttore, studioso di Bruno Schulz e della cultura zingara ed ebrea - che dopo
aver letto le sue poesie, s'impegna a promuoverla, a tradurla in polacco
(mantenendo l'asprezza dello stile), a farla pubblicare (e dunque guadagnare) e
a iscriverla all'Associazione dei Letterati Polacchi con tutti i privilegi che
ne derivano, inclusa la pensione. Grazie a Ficowski incontra Julian Tuwim
(1894-1953) - uno dei fondatori del movimento poetico "Skamander", forse uno dei
più grandi poeti polacchi - che trova le poesie della Wajs piene d'innocenza e
di onestà, virtù che lui stesso cerca di trasmettere. Le creazioni di Papusza
sono apprezzate anche da altri, tra cui Wisława Szymborska.
Fino a questo punto la vita di Papusza sembra una favola. La realtà però non è
il mondo delle fiabe e così ben presto arriva un'ombra che offusca e distrugge
questo mondo idilliaco.
Prima la seconda guerra mondiale, con la persecuzione e la strage degli zingari
(il numero totale degli zingari ammazzati in Europa Orientale rimane
sconosciuto). L'esistenza ridotta al minimo: la fame attenuata con qualche
corteccia, le notti passate fra le canne con le gambe in acqua gelata, il tifo,
la morte delle persone care. Dopo il massacro arriva il nuovo regime, nuove
regole, nuove persecuzioni. E' sterile, adotta un bambino (che chiama Tarzan,
affascinata dall'immagine di un ragazzo selvaggio seduto su un ramo accanto a
una fanciulla), figlio di uno zingaro e una gagi. Dopo la pubblicazione di
qualche articolo sulla cultura zingara di Ficowski e qualche poesia di Papusza,
gli zingari smettono di fidarsi di lei, cominciano a trattarla come una spia,
traditrice dei loro segreti. La Wajs è costretta a fuggire con il figlio e il
marito arpista (in effetti suo zio, fratello del patrigno, molto più grande di
lei), ma le persecuzioni continueranno per tutta la vita e la porteranno
all'esaurimento nervoso. Bronisława Wajs muore... questa volta la data è certa -
l'8 febbraio 1987. Le infermiere diranno che poco prima di morire, Papusza si
toccava le orecchie in cerca dei suoi orecchini preferiti, fatti con le galle di
quercia:
Dov'è il mio orecchino preferito?
Si sarà nascosto nel bosco selvatico?
Quanto mancano agli occhi neri
Questi miei orecchini cari! (frammento di "Orecchino di foglia", p. 56).
Papusza è considerata la più grande poetessa zingara polacca. Zingara, sì, e
fiera di esserlo, addirittura rideva quando si sentiva chiamare con quella
parola politicamente corretta e artificiale "rom". Zingara polacca, anche se
spesso si sentiva dire di tornare "nel suo paese". Le poesie trasmettono un
senso di pace, anche quando descrivono le persecuzioni più atroci. Saranno i
suoi occhi da bambina, meravigliata di fronte allo spettacolo del creato, a
diffondere questa unica sensazione di quiete. Proprio come una bambina chiede
alle stelle di rendere ciechi i nemici:
Ah, tu, la mia buona stellina! [...]
Acceca gli occhi ai tedeschi!
Torci le loro vie!
Non mostrargli la strada giusta!
Conducili per il sentiero infido,
perché sopravviva il bambino ebreo e zingaro. (frammento di "Lacrime di sangue -
cosa abbiamo vissuto al tempo dei nazisti in Volinia nel '43 e '44", p. 68).
E come una bambina non tratta seriamente i propri versi, anzi, si stupisce ogni
volta che qualcuno la considera una persona importante: "Son venuti a parlare
con me? Ci sono poeti, ci sono poesie belle, favole meravigliose, ma io son
niente. Non possiedo nessuna istruzione, nessuna scuola. Cosa può dire una
vecchia Zingara che assomiglia ad un porcino dimenticato nel bosco di autunno?
Sono una ragazza povera, vivo sotto il cespuglio. Nervosa, ho un'anima
piccolissima. Sono una persona ordinaria, forse peggiore degli altri" (p. 20).
Ovvero: "[Dicono che scrivo] poesie, ma non sono poesie. Canzoni. Le poesie son
roba diversa. Ci vogliono le rime, la canzone è semplice. La canzone è
inferiore. E la poesia è in alto, ci vuole gente istruita. Ci vuole l'università
ed io non ho finito neanche una classe. Non posso scrivere poesie". (p. 70).
Come una bambina commette molti errori di ortografia, di sintassi, di
interpunzione. Nelle lettere indirizzate a Ficowski o a Tuwim si scusa della
calligrafia che considera racchia. Ma è proprio grazie a questo suo modo di
scrivere unico che il lettore riesce a vedere meglio il mondo descritto, riesce
anch'egli a diventare bambino.
Quello che scrive rimane sempre legato alla sua identità, al suo essere zingara,
che la porta a delle considerazioni sorprendenti: "Oggi se una Zingara è brava,
sa leggere meglio il futuro, se è scema non sa più farlo. Dice qualsiasi cosa
per guadagnare e andare avanti. Io per esempio leggo il futuro in modo psichico:
riconosco se una persona non è di umore giusto e quando è amata e innamorata,
riconosco dalla sua fronte che tipo di persona può essere; se è buona o cattiva,
se saggia o stupida, se caratterizzata da una forte volontà oppure debole.
Quando leggo le carte assumo un'espressione seria e leggo il futuro con la
serietà. Lo stesso fa un poeta, penso. Ci deve essere qualche spirito, qualche
respiro e subito si sa tutto". (p. 65). La capacità di osservazione e lo spirito
di curiosità la portano alla riflessione sull'origine, sul significato e sul
senso della parola: "La mia canzone è silenziosa come una lacrima. Io canto a me
stessa, non a qualcuno. Da quando ero bambina qualcosa in me non andava bene.
Avevo paura perché non sapevo da dove provenivano le parole, chi me le ha
insegnate. Diciamo "foglia", "uccello", "prato", ma è vero quello che diciamo?
Forse Dio ha fatto sì che noi ci siamo accordati a parlare così?". (p. 82).
Dopo molti anni,
ma forse molto prima, tra poco,
le tue mani troveranno la mia canzone.
Da dove è venuta?
Nel giorno o nel sonno?
E mi ricorderai, mi penserai -
era una favola
o vero era?
E ti scorderai
delle mie canzoni
e di tutto. ("Canzone", p. 83).
Il 2013 è stato l'anno di Papusza in Polonia. Il libro di Angelika Kuzhniak è una
forma di reportage dove i frammenti degli scritti della Wajs, le trascrizioni
delle vecchie interviste e il racconto della Kuzhniak si intrecciano senza un
particolare ordine cronologico, ma con la tenerezza di qualcuno che vuole bene
al soggetto che sta cercando di ritrarre. Il film di Joanna Kos-Krauze e
Krzysztof Krauze, assolutamente fenomenale e girato in bianco e nero, si
concentra sull'eccezionalità della figura di Papusza, una donna straordinaria
che ha avuto il coraggio di essere se stessa. La pellicola è stata già
apprezzata durante il Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary.
***
- Tutte le citazioni provengono da Papusza di Angelika Kuzhniak (ed. Czarne,
Wołowiec 2013).
- Le poesie provengono dalla raccolta Lesie, ojcze moj [Bosco, padre mio] di Papusza (ed. Nisza, Warszawa 2013).
- Trailer del film
Papusza (diretto da Joanna Kos-Krauze, Krzysztof Krauze, 2013):
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LM n.82, Papusza, poesia |
Può esistere un'immagine più "irrispettosa" di questa,
riguardo il GIORNO DELLA MEMORIA? Cosa ci fa qua e perché, lo scoprirete leggendo
questo post...
di Jovica Jovic - Cari amici, c'è una cosa che da tempo mi fa stare
molto male, soprattutto di questo periodo. E non è la salute, non sono i
soldi... è quella parola: PORRAJMOS.
Ogni anno, l'ultima settimana di gennaio ci incontriamo, voi a sentirmi e io
a suonare, per la Giornata della Memoria, e quella parola ritorna puntuale.
Voi, magari, la dite perché l'avete sentita da qualcuno istruito e, come noi
Rom, la ripetete perché quello che è accaduto allora fu di una tale violenza,
che dopo tutti cercarono un termine per descriverlo. Gli Ebrei trovarono la
parola Shoa, tra i Rom cominciò a diffondersi "porrajmos".
Quello che molti di voi non immaginano, è che la parola nella mia lingua
significa STUPRO (si può usare solo per gli organi sessuali), quindi è estremamente violenta, ma del tutto inadatta ed
offensiva ad essere pronunciata per descrivere gli stermini della seconda guerra
mondiale. Può andare bene per qualcuno di voi, ma io non potrò mai dirla di
fronte alle mie figlie, di fronte a una qualsiasi famiglia rom.
Ecco, parlerò a qualcuno di voi, sperando che mi capiate. Tenterò di essere
calmo e comprensibile, e per questo devo spiegarvi alcuni termini della mia
lingua (i termini in lingua romanés sono stati adattati alla grafia
italiana, ndr.) :
- PORADJOS: donna, apri le gambe.
- PORAVESLES tu
- PORAVASLES noi
- PORAJMOS in tanti, assieme, come fare un'ammucchiata.
Per essere completi, esiste nella nostra lingua anche (due parole staccate) PO RAJMOS,
che si può tradurre con "la signorilità", ma è ovvio che questo non ha alcuna
relazione con l'uso che si dovrebbe fare della parola.
Quello che ho detto vale per la maggioranza dei Rom e dei Sinti - non pensate che il mio sia un capriccio: ho 60 anni, e sono figlio di una
famiglia che ha partecipato alla II guerra mondiale, lì sono morti mio nonno,
mio zio e poco dopo mio fratello che aveva contratto il tifo. La storia è
raccontata nel libro
Niente è più intatto di un cuore spezzato. Per me ricordare oggi quegli
anni, usando quella parola, è come mancare di rispetto a loro e ucciderli
nuovamente.
Tra i Rom, c'è chi non parla più il romanés, e altri che lo parlano per
sentito dire, magari adattandolo alla lingua del paese dove vivono. Anche loro
parlano allora di "porajmos" senza sapere di cosa si tratti. A loro non posso
rimproverare molto. Ma quando ho parlato di questi miei sentimenti a Rom
influenti e di cultura, mi è stato risposto pressappoco così: "Jovica, tu
hai ragione. Ma ormai è tardi, è una parola che sta circolando da tempo e quello
che tu chiedi non ha un valore pratico, anzi sarebbe anche impopolare".
Avrà poco valore e sarà impopolare forse per loro, per me è una questione di
rispetto per me e per l'affetto alla mia famiglia.
Con voi gagé le cose non sono andate molto diversamente. Ho scritto a molte
persone di cultura, a molti che vivono nel mondo dell'informazione e della
divulgazione. Le stesse persone che mi chiamano a suonare. Non ho avuto
risposta. Durante i concerti, chiedo che se ne parli, ma non c'è mai il tempo
pratico per farlo. Solo Moni Ovadia, durante la presentazione milanese
del libro "La meravigliosa vita di Jovica Jovic", che ha scritto con Marco
Rovelli, ha rotto infine il muro del silenzio.
Allora che termine usare, mi chiederete? Ultimamente, ho sentito adoperare
SAMUDARIPEN, viene dalla parlata dei Rom Khorakhané, significa "totale
omicidio". Anche i Rom Abruzzesi hanno un termine simile: MUNDARIPE'. Il termine
esatto da adoperare sarebbe BARO MUNDARIMOS LE MANUCHENGO, cioè:
- BARO = grande
- MUNDARIMOS = omicidio totale
- LE MANUCHENGO = dell'umanità.
Si sarebbe potuto dire LE RROMENGO, ma in questo caso si sarebbe reso omaggio
solo alle vittime rom, con MANUCHENGO invece io ricordo anche gli Ebrei, gli
omosessuali, i Testimoni di Geova...
Questo è tutto. Non mi importa di quanti sono stati zitti sinora, io andrò
avanti finché campo a difendere le mie idee e i miei ricordi. Se volete, se
avete capito, datemi una mano a far circolare questi pensieri, anche sulla
stampa, anche su Facebook, dovunque. E forse, riusciremo assieme a fare un po'
di luce, su tutti i defunti uccisi dal razzismo e dal fascismo
Grazie.
Nota del redattore: Sembra destino che sul Giorno della
Memoria io debba incrociare la strada di Jovica: è successo nel
2011 e poi nel
2012 fu lui a stimolare le mie riflessioni. Come mai?
- Jovica, valente musicista, è un amico che rispetto.
Conoscendolo, trovo che quell'etichetta "musicista" sia
limitativa per una persona intelligente e di grande senso morale
come lui.
- Non ha importanza (anzi, ne ha molta, ma non intendo
scrivere di questo) se quanto Jovica ha affermato sopra possa
essere condivisibile o di vostro gradimento. La cosa importante,
per me, è che possa esprimersi sulla storia della sua famiglia,
sui suoi valori, e questo non possiamo portarglielo via, come se
fosse un campo o un documento.
Non so neanche dove arriveranno le sue parole, la strada è lunga e
affollata da gente che ruba idee e frammenti di vita ai Rom, e tenta poi di
spacciarli come se fossero una loro invenzione. In mezzo a tante grida, Jovica ha
salvato la sua fisarmonica. E' ora che si salvino anche le sue idee.
Anche questo video, per terminare, potrà sembrare irrispettoso, ma almeno è
allegro. Perché, ricordando questa giornata, le giovani generazioni e la loro
gioia sono il nostro solo comune futuro.
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