Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 17/03/2013 @ 09:02:39, in scuola, visitato 1319 volte)
CORRIERE IMMIGRAZIONE 10 marzo 2013 | Cesare Moreno
Nadia, giovane rom, non vuole saperne dei libri... Appunti e riflessioni di uno
storico "maestro di strada".
Lunedì pomeriggio mi trovavo a Cosenza nel Circolo di via Popilia mentre erano
in corso le ultime attività del "doposcuola" frequentato da molti bambini dei
campi Rom. C'è anche Pamela (nome di fantasia, molto diffuso in quella
comunità), madre di Nadia (altro nome di fantasia) che in prima media ha smesso
di andare a scuola prima di dicembre e ora sembra, insieme alla madre, essere
ritornata sui suoi passi. Per sommi capi conosco la sua storia e c'è qualcosa
che non torna nel racconto che mi è stato fatto; quasi distrattamente, ma con
intento provocatorio le dico:
"Perché Nadia non vuole andare a scuola, è lei che non vuole mandarcela!".
Pamela non si scompone:
"Ma no, è lei che da sempre la scuola non gli entra in testa".
"Allora significa che il suo errore è cominciato da molti anni!".
Ancora non si scompone:
"Già alla scuola materna non voleva andare".
"Se è per questo anche mio figlio non voleva andarci, alla fine ha vinto lui,
però poi alla scuola elementare c'è andato. So che anche sua figlia c'è andata".
"Sì ma sempre senza voglia, non l'ha mai accettata".
Interloquisce Franca:
"Ma no! Fino alla quinta andava tutto bene, poi in quinta è successo qualcosa
che non so ed è cambiata".
"Allora, - insisto - è lei che non vuole mandarla, e cosa fa tutto il giorno?".
"Si alza tardi, verso le nove e mezza, poi passa il tempo così. Devo dire che
nei lavori di casa è coscienziosa, li fa volentieri".
Nel frattempo vedo sgusciare all'esterno una ragazzina che intuisco essere lei:
è alta, slanciata, capelli lunghi sciolti, una figura che per quel poco che ho
visto mi sembra di portamento elegante.
Finalmente Pamela reagisce:
"Io ho fatto fino alla prima elementare, poi ho abbandonato. Vorrei che lei
facesse la scuola perché solo le scuole danno il pensare" e si tocca la fronte
con le dita della mano riunite: il gesto che indica il pensare. "Ma lei con la
scuola proprio non si trova".
Poi ripete interrogativamente: "Perché solo la scuola dà il pensare".
Franca ripete che è successo qualcosa in quinta. Io invece resto senza parole; è
la prima volta che sento riassunto in una sola frase ciò che faticosamente, da
anni cerco di ripetere a tanti miei colleghi e compagni di lotta per
l'educazione: la scuola serve innanzitutto a se stessi, a costruirsi gli
strumenti di pensiero. E questa scena non mi esce di mente e continuo a pormi
delle domande, la prima delle quali vi giro: perché Pamela insiste a voler
retrodatare il disimpegno scolastico della figlia, nonostante evidenti prove
contrarie? E lo chiedo perché in migliaia di incontri avuti con i genitori di
allievi "difficili" è una affermazione piuttosto frequente.
La seconda domanda è cosa è successo in quinta, ma soprattutto - mi capita
spesso di fare questa domanda durante incontri formativi con docenti ed
educatori - perché vi interessa tanto il saperlo, perché abbiamo un bisogno
direi ossessivo di sapere "cosa c'è dietro"; non possiamo limitarci a vedere
Nadia come è oggi, a immaginare una figura elegante, mentre invece forse è
sguaiata; a immaginarla silenziosa e discreta quando invece, magari, urla al
disopra di tutte le compagne. Se vogliamo incontrare l'allievo dobbiamo avere
innanzitutto uno sguardo contemplativo, uno sguardo non analitico, che non si
separa da ciò che guarda, che si confonde in esso così come facevano i mistici
nei confronti di Dio: un'assenza di pensiero, uno stato fusionale. Senza questa
contemplazione iniziale ogni altra conoscenza sarà raccolta come dato che
inchioda la persona ai propri parametri oggettivi, ossia ad uno stereotipo
costruito con i paludamenti della scienza che non è scienza e non è neppure
conoscenza personale: è una costruzione mentale artificiosa che deve creare
l'illusione del controllo su una realtà che ci sfugge e ci inquieta.
La terza domanda è cosa significa "alleanza educativa" nel caso di Pamela. Io
credo che la frase: "solo la scuola dà il pensare" è il nucleo di una possibile
alleanza, è il punto in cui Pamela ha espresso un suo sogno. Forse appena cinque
minuti dopo avrà fatto qualcosa per smentire questo nobile proposito. Forse farà
molte cose per smentirsi. Ma il senso di una alleanza è proprio quello di
custodire in due una buona intenzione e di potersi appellare a quella intenzione
condivisa, il poter ricordare l'uno all'altro il comune intento. Alleanza
significa che da quel punto può cominciare una narrazione condivisa.
Quando parlo di queste cose vedo che spesso non ci si capisce, molti dicono che
l'alleanza c'è, ma poi non sanno esemplificare, è più implicita che esplicita,
non è stata formalizzata, non c'è stato un rito officiante. Perché un'alleanza
che non sia sufficientemente condivisa dalle parti non è un'alleanza, ma una
dichiarazione unilaterale che trasforma l'asimmetria di una relazione in una
struttura di potere. E quindi insisto che l'alleanza deve avere dei riti
appropriati, una enunciazione davanti ai testimoni giusti, una scrittura, un
simbolo che ce ne faccia ricordare. Dobbiamo potere in ogni momento ricordare a
noi educatori e ai nostri interlocutori quella parte buona di sé che
nell'alleanza si è impegnata.
La quarta domanda è cos'è che impedisce all'istituzione scuola un dialogo umano
con Pamela? Perché nei confronti di Pamela o c'è il disinteresse o si attiva una
catena persecutoria che le contesterà - come ho fatto io provocatoriamente - di
essere una madre sciagurata, di violare i diritti dei bambini, di eludere le
leggi dello Stato e quant'altro. Cos'è che impedisce alle tante donne che di
mestiere fanno le docenti e le educatrici di empatizzare con questa donna, di
capire che non è all'altezza dei suoi sogni perché è sopraffatta dai bisogni,
perché la sua mente non è libera, perché nessuno le riconosce il pensare -
neppure lei stessa - ed il nostro compito non è inchiodarla al suo piatto
realismo, ma sostenerla con i mezzi del pensiero e della riflessione a
migliorare se stessa. Ecco cosa potrebbe significare fare un lavoro educativo
con i genitori degli allievi 'che la scuola non gli è mai piaciuta'.
A Nantes i taxiphone per ascoltare i Rom hanno suonato più di 700 volte
- 14 febbraio 2013
Installazione tanto artistica quanto militante, "Lo strano taxiphone"
dell'associazione "Etrange Miroir" mira a far cadere i luoghi comuni sui Rom.
Ritorno su un'esperienza che ha saputo interrogare il pubblico sulla tematica
dell'altro e dei pregiudizi.
Circa 700 persone, da febbraio 2012, hanno ascoltato nelle cinque cabine
telefoniche create dall'associazione "Etrange Miroir", documenti audio destinati
a fare cadere i luoghi comuni e i timori circa la popolazione Rom.
"All'origine, si trattava di un progetto allestito nel quartiere "Montaigu",
dove dimorano dei Rom sedentarizzati", spiega Marie Arlais, incaricata di
progetti in seno all'associazione. "Benché siano installati da due anni a Montaigu, restano ancora confrontati a tabù, timori, perfino reazioni non sempre
comprensive".
Essendo destinato inizialmente a un pubblico giovane (15-17 anni), spostato in
seguito in due festival ("Spot" a
Nantes, e "L'oeil du bouillon" a
Clisson), poi
durante una quindicina di giorni a "L'espace international nantais Cosmopolis"
nello scorso ottobre, l'ingegnoso taxiphone ha fatto sentire dei suoni che hanno
permesso di fare, o rifare, il legame sociale con questa popolazione sempre poco
o per nulla ostracizzata.
Abbelliti con delle musiche originali di Raphael Rialland e David Rambaud, i
documenti audio della durata di 3 a 7 minuti, comportano tanto delle
registrazioni di suoni ambientali – momenti di vita – quanto testimonianze o
spiegazioni "pedagogiche" formulate da una collaboratrice sociale.
Un mezzo di espressione per i Rom
Questo progetto di esposizione audio, da voce a una decina di queste persone. I
montaggi audio approcciano non solo le discriminazioni subite da questa
popolazione (economiche, sociali, culturali, civiche) ma permettono di apportare
uno sguardo umano sulla vita quotidiana di questi nuovi residenti, il loro
itinerario particolare e il loro paese d'origine.
Il progetto ha beneficiato di un aiuto della Regione, di 1.000 euro. Una fiducia da
quel momento rinnovata per l'associazione, la quale da allora, si è lanciata in
un altro progetto, forte di un ulteriore aiuto di € 5'000: "Mother Border", un
documentario muto che deve essere "diffuso e recitato in live", da quattro
musicisti e una lettrice. Una creazione sempre situata in mezzo all'ambizione di
"legare la pratica artistica a una riflessione sociale e cittadina, vicina a una
strategia di educazione popolare". Si tratta questa volta di un lavoro sulla
condizione dei giovani tunisini arrivati in Francia, in seguito alla "Rivoluzione
dei Gelsomini" del 2010-2011.
Per saperne di più:
http://etrangemiroir.org/
A Mantova, Giovedì 21 marzo 2013, per la GIORNATA MONDIALE CONTRO IL RAZZISMO,
dalle ore 17.00, sarà presentato il 5° Rapporto annuale di Articolo 3
Osservatorio sulle discriminazioni.
In concomitanza sarà presentato il Rapporto ENAR sul razzismo in Italia e sarà
aperto un dibattito sul futuro dell'antidiscriminazione in Lombardia con i neo
eletti in Consiglio regionale.
A tutti i presenti all'evento sarà donata copia del Rapporto 2012
Di Fabrizio (del 19/03/2013 @ 09:08:53, in Italia, visitato 2376 volte)
ilReferendum di Valentin Ipuche
"Sporchi. Ladri. Criminali. Sempre pronti a portarci via i nostri bambini,
nascondendoli sotto una lunga gonna di stracci, non appena distogliamo lo
sguardo. Non serve neanche esplicitare il soggetto, perché questi pregiudizi
rimandano senza esitazione all'idea comune dello zingaro."
Così recitava il volantino di invito all'incontro sull'antiziganismo tenuto dal
docente di antropologia culturale Leonardo Piasere al primo piano
dell'Università di Verona.
In un'aula piccola ma gremita i ragazzi del collettivo
Studiare con lentezza,
promotori dell'incontro, hanno fatto riferimento alle problematiche dell'Aula
Zero, un'aula autogestita aperta a tutti gli studenti. Lo spazio rischia infatti
di essere chiuso dopo i fatti del 12 febbraio, quando in occasione di un
incontro sulle foibe i ragazzi del collettivo hanno subito un'aggressione da
parte di formazioni neofasciste veronesi.
Il tema"antiziganismo" molto articolato e complesso è stato affrontato in modo
dialettico, rispondendo alle domande piuttosto che con l'uso del monologo.
Il concetto dell'identità nelle diverse realtà rom, la storia dei movimenti
migratori dei più grandi gruppi come i sinti, i calderas, etc e il ruolo della
tradizione sono elementi chiave per comprendere il razzismo condiviso nei loro
confronti. Elementi comuni ma anche di diversità come il tema dell'omosessualità
all'interno di tali comunità, tenendo sempre presente che non si può
generalizzare: le popolazioni romanì in Europa sono composte da 11 milioni di
persone. Questo vuol dire che se fossero la popolazione di uno Stato ufficiale
sarebbe il 12esimo all'interno dell'UE per numero di abitanti, e avrebbe diritto
a 22 rappresentanti nel Parlamento comunitario. Tanti quanti l'Olanda.
Il relatore, che ha vissuto a lungo all'interno di comunità rom, ha discusso dei
problemi con cui questa convive. Uno su tutti è lo stato di invisibilità totale
in cui vivono molte persone, in condizioni di apolidi di fatto, senza nemmeno il
riconoscimento di apolidia. Ma come gli zingari vedono le popolazioni che li
circondano?
La figura dello zingaro è estremamente stereotipata ed è colma di luoghi comuni
che circondano queste popolazioni. L'alone romantico di mistero esotico che
circondava lo zingaro ha fatto in modo che non troppi decenni fa nella bassa
veronese i bambini "stregati" venissero fatti allattare da balie gitane. Oggi è
totalmente svanito.
Gli zingari lasciano segni segreti sui cancelli, sulle porte: per malocchio o
per segnalare ai complici di una possibilità di furto. Questa è una leggenda
metropolitana nata da un racconto di un autore tedesco risalente agli inizi del
XIX secolo, che tra l'altro parlava di una singola donna che praticava
quest'usanza a scopi mnemonici e non di una comunità.
Nato invece da una commedia veneziana è un altro mito razzista: gli zingari
rapiscono i bambini.
Leonardo Piasere fa chiarezza: quando uno zingaro rapisce un bambino della
comunità locale è rapimento mentre quando lo Stato sottrae alla comunità rom i
suoi bambini è "difesa dell'infanzia". In tale ottica lo studioso ha esaminato
tutti i casi di presunti rapimenti di bambini degli ultimi vent'anni, scoprendo
che in tutti i casi la storia si sgonfiava, tranne in due in cui si è arrivato a
giudizio e ci sono state due condanne, secondo il relatore inconcepibili stando
agli atti.
Nello stesso lasso di tempo lo Stato Italiano ha dichiarato adottabili 300
bambini rom. La probabilità che un bambino rom sia dichiarato adottabile è 17
volte maggiore rispetto a un bambino "comunitario".
In Italia non esiste una politica nazionale in questo ambito, ma solo qualche
regolamento regionale.
Ironico è anche il fatto che per la comunità europea le priorità sono in
quest'ordine l'educazione, il lavoro, la salute e l'alloggio. Per le comunità
romanì l'ordine è specularmene invertito.
La storia del rapporto dell'Italia con queste comunità non è dei più felici. Ci
sono stati campi di concentramento istituiti esclusivamente per gli zingari,
all'interno di un piano studiato a partire dal '36. Un atteggiamento ostile che
non ha mai smesso di perpetuarsi, e che vede la sua massima espressione nei
partiti di estrema destra e nella Lega Nord. Quando Roberto Maroni è stato per
seconda volta ministro dell'Interno sotto Berlusconi ha istituito 5 commissari
straordinari per supervisionare gli zingari, provvedimento bocciato dal
Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi dell'associazione
European Roma
Rights Centre Foundation.
Zoomando ancora di più sul locale, Flavio Tosi sindaco di Verona è stato
condannato nel 2009 in via definitiva per propaganda razzista per una raccolta
firme nel 2001. Insieme a lui la sorella Barbara Tosi (consigliere comunale),
Matteo Bragantini (Commissario Federale della Lega Nord Südtirol e componente
del Direttivo Nazionale Veneto della Lega Nord), Enrico Corsi (assessore), Luca
Coletto (assessore) e Maurizio Filippi (altro esponente del partito).
I leghisti avevano avviato una pesante campagna mediatica per la raccolta di
firme per cacciare gli zingari dalla città, in particolare nei confronti di un
gruppo di famiglie sinti che tra l'altro avevano residenza a Verona, ed erano
quindi incacciabili.
Di Fabrizio (del 20/03/2013 @ 09:04:38, in Italia, visitato 1768 volte)
Relazione consegnata il 16 marzo scorso a Daniela Benelli
(Assessore milanese all'Area metropolitana, Decentramento e municipalità,
Servizi civici), durante il convegno
Oltre via Padova
Premesse
- Quella di via Idro è una comunità rom storica della zona 2, per niente
incline al nomadismo visto che nell'arco di oltre 40 anni si è spostata di soli
2 km. (in accordo con l'Amministrazione Comunale).
- La sua partecipazione alla vita di zona non è una novità degli ultimi anni,
ma risale ad almeno 30 anni fa. I primi tentativi di scolarizzazione risalgono
alla metà degli anni '80. Già con il trasferimento nell'attuale campo di via
Idro, partecipavano alle sedute del Consiglio di Zona (allora in via Padova), a
iniziative in quartiere, organizzandone loro stessi al campo.
- Il nostro gruppo è composito e assolutamente non gerarchizzato, con una
caratteristica che lo distingue da esperienze precedenti di lavoro con i rom:
siamo persone impegnate a vari livelli nell'attivismo di zona, e quindi la
"questione rom" non è un ghetto mentale in cui ritagliare il nostro spazio, ma
una delle molte tematiche che riguardano le periferie, da affrontare
congiuntamente alle altre.
Primi contatti e iniziative
L'insediamento per lungo tempo è stato indicato come "un campo modello per la
realtà milanese", nonostante ci siano sempre stati problemi di vario tipo. La
situazione inizia a deteriorarsi dal 2000, in parte per la caduta di sbocchi
lavorativi della
cooperativa LACI BUTI, fondata dagli stessi rom all'inizio
degli anni '90, in parte
perché i rapporti con le istituzioni comunali, che sono continuati anche con le
prime amministrazioni di centro-destra, vanno via via diradandosi. Il rapporto
col mondo esterno continua quasi esclusivamente tramite la scuola, non a caso la
prima istituzione che li ha accolti.
Occorre dire che nello stesso tempo anche per gli altri insediamenti (comunali e
non) inizia una stagione travagliata, che dipende in parte dal passaggio di
competenze dall'amministrazione centrale ad associazioni esterne, in parte dal
fatto che nello stesso periodo si inizia a mettere in discussione l'esistenza
stessa dei campi sosta, anche se con segnali contraddittori (vedi l'istituzione
dei campi di Triboniano e via Novara).
Attorno al 2006, un primo nucleo di volontari riprende il contatto con gli
abitanti di via Idro. A farlo, inizialmente, sono alcuni membri del comitato
Vivere in Zona 2, già impegnato su altre tematiche del mondo di via Padova e
dintorni. Dopo le prime diffidenze reciproche, il clima si fa più disteso e si
prendono le prime iniziative comuni:
L'altro scopo di iniziative simili è creare un ponte con quanto si va
risvegliando attorno a via Padova, e di creare i presupposti per un lavoro
condiviso.
Questi sforzi rischiano di interrompersi bruscamente nel
settembre 2010, quando al campo arrivano una ventina di lettere di sfratto
che coinvolgono un centinaio di persone, quasi la totalità degli abitanti.
In questa situazione di crisi effettiva, al nucleo iniziale del gruppo si
aggiungono (continueranno a farlo in seguito) associazioni, volontari,
cittadini, anche esponenti di partito. Il gruppo non perde la sua caratteristica
di informalità e continua a essere composito e non gerarchizzato.
Altri punti caratterizzanti l'esperienza del gruppo sono:
- l'attenzione al diritto ad abitare, coniugata con il NO unitario al paventato
campo di transito;
- il coinvolgimento attivo della comunità rom, o quantomeno di chi è disposto a
farsi coinvolgere, e l'attenzione alla sua autodeterminazione (come gruppo
discutiamo di continuo con gli abitanti del campo e sosteniamo le loro scelte,
ma in caso di divergenze non imponiamo la nostra volontà);
- la rivalutazione dell'insediamento esistente;
- l'attenzione al nesso tra abitare, lavoro e sostenibilità delle soluzioni
individuate;
- il contrasto alle politiche anti-rom;
- il contatto con analoghe esperienze cittadine;
- infine, un rapporto stretto col Consiglio di Zona e con il quartiere.
Su queste basi, seguono altre iniziative pubbliche:
- febbraio 2010: l'incontro pubblico
"Oltre la paura. Dare cittadinanza alla
questione rom", molto partecipato, che non si limita ai problemi della zona, ma
offre un momento di confronto con varie realtà milanesi;
- marzo 2011:
denuncia degli sgomberi immotivati, che ottiene una discreta
risonanza mediatica;
- maggio 2011: festa pubblica al campo (la prima dopo quasi una quindicina
d'anni), che diventa una specie di evento d'apertura della festa "Via Padova è
meglio di Milano" e vede una partecipazione inaspettata da parte degli abitanti
della zona.
Un sommario bilancio di questo primo periodo possiamo illustrarlo in questo
modo, evidenziando i risultati ottenuti e i limiti del nostro intervento:
Pregi
- Iniziative pubbliche;
- sinergie col lavoro su via Padova;
- coinvolgimento attivo di parte del campo;
- ampia discussione in mailing list e presenza sul web.
Limiti
- scarsa attenzione da parte dell'amministrazione centrale;
- carenza di unitarietà tra i temi sollevati;
- incapacità di coinvolgere nel dialogo tutti gli abitanti del campo.
Un nuovo quadro
Le votazioni di maggio 2011 vedono protagonisti anche i rom dell'insediamento di
via Idro (chi ha detto che i rom non votano?), complici anche le dichiarazioni
del sindaco Moratti e del vicesindaco De Corato, che per tutta la campagna
elettorale ripetono che il campo è destinato a chiudere, dimenticandosi di
precisare come, quando e soprattutto perché.
È da precisare che gli abitanti dell'insediamento sono tutti cittadini italiani,
e questo pone difficoltà alle autorità nell'adoperare gli strumenti classici
dello sgombero e del rimpatrio; quindi la tattica adottata è quella del "non ti
mando via, ma ti rendo la vita impossibile".
Il cambio di giunta suscita aspettative tra gli abitanti dell'insediamento, come
nel nostro gruppo, e la prima reazione da parte dei rom è quella di inviare ai
nuovi amministratori un promemoria sugli
interventi attesi da anni e sul tipo di
collaborazione che si può instaurare tra campo ed istituzioni.
Nel contempo, da questa lettera nasce nella primavera del 2012 un
progetto partecipato tra abitanti
del campo e un decina di associazioni,
che pone le basi per il mantenimento e la riorganizzazione dell'insediamento, a
cavallo tra la città e il costituendo Parco della Media Valle del Lambro.
A maggio 2012 il campo si propone come un vero e proprio polo della festa "Via
Padova è meglio di Milano", con una due giorni di balli, spettacoli per
bambini, cinema, musica, presentazioni di libri.
Dopo quest'esperienza, il campo presenta una propria programmazione estiva per i
concittadini, dove alle attività "culturali"
si affiancano momenti conviviali. Il conoscersi, la coesione sociale, si realizza quindi
non solo attraverso la cultura come la intendiamo noi, ma mangiando e
chiacchierando assieme (la cultura come la intendono i rom).
Infine, parte agli inizi del 2013 il progetto Social Rom-cittadinanza attiva,
con l'obiettivo di stimolare i giovani a diventare "cittadini attivi",
protagonisti del cambiamento della società, e anche a sviluppare una mentalità
interculturale attraverso un lavoro di gruppo. Il progetto prevede la
partecipazione di giovani italiani, rom harvati, figli di immigrati a tre
laboratori creativi:
- workshop artistico-performativo;
- workshop fotografico;
- workshop narrativo.
Prospettive
Come gruppo, non solo abbiamo agito per praticare quella "coesione sociale" che
auspichiamo, ma ci siamo accollati anche, forse sbagliando, compiti spettanti
all'amministrazione pubblica e ai gestori. Il ruolo di un sano volontariato
dovrebbe essere quello di stimolo verso le istituzioni e la politica, e non
quello di un delegato a costo zero. Riteniamo che questo sia un argomento
portante non solo per la nostra piccola ridotta di via Idro, ma riguardi più in
generale tutto ciò che si sta muovendo attorno a via Padova.
Purtroppo, le aspettative sollevate dal cambio di giunta non sono state
soddisfatte e non uno dei punti sollevati nella lettera inviata dalla comunità
quasi due anni fa è stato affrontato. Nel frattempo sono intervenute nuove
emergenze. Non staremo a ripetere l'elenco degli interventi necessari e di
quelli richiesti, perché gli assessorati competenti sono stati puntualmente
informati, da noi, dal Consiglio di Zona, dagli abitanti stessi ogni volta che
si è presentata l'occasione.
I problemi che d'ora in avanti si pongono, tanto all'amministrazione che al
prosieguo della nostra attività sono:
- i fondi: ci sono problemi ineludibili, nel senso che la situazione ambientale al
campo va deteriorandosi, e sono possibili incidenti anche gravi. La
responsabilità penale è del comune. A gennaio è stata evitata per poco il
rischio di emergenza sanitaria, che si sarebbe propagata anche nell'abitato
attorno. Il prossimo rischio è che la situazione di emergenza attuale, legata
anche a questioni di sicurezza, travalichi i confini del campo;
- dopo quasi due anni, la fiducia degli abitanti è nuovamente ai minimi termini e
si stanno deteriorando anche i rapporti tra i gruppi familiari. È così diventato
un ostacolo anche per noi persone esterne al campo avere un rapporto propositivo
con i suoi abitanti. Inutile nascondersi che questa situazione è stato favorita
dall'inerzia dell'Amministrazione, che, vogliamo ricordarlo, ha preso precisi
impegni nel corso della campagna elettorale ed è la prima responsabile della
situazione del campo, che è regolare e si trova su un terreno comunale;
- il terzo punto è la sintesi degli altri due. Se il linguaggio adottato da questa
amministrazione verso i rom è, fortunatamente, cambiato in meglio, nel
quotidiano rimane la stessa sensazione di distanza provata negli anni scorsi.
Non solo per gli impegni assunti pubblicamente e rinviati sine die, ma anche
riguardo alle possibilità di dialogo. Da un anno e mezzo si parla di colloqui
individuali con le famiglie per verificarne stato e aspettative, che però non
sono mai iniziati. Per capire quale possa essere il livello attuale di fiducia,
si consideri che la stessa promessa era stata fatta quasi otto anni fa
dall'allora assessore Moioli, con il medesimo risultato.
Rete degli Amici della Comunità Rom di Via Idro
Di Fabrizio (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa, visitato 1429 volte)
di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia
"Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e
sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle
condizioni di vita"
Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e
in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a
Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati
che devi rispondere,
www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti
riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale,
che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed
è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte
a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.
Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza,
anche politica.
Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per
i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e
sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia,
Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è
particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla,
a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli
altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e
al lavoro.
La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in
cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche
inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi
altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e
bambini.
Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza
di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a
un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a
vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande
rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli
sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in
condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il
riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita
delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità,
hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle
attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.
Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom
in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di
isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri
ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva
dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai
negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su
cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e
strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita
delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.
La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile
la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui
loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e
solidarietà.
Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel
complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle
donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto
della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni
di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione
svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.
Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e
negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono
impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a
sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso,
ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e
miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e
determinante delle donne.
Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza
economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile
garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.
Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro,
molto da imparare.
Di Fabrizio (del 22/03/2013 @ 09:01:10, in scuola, visitato 1732 volte)
Crescono sempre più i nati in Italia. I bimbi rom sempre più esclusi
dal sistema scolastico.
15 marzo 2013 -
Presentato il rapporto "Alunni con cittadinanza non italiana.
Approfondimenti e analisi. A.s. 2011/2012" elaborato dal Ministero
dell'istruzione e dalla Fondazione Ismu.
Sono 415 le scuole italiane nelle quali la presenza degli alunni stranieri
raggiunge o supera il 50% e se si considerano le sole scuole dell'infanzia otto
bambini stranieri su dieci sono nati in Italia.
Lo evidenzia il rapporto Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e
analisi. A.s. 2011/2012 elaborato dal Ministero dell'istruzione, dell'università
e della ricerca (Miur) e dalla Fondazione Ismu. Nell'anno scolastico 2011/2012,
gli alunni stranieri nati in Italia sono 334.284 e rappresentano il 44,2% sul
totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Cinque anni fa erano meno di
200mila, il 34,7%. Nelle scuole dell'infanzia i bambini stranieri nati in Italia
sono l'80,4%, più di otto su dieci, ma in alcune regioni la percentuale è ancora
più alta e supera l'87% in Veneto e l'85% nelle Marche, sfiora l'84% in
Lombardia e l'83% in Emilia Romagna. Mentre non raggiunge il 50% nel Molise e lo
supera di poco in Calabria, Campania e Basilicata. Negli ultimi cinque anni gli
studenti stranieri nati in Italia sono cresciuti del 60% nelle scuole
dell'infanzia (dove hanno raggiunto le 126mila unità, a partire dalle 79mila del
2007/2008) e nelle primarie (145mila), mentre sono più che raddoppiati nelle
secondarie di primo grado (46mila) e di secondo grado (17mila).
Secondo il rapporto del Miur e dalla Fondazione Ismu in totale le scuole in cui
la presenza di alunni stranieri non è inferiore a quella degli italiani sono 415
(corrispondenti allo 0,7% delle scuole), 10 in più dell'anno scolastico
precedente. Due terzi delle province italiane hanno almeno una scuola con un
numero di alunni stranieri non inferiore al 50%. Le scuole dell'infanzia con
almeno il 50% degli alunni stranieri sono 233. Le province con il maggior numero
di scuole con almeno il 50% di alunni stranieri sono Milano (55), Torino (34),
Brescia (32).
Gli alunni con cittadinanza rumena si confermano, per il sesto anno consecutivo,
il gruppo nazionale più numeroso nelle scuole italiane (141.050 presenze),
seguono gli albanesi (102.719) e i marocchini (95.912). Tra le crescite annue
più rilevanti si registrano quelle degli alunni moldavi (+ 12,3%) nei diversi
livelli scolastici, e ucraini (+ 11,7%) nelle primarie e filippini nelle
secondarie di primo grado (+8,5%) e di secondo grado (+11,2%).
La Lombardia si conferma la prima regione per il maggior numero di alunni con
cittadinanza non italiana (184.592). Seguono il Veneto, (89.367), e l'Emilia
Romagna con (86.944), il Lazio (72.632) e il Piemonte (72.053). Quanto agli
alunni rom, sinti e caminanti diminuiscono gli iscritti. Sono 11.899 nell'anno
scolastico 2011/2012, il numero più basso degli ultimi cinque anni, in
diminuzione del 3,9% rispetto al 2010/2011. Significativo il calo di iscritti
nelle scuole superiori di secondo grado (con una variazione del -26% dal
2007/2008 al 2011/2012) scesi a sole 134 unità di cui 10 in tutto il Nord Ovest.
Si osserva un calo degli iscritti nella scuola primaria, -5,7% rispetto ai
cinque anni precedenti, nelle scuole dell'infanzia, -5,8%, mentre risulta
leggermente in crescita il numero di iscritti nelle scuole secondarie di primo
grado. Un fortissimo calo di iscrizioni si registra già nel passaggio dalla
scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado, solo la metà degli alunni
rom prosegue gli studi pur essendo nella fascia dell'obbligo di istruzione.
(Red.)
Di Sucar Drom (del 23/03/2013 @ 09:03:00, in blog, visitato 1801 volte)
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invito a leggersi le relazioni inviate annualmente. Per l'annualità 2012 è stato
chiesto all'associazione Sucar Drom di prolungare l'annualità 2012 fino al
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Pisa, la sposa bambina? Tutto falso!
Nessuna violenza sessuale di gruppo. Nessuna riduzione in schiavitù, né alcuna
tratta degli esseri umani. Nessun maltrattamento su minorenne. Nessun matrimonio
forzato. E' netta la sentenza pronunciata oggi dal Tribunale di Pisa nel
processo cosiddetto "della sposa bambina"...
Mantova, 21 marzo 2013: il presente della memoria
Giovedì 21 marzo, alle ore 17, presso la sala del Plenipotenziario di p.zza
Sordello 43, a Mantova, Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni presenta
il suo 5° Rapporto annuale. Non a caso l'evento si svolge proprio il 21 marzo,
u...
foto Paola Castagna ©
Tour primavera 2013 di
Paul Polansky
Sono
riportati solo gli eventi
confermati:
28 marzo 2013 h. 20.45
PAPACQUA, via Daino 1 - MANTOVA.
Introduzione di Igor Costanzo. Durante la
serata proiezione di fotografie in
collaborazione con Paola Castagna.
5 aprile 2013 h. 21.00
LE STORIE DEL MANEGHETO, vicolo Cere 24, VERONA
Non ci sono confini agli orti di Spagna: storie, poesie, immagini e
musica di gente di viaggio. Con la fisarmonica di Tommaso Tommo Castagnini e le
immagini di Paola Castagna. Cena alle 19.30 - meglio prenotare 045-8014299
7 aprile 2013 h. 17.30 TEATRO Valle Occupato, via del Teatro Valle
21, ROMA. Il tempo dei Rom, con Paul
Polansky, Pino Petruzzelli, Bianca Stancanelli,
la musica di Djovedì Django e degli Errichetta
Underground, la danza di Barbara Breyhan e
Daniela Evangelista, il canto di Debora Longini
e Daniela Bruno accompagnate da Ivan Macera e da
Mauro Tiberi, Stefano Liberti ed Enrico Parenti,
autori del documentario prodotto da ZaLab "Campo
sosta". Il tutto allietato dalla cucina rom.
9 aprile 2013 h. 21.00 LIBRERIA
POPOLARE, via Tadino 18 - MILANO.
Presentazione "Il pianto degli zingari"
10 aprile 2013 h. 21.00
ARCI Martiri di Turro, via Rovetta 14 -
MILANO. Paul and friends: SLAM POETRY. Alle
20.00, cena in compagnia (costo circa 10-15
euro,
consigliata la prenotazione)
11 aprile 2013 h. 21.00 ARCI Via d'Acqua,
viale Bligny 83, PAVIA. Impegno, musica,
poesia: programma in via di definizione
13 aprile 2013 h. 18.30
SUNSET CALDE' Piazza del Lago, 3 - 21010 - Castelveccana (VA)
SLAM POETRY
15 aprile 2013 h. 21.00
C.A.M. Ponte delle Gabelle, via san Marco 45 -
MILANO. Presentazione "Il pianto degli zingari"
16 aprile 2013 h. 10.00
Isis GIOVANNI FALCONE, Via Matteotti 3, GALLARATE
(VA). Le parole sono luce: dialogo con gli
studenti. Introduzione di Ernesto Rossi.
Accompagnamento musicale di Mario Toffoli
17 aprile 2013 h. 18.30 LIBRERIA UTOPIA,
via Vallazze 34, MILANO. Chiusura tour
milanese
18 aprile 2013 h. 19.30
Spazio CENTO-TRECENTO, via Centotrecento 1/a BOLOGNA
Chiusura tour italiano
Il pianto degli zingari
Danica è una ragazza intelligente. Nella scuola che frequenta a Monaco prende
ottimi voti, aiuta i compagni in grammatica. Forse farà l'insegnante, o forse la
dottoressa. Ma dalle quattro di una mattina d'inverno, di punto in bianco deve
lasciare casa libri amici lingua futuro, salire a forza con i genitori e la
sorellina su un aereo pieno di rom diretto a Pristina e a un incubo seppellito
nella mente dieci anni prima assieme a una lingua.
"Avna o nemcoja", aveva gridato suo padre quella mattina di giugno del 1999.
"Arrivano i tedeschi!", lo spauracchio che tornava nei racconti del nonno sulla
seconda guerra mondiale e sui nazisti in cerca di vergini da violentare. Ma
erano stati i vicini albanesi, vestiti di scuro, a cacciarli di casa agitando
asce e forconi. Lei aveva sette anni. Ora, alle quattro di mattina, il passato
ritorna a sfondare la porta di casa. Ma lei non è tedesca? Ha l'uniforme
scolastica, ha vinto una borsa di studio. E questa vicina che piange e protesta
coi poliziotti la considera come una figlia.
Lo stile spoglio e fattuale di Polansky è perfetto per una storia raccontata da
un'adolescente. Il reportage trasfigurato in racconto in versi è una denuncia
che rimane oltre il tempo dell'emergenza. Se non ci fossero emergenze senza
scadenza.
Il pianto degli zingari è un libro per tutti e dovrebbe entrare nelle aule
scolastiche, per animare i concetti di dignità umana, diritti dei minori,
cittadinanza, accoglienza, integrazione col volto e la voce di Danica.
Roberto Nassi
Note: Autore: Paul Polansky Edizione:
Volo press Postfazione:
Rainer Schulze
Immagini: Stephane Torossian
Traduzione: Fabrizio Casavola
Euro 10,00
Di Fabrizio (del 25/03/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1696 volte)
By
Valeriu Nicolae - 12 marzo 2013
L'errore economico
Analisi superficiali sui costi economici dell'inclusione sociale sono diffuse
tra le classi politiche dell'Europa Centrale e Orientale (ECO). In questo
articolo cercherò di individuare un errore economico riguardo un gruppo
immaginario di Rom che chiamerò "Frankestein", termine che intende sottolineare
la confusione e l'archetipo semplicistico sui Rom che è largamente diffuso tra i
decisori politici.[1]
Molti politici e decisori pensano alla parola "Rom" come ad un eufemismo per
tutti i piccoli criminali (inclusi naturalmente quei criminali che non sono
Rom). Come per qualsiasi stereotipo, la percentuale di Rom che corrispondono
alla descrizione di "Frankestein" è appena una frazione sul numero totale dei
Rom. I professionisti rom di successo tendono ad essere invisibili a politici e
decisori, in quanto non si adattano alla tipologia, razzista ma diffusa, del
"vero" Rom. Nei fatti, esistono più professionisti Rom di quelli "Frankestein".
L'errore economico sui Rom "Frankestein" è ritenere che i loro paesi siano
migliorabili, in termini economici, senza di loro. Questa convinzione giustifica
tanto l'inazione nella madrepatria (mancanza di sforzi e fondi per l'inclusione
sociale), che lka riluttanza a lavorare per arginare l'immigrazione verso
l'Europa Occidentale.
I governi ECO pensano che la maggior parte dei Rom che lasciano i loro paesi
siano, nella migliore delle ipotesi, cantanti, ballerini o lavoratori non
qualificati (nel campo delle pulizie o della ristorazione), ma che la maggior
parte viva di assistenza sociale, furti, o operando sul mercato nero.
Indipendentemente da ciò, i Rom sono una perdita economica significativa per le
economie dei loro paesi.
Credono anche che una volta partiti i Rom "Frankestein", i paesi ospitanti
(Europa Occidentale) debbano assumersi i costi del welfare, del controllo,
dell'istruzione, della sanità, dell'alloggio - mentre quegli stessi Rom
invieranno la maggior parte dei loro risparmi in patria. E' un messaggio crudo e
sbagliato, ma semplice, da mandare alla maggioranza dei votanti, che comunque
non amano o odiano apertamente i Rom.
I Rom "Frankestein" devono essere incentivati e resi responsabili sulla loro
cittadinanza. Ciò richiederebbe un'aggressiva campagna per far capire ai Rom che
sono una parte importante della loro nazione, attraverso investimenti massicci
nell'inclusione sociale, combattendo l'antiziganismo e promuovendo la
cittadinanza attiva tra le comunità e i ghetti più problematici.
Un simile piano d'azione richiede misure strategiche a lungo termine (oltre
20 anni), prevede budget significativi e sarebbe da moderatamente ad altamente
impopolare. Richiede un impegnativo lavoro a livello di base, attività
disprezzata non soltanto dai politici ma anche dalle maggior parte delle OnG
attive nel campo dei Rom e dell'inclusione sociale.
Perché uno stato dovrebbe farlo? La risposta è semplice - non c'è un'altra
soluzione.
La maggior parte dei governi dei Rom "Frankestein" vuole sbarazzarsi di chi
non si insedierà stabilmente in altri paesi. Continueranno a vivere di welfare
nei paesi di origine come in Occidente. Alcuni useranno le loro esperienze
criminali in occidente per rafforzare la rete criminale nei loro paesi. Sta già
succedendo: nel ghetto dove opero, negli ultimi anni ho visto salire alle stelle
il numero di tossicodipendenti. Arrivano sempre più soldi da traffico di droghe
e prostituzione. Le bande criminali controllano un numero significativo di
persone, attraverso denaro o minacce, e sono in grado di influenzare le
elezioni. La corruzione è rampante. I collegamenti tra questi criminali e
politici di alto livello sono talvolta pubblici. Tutto questo porta a costi
significativamente più alti di quanto le misure di inclusione sociale possano
costare.
Un'altra ragione per lavorare verso l'inclusione sociale è la situazione
catastrofica dei bambini e della gioventù rom, nei gruppi inclini a migrare.
All'inizio degli anni '90 alcuni Rom fecero fortuna andando in Europa
Occidentale coi loro figli. Questi bambini divennero la prima di tante
generazioni perdute. Bambini ed adulti erano coinvolti nell'accattonaggio,
alcuni nella piccola criminalità, alcuni suonavano in cambio di denaro e altri
compravano e rivendevano metalli. Alcuni di questi si misero in affari con
vestiti e macchine di seconda mano. Spendono il guadagnato in patria, per lo più
come stridente segno di benessere.
Per molti Rom, fare soldi è diventato molto più importante dell'istruzione o
di cercare un lavoro stabile. I Rom furono tra i primi a perdere il lavoro,
durante la transizione dal socialismo alla democrazia all'inizio degli anni '90.
Il successo di pochi nel fare soldi facili all'estero, fu molto più visibile del
"normale" ma più a lungo termine successo di quanti avevano investito nella
propria istruzione. Successo a lungo termine reso ancora meno visibile dal fatto
che la maggioranza di quanti erano riusciti a completare gli studi avevano
lasciato i ghetti o le loro comunità. Professionisti rom, istruiti e prosperi,
si trovano a dover scegliere tra il nascondere le proprie radici e cercare di
fondersi con la popolazione maggioritaria (personalmente conosco almeno un
centinaio di casi), oppure affrontare il razzismo strutturale a tutti i livelli
(vedi i miei precedenti articoli sul razzismo strutturale). I loro risultati non
sono mai così visibili come le "conquiste" di chi ha fatto soldi "facili".
Quanti finiscono in prigione tentando di fare denaro "facile" vengono
ignorati, in quanto il carcere è considerato parte del normale ciclo della vita
in queste comunità.
I bambini che negli anni '90 facevano soldi con le elemosine o rubando, sono
diventati adulti che usano i loro figli per elemosinare o rubare. Questi
bambini, a loro volta, lo faranno coi loro figli quando ce ne sarà
l'opportunità. I bambini che rubano non possono essere messi in prigione, ed
alcuni di loro diventano fonti di reddito per i genitori, parenti o reti
criminali che li sfruttano. Gli stessi principi si applicano quando si tratta di
prostituzione o spaccio di droga.
La molla di far soldi distrugge generazione dopo generazione, quei giovani
che vivono di questi "mestieri". E' un'economia "di nicchia", una volta molto
produttiva, ed in alcuni casi lo è ancora. Conosco un buon numero di famiglie
che viaggia in aereo per mendicare.
Mentre l'istruzione richiede disciplina e non ha un ritorno immediato,
elemosinare o rubare porta ad un minorenne centinaia di euro al mese. Spacciare
droghe diventa il nuovo "lavoro" sempre più produttivo nei ghetti delle grandi
città nell'Europa Centrale e Orientale.
E' quasi impossibile stimare il danno psicologico patito dai bambini
coinvolti in questi "traffici", e nella maggior parte dei casi è completamente
ignorato dai genitori, che pensano al beneficio economico dei loro figli. Questi
bambini diventano adulti che non avranno alcuna possibilità di competere nel
mercato del lavoro, ma hanno le competenze, le reti, l'appoggio e la motivazione
per fare bene nell'economia criminale. Spaccio, prostituzione, furto ed
accattonaggio, per un giovane non istruito (e di solito analfabeta) pagano
comunque meglio di qualsiasi lavoro legale possibile.
Una prostituta su cento è fortunata e riuscirà a pagare i trafficanti,
fuggire da droga e protettori, fare ritorno col denaro necessario ad aprire un
centro di massaggi erotici, che è l'unico modello in questione nel ghetto dove
lavoro. Le storie di quante muoiono di overdose, sono picchiate a morte da
clienti o trafficanti, o contraggono l'HIV o altre malattie, sono semplicemente
ignorate dalle ragazze che vivono in condizioni di abbietta povertà e vedono la
prostituzione come l'unica possibilità per uscirne.
Inoltre, le peggiori condizioni in Europa Occidentale, sono meglio sotto
quasi ogni aspetto del vivere nei ghetti delle misere comunità in Europa
Orientale. Migliori l'assistenza e i servizi sociali, migliore il sistema
scolastico. Per criminali, mendicanti e prostitute (che siano Rom oppure no) più
ricco è il paese e più si guadagna. Prostitute e mendicanti a volte guadagnano
dieci volte di più che nei loro paesi. Le condizioni carcerarie sono di gran
lunga migliori e le pene detentive più brevi.
E' vero che ci sono immediati benefici economici se i Rom "Frankestein"
lasciano il loro paese. Ma tutto ciò ha effetti disastrosi nel lungo termine,
distruggendo i propri figli generazione dopo generazione. Possono esserci
ripercussioni a lungo termine: i Rom hanno la percentuale di giovani più alta di
qualsiasi gruppo etnico in Europa; questi giovani devono completare gli stuidi
per poter competere sul mercato del lavoro. La sostenibilità di molte pensione
negli stati membri UE potrebbe dipendere da ciò.
I benefici economici derivanti dall'accattonaggio o dalla microcriminalità
sono già di molto inferiori a quanto erano negli anni '90, e presto non ci
saranno più "nuovi mercati" da sfruttare. La crescita dell'antiziganismo è già
un effetto diretto della migrazione e renderà più difficile e costosa
l'inclusione sociale. Il risultato finale sarà un pericoloso effetto a spirale
di rifiuto sempre più generalizzato da parte della società maggioritaria. L'antiziganismo
rampante può risolversi in conflitti interetnici - i cui costi economici sono
impossibili da stimare.
L'attuale flusso delle migrazioni dei Rom "Frankestein" dev'essere
indirizzato meglio. E' impossibile bloccarlo completamente, ma usare in maniera
più efficiente i fondi UE può portarne ad un significativa riduzione
(specialmente di bambini) che lasciano i loro paesi.
La responsabilità di molti di quei bambini, giovani e adulti di queste
generazioni perdute, ricade non solo sugli irresponsabili genitori e gli inetti
amministratori e politici locali, ma anche sui burocrati rinchiusi a Bruxelles o
nelle capitali europee.
Una valutazione responsabile ed indipendente di tutte queste burocrazie e di
come siano spesi centinaia di migliaia di euro sulle tematiche rom è necessaria
se vogliamo successo con l'inclusione sociale dei Rom. Valutazioni che sono un
normale requisito che queste organizzazioni impongono alle OnG - non c'è ragione
per cui loro non debbano sottostare agli stessi controlli.
[1] Contrariamente alla credenza popolare. Frankenstein
non era un mostro, ma il creatore pieno di speranze di quello che si è rivelato
un mostro. Victor Frankentein è descritto come molto intelligente ed istruito.
Il problema è che il suo orgoglio e la sua arroganza circuirono le sue
responsabilità.
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