L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Un "matrimonio combinato" in un campo rom dà il via a una lunga vicenda
giudiziaria: i rom sono accusati di aver ridotto in schiavitù la giovane sposa.
Ma la versione dell'accusa non regge. Ecco cosa è successo
Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono i pesantissimi capi di
imputazione a carico di cinque rom, tutti residenti nel campo di Coltano a Pisa:
colpevoli, secondo l'accusa, di aver portato in Italia una minorenne kosovara,
costringendola prima a sposarsi con un giovane del campo, poi a vivere segregata
nella sua baracca. Il processo in Corte d'Assise, durato più di due anni, sta
arrivando alle battute conclusive: Venerdì si sono tenute le arringhe del Pm e
di tre difensori, e per il 15 marzo è attesa la sentenza. Nel frattempo, la
versione dell'accusa è stata pesantemente ridimensionata: vale la pena vedere
cosa è successo.
Il matrimonio combinato e la "sposa bambina"
La vicenda risale a due anni fa, quando la polizia fa irruzione a Coltano e
arresta i cinque attuali imputati. E' il 27 ottobre 2010. Pochi mesi prima, la
comunità rom aveva festeggiato un evento speciale: il matrimonio tra un ragazzo
di quindici anni e una sua coetanea, che aveva richiamato decine di rom da tutta
Italia. La sposa, peraltro, non aveva mai visto il campo di Coltano: nata e
cresciuta in Kosovo, aveva deciso di trasferirsi a Pisa per raggiungere il
promesso sposo.
I due ragazzi si erano conosciuti tramite un'amica comune, e avevano cominciato
a "chattare" su internet. Poi, com'è d'uso in questa comunità, le famiglie si
erano accordate e avevano combinato il matrimonio: i parenti del ragazzo avevano
versato la dote, ed erano andati a prendere la giovane per portarla a Pisa.
Questa, almeno, è la versione dei rom.
Qualcosa però era andato storto. La ragazza non si era trovata bene a Coltano. E
a un certo punto aveva deciso di sporgere denuncia contro il marito, i suoceri e
il cognato: accusandoli di averla portata in Italia con la forza, di averla
fatta oggetto di minacce e ripetute violenze. Di qui l'arresto e l'avvio del
processo. E torniamo così al 27 ottobre 2010, data in cui comincia questa lunga
e complicata storia.
Le polemiche in città
Com'è prevedibile, l'arresto dei cinque rom finisce su tutti i giornali locali.
Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2010, i cronisti si scatenano: il
"matrimonio combinato", la tenera età degli sposi, la violenza su una ragazza di
appena quindici anni, le "tradizioni" rom in contrasto con la "modernità". Un
copione consolidato, che mette sotto accusa non solo gli imputati, ma l'intera
comunità rom: le cui usanze, spiega il Presidente del Tribunale, «nel nostro
paese si configurano come reati».
A gennaio, interviene anche il Comune. Che provvede a sfrattare la madre dello
sposo dalla sua casetta al campo di Coltano. Il 31 gennaio 2011, il giorno più
freddo dell'anno, la donna viene allontanata con la forza dalla polizia
municipale. «Lo stesso fatto di essere imputata per reati di tale gravità», si
legge nel provvedimento di sfratto, «denota la fuoriuscita dal percorso di
integrazione». L'associazione Africa Insieme, da sempre vicina ai rom, e Padre
Agostino, il prete che vive al campo nomadi, protestano inutilmente: in questo
modo, dicono, la donna è già dichiarata colpevole, prima ancora della sentenza.
La vicenda processuale e i dubbi sulla versione dell'accusa
Nella Primavera 2011, la vicenda entra in un cono d'ombra, e nessuno ne parla
più. Ma il processo prosegue: vengono visionati filmati e fotografie del
matrimonio, si ascoltano i testimoni e gli imputati, si leggono le
intercettazioni telefoniche. E gradualmente si fanno largo i dubbi sulla
versione dell'accusa.
Gli avvocati difensori si concentrano in un primo momento sul giorno del
matrimonio: tutte le fotografie ritraggono la sposa sorridente e felice,
abbracciata al marito e ai suoceri, intenta a conversare con amici e parenti. I
testimoni ricordano il clima di festa, i video la sorprendono mentre danza con
le amiche e taglia la torta. Come è possibile che una ragazza così felice,
almeno in apparenza, sia ridotta in schiavitù?
Tutti i testimoni - compreso Padre Agostino, il prete cattolico che vive a
Coltano insieme ai rom - ricordano che la ragazza non era segregata nella sua
baracca, ma circolava liberamente. La parrucchiera del paese dice di averla
vista più volte al suo negozio. Altri ricordano la partecipazione della ragazza
alle feste di Camp Darby, la base militare americana a due passi dal campo.
L'accusa risponde ricordando che anche alle prostitute vittime di tratta si
concedono brevi momenti di serenità: perché la violenza non è fatta solo di
calci e pugni, ma si nutre di soggezione e dipendenza psicologica, di premi e
punizioni, di attimi di gioia che si alternano a periodi cupi di minacce e
intimidazioni.
Vi sono tuttavia altre circostanze che gettano un'ombra sulla versione del Pm.
Dopo l'inizio del processo, il telefono della giovane sposa viene messo sotto
controllo. Le intercettazioni registrano i colloqui con il padre, che spiega
alla figlia quel che deve dire agli inquirenti: mi raccomando - implora il
genitore - dì che sei stata costretta ad andare a Coltano, dì che sei stata
segregata, dì che sei stata picchiata e violentata. La famiglia della sposa
riceve anche una telefonata della madre del giovane marito: ignara di essere
intercettata, la donna implora i consuoceri, «dite a vostra figlia di raccontare
la verità...». Non sembrano le parole di chi ha qualcosa da nascondere.
Non basta. La polizia, che ha condotto le indagini, dice di aver trovato la
ragazza in stato di soggezione, costretta a vivere nella sua baracca senza poter
mai uscire. Ma i carabinieri, che ogni giorno si recano al campo per controllare
un rom agli arresti domiciliari, non si sono mai accorti di nulla. Possibile?
La versione della difesa
Ma perché una ragazzina di 15 anni dovrebbe inventare una storia del genere? Ed
è qui che la versione della difesa appare abbastanza plausibile. La ragazza
aveva un altro fidanzato in Kosovo: nulla di male - tiene a precisare l'avvocato Giribaldi nella sua arringa - cose che succedono, soprattutto in età
adolescenziale. Trovatasi a Coltano lontana da casa, in mezzo a persone di cui
non capiva la lingua (la sposa parlava solo albanese), ha cominciato a sentire
nostalgia per la sua terra. Le intercettazioni rivelano anche contatti frequenti
con l'ex fidanzato in Kosovo, al quale la giovane prometteva di tornare presto.
Secondo i difensori, la ragazza avrebbe maturato la volontà di tornare a casa.
Ma la rottura del matrimonio avrebbe significato, per la famiglia, restituire la
"dote" ai genitori dello sposo: e proprio la restituzione di quel denaro avrebbe
messo in grave difficoltà il padre e la madre della ragazza. Così, ecco la via
di fuga. Andare alla polizia, e raccontare quello che gli agenti vogliono
sentirsi dire: una storia di violenza e di usanze "primitive", che assecondi gli
stereotipi sui rom "arretrati" e "incivili".
Come andrà a finire il processo nessuno lo sa. Finora, il dibattito cittadino si
è concentrato sulle "usanze" dei rom: il matrimonio combinato, gli sposi
bambini... Si tratta, certo, di usanze che possono non piacere: ma da qui a
parlare di tratta degli esseri umani ce ne corre. Violenze, minacce e riduzione
in schiavitù non sono la diretta conseguenza di quelle "usanze", ma reati
gravissimi che vanno provati e circostanziati. E di prove, nel corso del
processo, ne sono emerse davvero poche. Staremo a vedere.
Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1796 volte)
Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino,
Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.
Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava
le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del
2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica
violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano
casa - è una
parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una
villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una
stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia
terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a
Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a
Napoli.
"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella
rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o
una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è
sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un
gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione
dei tuoi riti e della tua libertà.
In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più
basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le
comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi
attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della
popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne
discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze
"facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e
tagli al welfare e ai servizi essenziali.
Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono
selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in
risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una
dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da
un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in
città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che
prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o
desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.
Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della
Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si
sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione
politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo:
risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da
italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più
lontani dal contesto urbano.
L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la
sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie
che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della
produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della
governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo
quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa
girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le
dichiarazioni degli amministratori.
I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta
italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano
una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti.
I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via
Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e
gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni
lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e
le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.
L'ultimo
Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha
l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom.
Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro
l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le
condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal
resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e
per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i
soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009
ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal
Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.
Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di
voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette
all'inclusione sociale di rom e sinti:
perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
per abbandonare
l'approccio emergenziale e securitario;
per proporre una cultura che superi i
pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
per
sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le
Convenzioni internazionali.
Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la
tua kher.
Di Sucar Drom (del 28/01/2013 @ 09:04:40, in Italia, visitato 1754 volte)
24 gennaio 2013
Il Porrajmos, l'olocausto di Rom e Sinti, è stato per decenni tenuto
sostanzialmente sotto silenzio. A distanza di quasi 70 anni dalla fine della
seconda guerra mondiale, qualcosa sembra modificarsi. Tra le varie iniziative
volte a far emergere la memoria del Porrajmos figura MEMORS, il primo museo
virtuale del Porrajmos.
"Porrajmos significa divoramento" - commenta Carlo Berini, dell'associazione
Sucar Drom di Mantova - "ed è il termine con cui Rom e Sinti si riferiscono
all'immane tragedia dell'olocausto". L'associazione Sucar Drom ha collaborato
con lo storico Luca Bravi nella costruzione del museo virtuale. "La nostra
attività di ricerca" - spiega Carlo Berini - "si concentra soprattutto su quanto
accaduto nell'Italia fascista. L'internamento vero e proprio nei campi di
concentramento inizia nel 1940, e nel 1943, dopo l'armistizio e la nascita della
repubblica di Salò, assistiamo al sistematico invio verso i campi di sterminio
in Germania e Polonia."
L'Italia non ha mai riconosciuto ufficialmente la persecuzione di Rom e Sinti,
tanto che il Porrajmos non viene citato nella legge del 2000 che istituisce il
giorno della memoria per il 27 gennaio e non viene incluso nelle celebrazioni
istituzionali. "Inoltre" - sottolinea Berini - "Rom e Sinti sono le uniche due
minoranze storico-linguistiche a non essere riconosciute dalla legge italiana, e
diventano facilmente il capro espiatorio per occultare i veri problemi del paese
e l'incapacità dei politici di far loro fronte".
La puntata di Passpartù di questa settimana sarà dedicata a un approfondimento
sul Porrajmos e all'analisi delle attuali politiche messe in campo nei confronti
di queste comunità nel nostro paese.
Intervista a Carlo Berini, associazione Sucar Drom - Mantova
Di Fabrizio (del 29/01/2013 @ 09:05:29, in Europa, visitato 1970 volte)
Perché molti zingari si stanno ammazzando -
by Jamie
Clifton -
Vice.com
Zingari e viaggianti a lungo sono stati un gruppo marginalizzato. Immagino
sia un punto nero di una costante imposta per anni dalla società maggioritaria.
Ma le recenti modifiche alla legislazione riguardo le comunità nomadi (nel senso
che da parte del governo non ci sono più posti dove insediarsi) le ha rese
ancora più segregate.
Un rapporto mostra che viaggianti e zingari hanno la salute
significativamente peggiore di altri residenti in GB, comprese le minoranze
etniche di lingua inglese. Sono anche più predisposti a soffrire di aborti
spontanei, mortalità infantile dovuta a limitato accesso alle cure sanitarie...
- in quanto gruppo senza fissa dimora. Il tutto è ovviamente molto deprimente.
Un'altro fattore dirompente è l'esplosione, negli ultimi cinque anni, dei
tassi di abuso di droghe da parte di entrambe le comunità, mentre i suicidi sono
cresciuti di sei volte rispetto al resto della popolazione britannica. Tanto le
comunità zingare che quelle dei viaggianti sono piuttosto chiuse, e immagino
siano riluttanti a parlarne quando si tratti di propri familiari, così su questi
fatti non esiste granché informazione. Per intuito, ho interpellato Shauna Leven,
dell'associazione René Cassin.
Ex residenti di Dale Farm
Hi Shauna. Puoi smentire queste statistiche sui tassi di suicidio
nelle comunità viaggianti e zingare, che sarebbero sei volte superiori al resto
della popolazione britannica?...
Prima di tutto, devo dire che queste statistiche riguardano i Traveller, che
siano scozzesi, gallesi o irlandesi, e non i Rom di più recente arrivo.
Tuttavia, tutti soffrono dello stesso tipo di discriminazione in Europa.
Sfortunatamente, è difficile scendere nello specifico, perché il SSN non
raccoglie dati su questi gruppi etnici, come fa invece per gli altri.
Perché non raccoglie dati statistici?
Perché non fa parte della policy del SSN. Zingari e viaggianti sono riconosciuti
come minoranza etnica ma, ad esempio, la discrepanza tra la loro aspettativa di
vita e quella della popolazione maggioritaria, viene per lo più ignorata. Se si
assistesse allo stesso tipo di cose nella comunità, ad esempio, musulmana, di
sicuro si adotterebbero delle statistiche. La nostra prima indicazione per
risolvere il problema è di muoversi e compiere delle ricerche, perché questo è
il primo problema.
La prima questione è: quale sarebbero le cause?
In realtà la causa di tassi di suicidio così alti dipendono da una convergenza
di fattori. Il razzismo contro zingari e viaggianti viene spesso definito come
l'ultima forma accettabile di razzismo in GB. Persone istruite e socialmente
coscienziose non esitano ad adoperare le parole "gyp", "pikey" o
altre simili, e questa ovviamente è soltanto la punta dell'iceberg. Mostra il
livello di esclusione sociale in cui i Traveller sono piombati automaticamente
in quanto itineranti.
Da cosa ritieni dipenda però il picco attuale?
Zingari e viaggianti sono nomadi e, sino a qualche decennio fa, il governo
forniva i siti per spostare le loro carovane. Da allora il governo ha rimesso la
responsabilità di individuare e mantenere questi siti ai consigli locali - che,
com'è normale, sono molto più sensibili alle pressioni dei residenti. Come
risultato da tempo le comunità viaggianti e zingare non hanno più accesso ad una
sistemazione sicure con strutture adeguate e non possono iscriversi al SSN come
residenti permanenti, quindi... non hanno accesso alle cure per il cancro al
seno e la salute mentale, tra le altre.
Quindi sono obbligati a spostarsi continuamente, invece di avere un
punto stabile prima di decidere se muoversi o meno.
Sì, proprio così. Non è sotto il loro controllo, e penso sia una questione
chiave comprendere l'ansia e la depressione nella comunità. Voglio dire, non
sono una specialista mentale, ma chiunque capirebbe che lo stress costante di
essere sgomberati, o che i tuoi figli vengano allontanati da scuola, o di subire
discriminazioni dirette, non può che generare ansietà. Tuttavia, è importante
capire che non esiste un'unica causa - è tutto il sistema di discriminazione ed
esclusione che ci ha portato a questo punto.
Pensi allora che dipenda tutto da cause esterne? Non c'è qualcosa che
accade internamente e che possa aver aumentato i tassi di suicidio?... Che so
- gay che fanno outing o che vogliano condurre uno stile di vita più
conformato, e siano emarginati dalla comunità? O qualcosa di simile?
Credo che - per la maggior parte - dipenda da fuori. Le comunità zingare e
traveller hanno una cultura comunitaria molto forte, e questa è una delle
ragioni pwer cui non avere una sistemazione sicura è così traumatico per loro:
significa separare le famiglie. Per quanto ne sappia, non ci sono studi sul
coming out di gay tra rom e traveller, che porterebbe ad un aumento dei
tassi di suicidio, ma penso che si siano iniziate ad osservare le conseguenze
delle rotture di matrimoni che portano ad autolesionismo e suicidi. E' un
fenomeno molto recente per la comunità - la rottura del matrimonio - per cui si
può capire come ciò possa portare a conseguenze simili.
Roseanna Doherty, star di una serie TV in GB sugli zingari, che recentemente
ha tentato il suicidio
Pensi che il fatto che nelle comunità alcune coppie stiano iniziando a
divorziare, possa avere a che fare con tutto ciò?
Sì, potrebbe essere un altro fattore. Ma personalmente ritengo che il fattore
più importante sia che il loro essere socialmente esclusi, i problemi nel
trovare lavoro, la discriminazione da parte della società e dei principali mezzi
di comunicazione, e spesso le loro famiglie sono obbligate all'insicurezza. La
mia organizzazione si è interessata a loro sulla base dell'esperienza storica
ebraica, il passato di entrambe le comunità è abbastanza simile - gli zingari
erano a fianco degli Ebrei nei campi di concentramento. Ma da allora gli Ebrei
sono cresciuti e i nomadi sono scivolati in basso. Non c'è stato neanche alcun
riconoscimento diffuso per gli zingari uccisi durante l'Olocausto.
E' così. E' stato messo sotto il tappeto.
Esatto. C'è un sito interessante:
Jewify.org, dove si
linka un articolo su zingari o traveller e le parole "zingaro", "traveller"
o "rom" vengono sostituite con la parola "ebreo". E se guardi a come risuonano
questi articoli - e potresti fare lo stesso con "persona di colore" o
"musulmano" - lo trovo abbastanza inquietante. Questo fa capire come sia
inaccettabile usare le parole nel modo che facciamo.
Campagna di protesta per la giustizia ai Rom
Bene. E sull'abuso di sostanze... - sai dirmi qualcosa? Perché anche
in questo caso non mi sembra si stiano facendo molte ricerche.
Hai ragione. Sfortunatamente non ho nessuna statistica e neanche so se ne
esistano. Ho sentito aneddoti sulle ragioni e sulle cause, le stesse ragioni dei
tassi di suicidio: stress che deriva da tutti quei diversi fattori. Inoltre,
molti non riescano a lavorare, iniziano così a passare il tempo con le droghe,
diventandone poi dipendenti.
Che misure pensi si dovrebbero adottare per iniziare?
Tutto torna al punto della "discriminazione accettabile" nei confronti degli
zingari e dei traveller in GB ed in tutta Europa. E' ancora ritenuto OK dire e
fare cose discriminatorie, e la maggior parte della gente nemmeno si rende conto
di quanto siano discriminatorie le nostre leggi sulla pianificazione; che il
modo richiesto per iscrivere i bambini a scuola sia indirettamente
discriminatorio, perché obbliga ad avere un indirizzo fisso, dicendo che si può
così beneficiare degli aiuti statali. Ho visto in un sondaggio - scala da uno a
dieci, dove dieci è estremamente confortevole e uno estremamente scomodo - dove
avere un vicino disabile o omosessuale riceveva otto, mentre avere un Rom come
vicino riceveva sei. E allora è così: non ce ne si rende conto, ma la
discriminazione è piuttosto scioccante e massivamente radicata.
Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1721 volte)
La scuola, bella come un camion
Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08
Libération
Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei
bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo
Raphael Helle)
GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e
stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo
di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.
Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita
che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante
l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in
pellegrinaggio per
Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul,
per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze
abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare
alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di
sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei
voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper
leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre,
rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo
fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no,
non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche
rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare
il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto
rispetto a quello delle scuole superiori.
Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo
trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio
nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti,
faranno una relazione al Centre
national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato
accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola
all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage.
Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui
siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di
grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli
uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.
Tre circolari ed un messaggio dal ministro
La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in
Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo.
Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si
sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella
scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre
circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il
diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie
riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in
accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro
all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un
colloquio a Grenoble.
L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di
un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli.
Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss
e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi,
secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.
Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per
la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i
comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate
soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer
(Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia
o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare
dei piccoli lavori.
Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion
scolastico. (Photo Raphaël Helle)
120 alunni iscritti al Cned
Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale
- ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione
cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una
trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma
gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati
assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti
dall'Educazione Nazionale.
Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene
di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai
bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una
piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per
finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del
liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".
Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di
sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte",
un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz,
incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione
degli enfants du voyage.
Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di
contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del
proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono
alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di
Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.
Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio
gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento
in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle
elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le
superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad
esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…
Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti
specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana
va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte
si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.
Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i
figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea
Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion
scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4
anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un
sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli
enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e
scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi?
Questo camion ci permette progressi favolosi".
All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage,
le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione,
sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se
i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro
cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".
Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo
Raphaël Helle)
Bambini "più autonomi degli altri"
Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese.
Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più
autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli
insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se
conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci
piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze
scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la
ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul
fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare a
leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i
pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un
maestro davvero gentile che mi ha aiutato."
Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa
della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il
commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha
aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."
Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché
è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile."
Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per
Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.
Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita
da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il
Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo
nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è
dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."
"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia
di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e
poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola
significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare
il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli
anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende
biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero
più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a
cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."
(1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo,
l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi
parlano di "gens du
voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e
per gli stranieri di "arrivi allofoni".
Concerto di raccolta fondi per un progetto post-terremoto
con INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE Giovedì 7 febbraio, ore 21.30 Enoteca Ligera,
via Padova 133
Tutto a posto? Ad oltre sei mesi dal terremoto, l'Emilia è dimenticata con ancora tutte
le ferite aperte. Sta succedendo lo stesso agli scampati del terremoto a
L'Aquila.
Abbiamo cercato dei referenti in Emilia, che seguissero un progetto tangibile e
già in corso, per continuare a dimostrare la solidarietà emersa a fine maggio.
L'abbiamo trovato con Sisma punto
dodici e col loro progetto di autocostruzione.
Furono i primi a far conoscere le storie e la musica dei Rom rumeni a Milano.
Poi, come succede spesso, il gruppo si divise: qualcuno andò a lavorare in
campagna, qualcuno tornò in Romania, altri continuarono a girare tra campi rom
sempre più malmessi. Altri cammineranno sul percorso tracciato da loro.
Ma non puoi fermare la passione che scorre nelle vene di un musicista, la
necessità di mettersi in gioco ancora una volta.
E... hanno pensato, noi che si è sempre vissuto in tende e roulottes, non
vogliamo essere SPORCHI ZINGARI, anzi, possiamo impegnarci per il paese
che ci ospita da anni: con questo concerto
fortemente voluto: brani del repertorio romanì e del folklore rumeno,
per
scoprire le tante radici che legano popoli e culture. Una serata per ballare - certo, per riflettere - forse, per conoscersi
e stare insieme.
Di Fabrizio (del 01/02/2013 @ 09:05:50, in Italia, visitato 1251 volte)
Questo è il punto cui è arrivata l'esperienza una volta esemplare del
Quartiere Terradeo di Buccinasco. Oltre un anno di gestione commissariale,
resistenze e incapacità amministrative... più la crisi, che notoriamente picchia
in basso.
Ci auguriamo -e cerchiamo di fare il possibile- perché sia un punto e a capo.
Ernesto Rossi - APERTAMENTE di Buccinasco
LETTERA APERTA DELLA COMUNITA' SINTA DI BUCCINASCO
Come è difficile la vita di un "NOMADE STANZIALE". Così ci ha paradossalmente
definiti in un suo recente articolo una giornalista del quotidiano "Il Giorno ".
I nostri avi SINTI sono giunti in Italia attorno al 1400. Mentre la nostra
comunità, di fatto una famiglia allargata, risiede a Buccinasco da oltre
trent'anni. Quindi noi e le nostre famiglie siamo cittadini di Buccinasco, e i
nostri bambini da alcune generazioni frequentano le locali scuole dell'obbligo.
Sino a che la "crisi" non ha colpito tutti, almeno un membro di ognuna delle
nostre famiglie aveva un regolare lavoro, che ci permetteva di vivere
decorosamente nel nostro Quartiere Terradeo, con il valido aiuto delle
Amministrazioni che si sono succedute nel nostro Comune e di alcune
Associazioni.
Sei più una delle nostre famiglie (le più numerose) hanno nel tempo investito
tutti i loro risparmi per costruirsi, in alternativa alle precedenti roulotte,
sette casette in legno appoggiate su di una piastra in cemento per vivere una
vita più confortevole.
Lo scorso inverno il Commissario, che in quel periodo governava Buccinasco,
ha ordinato la demolizione, attraverso una raffica di ordinanze (oltre venti)
sotto il controllo costante delle Forze dell'Ordine, di tutte e sette le
costruzioni, e già che c'era ha fatto abbattere anche sei casotti in legno 2X2,
utilizzati come ripostigli. Questa operazione è andata avanti per diversi mesi.
Motivo dell'intervento: l'edificazione delle casette, con molti incoraggiamenti,
ma senza alcun permesso formale delle preposte Autorità.
Va precisato che per avere il permesso di costruzione era necessario che il
Parco Agricolo Sud Milano autorizzasse, prima, l'esistenza del Quartiere, dove
da anni vivono le nostre famiglie, allestito sopra un terreno di proprietà del
Comune ma collocato entro il Parco Sud.
L'attuale Amministrazione comunale ci sta riprovando, così come ci hanno
provato quelle precedenti, e siamo in attesa che l'annoso problema venga
positivamente risolto.
Nel frattempo, come per buona parte delle famiglie italiane, le condizioni di
vita delle nostre famiglie, che già da prima erano difficili, in questi ultimi
tre anni sono notevolmente peggiorate e la maggior parte dei nostri capi
famiglia ha perso il lavoro. Si sopravvive effettuando lavori precari, cercando
di far fronte ogni mese alle spese fisse, mangiare, luce, gas, trasporti,
affitto, ecc.
In questo contesto e con diversi problemi ancora irrisolti, sono
avvenuti i fatti in un pomeriggio della scorsa settimana.
Una buona parte delle famiglie del Terradeo ed alcuni parenti invitati,
stavano festeggiando il battesimo di un nostro bambino in un ristorante della
zona. Dopo pranzo, alcune coppie stavano ballando al suono della musica del
locale, che qualcuno ha ritenuto di volume eccessivo, tanto da richiedere
l'intervento di una pattuglia di Vigili Urbani.
Quello che è avvenuto all'arrivo dei Vigili è estremamente sgradevole: un
paio di noi, evidentemente "alticci", si sono comportati in modo poco urbano e
con poco rispetto nei confronti dei tutori dell'ordine, nonostante l'intervento
moderatore di altri commensali.
Il giorno successivo due delle persone interessate al fatto, si sono recate
presso il locale comando di Polizia Urbana per porgere le loro scuse per
l'accaduto.
A queste scuse aggiungiamo quelle delle nostre famiglie, poiché riconosciamo ai
nostri Vigili la serietà e la correttezza nello svolgere il loro non facile
compito quotidiano in situazioni difficili come quelle sopra ricordate, in cui
ci siamo trovati anche noi coinvolti.
Vorremmo comunque far presente che in casi come questi, che ci auguriamo non
abbiano più a ripetersi, gli autori delle eventuali azioni perseguibili dalle
leggi del nostro Stato, rispondono personalmente di fronte alla giustizia e
quindi riteniamo giusto sottolineare e chiedere che anche chi riporta i fatti
debba evitare generalizzazioni o ancor peggio la criminalizzazione di una intera
Comunità, come spesso è accaduto nel passato sui mass media.
Le Famiglie del Quartiere Terradeo di Buccinasco
L'Associazione APERTAMENTE di Buccinasco
Di Fabrizio (del 02/02/2013 @ 09:04:49, in Italia, visitato 1477 volte)
di Giulio Cavalli | 31 gennaio 2013
Una lettera, chiara ed efficace, dal campo Rom di Baranzate:
"Mancano due settimane alla data che tormenta le nostre notti e i nostri giorni.
Il 15 febbraio, secondo quanto Infrastrutture Lombarde Spa ha detto ad alcuni di
noi, verranno a sgomberare il nostro campo, a due passi da Rho, proprio a
ridosso dell'autostrada dei Laghi, nel territorio di Baranzate. Un campo che
sorge su terreni che abbiamo regolarmente comprato, circa 25 anni fa, e in cui
viviamo da allora.
Devono fare l'Expo, ci dicono. Devono costruire una strada di collegamento tra
Molino Dorino e l'autostrada. Siamo proprio nel mezzo, dobbiamo andare via.
Sono venuti da noi quelli di Infrastrutture Lombarde Spa, a metà settembre del
2012, hanno scattato delle foto. Alle nostre case e alla nostra terra. Ci hanno
fatto firmare delle carte. Anzi le hanno fatte firmare a chi non sa leggere né
scrivere in italiano. Ci hanno detto che erano per la privacy. In realtà erano
documenti che stabilivano la presa in possesso dei terreni ad un prezzo
bassissimo, sette euro a metro quadro.
Sette euro, tanto valgono per loro la nostra vita, la nostra storia, due decenni
di vita in un terreno comprato da noi. Un terreno edificabile, adesso. Quando ci
hanno fatto pagare le multe per le casette che abusivamente abbiamo costruito
sui nostri campi, non siamo riusciti ad ottenere la variazione di destinazione
d'uso da agricolo ad edificabile. Non era possibile. Non potevano mettere in
regola i tetti che abbiamo tirato su per i nostri figli.
Poi, però, con l'avvento dell'Expo, il cambio di destinazione è stato
magicamente possibile ed è stato inserito nel nuovo Pgt. Che strano. D'altra
parte, noi Rom, per loro, valiamo molto meno di un'esposizione internazionale.
Ma lo sappiamo già. Non ci stupisce. Noi non pretendiamo di essere lasciati
nelle nostre terre. Possiamo anche abbandonare il campo, pacificamente. Vogliamo
che il prezzo di vendita sia quello di mercato, ma di questo e delle procedure
ingannevoli utilizzate nei nostri confronti si stanno occupando i nostri legali.
Quello che più ci preme, ora, è che la nostra dignità venga rispettata.
Chiediamo solo di non essere mandati in mezzo ad una strada. Lo chiediamo per i
nostri figli. Che studiano qui in zona per migliorare, per costruirsi un
avvenire in questo Paese in cui sono nati.
Vogliamo che i nostri bambini, che ci emozionano quando leggono e scrivono in
italiano, non vengano allontanati dalle loro scuole e dalla rete di amicizie che
hanno costruito con fatica. Vogliamo che non perdano la quotidianità
conquistata, nonostante le tante difficoltà, dai propri genitori.
Chiediamo al Comune di Milano, che continua a prendere tempo senza darci una
garanzia chiara e una risposta precisa, quantomeno di attrezzare un'area, non
lontana dal campo, dove poter continuare a vivere in attesa di una soluzione. E
all'assessore Granelli chiediamo di farlo prima che arrivi lo sgombero. E che ci
dia una scadenza certa, non oltre mercoledì 6 febbraio, per presentarci la sua
soluzione e dirci chiaramente cosa accadrà. Non siamo terremotati, è vero, ma
siamo 350 persone, alcuni anziani e qualche malato, che in una notte potrebbero
perdere tutto. Ci sono dei neonati, 60 bambini vanno a scuola, 2 ragazzi
frequentano con orgoglio le superiori, non siamo "involuti" come fa comodo
credere e far credere.
Se Milano è una città che ama i diritti, una città di inclusione, ci dimostri
davvero di esserlo. Anche se noi non siamo elettori, non siamo portatori di
voti, abbiamo comunque dei diritti. Il diritto di non vedere i nostri figli
finire sotto un ponte, senza un tetto, fuori dalla scuola ed estromessi dal loro
futuro. Dal loro diritto al futuro. Che in un Paese civile dovrebbe essere
universale.
Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2459 volte)
Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato.
Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole
di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo
scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro
cammino.
Cos'è oggi la memoria
Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per
la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico
Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico
la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo
ricominciare. Jean-Luc_Godard
"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in
altre forme" recita
Wikipedia.
La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche
festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa
che non si ricorda più che significato abbia.
Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi
crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data
che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento
di
unità,
di
fratellanza.
E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno,
per forza si aggiunga il punto
di
ipocrisia.
Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo
reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo
considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe
stato
l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso
dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più
diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio
all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso
invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.
I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per
ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:
internet
non sapevano neanche bene cosa fosse,
quegli
anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità
fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.
Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo
di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella
memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai
lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi
30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei
campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano
patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un
mondo diverso.
Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che,
bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino
dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo,
c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare
lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.
Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E'
successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le
camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben
pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è
replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di
sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi
che la vorrebbero negare.
di
Mauro Biani
Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni
(pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi
quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la
maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro
piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai
riflettori.
Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si
stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi
non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di
sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.
Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce
qui. Le ceneri del camino e l'idea di nazione
Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:
Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
Omosessuali: da 10.000 a 600.000
Zingari: da 500.000 a 1.500.000
Testimoni di Geova: 25.000
Disabili: da 200.000 a 250.000
Massoni: da 80.000 a 200.000
Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000
L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti.
Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare,
perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le
cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?
Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e
poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio
razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra;
sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:
Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il
naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso
un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante
ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che
già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con
finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato"
per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra
(ricorda niente?);
Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli
ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro
lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora
come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori,
piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico"
incastonato nel XX secolo;
Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella
sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune
la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione
maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo.
Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle
normali famiglie.
Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma
potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella
Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e
comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza
nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza
pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan
(eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).
Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili,
ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die
Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà,
accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito
(come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali
localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da
confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una
caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi,
ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo
positivo per una "futura" razza ariana superiore -
L'UOMO NUOVO.
Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come
viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome
di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge
a produrre).
La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva
distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei),
ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non
essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a
questo punto: anche gli oppositori politici e gli
omosessuali). Ma
Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici
avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze
tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e
alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un
faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle
fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro
esempio andava spazzato via.
Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del
produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e
la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è
perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre
delle vittime dal fronte orientale.
I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un
operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po'
meglio di chi non era più in grado di lavorare.
Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva
o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla
morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie,
la sporcizia, non poter
parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì
si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso
poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile)
della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata
dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come
normalissimo esecutore di ordini.
Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt,
che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E
nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE
SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica
la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!),
l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.
E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i
pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more,
nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che
abbiamo esportato in
Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI
DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.
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