Rom e Sinti da tutto il mondo

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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 25/01/2013 @ 09:05:17, in Italia, visitato 1737 volte)

Aggiornamenti su una storia già apparsa su Mahalla (1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7)

20 gennaio 2013 | Corriere Immigrazione

Un "matrimonio combinato" in un campo rom dà il via a una lunga vicenda giudiziaria: i rom sono accusati di aver ridotto in schiavitù la giovane sposa. Ma la versione dell'accusa non regge. Ecco cosa è successo

Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono i pesantissimi capi di imputazione a carico di cinque rom, tutti residenti nel campo di Coltano a Pisa: colpevoli, secondo l'accusa, di aver portato in Italia una minorenne kosovara, costringendola prima a sposarsi con un giovane del campo, poi a vivere segregata nella sua baracca. Il processo in Corte d'Assise, durato più di due anni, sta arrivando alle battute conclusive: Venerdì si sono tenute le arringhe del Pm e di tre difensori, e per il 15 marzo è attesa la sentenza. Nel frattempo, la versione dell'accusa è stata pesantemente ridimensionata: vale la pena vedere cosa è successo.

Il matrimonio combinato e la "sposa bambina"
La vicenda risale a due anni fa, quando la polizia fa irruzione a Coltano e arresta i cinque attuali imputati. E' il 27 ottobre 2010. Pochi mesi prima, la comunità rom aveva festeggiato un evento speciale: il matrimonio tra un ragazzo di quindici anni e una sua coetanea, che aveva richiamato decine di rom da tutta Italia. La sposa, peraltro, non aveva mai visto il campo di Coltano: nata e cresciuta in Kosovo, aveva deciso di trasferirsi a Pisa per raggiungere il promesso sposo.
I due ragazzi si erano conosciuti tramite un'amica comune, e avevano cominciato a "chattare" su internet. Poi, com'è d'uso in questa comunità, le famiglie si erano accordate e avevano combinato il matrimonio: i parenti del ragazzo avevano versato la dote, ed erano andati a prendere la giovane per portarla a Pisa. Questa, almeno, è la versione dei rom.

Qualcosa però era andato storto. La ragazza non si era trovata bene a Coltano. E a un certo punto aveva deciso di sporgere denuncia contro il marito, i suoceri e il cognato: accusandoli di averla portata in Italia con la forza, di averla fatta oggetto di minacce e ripetute violenze. Di qui l'arresto e l'avvio del processo. E torniamo così al 27 ottobre 2010, data in cui comincia questa lunga e complicata storia.

Le polemiche in città
Com'è prevedibile, l'arresto dei cinque rom finisce su tutti i giornali locali. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2010, i cronisti si scatenano: il "matrimonio combinato", la tenera età degli sposi, la violenza su una ragazza di appena quindici anni, le "tradizioni" rom in contrasto con la "modernità". Un copione consolidato, che mette sotto accusa non solo gli imputati, ma l'intera comunità rom: le cui usanze, spiega il Presidente del Tribunale, «nel nostro paese si configurano come reati».

A gennaio, interviene anche il Comune. Che provvede a sfrattare la madre dello sposo dalla sua casetta al campo di Coltano. Il 31 gennaio 2011, il giorno più freddo dell'anno, la donna viene allontanata con la forza dalla polizia municipale. «Lo stesso fatto di essere imputata per reati di tale gravità», si legge nel provvedimento di sfratto, «denota la fuoriuscita dal percorso di integrazione». L'associazione Africa Insieme, da sempre vicina ai rom, e Padre Agostino, il prete che vive al campo nomadi, protestano inutilmente: in questo modo, dicono, la donna è già dichiarata colpevole, prima ancora della sentenza.

La vicenda processuale e i dubbi sulla versione dell'accusa
Nella Primavera 2011, la vicenda entra in un cono d'ombra, e nessuno ne parla più. Ma il processo prosegue: vengono visionati filmati e fotografie del matrimonio, si ascoltano i testimoni e gli imputati, si leggono le intercettazioni telefoniche. E gradualmente si fanno largo i dubbi sulla versione dell'accusa.

Gli avvocati difensori si concentrano in un primo momento sul giorno del matrimonio: tutte le fotografie ritraggono la sposa sorridente e felice, abbracciata al marito e ai suoceri, intenta a conversare con amici e parenti. I testimoni ricordano il clima di festa, i video la sorprendono mentre danza con le amiche e taglia la torta. Come è possibile che una ragazza così felice, almeno in apparenza, sia ridotta in schiavitù?

Tutti i testimoni - compreso Padre Agostino, il prete cattolico che vive a Coltano insieme ai rom - ricordano che la ragazza non era segregata nella sua baracca, ma circolava liberamente. La parrucchiera del paese dice di averla vista più volte al suo negozio. Altri ricordano la partecipazione della ragazza alle feste di Camp Darby, la base militare americana a due passi dal campo.

L'accusa risponde ricordando che anche alle prostitute vittime di tratta si concedono brevi momenti di serenità: perché la violenza non è fatta solo di calci e pugni, ma si nutre di soggezione e dipendenza psicologica, di premi e punizioni, di attimi di gioia che si alternano a periodi cupi di minacce e intimidazioni.

Vi sono tuttavia altre circostanze che gettano un'ombra sulla versione del Pm. Dopo l'inizio del processo, il telefono della giovane sposa viene messo sotto controllo. Le intercettazioni registrano i colloqui con il padre, che spiega alla figlia quel che deve dire agli inquirenti: mi raccomando - implora il genitore - dì che sei stata costretta ad andare a Coltano, dì che sei stata segregata, dì che sei stata picchiata e violentata. La famiglia della sposa riceve anche una telefonata della madre del giovane marito: ignara di essere intercettata, la donna implora i consuoceri, «dite a vostra figlia di raccontare la verità...». Non sembrano le parole di chi ha qualcosa da nascondere.

Non basta. La polizia, che ha condotto le indagini, dice di aver trovato la ragazza in stato di soggezione, costretta a vivere nella sua baracca senza poter mai uscire. Ma i carabinieri, che ogni giorno si recano al campo per controllare un rom agli arresti domiciliari, non si sono mai accorti di nulla. Possibile?

La versione della difesa
Ma perché una ragazzina di 15 anni dovrebbe inventare una storia del genere? Ed è qui che la versione della difesa appare abbastanza plausibile. La ragazza aveva un altro fidanzato in Kosovo: nulla di male - tiene a precisare l'avvocato Giribaldi nella sua arringa - cose che succedono, soprattutto in età adolescenziale. Trovatasi a Coltano lontana da casa, in mezzo a persone di cui non capiva la lingua (la sposa parlava solo albanese), ha cominciato a sentire nostalgia per la sua terra. Le intercettazioni rivelano anche contatti frequenti con l'ex fidanzato in Kosovo, al quale la giovane prometteva di tornare presto.

Secondo i difensori, la ragazza avrebbe maturato la volontà di tornare a casa. Ma la rottura del matrimonio avrebbe significato, per la famiglia, restituire la "dote" ai genitori dello sposo: e proprio la restituzione di quel denaro avrebbe messo in grave difficoltà il padre e la madre della ragazza. Così, ecco la via di fuga. Andare alla polizia, e raccontare quello che gli agenti vogliono sentirsi dire: una storia di violenza e di usanze "primitive", che assecondi gli stereotipi sui rom "arretrati" e "incivili".

Come andrà a finire il processo nessuno lo sa. Finora, il dibattito cittadino si è concentrato sulle "usanze" dei rom: il matrimonio combinato, gli sposi bambini... Si tratta, certo, di usanze che possono non piacere: ma da qui a parlare di tratta degli esseri umani ce ne corre. Violenze, minacce e riduzione in schiavitù non sono la diretta conseguenza di quelle "usanze", ma reati gravissimi che vanno provati e circostanziati. E di prove, nel corso del processo, ne sono emerse davvero poche. Staremo a vedere.

Sergio Bontempelli

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Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1796 volte)

Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino, Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.

Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del 2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica violazione dei diritti umani e dell'infanzia.

Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano casa - è una parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a Napoli.

"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione dei tuoi riti e della tua libertà.

In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze "facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e tagli al welfare e ai servizi essenziali.

Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.

Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo: risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più lontani dal contesto urbano.

L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le dichiarazioni degli amministratori.

I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti. I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.

L'ultimo Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom. Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009 ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.

Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette all'inclusione sociale di rom e sinti:

  • perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
  • per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
  • per abbandonare l'approccio emergenziale e securitario;
  • per proporre una cultura che superi i pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
  • per sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le Convenzioni internazionali.

Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la tua kher.

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Di Sucar Drom (del 27/01/2013 @ 09:01:06, in Kumpanija, visitato 1429 volte)
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Di Sucar Drom (del 28/01/2013 @ 09:04:40, in Italia, visitato 1754 volte)

24 gennaio 2013

Il Porrajmos, l'olocausto di Rom e Sinti, è stato per decenni tenuto sostanzialmente sotto silenzio. A distanza di quasi 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, qualcosa sembra modificarsi. Tra le varie iniziative volte a far emergere la memoria del Porrajmos figura MEMORS, il primo museo virtuale del Porrajmos.

"Porrajmos significa divoramento" - commenta Carlo Berini, dell'associazione Sucar Drom di Mantova - "ed è il termine con cui Rom e Sinti si riferiscono all'immane tragedia dell'olocausto". L'associazione Sucar Drom ha collaborato con lo storico Luca Bravi nella costruzione del museo virtuale. "La nostra attività di ricerca" - spiega Carlo Berini - "si concentra soprattutto su quanto accaduto nell'Italia fascista. L'internamento vero e proprio nei campi di concentramento inizia nel 1940, e nel 1943, dopo l'armistizio e la nascita della repubblica di Salò, assistiamo al sistematico invio verso i campi di sterminio in Germania e Polonia."

L'Italia non ha mai riconosciuto ufficialmente la persecuzione di Rom e Sinti, tanto che il Porrajmos non viene citato nella legge del 2000 che istituisce il giorno della memoria per il 27 gennaio e non viene incluso nelle celebrazioni istituzionali. "Inoltre" - sottolinea Berini - "Rom e Sinti sono le uniche due minoranze storico-linguistiche a non essere riconosciute dalla legge italiana, e diventano facilmente il capro espiatorio per occultare i veri problemi del paese e l'incapacità dei politici di far loro fronte".

La puntata di Passpartù di questa settimana sarà dedicata a un approfondimento sul Porrajmos e all'analisi delle attuali politiche messe in campo nei confronti di queste comunità nel nostro paese.

Intervista a Carlo Berini, associazione Sucar Drom - Mantova

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Di Fabrizio (del 29/01/2013 @ 09:05:29, in Europa, visitato 1970 volte)

Perché molti zingari si stanno ammazzando - by Jamie Clifton - Vice.com

Zingari e viaggianti a lungo sono stati un gruppo marginalizzato. Immagino sia un punto nero di una costante imposta per anni dalla società maggioritaria. Ma le recenti modifiche alla legislazione riguardo le comunità nomadi (nel senso che da parte del governo non ci sono più posti dove insediarsi) le ha rese ancora più segregate. Un rapporto mostra che viaggianti e zingari hanno la salute significativamente peggiore di altri residenti in GB, comprese le minoranze etniche di lingua inglese. Sono anche più predisposti a soffrire di aborti spontanei, mortalità infantile dovuta a limitato accesso alle cure sanitarie... - in quanto gruppo senza fissa dimora. Il tutto è ovviamente molto deprimente.

Un'altro fattore dirompente è l'esplosione, negli ultimi cinque anni, dei tassi di abuso di droghe da parte di entrambe le comunità, mentre i suicidi sono cresciuti di sei volte rispetto al resto della popolazione britannica. Tanto le comunità zingare che quelle dei viaggianti sono piuttosto chiuse, e immagino siano riluttanti a parlarne quando si tratti di propri familiari, così su questi fatti non esiste granché informazione. Per intuito, ho interpellato Shauna Leven, dell'associazione René Cassin.

Ex residenti di Dale Farm

Hi Shauna. Puoi smentire queste statistiche sui tassi di suicidio nelle comunità viaggianti e zingare, che sarebbero sei volte superiori al resto della popolazione britannica?...
Prima di tutto, devo dire che queste statistiche riguardano i Traveller, che siano scozzesi, gallesi o irlandesi, e non i Rom di più recente arrivo. Tuttavia, tutti soffrono dello stesso tipo di discriminazione in Europa. Sfortunatamente, è difficile scendere nello specifico, perché il SSN non raccoglie dati su questi gruppi etnici, come fa invece per gli altri.

Perché non raccoglie dati statistici?
Perché non fa parte della policy del SSN. Zingari e viaggianti sono riconosciuti come minoranza etnica ma, ad esempio, la discrepanza tra la loro aspettativa di vita e quella della popolazione maggioritaria, viene per lo più ignorata. Se si assistesse allo stesso tipo di cose nella comunità, ad esempio, musulmana, di sicuro si adotterebbero delle statistiche. La nostra prima indicazione per risolvere il problema è di muoversi e compiere delle ricerche, perché questo è il primo problema.

La prima questione è: quale sarebbero le cause?
In realtà la causa di tassi di suicidio così alti dipendono da una convergenza di fattori. Il razzismo contro zingari e viaggianti viene spesso definito come l'ultima forma accettabile di razzismo in GB. Persone istruite e socialmente coscienziose non esitano ad adoperare le parole "gyp", "pikey" o altre simili, e questa ovviamente è soltanto la punta dell'iceberg. Mostra il livello di esclusione sociale in cui i Traveller sono piombati automaticamente in quanto itineranti.



Da cosa ritieni dipenda però il picco attuale?
Zingari e viaggianti sono nomadi e, sino a qualche decennio fa, il governo forniva i siti per spostare le loro carovane. Da allora il governo ha rimesso la responsabilità di individuare e mantenere questi siti ai consigli locali - che, com'è normale, sono molto più sensibili alle pressioni dei residenti. Come risultato da tempo le comunità viaggianti e zingare non hanno più accesso ad una sistemazione sicure con strutture adeguate e non possono iscriversi al SSN come residenti permanenti, quindi... non hanno accesso alle cure per il cancro al seno e la salute mentale, tra le altre.

Quindi sono obbligati a spostarsi continuamente, invece di avere un punto stabile prima di decidere se muoversi o meno.
Sì, proprio così. Non è sotto il loro controllo, e penso sia una questione chiave comprendere l'ansia e la depressione nella comunità. Voglio dire, non sono una specialista mentale, ma chiunque capirebbe che lo stress costante di essere sgomberati, o che i tuoi figli vengano allontanati da scuola, o di subire discriminazioni dirette, non può che generare ansietà. Tuttavia, è importante capire che non esiste un'unica causa - è tutto il sistema di discriminazione ed esclusione che ci ha portato a questo punto.

Pensi allora che dipenda tutto da cause esterne? Non c'è qualcosa che accade internamente e che possa aver aumentato i tassi di suicidio?... Che so - gay che fanno outing o che vogliano condurre uno stile di vita più conformato, e siano emarginati dalla comunità? O qualcosa di simile?
Credo che - per la maggior parte - dipenda da fuori. Le comunità zingare e traveller hanno una cultura comunitaria molto forte, e questa è una delle ragioni pwer cui non avere una sistemazione sicura è così traumatico per loro: significa separare le famiglie. Per quanto ne sappia, non ci sono studi sul coming out di gay tra rom e traveller, che porterebbe ad un aumento dei tassi di suicidio, ma penso che si siano iniziate ad osservare le conseguenze delle rotture di matrimoni che portano ad autolesionismo e suicidi. E' un fenomeno molto recente per la comunità - la rottura del matrimonio - per cui si può capire come ciò possa portare a conseguenze simili.

Roseanna Doherty, star di una serie TV in GB sugli zingari, che recentemente ha tentato il suicidio

Pensi che il fatto che nelle comunità alcune coppie stiano iniziando a divorziare, possa avere a che fare con tutto ciò?
Sì, potrebbe essere un altro fattore. Ma personalmente ritengo che il fattore più importante sia che il loro essere socialmente esclusi, i problemi nel trovare lavoro, la discriminazione da parte della società e dei principali mezzi di comunicazione, e spesso le loro famiglie sono obbligate all'insicurezza. La mia organizzazione si è interessata a loro sulla base dell'esperienza storica ebraica, il passato di entrambe le comunità è abbastanza simile - gli zingari erano a fianco degli Ebrei nei campi di concentramento. Ma da allora gli Ebrei sono cresciuti e i nomadi sono scivolati in basso. Non c'è stato neanche alcun riconoscimento diffuso per gli zingari uccisi durante l'Olocausto.

E' così. E' stato messo sotto il tappeto.
Esatto. C'è un sito interessante: Jewify.org, dove si linka un articolo su zingari o traveller e le parole "zingaro", "traveller" o "rom" vengono sostituite con la parola "ebreo". E se guardi a come risuonano questi articoli - e potresti fare lo stesso con "persona di colore" o "musulmano" - lo trovo abbastanza inquietante. Questo fa capire come sia inaccettabile usare le parole nel modo che facciamo.

Campagna di protesta per la giustizia ai Rom

Bene. E sull'abuso di sostanze... - sai dirmi qualcosa? Perché anche in questo caso non mi sembra si stiano facendo molte ricerche.
Hai ragione. Sfortunatamente non ho nessuna statistica e neanche so se ne esistano. Ho sentito aneddoti sulle ragioni e sulle cause, le stesse ragioni dei tassi di suicidio: stress che deriva da tutti quei diversi fattori. Inoltre, molti non riescano a lavorare, iniziano così a passare il tempo con le droghe, diventandone poi dipendenti.

Che misure pensi si dovrebbero adottare per iniziare?
Tutto torna al punto della "discriminazione accettabile" nei confronti degli zingari e dei traveller in GB ed in tutta Europa. E' ancora ritenuto OK dire e fare cose discriminatorie, e la maggior parte della gente nemmeno si rende conto di quanto siano discriminatorie le nostre leggi sulla pianificazione; che il modo richiesto per iscrivere i bambini a scuola sia indirettamente discriminatorio, perché obbliga ad avere un indirizzo fisso, dicendo che si può così beneficiare degli aiuti statali. Ho visto in un sondaggio - scala da uno a dieci, dove dieci è estremamente confortevole e uno estremamente scomodo - dove avere un vicino disabile o omosessuale riceveva otto, mentre avere un Rom come vicino riceveva sei. E allora è così: non ce ne si rende conto, ma la discriminazione è piuttosto scioccante e massivamente radicata.

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Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1721 volte)

La scuola, bella come un camion Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08 Libération

Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo Raphael Helle)

GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.

Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in pellegrinaggio per Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul, per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre, rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no, non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto rispetto a quello delle scuole superiori.

Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti, faranno una relazione al Centre national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage. Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.

Tre circolari ed un messaggio dal ministro

La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo. Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un colloquio a Grenoble.

L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli. Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi, secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.

Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer (Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare dei piccoli lavori.

Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion scolastico. (Photo Raphaël Helle)

120 alunni iscritti al Cned

Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale - ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti dall'Educazione Nazionale.

Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".

Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte", un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz, incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione degli enfants du voyage.

Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.

Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…

Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.

Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4 anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi? Questo camion ci permette progressi favolosi".

All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage, le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione, sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".

Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo Raphaël Helle)

Bambini "più autonomi degli altri"

Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese. Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare  a leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un maestro davvero gentile che mi ha aiutato."

Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."

Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile." Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.

Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."

"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."

    (1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo, l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi parlano di "gens du voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e per gli stranieri di "arrivi allofoni".
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Di Fabrizio (del 31/01/2013 @ 08:59:32, in musica e parole, visitato 2364 volte)

Evento organizzato da e

Concerto di raccolta fondi per un progetto post-terremoto con INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE
Giovedì 7 febbraio, ore 21.30 Enoteca Ligera, via Padova 133

Tutto a posto?
Ad oltre sei mesi dal terremoto, l'Emilia è dimenticata con ancora tutte le ferite aperte. Sta succedendo lo stesso agli scampati del terremoto a L'Aquila.
Abbiamo cercato dei referenti in Emilia, che seguissero un progetto tangibile e già in corso, per continuare a dimostrare la solidarietà emersa a fine maggio.
L'abbiamo trovato con
Sisma punto dodici e col loro progetto di autocostruzione.

Gli Unza, chi se li ricorda?

Furono i primi a far conoscere le storie e la musica dei Rom rumeni a Milano. Poi, come succede spesso, il gruppo si divise: qualcuno andò a lavorare in campagna, qualcuno tornò in Romania, altri continuarono a girare tra campi rom sempre più malmessi. Altri cammineranno sul percorso tracciato da loro.

Ma non puoi fermare la passione che scorre nelle vene di un musicista, la necessità di mettersi in gioco ancora una volta.

E... hanno pensato, noi che si è sempre vissuto in tende e roulottes, non vogliamo essere SPORCHI ZINGARI, anzi, possiamo impegnarci per il paese che ci ospita da anni: con questo concerto fortemente voluto: brani del repertorio romanì e del folklore rumeno, per scoprire le tante radici che legano popoli e culture. Una serata per ballare - certo, per riflettere - forse, per conoscersi e stare insieme.

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Di Fabrizio (del 01/02/2013 @ 09:05:50, in Italia, visitato 1251 volte)

Questo è il punto cui è arrivata l'esperienza una volta esemplare del Quartiere Terradeo di Buccinasco. Oltre un anno di gestione commissariale, resistenze e incapacità amministrative... più la crisi, che notoriamente picchia in basso.
Ci auguriamo -e cerchiamo di fare il possibile- perché sia un punto e a capo
.
Ernesto Rossi - APERTAMENTE di Buccinasco

LETTERA APERTA DELLA COMUNITA' SINTA DI BUCCINASCO

Come è difficile la vita di un "NOMADE STANZIALE". Così ci ha paradossalmente definiti in un suo recente articolo una giornalista del quotidiano "Il Giorno ". I nostri avi SINTI sono giunti in Italia attorno al 1400. Mentre la nostra comunità, di fatto una famiglia allargata, risiede a Buccinasco da oltre trent'anni. Quindi noi e le nostre famiglie siamo cittadini di Buccinasco, e i nostri bambini da alcune generazioni frequentano le locali scuole dell'obbligo.

Sino a che la "crisi" non ha colpito tutti, almeno un membro di ognuna delle nostre famiglie aveva un regolare lavoro, che ci permetteva di vivere decorosamente nel nostro Quartiere Terradeo, con il valido aiuto delle Amministrazioni che si sono succedute nel nostro Comune e di alcune Associazioni.

Sei più una delle nostre famiglie (le più numerose) hanno nel tempo investito tutti i loro risparmi per costruirsi, in alternativa alle precedenti roulotte, sette casette in legno appoggiate su di una piastra in cemento per vivere una vita più confortevole.

Lo scorso inverno il Commissario, che in quel periodo governava Buccinasco, ha ordinato la demolizione, attraverso una raffica di ordinanze (oltre venti) sotto il controllo costante delle Forze dell'Ordine, di tutte e sette le costruzioni, e già che c'era ha fatto abbattere anche sei casotti in legno 2X2, utilizzati come ripostigli. Questa operazione è andata avanti per diversi mesi. Motivo dell'intervento: l'edificazione delle casette, con molti incoraggiamenti, ma senza alcun permesso formale delle preposte Autorità.

Va precisato che per avere il permesso di costruzione era necessario che il Parco Agricolo Sud Milano autorizzasse, prima, l'esistenza del Quartiere, dove da anni vivono le nostre famiglie, allestito sopra un terreno di proprietà del Comune ma collocato entro il Parco Sud.

L'attuale Amministrazione comunale ci sta riprovando, così come ci hanno provato quelle precedenti, e siamo in attesa che l'annoso problema venga positivamente risolto.

Nel frattempo, come per buona parte delle famiglie italiane, le condizioni di vita delle nostre famiglie, che già da prima erano difficili, in questi ultimi tre anni sono notevolmente peggiorate e la maggior parte dei nostri capi famiglia ha perso il lavoro. Si sopravvive effettuando lavori precari, cercando di far fronte ogni mese alle spese fisse, mangiare, luce, gas, trasporti, affitto, ecc.

In questo contesto e con diversi problemi ancora irrisolti, sono avvenuti i fatti in un pomeriggio della scorsa settimana.

Una buona parte delle famiglie del Terradeo ed alcuni parenti invitati, stavano festeggiando il battesimo di un nostro bambino in un ristorante della zona. Dopo pranzo, alcune coppie stavano ballando al suono della musica del locale, che qualcuno ha ritenuto di volume eccessivo, tanto da richiedere l'intervento di una pattuglia di Vigili Urbani.

Quello che è avvenuto all'arrivo dei Vigili è estremamente sgradevole: un paio di noi, evidentemente "alticci", si sono comportati in modo poco urbano e con poco rispetto nei confronti dei tutori dell'ordine, nonostante l'intervento moderatore di altri commensali.

Il giorno successivo due delle persone interessate al fatto, si sono recate presso il locale comando di Polizia Urbana per porgere le loro scuse per l'accaduto.
A queste scuse aggiungiamo quelle delle nostre famiglie, poiché riconosciamo ai nostri Vigili la serietà e la correttezza nello svolgere il loro non facile compito quotidiano in situazioni difficili come quelle sopra ricordate, in cui ci siamo trovati anche noi coinvolti.

Vorremmo comunque far presente che in casi come questi, che ci auguriamo non abbiano più a ripetersi, gli autori delle eventuali azioni perseguibili dalle leggi del nostro Stato, rispondono personalmente di fronte alla giustizia e quindi riteniamo giusto sottolineare e chiedere che anche chi riporta i fatti debba evitare generalizzazioni o ancor peggio la criminalizzazione di una intera Comunità, come spesso è accaduto nel passato sui mass media.

Le Famiglie del Quartiere Terradeo di Buccinasco
L'Associazione APERTAMENTE di Buccinasco

Buccinasco, 23.01.2013

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Di Fabrizio (del 02/02/2013 @ 09:04:49, in Italia, visitato 1477 volte)

di Giulio Cavalli | 31 gennaio 2013

Una lettera, chiara ed efficace, dal campo Rom di Baranzate:

"Mancano due settimane alla data che tormenta le nostre notti e i nostri giorni. Il 15 febbraio, secondo quanto Infrastrutture Lombarde Spa ha detto ad alcuni di noi, verranno a sgomberare il nostro campo, a due passi da Rho, proprio a ridosso dell'autostrada dei Laghi, nel territorio di Baranzate. Un campo che sorge su terreni che abbiamo regolarmente comprato, circa 25 anni fa, e in cui viviamo da allora.

Devono fare l'Expo, ci dicono. Devono costruire una strada di collegamento tra Molino Dorino e l'autostrada. Siamo proprio nel mezzo, dobbiamo andare via.

Sono venuti da noi quelli di Infrastrutture Lombarde Spa, a metà settembre del 2012, hanno scattato delle foto. Alle nostre case e alla nostra terra. Ci hanno fatto firmare delle carte. Anzi le hanno fatte firmare a chi non sa leggere né scrivere in italiano. Ci hanno detto che erano per la privacy. In realtà erano documenti che stabilivano la presa in possesso dei terreni ad un prezzo bassissimo, sette euro a metro quadro.

Sette euro, tanto valgono per loro la nostra vita, la nostra storia, due decenni di vita in un terreno comprato da noi. Un terreno edificabile, adesso. Quando ci hanno fatto pagare le multe per le casette che abusivamente abbiamo costruito sui nostri campi, non siamo riusciti ad ottenere la variazione di destinazione d'uso da agricolo ad edificabile. Non era possibile. Non potevano mettere in regola i tetti che abbiamo tirato su per i nostri figli.

Poi, però, con l'avvento dell'Expo, il cambio di destinazione è stato magicamente possibile ed è stato inserito nel nuovo Pgt. Che strano. D'altra parte, noi Rom, per loro, valiamo molto meno di un'esposizione internazionale. Ma lo sappiamo già. Non ci stupisce. Noi non pretendiamo di essere lasciati nelle nostre terre. Possiamo anche abbandonare il campo, pacificamente. Vogliamo che il prezzo di vendita sia quello di mercato, ma di questo e delle procedure ingannevoli utilizzate nei nostri confronti si stanno occupando i nostri legali.

Quello che più ci preme, ora, è che la nostra dignità venga rispettata. Chiediamo solo di non essere mandati in mezzo ad una strada. Lo chiediamo per i nostri figli. Che studiano qui in zona per migliorare, per costruirsi un avvenire in questo Paese in cui sono nati.

Vogliamo che i nostri bambini, che ci emozionano quando leggono e scrivono in italiano, non vengano allontanati dalle loro scuole e dalla rete di amicizie che hanno costruito con fatica. Vogliamo che non perdano la quotidianità conquistata, nonostante le tante difficoltà, dai propri genitori.

Chiediamo al Comune di Milano, che continua a prendere tempo senza darci una garanzia chiara e una risposta precisa, quantomeno di attrezzare un'area, non lontana dal campo, dove poter continuare a vivere in attesa di una soluzione. E all'assessore Granelli chiediamo di farlo prima che arrivi lo sgombero. E che ci dia una scadenza certa, non oltre mercoledì 6 febbraio, per presentarci la sua soluzione e dirci chiaramente cosa accadrà. Non siamo terremotati, è vero, ma siamo 350 persone, alcuni anziani e qualche malato, che in una notte potrebbero perdere tutto. Ci sono dei neonati, 60 bambini vanno a scuola, 2 ragazzi frequentano con orgoglio le superiori, non siamo "involuti" come fa comodo credere e far credere.

Se Milano è una città che ama i diritti, una città di inclusione, ci dimostri davvero di esserlo. Anche se noi non siamo elettori, non siamo portatori di voti, abbiamo comunque dei diritti. Il diritto di non vedere i nostri figli finire sotto un ponte, senza un tetto, fuori dalla scuola ed estromessi dal loro futuro. Dal loro diritto al futuro. Che in un Paese civile dovrebbe essere universale.

Gli abitanti del campo Rom di Baranzate"

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Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2459 volte)

Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato. Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro cammino.

    Cos'è oggi la memoria

Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo ricominciare. Jean-Luc_Godard

"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in altre forme" recita Wikipedia. La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa che non si ricorda più che significato abbia.

Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento

  1. di unità,
  2. di fratellanza.

E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno, per forza si aggiunga il punto

  1. di ipocrisia.

Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe stato l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.

I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:

  1. internet non sapevano neanche bene cosa fosse,
  2. quegli anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.

Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi 30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un mondo diverso.

Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che, bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo, c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.

Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E' successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi che la vorrebbero negare.

di Mauro Biani

Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni (pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai riflettori.

Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.

    Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce qui.
    Le ceneri del camino e l'idea di nazione

Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:

    Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
    Omosessuali: da 10.000 a 600.000
    Zingari: da 500.000 a 1.500.000
    Testimoni di Geova: 25.000
    Disabili: da 200.000 a 250.000
    Massoni: da 80.000 a 200.000
    Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
    Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
    Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000

L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti. Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare, perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?

Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra; sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:

  • Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato" per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra (ricorda niente?);
  • Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori, piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico" incastonato nel XX secolo;
  • Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo. Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle normali famiglie.

Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan (eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).

Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili, ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà, accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito (come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi, ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo positivo per una "futura" razza ariana superiore - L'UOMO NUOVO.

Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge a produrre).

La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei), ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a questo punto: anche gli oppositori politici e gli omosessuali). Ma Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro esempio andava spazzato via.

Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre delle vittime dal fronte orientale.

I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po' meglio di chi non era più in grado di lavorare.

Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie, la sporcizia, non poter parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile) della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come normalissimo esecutore di ordini.

Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt, che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!), l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.

E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more, nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che abbiamo esportato in Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.

Democratici, perché questo è il quadro in cui ci definiamo. Ma dentro il quadro, tornando a quanto scrivevo prima, ci siamo ancora noi, razzisti, antirazzisti e gente che volta la testa. Torneremo agli stessi slogan di inizio del secolo scorso: "A cosa servono gli zingari?", ma da allora è cambiata la risposta: "Li metterei ai forni!". Siamo diventati così civili ed evoluti, che non è più necessario essere noi i razzisti, l'importante è che lo diventino gli altri.

Riletture possibili

  • L'Italia e l'innocenza perduta: MEMORS
  • L'Italia oggi e la mancanza di memoria: COCCI
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