Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 24/08/2013 @ 09:06:58, in casa, visitato 1778 volte)
Di
Kosice in Mahalla se n'è parlato spesso. Città simbolo della condizione
dei Rom in Slovacchia:
- da una parte culla della classe intellettuale e
imprenditoriale romanì,
- dall'altra sede di quartieri ghetto da incubo.
Una passione slovacca, sono i muri. Meglio, se per dividere rom da non rom.
Nel 2005, questa notizia passò quasi sotto silenzio, almeno in Italia.
Kosice sembra non voler essere a meno di Presov, e anche se
con otto anni di ritardo, voleva adeguarsi. Così i bravi cittadini non-rom (suppongo, assieme a quei rom che sono riusciti a scappare dal ghetto), si son
messi di buzzo buono a costruire un muro che li isolasse da quei disgraziati
rinchiusi nel ghetto di Lunik. Stavolta sono insorti in tanti, in Slovacchia, in
Europa, persino in Italia.
Che fare, il dubbio della giunta comunale?
Leggo su
EUOBSERVER, che il muro, forse in ossequio alle tradizioni romanì,
è stato edificato senza nessun permesso. Non è dato sapere con
quale tempismo l'amministrazione provvederà ad abbatterlo, ma (volendo e con la
dovuta calma), può legalmente farlo. Rimane (ACCIDENTI, CHE SFIGA!) il problema
del ghetto di
Lunik: quello è legale, lo stato lo costruì apposta per inscatolarci la
popolazione più disperata, e l'abbandono (pubblico e privato) l'hanno
trasformato in una discarica con i muri.
Di Fabrizio (del 31/08/2013 @ 09:00:29, in casa, visitato 1697 volte)
Segnalazione di Giacomo Marino
di Silvia Ragusa | 29 agosto 2013
Il Fatto Quotidiano
Si chiama "Obra social" il manuale rivolto agli spagnoli che si sono visti
pignorare la propria abitazione a causa di debiti contratti con le banche.
Venticinque pagine che spiegano, passo dopo passo, come prendere possesso di un
edificio e e come affrontare le conseguenze legali del gesto
La chiamano "disobbedienza civile". Ma per molti non sono altro che
"okupas":
uomini e donne che vivono della carità delle mense sociali e hanno un
enorme
debito da saldare con la banca, che ha loro sequestrato la casa. E che adesso
cominciano ad occupare gli edifici vuoti.
La Charcha, ad esempio, è uno di questi: si trova nel quartiere popolare
Carabanchel di Madrid ed è di proprietà del Banco popular. L'edificio, vuoto da
quando è stato costruito (circa due anni fa), è stato occupato da 40 persone,
tra bambini, coppie e attivisti. Gli inquilini hanno messo su un orto e, anche
se alcuni lavorano, la maggior parte vive di donazioni e
"ricicla" il cibo,
cercando nei bidoni della spazzatura o andando a procurare la merce in scadenza
nei grandi magazzini.
In Spagna di edifici così se ne contano già 14. Oltre 600 le persone che, grazie
alla "Pah", la piattaforma per le vittime degli sfratti, hanno riavuto un tetto
sotto la testa.
Ma occupare un edificio non è certo cosa semplice. Adesso però è tutto scritto,
nero su bianco, sulla nuova guida pratica chiamata "Obra social" che
l'associazione ha reso pubblica. "I motivi sono semplici: ci rubano la casa e ci
condannano a pagarla lo stesso", spiegano gli attivisti che vogliono legalizzare
le occupazioni delle abitazioni rimaste vuote per sfratto.
L'obiettivo è che, una volta preso l'edificio, i nuovi inquilini, sprovvisti di
chiavi, riescano a "negoziare un affitto sociale in base al reddito" con
l'entità finanziaria di turno. Insomma un processo di "recupero" delle case dal
basso.
Guida alla mano, le 25 pagine spiegano, passo dopo passo,
come prendere possesso
di un edificio, consigliando, ad esempio, in primis la scelta stessa dello
stabile: che sia vuoto da almeno un anno, che sia di proprietà di una banca che
rischiava di affondare e che è stata salvata coi soldi dell'Ue. Poi al vaglio
c'è anche il luogo da non sottovalutare: "L'appoggio del vicinato sarà diverso
nei quartieri popolari che in quelli residenziali o in centro". Nel documento la
piattaforma spiega anche in maniera schematica cosa fare dal momento
dell'insediamento e come affrontare legalmente la presa di possesso di una casa:
è necessario "rivendicare pubblicamente l'azione per evitare che venga
considerata come 'furto di proprietà', affinché la polizia non possa intervenire
senza un mandato per flagranza di reato". Ma anche "causare il minor danno
possibile" alla porta d'ingresso. L'edificio infatti rientra sotto la
responsabilità del gruppo.
Nei giorni successivi l'occupazione, spiega il manuale, è importante andare a
parlare con i vicini e spiegare loro la situazione perché "in futuro potrebbero
essere chiamati a testimoniare". E per dimostrare "la nostra
volontà di pagare,
prima di qualsiasi accordo con la proprietà dell'immobile, possiamo aprire un
conto in quella stessa banca dove versare ogni mese una quantità di denaro in
corrispondenza di un affitto sociale", aggiunge la "Pah". Un canone che non
dovrà mai superare il 30 per cento del reddito familiare.
Più complicata la seconda parte della guida che espone le conseguenze giuridiche
all'indomani dell'occupazione visto che "il diritto alla casa dell'articolo 47
della Costituzione spagnola non è un diritto fondamentale, come si crede",
mentre lo è il diritto alla proprietà privata. La guida allega dei fac-simile di
documenti da poter consegnare al giudice. E incoraggia a chiarire che "l'azione
è una risposta all'assenza di alternative per le famiglie in difficoltà".
Insomma la pressione sociale e mediatica - perché non bisogna dimenticare di
chiamare la stampa e srotolare cartelli fuori dallo stabile - è, per
l'associazione, una delle armi più efficaci per una buona difesa. Ma soprattutto
per permettere alle famiglie di restare nell'edificio. "Non possiamo rimanere
con la braccia incrociate", dicono dalla "Pah".
Twitter @si_ragu
Di Fabrizio (del 02/09/2013 @ 09:05:20, in casa, visitato 1405 volte)
Associazione 21 luglio 29 agosto 2013 (in foto: Dragan Trajlovic)
In una lettera inviata al sindaco di Roma Ignazio Marino, la comunità rom
insediata dallo scorso giugno in via Salviati, nella periferia est della
Capitale, chiede di non essere più costretta a vivere nei "campi" e di iniziare
nuovi percorsi condivisi di inclusione sociale. Per l'Associazione 21 luglio,
l'appello rappresenta la possibilità, per Roma, di mettere in atto quelle nuove
politiche di integrazione previste dalla "Strategia Nazionale di Inclusione dei
Rom, Sinti e Camminanti", adottata dall'Italia nel 2012.
"Caro sindaco, siamo e ci sentiamo cittadini di questa città, dove viviamo da
trent'anni - si legge in uno dei passaggi chiave della lettera, che porta la
firma di Sandor Dragan Trajlovic, portavoce della comunità -. Siamo orgogliosi
di essere cittadini italiani e cittadini d'Europa. Siamo cittadini rom che
credono nell'inclusione e che sognano di poter avere piena cittadinanza in
questa bella città. Per questo le chiediamo di ascoltare il nostro desiderio di
essere cittadini come gli altri, senza discriminazione e senza ghettizzazione".
(Guarda
il video su YOUTUBE)
Lo scorso giugno i 152 rom che attualmente si trovano nell'insediamento
informale di via Salviati sono fuggiti dal "villaggio attrezzato" di Castel
Romano, dove vivevano dal 2010, in seguito a ripetuti episodi di violenza da
parte di altri abitanti del "campo".
"Vivere nel campo ci fa sentire come all'interno di un ghetto, riservato a 1300
rom - scrive al sindaco la comunità -. Sì, il campo di Castel Romano è
effettivamente un ghetto, isolato dalla città, insicuro, recintato, chiuso, dove
non esiste alcuna possibilità di inclusione sociale. Abbiamo paura per noi e per
i nostri figli, perché vivere a Castel Romano significa vivere nella sofferenza
e rinunciare al futuro. Dopo trent'anni non ce la facciamo più a vivere nei
ghetti. Costringerci a farlo rappresenta per noi un atto di discriminazione".
In seguito a un'ordinanza del sindaco, il 12 agosto scorso le forze dell'ordine
avrebbero dovuto sgomberare l'insediamento di via Salviati. Lo sgombero,
tuttavia, è stato sospeso e rimandato di alcuni giorni.
La comunità rom, ad oggi, vive nella costante tensione per un imminente
sgombero
e per il rischio di essere trasferita nuovamente a Castel Romano. Consapevole
della necessità di non poter e non voler restare nell'attuale insediamento di
via Salviati, la comunità lancia quindi un appello al sindaco per iniziare una
nuova stagione di dialogo e un percorso all'insegna dell'inclusione.
"La mia comunità è disponibile a rimboccarsi le maniche e ad assumersi delle
responsabilità per intraprendere un percorso che non ci porti più a vivere nei
campi e nel degrado, per essere inclusi, per integrare i nostri figli, per avere
un futuro migliore. Ci chiamano nomadi ma non è quello che siamo e ci
sentiamo", prosegue la lettera.
"Questo appello rappresenta la possibilità di trasformare il "problema dei rom
di via Salviati" in una opportunità storica per sperimentare
percorsi virtuosi
di inclusione sociale così come previsto e richiesto dalla Strategia
Nazionale di Inclusione di Rom, Sinti e Camminanti", afferma
l'Associazione 21 luglio.
La politica dei "campi", alimentata dalla passata Amministrazione con il Piano
Nomadi, non ha prodotto che segregazione abitativa e concentrazione su base
etnica. "È il momento che anche a Roma, come già avviene in altre città
italiane, ai rom vengano offerte soluzioni diverse da quelle dei "campi"".
"Passare dalla ghettizzazione all'inclusione sociale: è questa la grande
occasione che Roma ha davanti a sé per dimostrarsi Capitale europea attenta ai
diritti umani e ai bisogni delle categorie più svantaggiate", conclude
l'Associazione.
SCARICA la lettera al sindaco Marino
Di Sucar Drom (del 09/09/2013 @ 09:07:38, in casa, visitato 1328 volte)
21luglio.org (6 settembre 2013) Foto: Gazzetta di Parma
La decisione del Comune di Parma di riqualificare il "campo nomadi" di via del
Cornocchio potrebbe indicare il reiterarsi di politiche discriminatorie e
ghettizzanti nei confronti delle comunità rom e sinte. Lo scrivono Associazione
21 luglio e Sucar Drom in una lettera di preoccupazione congiunta inviata al
sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
La lettera si riferisce alla decisione del comune emiliano, annunciata con un
comunicato stampa dello scorso 19 agosto, di "elaborare un progetto di
riqualificazione del "campo" di via del Cornocchio, in linea con la nuova Legge
Regionale su Sinti e Rom".
Il progetto, in particolare, prevede di "recintare e mettere in sicurezza la
zona del "campo", la predisposizione di un'area di sosta di dimensioni più
limitate, il ripristino della palazzina operatori e la manutenzione del
"dormitorio di emergenza" invernale", si legge nel comunicato del Comune di
Parma.
Pur esprimendo apprezzamento per ogni azione pubblica volta a migliorare le
condizioni igienico sanitarie delle comunità rom e sinte presenti negli
insediamenti formali e informali del nostro Paese, Associazione 21 luglio e
Sucar Drom definiscono "antistoriche, antieconomiche e discriminatorie quelle
politiche abitative rivolte alle comunità rom basate in maniera quasi esclusiva
sulla costruzione di "campi nomadi" e "aree di sosta", che hanno come esito una
situazione di ghettizzazione di fatto".
Negli ultimi trent'anni le politiche locali italiane rivolte alle comunità rom
e sinte si sono basate sulla convinzione che queste siano "nomadi" e quindi
culturalmente inadatte a condurre una vita all'interno di abitazioni
convenzionali.
La
Strategia Nazionale d'Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, adottata dal
Governo italiano nel 2012, afferma tuttavia che nel nostro Paese "la politica
amministrativa dei "campi nomadi" ha alimentato negli anni il disagio abitativo
fino a divenire di conseguenza essa stessa presupposto e causa della marginalità
spaziale e dell'esclusione sociale per coloro che subiscono una simile modalità
abitativa"
"Le nostre organizzazioni - si legge nella lettera indirizzata al sindaco
Pizzarotti da Associazione 21 luglio e Sucar Drom - condannano la scelta di
qualsiasi Amministrazione locale di continuare a investire sulla "campizzazione"
su base etnica di comunità rom stanziali ed esprimono la preoccupazione che la
riqualificazione del nuovo "campo nomadi" di via del Cornocchio, che sembra
basarsi su una nuova Legge Regionale a tutt'oggi non ancora presentata in
Regione, possa rappresentare l'ennesimo sperpero di denaro pubblico che si
tradurrà, nella migliore delle ipotesi, nell'abbellimento temporaneo di un
ghetto".
RP-ONLINE Insediamento rom nel 1991 a Skopje - Shutka (Macedonia). Le
case sono stati finanziate dallo stato di NRW. Foto: D. Hüwel Milioni sprecati per un progetto di rimpatrio - QUANDO LA RENANIA
SETTENTRIONALE-VESTFALIA COSTRUI' CASE PER I ROM - 10 settembre 2013 alle ore 12.26
Di DETLEV HÜWEL
Düsseldorf - Con un progetto di diversi milioni, nel 1991 il governo di Johannes Rau (SPD) intendeva persuadere al rimpatrio quegli immigrati che per mesi si
erano accampati sulla riva del Reno.
Vengono per restare. E sono sempre di più le persone che dalla Romania e dalla
Bulgaria si spostano in Germania. Nella Renania Settentrionale-Vestfalia
sarebbero già 60.000 donne, uomini e bambini, soprattutto Rom. Possono entrare
liberamente in Germania visto che Romania e Bulgaria fanno parte dell'Unione
Europea (UE).
Secondo le regole, qui in Germania non hanno ancora la possibilità di lavorare
(con l'eccezione dei lavori con penuria di manodopera). Soltanto a partire dal
2014 sarà in vigore la libera circolazione dei lavoratori all'interno
dell'Unione Europea. Un immigrato che denuncia un'attività lavorativa, tuttavia,
riceve dallo Stato un assegno famigliare per i figli. Dal prossimo anno agli
immigrati spetteranno per legge tutti i contributi sociali.
Tali allettamenti non esistevano ancora vent'anni fa, quando migliaia di Rom
dell'allora ex-Jugoslavia vennero a stare in Germania. Con una "marcia dei
mendicanti" nel gennaio del 1990 si proposero di far conoscere tutto ciò che
sopportavano da lungo tempo , asserendo di essere perseguitati politici;
successivamente vollero anche che fosse loro riconosciuta lo condizione di
apolidi.
Non senza successo. L'allora ministro dell'Interno della Renania
Settentrionale-Vestfalia, Herbert Schnoor (SPD), diede loro la speranza di
ottenere un diritto di soggiorno; si misero però di traverso il ministro delle
Politiche Sociali Hermann Heinemann e il potente presidente del Landtag
Friedhelm Farthmann (entrambi dell'SPD). Farthmann mise in chiaro che il Landtag
non fosse assolutamente autorizzato a concedere a chicchessia un permesso di
soggiorno. Quindi, a tale riguardo, "stavano bussando alla porta sbagliata".
Case prefabbricate per i Rom che avessero espresso il desiderio di rimpatrio
Nel frattempo i Rom che si erano stabiliti sulla riva del Reno a Düsseldorf, in
tende e in misere abitazioni che si vedevano dalla Cancelleria, non accennavano
a volersene andare. Stavano già progettando di passare i prossimi mesi invernali
nel garage sotterraneo dell'adiacente edificio del Landtag. Farthmann sbraitò
che per i cittadini della Renania Settentrionale-Vestfalia ci fosse "un limite
di ragionevolezza" da non oltrepassare.
Con questo sfondo il governo del Primo Ministro Johannes Rau (SPD) diede vita
alla "nuova politica dei rifugiati": tramite incentivi si intendeva invitare al
rimpatrio circa 2000 Rom provenienti dalla Macedonia. Per coloro che avessero
espresso la volontà di rimpatriare sarebbero state costruite delle case
prefabbricate nella capitale macedone Skopje. Chi non accettava l'offerta era
minacciato di espulsione.
L'allora cancelliere Wolfgang Clement, nell'ottobre del 1991, a bordo di un
aereo volò a Skopje, accompagnato da rappresentanti della Caritas e da un
seguito di giornalisti, allo scopo di fare un esame iniziale delle prime case
costruite. Nella parte della città chiamata "Shutka" il convoglio di Clement
passò prima davanti a a un quartiere povero nel quale abitavano circa 45000 Rom.
La pioggia aveva trasformato le strade in deserti di fango; le baracche di legno
e di lamiera ondulata minacciavano di crollare alla prossima folata di vento.
A questo punto il gruppo raggiunse gli alloggi costruiti con i fondi della
Renania Settentrionale-Vestfalia: semplici ma solide case bifamiliari. Il
contrasto con la confinante baraccopoli dei Rom non avrebbe potuto essere
maggiore. Clement si mostrò ottimista, sicuro che l'esempio della Renania
Settentrionale-Vestfalia avrebbe fatto scuola e che per i Rom rimpatriati fosse
stata anche possibile la creazione di posti di lavoro. I rimpatriati dovevano
tuttavia assicurare per iscritto che "non sarebbero più rientrati nella Renania
Settentrionale-Vestfalia per una permanenza a lungo termine".
Nei mesi successivi furono costruite complessivamente 114 case per circa 600
rimpatriati. Convertendo i marchi di allora negli euro di adesso, il Land spese
12,8 milioni di euro per le case, i biglietti d'aereo, la costruzione di un
asilo e di una scuola. Così come per il pagamento degli alimenti a lungo
termine.
E il risultato? Fra i Rom di Shutka si diffusero invidia sociale e gelosie. Già
verso la fine del 1991 il politico della CDU, Herbert Reul, nel Landtag concluse
che il cosiddetto "programma di rimpatrio" non avesse portato a niente. Lo
stesso Clement, anni dopo, dovette rispondere di "sviluppi spiacevoli" della sua
politica: molti "rimpatriati" erano rientrati in Germania e avevano nuovamente
presentato richiesta di asilo politico. Alcune case erano ormai vuote; in altre
non abitavano più le famiglie alle quali l'alloggio era stato assegnato.
La Cancelleria non sa dire cosa ne sia oggi di quelle case prefabbricate.
L'allora "programma per i Rom" era già considerato concluso nel 1998. Il Land ha
recentemente lanciato un nuovo progetto: con 7,5 milioni di euro il ministro
dell'Interno Ralf Jäger e il ministro del Lavoro Guntram Schneider (entrambi
dell'SPD) hanno intenzione di aiutare le città della Renania
Settentrionale-Vestfalia colpite dalle immigrazioni a causa della povertà. Il
denaro proviene dal sistema dei finanziamenti esistenti (anche dell'UE). Mordace
il commento della CDU: "Ai comuni i placebo non bastano mai".
I ROM
Luogo di origine è il subcontinente indiano
Il termine "Rom" indica un gran numero di gruppi di popolazioni che sono
collegate tra loro dalla provenienza originaria dal subcontinente indiano e
dalla lingua, il Romanes, di origine indoeuropea. Sono in Europa da almeno 700
anni.
Minoranza - I Rom hanno sempre rappresentato delle minoranze all'interno dei
loro rispettivi paesi. Da almeno il 16. secolo in poi sono stati oggetto di
numerose forme di discriminazione, persecuzione ed espulsione.
Fonte: RP
Di Fabrizio (del 16/09/2013 @ 09:06:53, in casa, visitato 1470 volte)
di Antonio Viccaro -
ComuneInfo
Perché la lettera
L'elaborazione di questa lettera è il risultato del Coordinamento delle
Associazioni elencate in calce, portatrici di pratiche decennali e di
sperimentazione di attività di convivenza con le Comunità Rom e Sinti nell'area
di Colli Aniene, Tor Sapienza, La Rustica, Alessandrino e Centocelle.
Queste strutture associative si sono costituite in Coordinamento per
ri-affermare integralmente la loro determinazione ad impegnare i decisori
politici e istituzionali nella formulazione di strategie politiche e sociali
capaci di cambiare radicalmente rotta rispetto alle fallimentari esperienze
delle Amministrazioni precedenti. Amministrazioni che, con i soldi dei
contribuenti, hanno prodotto segregazione ed esclusione sociale per Rom e Sinti,
nonché l'incremento del disagio e dell'insicurezza per gli abitanti di quelle
estreme periferie interessate da insediamenti che ne incrementano gli intrinseci
processi di degrado.
Andare oltre "l'Emergenza Rom"
E dunque le nuove strategie devono essere implementate secondo una logica
sistemica. Vale a dire, fatte di azioni capaci di assumere la gestione delle
criticità che alcuni territori manifestano per la presenza di insediamenti Rom e
Sinti, senza farsi imbrigliare dalla retorica della cosiddetta Emergenza Rom.
Assunto che questa altro non è che la dimostrazione plastica della inadeguatezza
delle Amministrazioni capitoline che si sono succedute negli anni al governo
della Città di Roma, nel gestire e soprattutto nel contrastare, la povertà
urbana delle periferie, determinando la creazione di ulteriore degrado,
emarginazione e messa a rischio della sicurezza sociale.
Perché lavorare alla convivenza tra diversi
Operativamente le azioni strategiche devono mirare alla ri-costruzione di una
soglia di convivenza tra abitanti dei quartieri limitrofi (vedi Via Salviati, C.
Aniene, T. Sapienza) e Rom/Sinti per interessarli entrambi ad agire insieme alla
graduale chiusura dei Campi.
Un percorso da concordare con le Istituzioni, Municipali e Centrali, da
progettare e realizzare nei tempi (certi e controllabili) e nei modi, attraverso
un'azione di benchmarking, per puntare all'eccellenza, in coerenza con la
Strategia Nazionale di Inclusione Sociale dei Rom, Sinti e Camminanti[1].
Con questo approccio il fine (la convivenza tra diversi) diventa mezzo per il
superamento del Modello Campi. Modello che, obiettivamente tende ad "...alimentare
l'intolleranza dei cittadini romani residenti nelle aree dei campi che
percepiscono la presenza di chi li abita come ingombrante e minacciosa..."[2]
Quanto esposto ci consente di affermare che quella della convivenza deve essere
considerata una strategia spuria e transitoria: spuria poiché sarà il frutto di
una pratica da orientare e sperimentare day by day e soprattutto in termini
contingency. E dunque difficilmente modellizzabile. Transitoria per definizione,
in quanto propedeutica alle nuove strategie di superamento del Modello Campi.
L'intelligenza territoriale collettiva come risorsa
Lo sviluppo di queste politiche e strategie, se realmente volte ad introdurre
una vera e propria discontinuità, sia con i cosiddetti Piani Nomadi (tristemente
noti per i loro alti costi e la loro totale inefficacia), sia con gli sterili
sgomberi fine a se stessi, potrà contare sul supporto di una intelligenza
territoriale collettiva, fatta di pratiche concrete ricche di un know how
socio-tecnico, teorico ed esperienziale che dimostra che nei nostri territori ci
sono le risorse necessarie al superamento delle strategie dei Campi.
Il nostro impegno
Il Comitato di Coordinamento nel quale si riconosce il raggruppamento di
Associazioni che firma la presente lettera, sta predisponendo una raccolta
ragionata delle migliori pratiche sperimentate in una pluralità di percorsi,
laboratori e progetti d'inclusione, che vanno dal rafforzamento dei mercati,
alla creazione di cooperative di riuso e riciclo, al realizzare la raccolta
differenziata porta a porta, all'offerta di sostegno extra-scolastico gratuito,
integrato ed interculturale, all'auto-recupero di palazzi abbandonati e alla
creazione di condomini multiculturali, allo sviluppo di orti e di agricoltura
urbana, per recuperare il degrado ambientale e per creare redditi di
sussistenza.
Tutte queste pratiche/proposte hanno bisogno di un accompagnamento forte e
deciso da parte delle Istituzioni, per determinare tempi più celeri di
realizzazione e di successo.
Ormai ci sono generazioni e generazioni di nuovi cittadini nati in questi campi
e non c'è più tempo da perdere! E non si possono più ostacolare le azioni di
resilienza delle reti territoriali, che operano per ritessere i rapporti sociali
spezzati.
Intervenire in forma integrale
Le strutture che firmano la lettera hanno compreso che bisogna intervenire in
una forma integrale e decisa, in dialogo con i territori, e con le comunità Rom
e Sinti in coerenza con le strategie di ri-costruzione della convivenza come
conditio sine qua non per l'avvio dei percorsi di superamento del Modello dei
Campi.
Per questo, sia Noi che Loro stiamo facendo tutti questi percorsi sulla nostra
pelle, spesso abbandonati dalle Istituzioni. Non vogliamo rincorrere la rabbia o
l'idea dell'emergenza permanente, né trovare soluzioni univoche e
semplicisticamente immediate, ma lavorare per prevedere il lungo termine,
trovando insieme soluzioni strutturali, mettendo in azione e valorizzando tutte
le energie, le intelligenze e le risorse a disposizione.
La nostre preoccupazioni
In questa sede esprimiamo alcune preoccupazioni, in particolare di fronte ai
primi passi di governo di questa Giunta Comunale e di quelle Municipali, che non
si sono ancora dichiarate, in modo forte e chiaro, contro il Modello dei Campi
Rom e contro il Piano Nomadi.
Per quanto ci riguarda possiamo affermare che le politiche decennali portata
avanti da tutte le Amministrazioni cittadine che si sono avvicendate nel governo
della città si sono dimostrate completamente inadeguata, finendo con il favorire
un enorme spreco di risorse pubbliche.
Non ci possiamo permettere un nuovo fallimento di queste Politiche Sociali: le
comunità Rom e Sinti (vivono?) in condizioni igienico-sanitarie pessime, tra un
succedersi di sgomberi che tende a criminalizzarli indistintamente incrementando
l'intolleranza che non aiuta la ri-costruzione della convivenza tra diversi. Le
Buone pratiche ed i Progetti d'integrazione che generano competenze
socio-economiche che molte realtà culturali, sociali e politiche stanno
realizzando per determinare una convivenza più matura tendono ad essere
banalizzate; anche qui ostacolando la convivenza. E questo nonostante le
dichiarazioni espresse da "pezzi" significativi delle Comunità Rom e Sinti circa
lo loro disponibilità ad intraprendere impegnativi percorsi di integrazione.[3]
Anche sul fronte dei Cittadini che abitano nelle periferie si rileva una grave
esasperazione per la mancanza di servizi pubblici e di una reale presenza attiva
delle Istituzioni. Queste da anni non propongo piani e programmi di investimenti
strategici per la riqualificazione delle periferie che tendono ad un progressivo
degrado. In questa situazione è facile allora che si sviluppi l'odio tra la
popolazione attraverso azioni che possono sfociare nella violenza più cieca.
Tuttavia, ci conforta che, ciononostante ci sono anche molti cittadini che
rifiutano questo tipo di manipolazioni, convinti che la rigenerazione delle aree
urbane e la creazione di opportunità per tutti, eviterà la proliferazione di
altre isole di degrado ed emarginazione, costituendo l'unica strada percorribile
per una vera politica di riscatto, di benessere e di sicurezza della nostra
società.
Infine, vorremmo capire se questa Giunta Comunale ha intenzione davvero di
scrivere un nuovo capitolo per la città di Roma, ascoltando i diretti
interessati (le Comunità Rom e Sinti), e coloro che hanno maturato un'esperienza
di collaborazione con queste Comunità; gli unici soggetti, tra l'altro, che
hanno anche provato a diffondere una contro-informazione a favore
dell'umanizzazione di una situazione che ha trasceso ogni tipo di violazione dei
diritti umani.
- Strategia formulata dal nostro Governo nel 2012
- Documento Associazione 21 luglio e Arci Solidarietà Onlus
- 9 settembre 2013
- Vedi lettera al Sindaco Marino inviata il 30 agosto dalla Comunità Rom
insediata dallo scorso giugno in via Salviati
Di Fabrizio (del 01/10/2013 @ 09:06:10, in casa, visitato 1532 volte)
Sabato, 28 Settembre 2013 17:26
Riceviamo e pubblichiamo:
Una bambina di sette anni con i suoi genitori, da un mese e mezzo, non avendo
una casa, mangia e dorme nell'abitacolo di un'autovettura e da pochi giorni
dentro un garage.
Dopo le ripetute richieste avanzate al Comune e ai diversi settori di
pertinenza, ad oggi, i Commissari che gestiscono l'ente comunale non hanno
ricevuto la famiglia e i Servizi sociali non si sono interessati minimamente del
caso.
Lasciare che una bambina e i suoi genitori dormano su una automobile o sul
cemento di un garage, non significa negare un diritto fondamentale ? In questo
caso, è il comune di Reggio Calabria che nega questo diritto?
A queste domande la risposta che, da tempo, viene data dal Comune è la
seguente: non ci sono alloggi disponibili per l'assegnazione.
Ma le cose non stanno così, e gli addetti ai lavori lo sanno bene.
Gli alloggi popolari necessari, da assegnare alle famiglie che ne hanno
bisogno, ci sono. Su tutto il territorio della città, da Bocale a Catona,
tantissimi (nell'ordine di qualche centinaio) sono gli alloggi popolari che non
sono più abitati dagli assegnatari e che, secondo la normativa vigente,
dovrebbero tornare nella disponibilità del Comune, se l'ente applicasse la legge
e quindi disponesse le verifiche sulla permanenza dei requisiti degli
assegnatari.
Non è solo l'Opera Nomadi che, da diversi anni, denuncia questa grave
situazione di cattiva gestione della politica della casa e di illegalità. Nella
relazione redatta dalla Commissione di Accesso al Comune di Reggio Calabria che
ha portato allo scioglimento dell'ente alla pagina 59 viene riportato: "non
risultano essere stati svolti dall'Ente accertamenti periodici al fine di
verificare la sussistenza, nel tempo, dei requisiti che hanno portato
all'iniziale assegnazione. Tale situazione di palese, ingiustificato inattivismo
ha evidentemente determinato situazioni di palese irregolarità nelle quali,
verosimilmente, alcuni inquilini hanno continuato a mantenere la disponibilità
dell'alloggio popolare pur non avendone i requisiti ed a discapito di altri
soggetti in stato di concreta ed attuale necessità".
Rispetto al periodo (2012), precedente al Commissariamento del comune, in cui
la Commissione ministeriale ha verificato questo aspetto della politica
comunale, nulla è cambiato. Anche in quest'ultimo anno le verifiche non sono
state effettuate.
Se la Commissione straordinaria cominciasse ad applicare la legge effettuando
le verifiche ritornerebbero al Comune almeno 1.000 alloggi, che potrebbe essere
assegnati alle famiglie che ne hanno bisogno e urgenza (art. 31 della legge
reg.le 32/1996), come la famiglia Amato.
In questo momento di crisi economica, riteniamo che sia particolarmente grave
che il Comune non faccia nulla per riprendersi e assegnare gli alloggi non
abitati, mentre tante famiglie non riescono a far fronte all'affitto, oppure
sono già senza una casa e sono costrette a dormire su un'automobile.
Una Commissione di prefetti che amministra un comune sciolto per contiguità
mafiosa e con una situazione debitoria molto grave, ha sicuramente molte cose
importanti e urgenti da fare.
Ma a nostro parere la Commissione dovrebbe mettere anche questa tra le azioni
importanti da fare, visto che è un'azione che non incide sul bilancio comunale e
che serve a ripristinare una condizione di legalità e di giustizia sociale.
Pertanto chiediamo che la Commissione straordinaria provveda ad effettuare le
operazioni di legge necessarie per assegnare alla famiglia Amato un alloggio
popolare e proceda allo stesso modo per altri nuclei che si trovano nella stessa
condizione.
Il presidente
Sig. Antonino Giacomo Marino
Di Fabrizio (del 02/10/2013 @ 09:03:51, in casa, visitato 1273 volte)
Donne rom scioperano: By:
Joe
Fiorito Columnist, Published on Wed Sep 18 2013
Un gruppo di inquiline rom, inaspettatamente schiette, sono scese in
sciopero dell'affitto per protestare contro le condizioni dei loro appartamenti.
Le romnià sono in sciopero dell'affitto, non tutte ma solo alcune, e non
avevo mai sentito di una cosa simile. Ma ne hanno abbastanza.
Vivono con le loro famiglie in una serie di appartamenti popolari in Lake Shore Blvd.
W. Ero lì l'altro giorno. Ma prima avevamo parlato sullo sciopero dell'affitto,
qui nella vostra Toronto:
Nel parcheggio dietro gli appartamenti, una macchina abbandonata, portiere
ammaccate, finestrini rotti, i bambini ci sono appoggiati come ad
un'attrezzatura da parco giochi; nessuno sa di chi sia quella macchina.
In lontananza si possono vedere gli alberi spinosi e le bianche vele delle
imbarcazioni ormeggiate nella marina sulle sponde del lago.
Quando arrivai, c'erano una mezza dozzina di donne che aspettavano nel
parcheggio. Tutte volevano parlare, tutte assieme. Avevo l'aiuto di un
traduttore ungherese, grazie al servizio legale della Parkdale Community.
Ho iniziato chiedendo dove fossero gli uomini. "Hoo, ha!" mi hanno risposto
in segno di affettuosa derisione.
OK, perché uno sciopero dell'affitto?
Dicono di aver avuto molte difficoltà ad ottenere le riparazioni, e quando il
lavoro è stato fatto,hanno dovuto pagarle di tasca propria e il costo non è
stato detratto dal canone d'affitto.
Sono andate ingruppo, un paio di volte, nell'ufficio del padrone di casa, che
è un avvocato. Gli incontri non sono andati bene.
Il fatto ha dello straordinario, perché la maggior parte dei Rom a Toronto
evita di fare qualsiasi cosa che possa risvegliare attenzione nei loro
confronti.
Il servizio legale della Parkdale Community ha scritto una lettera di
lamentela al proprietario. Che a sua volta, ha risposto al servizio legale a
stretto giro di posta, suggerendo di rivolgere le lamentele all'amministratore
dell'immobile. "Comprendo che il responsabile della proprietà ha già avuto a che
fare con qualcuno di voi", è nella sua risposta. Aggiungendo che gli inquilini
che danneggiano la proprietà potrebbero essere sfrattati.
Secondo il legale di Parkdale, due famiglie hanno pagato l'affitto dopo le
riparazioni. Ma diciotto famiglie continuano a rifiutarsi di farlo.
In ognuno dei tre edifici ci sono 38 unità.
In che condizioni sono?
Dice una donna "Lo scarico del vater non funziona. Devo usare un secchio."
Riempie il secchio nella vasca da bagno e lo svuota nello scarico.
Cos'altro?
"Devo usare lo scotch per le finestre, perché non cadano." Le lastre di vetro
sono rotte e, dicono, le finestre non si aprono o si chiudono correttamente.
"Il pavimento si sta sollevando e ci sono tonnellate di scarafaggi." Le
altre, tutte, annuiscono all'elenco delle lamentele.
La discussione continua sui piccoli animali negli appartamenti, forse topi o
forse ratti, per arrivare alle cimici.
Un'altra donna dice: "Venerdì non ho potuto usare la toilette, e ho dovuto
andare in quella della vicina."
Quale vicina?
"Quella del secchio."
Oh, santo cielo!
Aggiunge: "Le tubazioni perdono. Ho dovuto chiudere l'acqua calda. Il
lavandino è così intasato che la sua acqua sgorga dalla vasca da bagno."
Un'altra donna dice: "Ho molti scarafaggi. Il parquet sta andando. In camera
da letto non ho elettricità, le prese non funzionano. Da aprile, non funziona il
forno, e..."
Un attimo... Il forno non funziona? Come prepara la cena per la famiglia?
"Uso la cucina di qualcuna che conosco." Cucina prima o dopo che l'ha fatto la
sua vicina?
Quando lei ha già cucinato.
Un'altra dice: "Il mio bagno era intasato. Si sono allagati il mio
appartamento e quello della famiglia al piano di sotto."
Infine, una donna: "Ho quattro bambini. La toilette non funziona. In cucina
il rubinetto non si chiude. In cucina la dispensa è senza antine. Le finestre
sono rotte. Il pavimento si sta sollevando."
Una delle donne mi concede di dare un'occhiata. Quando apre la porta di casa,
gli scarafaggi scappano sui controsoffitti, attraverso la stufa, sotto i piedi e
lungo le pareti. Rispondendo alle vostre domande, è una casalinga ordinata e
pulita.
Aveva ragione su finestre e pavimento, e sulle perdite, e tornando a
pianterreno, ho notato che le luci d'emergenza non funzionavano ed i corridoi
erano al buio.
Di sicuro non è giusto.
Ho chiamato il proprietaro, l'avvocato. Ha detto di essere troppo occupato
per avere un colloquio. Ha suggerito di sentire l'amministratore dell'edificio.
Quest'ultimo non voleva ammettere che ci fossero dei problemi, poi voleva
sapere quale fossero gli appartamenti problematici ed infine, dietro
suggerimento del suo avvocato, si è rifiutata di parlare.
Giusto così.
Così, settimana scorsa alcuni inquilini hanno avuto le attese riparazioni,
che due famiglie hanno giudicato soddisfacenti. Ma ci sono ancora 18 famiglie
che non stanno pagando l'affitto, e girà voce che la proprietà voglia portare il
caso in tribunale.
Restate sintonizzati.
Di Fabrizio (del 11/11/2013 @ 09:05:08, in casa, visitato 1643 volte)
La Gazzetta di Modena
di Serena Arbizzi - Duecento persone protestano in consiglio comunale e pure i sinti rifiutano: "Un
ghetto". Rese note le cifre dell'assistenza
nomadi
"Cortile non è il posto dove nascondere i problemi di Carpi" e, ancora, "Prima
il confronto poi la delibera", "Sì al superamento del campo, no a nuovi ghetti".
Al suono di questi slogan, scritti sugli striscioni e ripetuti da oltre duecento
cittadini che ieri sera hanno "invaso" palazzo Scacchetti in occasione del
consiglio comunale, il più affollato dell'intera legislatura, in cui sono stati
dibattuti quattro ordini del giorno, due interrogazioni e altrettante mozioni
sull'infuocato argomento del trasloco del campo nomadi a Cortile. In
particolare, l'ordine del giorno Pdl "ritiene illegittima quella parte
dell'Ordinanza del Sindaco che dispone l'utilizzo di un terreno privato con
opere di urbanizzazione pubbliche" e ha sottolineato che già Emergency il 28
agosto 2012 aveva evidenziato condizioni disastrose in via Nuova Ponente.
Paradossalmente, ieri sera, le ragioni dei nomadi, presenti anch'essi con una
delegazione di dieci sinti, combaciavano con quelle dei comitati: "Noi non
vogliamo andare a Cortile, vogliamo le microaree - ha detto il gruppo che verrà
trasferito all'ex scuola - così veniamo ghettizzati. Noi lavoriamo, commerciamo
nel ferro, facciamo le pulizie... anche se la gente non si fida di noi".
In principio di seduta sono poi volate parole grosse tra il presidente del
consiglio Giovanni Taurasi e Antonio Russo perché la diretta prevista nella sala
vicina alla discussione era stata annullata.
L'assessore Alberto Bellelli ha invitato le opposizioni a proporre alternative,
dopo avere passato in rassegna gli interventi dell'Ausl nella storia del campo,
ma non "le microaree: non le reputo una soluzione, laddove sono state costruite
hanno moltiplicato problemi esistenti. Il centro di prima accoglienza di Cortile
era quello che poteva essere recuperato nei tempi più ragionevoli. Ho chiesto
agli uffici delle politiche sociali cosa significherebbe una chiusura del campo
in termini di spesa per l'accesso diretto ai servizi: 11 madri con 11 figli,
costerebbero fino a 99mila euro al mese, 16 minori da 7 a 16 anni, le rette
arrivano a oltre a 130 euro, fino a 69.400 euro al mese. Gli anziani non
autosufficienti costerebbero 780 euro al mese".
Applaudito l'intervento del consigliere Cristian Rostovi, che ha parlato di
"balle" dette dal Comune: "Per fortuna che si tratta della decisione dei tempi
più brevi: ci avete messo 25 anni... Quanto ai costi a carico delle politiche
sociali: sembra che li abbiate tenuti in quelle condizioni perché vi costavano
meno...".
I cittadini - che hanno già raccolto con la petizione 2.000 firme contrarie - si
sono scaldati anche sulle cifre spese dal Comune per i nomadi, 870mila euro,
enunciate da Russo.
Di Fabrizio (del 02/02/2014 @ 09:08:32, in casa, visitato 2858 volte)
Cosenza, la comunità rom accampata lungo il fiume Crati sperimenta una stufa che
trasforma in calore il rischio incendio. Così si punta su energia alternativa e
riciclaggio
Nella foto la stufa Rmh all'interno della Scuola del Vento (© Coessenza \
Confluenze) -
Corriere della Calabria
COSENZA Riscaldarsi riciclando, con una stufa semplice da realizzare ed
efficiente. Sembra lo spot di una televendita. E ad alcuni sembrerà pure
impossibile, ma chi la sta provando è pronto a giurare che la stufa Rocket Mass
Heater fa egregiamente il suo lavoro ed è un oggetto rivoluzionario. Il "target"
è inedito: vista la loro capacità di riciclare materiali, è ideale per i rom. In
più, i costi di realizzazione sono vicini allo zero e soprattutto, grazie alla
struttura e al funzionamento, il rischio di incendio e di ustioni è molto più
contenuto: sono due dei motivi per cui un oggetto così - che potrebbe essere
venduto in tv o sul web ma attualmente è utilizzato nella "Scuola del Vento" Coessenza all'interno del campo nomadi di Cosenza lungo il fiume Crati
- è stato
salutato con entusiasmo. La baraccopoli rom del capoluogo calabrese festeggia
così la Scuola del Vento, un progetto educativo che quest'anno spegnerà 5
candeline: lezioni gratuite in una baracca autocostruita dai rom e dai volontari
di alcune associazioni della città.
L'Rmh, l'"oggetto misterioso" con cui la Scuola si sta riscaldando da qualche
mese, è una stufa a legna con un'efficienza termica tale da ottenere la stessa
quantità di calore utilizzando tra il 50 e l'80% in meno di legna rispetto a una
stufa tradizionale: ciò è possibile grazie al processo di pirolisi, che consente
di far bruciare la maggior parte dei gas della combustione (il fumo del fuoco)
ottenendo così altro calore, ed emissioni minime composte quasi esclusivamente
da Co2 e vapore acqueo. "Considerato poi che la forma e il funzionamento della
camera di combustione creano un tiraggio consistente - spiegano i volontari
della Scuola del Vento -, è possibile indirizzare il tubo di uscita degli
esausti nella direzione desiderata, anche orizzontalmente, e ciò permette di
farlo passare all'interno di una massa termica di materiale inerte pietroso (il
pavimento, una panchina, un letto, un muretto o un qualsiasi altro elemento
architettonico) ottenendo così di accumulare all'interno della casa una notevole
quantità di calore che andrebbe altrimenti disperso". Anche i costi e i tempi di
realizzazione di questo sistema innovativo sono eccezionalmente contenuti: è
possibile infatti realizzare un impianto base con massa termica per meno di 150
euro e in meno di due giornate lavorative. Inoltre, sono già stati sperimentati
sistemi che incorporano la possibilità di produrre acqua calda.
RMH, UN SISTEMA RIVOLUZIONARIO
NON SOLO PER LA COMUNITA' NOMADE
Un impianto di riscaldamento a costo ridotto e più sicuro dei metodi finora
usati dalle fasce di cittadini meno abbienti che popolano la città potrebbe
essere una salvezza se pensiamo agli episodi drammatici dell'ultimo anno: ai
primi di marzo 2013 due clochard morti carbonizzati in una vecchia palazzina
abbandonata, a pochi metri dal salotto buono di Cosenza, mentre il 2 gennaio a
fare una fine simile è stato un anziano sarto, travolto dalle fiamme nella sua
mansarda alle spalle del Municipio. Ma il rischio incendi è comune a tutti i
(non) luoghi d'Italia abitati da quelli che i sociologi chiamano "marginali":
proprio all'alba di oggi a Roma un cittadino straniero è morto carbonizzato in
un incendio scoppiato in un residence abitato soprattutto da migranti, che
vivono in condizioni disumane.
Insomma, il Rocket Mass Heater potrebbe far comodo a molti, di questi tempi. Ma
perché è ancora più rivoluzionario per la comunità rom? Eccolo spiegato, in
quattro punti:
- L'utilizzo di una stufa con massa termica consente di avere minori sbalzi di
temperatura. Ciò è particolarmente rilevante in un ambiente come le baracche che
si surriscaldano quando le stufe a legna sono accese per poi raffreddarsi molto
velocemente appena la stufa si spegne, portando alla condensa dell'umidità
trattenuta all'interno dai rivestimenti plastici che vengono utilizzati per
isolare le baracche e, dunque, ad una sostanziale insalubrità dell'ambiente.
- La possibilità di utilizzare un quantitativo di legna molto inferiore
disincentiva il ricorso a legna con plastica o vernici attaccati e alla
plastica.
- La qualità degli esausti, che sono praticamente respirabili, migliora
radicalmente la qualità dell'aria all'esterno, che, specialmente nei campi
densamente popolati, è spesso molto inquinata proprio a causa della combustione
di materiali tossici e del posizionamento molto basso dei comignoli, favorendo
malattie respiratorie e neoplasie.
- Il bidone incorporato nel sistema, può essere utilizzato come piano di
cottura, portando ad un risparmio sul gas e ad un miglioramento della qualità
dell'aria all'interno delle baracche, dove la combustione del gas per la cottura
può inquinare pesantemente l'aria.
OSTILITA' DEI CITTADINI (E DELLA NATURA)
L'INTEGRAZIONE FINORA È FALLITA
La "stufa rivoluzionaria" è un tassello che arricchisce la sfida della Scuola
del Vento, esperienza di integrazione come poche altre su scala nazionale.
Quella della scolarizzazione dei bambini rom rumeni accampati nei due campi
cittadini (a Vaglio Lise e nel Palazzetto dello Sport di Cosenza-Casali) è una
questione molto delicata: i dati non proprio incoraggianti spiegano meglio la
situazione. Nel biennio 2011-2012 risultavano 52 bambini iscritti a scuola, di
cui 40 alle elementari e 12 alle medie. I frequentanti alle elementari sono
stati 29, 11 bambini hanno invece frequentato con discontinuità. Alle medie, 8
bambini hanno seguito con costanza, 4 saltuariamente. Il disagio economico,
sociale e ambientale in cui vivono le loro famiglie è una delle cause della
dispersione scolastica. L'assenza di una residenza ufficiale causa, invece, la
difficoltà di accesso alle vaccinazioni (un dossier appena ultimato da un gruppo
di associazioni ha contato fino a oggi 23 bambini vaccinati, mentre gli
operatori dell'ambulatorio dei Medici Senza Confini "A. Grandinetti" di Cosenza
hanno documentato i rischi igienico-sanitari nei due nuclei abitativi (campo e
Palazzetto). Secondo i volontari, un primo passo verso una reale integrazione
potrebbe essere l'impiego dei rom nella raccolta e lavorazione del materiale
ferroso e dei rifiuti ingombranti, sulla scorta di quanto già accade a Bolzano
ma anche a Reggio Calabria e Lamezia.
Anche se la diffidenza è dura a morire, in 9 anni di presenza, le
"manifestazioni" più ostili per i rom della baraccopoli sono venute dal fiume in
piena, dalla pioggia o dalle fiamme (mai dolose, se non in un caso e ad opera di
una persona del campo). La scorsa estate, però, dopo il boom di furti nei
quartieri periferici vicini al campo ma anche in centro città, si registrò
qualche episodio di violenza sotto forma di raid punitivo: i topi d'appartamento
non sono mai stati individuati, ma nella vulgata dei cosentini "gli zingari"
erano i colpevoli.
COSTANO 7000 EURO A BIENNIO
ECCO I NUMERI DEI 2 "CAMPI"
Nell'ultimo biennio, la cifra totale messa a disposizione del Comune di Cosenza
- denunciano i volontari - ammonta a soli 7000 euro, serviti per coprire i costi
dei pasti erogati ai rom sfollati da un grosso incendio scoppiato a Vaglio Lise
nel luglio del 2012, e per il pagamento delle utenze del Palazzetto dello Sport
di Cosenza-Casali, luogo nel quale queste persone sono state temporaneamente
sistemate e dove alcuni rom risiedono tuttora. I dati ufficiali a disposizione
dell'Ufficio Statistiche del Comune di Cosenza raccolti in occasione dei due
censimenti effettuati prima nel marzo del 2010 e poi nel mese di luglio del
2011, indicano la presenza di sole 320 persone. Di queste, la maggior parte è
collocata nell'"insediamento informale" di Vaglio Lise, mentre una cinquantina
di persone, circa 13 famiglie, si trovano all'interno del Palazzetto dello sport
di Cosenza-Casali.
Il primo ottobre 2009, con una massiccia operazione congiunta di polizia,
carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale in collaborazione con vigili
del fuoco e 118, furono notificati 90 provvedimenti di allontanamento
dall'Italia per motivi di sicurezza emessi dal prefetto di Cosenza, su
segnalazione della questura - e fu di fatto eseguito il primo "censimento" dei
rom rumeni che vivono nella baraccopoli lungo il Crati. Oggi da quella stessa
baraccopoli arriva una piccola ma significativa lezione sulle nuove energie.
eu. f.
|