Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
-

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 24/08/2013 @ 09:06:58, in casa, visitato 1778 volte)

Di Kosice in Mahalla se n'è parlato spesso. Città simbolo della condizione dei Rom in Slovacchia:

  • da una parte culla della classe intellettuale e imprenditoriale romanì,
  • dall'altra sede di quartieri ghetto da incubo.

Una passione slovacca, sono i muri. Meglio, se per dividere rom da non rom. Nel 2005, questa notizia passò quasi sotto silenzio, almeno in Italia.

Kosice sembra non voler essere a meno di Presov, e anche se con otto anni di ritardo, voleva adeguarsi. Così i bravi cittadini non-rom (suppongo, assieme a quei rom che sono riusciti a scappare dal ghetto), si son messi di buzzo buono a costruire un muro che li isolasse da quei disgraziati rinchiusi nel ghetto di Lunik. Stavolta sono insorti in tanti, in Slovacchia, in Europa, persino in Italia.

Che fare, il dubbio della giunta comunale?

Leggo su EUOBSERVER, che il muro, forse in ossequio alle tradizioni romanì, è stato edificato senza nessun permesso. Non è dato sapere con quale tempismo l'amministrazione provvederà ad abbatterlo, ma (volendo e con la dovuta calma), può legalmente farlo. Rimane (ACCIDENTI, CHE SFIGA!) il problema del ghetto di Lunik: quello è legale, lo stato lo costruì apposta per inscatolarci la popolazione più disperata, e l'abbandono (pubblico e privato) l'hanno trasformato in una discarica con i muri.

 
Di Fabrizio (del 31/08/2013 @ 09:00:29, in casa, visitato 1697 volte)

Segnalazione di Giacomo Marino

di Silvia Ragusa | 29 agosto 2013 Il Fatto Quotidiano

Si chiama "Obra social" il manuale rivolto agli spagnoli che si sono visti pignorare la propria abitazione a causa di debiti contratti con le banche. Venticinque pagine che spiegano, passo dopo passo, come prendere possesso di un edificio e e come affrontare le conseguenze legali del gesto

La chiamano "disobbedienza civile". Ma per molti non sono altro che "okupas": uomini e donne che vivono della carità delle mense sociali e hanno un enorme debito da saldare con la banca, che ha loro sequestrato la casa. E che adesso cominciano ad occupare gli edifici vuoti.

La Charcha, ad esempio, è uno di questi: si trova nel quartiere popolare Carabanchel di Madrid ed è di proprietà del Banco popular. L'edificio, vuoto da quando è stato costruito (circa due anni fa), è stato occupato da 40 persone, tra bambini, coppie e attivisti. Gli inquilini hanno messo su un orto e, anche se alcuni lavorano, la maggior parte vive di donazioni e "ricicla" il cibo, cercando nei bidoni della spazzatura o andando a procurare la merce in scadenza nei grandi magazzini.

In Spagna di edifici così se ne contano già 14. Oltre 600 le persone che, grazie alla "Pah", la piattaforma per le vittime degli sfratti, hanno riavuto un tetto sotto la testa.

Ma occupare un edificio non è certo cosa semplice. Adesso però è tutto scritto, nero su bianco, sulla nuova guida pratica chiamata "Obra social" che l'associazione ha reso pubblica. "I motivi sono semplici: ci rubano la casa e ci condannano a pagarla lo stesso", spiegano gli attivisti che vogliono legalizzare le occupazioni delle abitazioni rimaste vuote per sfratto.



L'obiettivo è che, una volta preso l'edificio, i nuovi inquilini, sprovvisti di chiavi, riescano a "negoziare un affitto sociale in base al reddito" con l'entità finanziaria di turno. Insomma un processo di "recupero" delle case dal basso.

Guida alla mano, le 25 pagine spiegano, passo dopo passo, come prendere possesso di un edificio, consigliando, ad esempio, in primis la scelta stessa dello stabile: che sia vuoto da almeno un anno, che sia di proprietà di una banca che rischiava di affondare e che è stata salvata coi soldi dell'Ue. Poi al vaglio c'è anche il luogo da non sottovalutare: "L'appoggio del vicinato sarà diverso nei quartieri popolari che in quelli residenziali o in centro". Nel documento la piattaforma spiega anche in maniera schematica cosa fare dal momento dell'insediamento e come affrontare legalmente la presa di possesso di una casa: è necessario "rivendicare pubblicamente l'azione per evitare che venga considerata come 'furto di proprietà', affinché la polizia non possa intervenire senza un mandato per flagranza di reato". Ma anche "causare il minor danno possibile" alla porta d'ingresso. L'edificio infatti rientra sotto la responsabilità del gruppo.

Nei giorni successivi l'occupazione, spiega il manuale, è importante andare a parlare con i vicini e spiegare loro la situazione perché "in futuro potrebbero essere chiamati a testimoniare". E per dimostrare "la nostra volontà di pagare, prima di qualsiasi accordo con la proprietà dell'immobile, possiamo aprire un conto in quella stessa banca dove versare ogni mese una quantità di denaro in corrispondenza di un affitto sociale", aggiunge la "Pah". Un canone che non dovrà mai superare il 30 per cento del reddito familiare.

Più complicata la seconda parte della guida che espone le conseguenze giuridiche all'indomani dell'occupazione visto che "il diritto alla casa dell'articolo 47 della Costituzione spagnola non è un diritto fondamentale, come si crede", mentre lo è il diritto alla proprietà privata. La guida allega dei fac-simile di documenti da poter consegnare al giudice. E incoraggia a chiarire che "l'azione è una risposta all'assenza di alternative per le famiglie in difficoltà".

Insomma la pressione sociale e mediatica - perché non bisogna dimenticare di chiamare la stampa e srotolare cartelli fuori dallo stabile - è, per l'associazione, una delle armi più efficaci per una buona difesa. Ma soprattutto per permettere alle famiglie di restare nell'edificio. "Non possiamo rimanere con la braccia incrociate", dicono dalla "Pah".

Twitter @si_ragu

 
Di Fabrizio (del 02/09/2013 @ 09:05:20, in casa, visitato 1405 volte)

Associazione 21 luglio 29 agosto 2013 (in foto: Dragan Trajlovic)

In una lettera inviata al sindaco di Roma Ignazio Marino, la comunità rom insediata dallo scorso giugno in via Salviati, nella periferia est della Capitale, chiede di non essere più costretta a vivere nei "campi" e di iniziare nuovi percorsi condivisi di inclusione sociale. Per l'Associazione 21 luglio, l'appello rappresenta la possibilità, per Roma, di mettere in atto quelle nuove politiche di integrazione previste dalla "Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti", adottata dall'Italia nel 2012.

"Caro sindaco, siamo e ci sentiamo cittadini di questa città, dove viviamo da trent'anni - si legge in uno dei passaggi chiave della lettera, che porta la firma di Sandor Dragan Trajlovic, portavoce della comunità -. Siamo orgogliosi di essere cittadini italiani e cittadini d'Europa. Siamo cittadini rom che credono nell'inclusione e che sognano di poter avere piena cittadinanza in questa bella città. Per questo le chiediamo di ascoltare il nostro desiderio di essere cittadini come gli altri, senza discriminazione e senza ghettizzazione".

(Guarda il video su YOUTUBE)

Lo scorso giugno i 152 rom che attualmente si trovano nell'insediamento informale di via Salviati sono fuggiti dal "villaggio attrezzato" di Castel Romano, dove vivevano dal 2010, in seguito a ripetuti episodi di violenza da parte di altri abitanti del "campo".

"Vivere nel campo ci fa sentire come all'interno di un ghetto, riservato a 1300 rom - scrive al sindaco la comunità -. Sì, il campo di Castel Romano è effettivamente un ghetto, isolato dalla città, insicuro, recintato, chiuso, dove non esiste alcuna possibilità di inclusione sociale. Abbiamo paura per noi e per i nostri figli, perché vivere a Castel Romano significa vivere nella sofferenza e rinunciare al futuro. Dopo trent'anni non ce la facciamo più a vivere nei ghetti. Costringerci a farlo rappresenta per noi un atto di discriminazione".

In seguito a un'ordinanza del sindaco, il 12 agosto scorso le forze dell'ordine avrebbero dovuto sgomberare l'insediamento di via Salviati. Lo sgombero, tuttavia, è stato sospeso e rimandato di alcuni giorni.

La comunità rom, ad oggi, vive nella costante tensione per un imminente sgombero e per il rischio di essere trasferita nuovamente a Castel Romano. Consapevole della necessità di non poter e non voler restare nell'attuale insediamento di via Salviati, la comunità lancia quindi un appello al sindaco per iniziare una nuova stagione di dialogo e un percorso all'insegna dell'inclusione.

"La mia comunità è disponibile a rimboccarsi le maniche e ad assumersi delle responsabilità per intraprendere un percorso che non ci porti più a vivere nei campi e nel degrado, per essere inclusi, per integrare i nostri figli, per avere un futuro migliore. Ci chiamano nomadi ma non è quello che siamo e ci sentiamo", prosegue la lettera.

"Questo appello rappresenta la possibilità di trasformare il "problema dei rom di via Salviati" in una opportunità storica per sperimentare percorsi virtuosi di inclusione sociale così come previsto e richiesto dalla Strategia Nazionale di Inclusione di Rom, Sinti e Camminanti", afferma l'Associazione 21 luglio.

La politica dei "campi", alimentata dalla passata Amministrazione con il Piano Nomadi, non ha prodotto che segregazione abitativa e concentrazione su base etnica. "È il momento che anche a Roma, come già avviene in altre città italiane, ai rom vengano offerte soluzioni diverse da quelle dei "campi"".

"Passare dalla ghettizzazione all'inclusione sociale: è questa la grande occasione che Roma ha davanti a sé per dimostrarsi Capitale europea attenta ai diritti umani e ai bisogni delle categorie più svantaggiate", conclude l'Associazione.

SCARICA la lettera al sindaco Marino

 
Di Sucar Drom (del 09/09/2013 @ 09:07:38, in casa, visitato 1328 volte)

21luglio.org (6 settembre 2013) Foto: Gazzetta di Parma

La decisione del Comune di Parma di riqualificare il "campo nomadi" di via del Cornocchio potrebbe indicare il reiterarsi di politiche discriminatorie e ghettizzanti nei confronti delle comunità rom e sinte. Lo scrivono Associazione 21 luglio e Sucar Drom in una lettera di preoccupazione congiunta inviata al sindaco di Parma Federico Pizzarotti.

La lettera si riferisce alla decisione del comune emiliano, annunciata con un comunicato stampa dello scorso 19 agosto, di "elaborare un progetto di riqualificazione del "campo" di via del Cornocchio, in linea con la nuova Legge Regionale su Sinti e Rom".

Il progetto, in particolare, prevede di "recintare e mettere in sicurezza la zona del "campo", la predisposizione di un'area di sosta di dimensioni più limitate, il ripristino della palazzina operatori e la manutenzione del "dormitorio di emergenza" invernale", si legge nel comunicato del Comune di Parma.

Pur esprimendo apprezzamento per ogni azione pubblica volta a migliorare le condizioni igienico sanitarie delle comunità rom e sinte presenti negli insediamenti formali e informali del nostro Paese, Associazione 21 luglio e Sucar Drom definiscono "antistoriche, antieconomiche e discriminatorie quelle politiche abitative rivolte alle comunità rom basate in maniera quasi esclusiva sulla costruzione di "campi nomadi" e "aree di sosta", che hanno come esito una situazione di ghettizzazione di fatto".

Negli ultimi trent'anni le politiche locali italiane rivolte alle comunità rom e sinte si sono basate sulla convinzione che queste siano "nomadi" e quindi culturalmente inadatte a condurre una vita all'interno di abitazioni convenzionali.

La Strategia Nazionale d'Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, adottata dal Governo italiano nel 2012, afferma tuttavia che nel nostro Paese "la politica amministrativa dei "campi nomadi" ha alimentato negli anni il disagio abitativo fino a divenire di conseguenza essa stessa presupposto e causa della marginalità spaziale e dell'esclusione sociale per coloro che subiscono una simile modalità abitativa"

"Le nostre organizzazioni - si legge nella lettera indirizzata al sindaco Pizzarotti da Associazione 21 luglio e Sucar Drom - condannano la scelta di qualsiasi Amministrazione locale di continuare a investire sulla "campizzazione" su base etnica di comunità rom stanziali ed esprimono la preoccupazione che la riqualificazione del nuovo "campo nomadi" di via del Cornocchio, che sembra basarsi su una nuova Legge Regionale a tutt'oggi non ancora presentata in Regione, possa rappresentare l'ennesimo sperpero di denaro pubblico che si tradurrà, nella migliore delle ipotesi, nell'abbellimento temporaneo di un ghetto".

 
Di Barbara Breyhan (del 12/09/2013 @ 09:05:27, in casa, visitato 1501 volte)

RP-ONLINE Insediamento rom nel 1991 a Skopje - Shutka (Macedonia). Le case sono stati finanziate dallo stato di NRW. Foto: D. Hüwel Milioni sprecati per un progetto di rimpatrio - QUANDO LA RENANIA SETTENTRIONALE-VESTFALIA COSTRUI' CASE PER I ROM - 10 settembre 2013 alle ore 12.26 Di DETLEV HÜWEL

Düsseldorf - Con un progetto di diversi milioni, nel 1991 il governo di Johannes Rau (SPD) intendeva persuadere al rimpatrio quegli immigrati che per mesi si erano accampati sulla riva del Reno.

Vengono per restare. E sono sempre di più le persone che dalla Romania e dalla Bulgaria si spostano in Germania. Nella Renania Settentrionale-Vestfalia sarebbero già 60.000 donne, uomini e bambini, soprattutto Rom. Possono entrare liberamente in Germania visto che Romania e Bulgaria fanno parte dell'Unione Europea (UE).

Secondo le regole, qui in Germania non hanno ancora la possibilità di lavorare (con l'eccezione dei lavori con penuria di manodopera). Soltanto a partire dal 2014 sarà in vigore la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione Europea. Un immigrato che denuncia un'attività lavorativa, tuttavia, riceve dallo Stato un assegno famigliare per i figli. Dal prossimo anno agli immigrati spetteranno per legge tutti i contributi sociali.

Tali allettamenti non esistevano ancora vent'anni fa, quando migliaia di Rom dell'allora ex-Jugoslavia vennero a stare in Germania. Con una "marcia dei mendicanti" nel gennaio del 1990 si proposero di far conoscere tutto ciò che sopportavano da lungo tempo , asserendo di essere perseguitati politici; successivamente vollero anche che fosse loro riconosciuta lo condizione di apolidi.

Non senza successo. L'allora ministro dell'Interno della Renania Settentrionale-Vestfalia, Herbert Schnoor (SPD), diede loro la speranza di ottenere un diritto di soggiorno; si misero però di traverso il ministro delle Politiche Sociali Hermann Heinemann e il potente presidente del Landtag Friedhelm Farthmann (entrambi dell'SPD). Farthmann mise in chiaro che il Landtag non fosse assolutamente autorizzato a concedere a chicchessia un permesso di soggiorno. Quindi, a tale riguardo, "stavano bussando alla porta sbagliata".

Case prefabbricate per i Rom che avessero espresso il desiderio di rimpatrio

Nel frattempo i Rom che si erano stabiliti sulla riva del Reno a Düsseldorf, in tende e in misere abitazioni che si vedevano dalla Cancelleria, non accennavano a volersene andare. Stavano già progettando di passare i prossimi mesi invernali nel garage sotterraneo dell'adiacente edificio del Landtag. Farthmann sbraitò che per i cittadini della Renania Settentrionale-Vestfalia ci fosse "un limite di ragionevolezza" da non oltrepassare.

Con questo sfondo il governo del Primo Ministro Johannes Rau (SPD) diede vita alla "nuova politica dei rifugiati": tramite incentivi si intendeva invitare al rimpatrio circa 2000 Rom provenienti dalla Macedonia. Per coloro che avessero espresso la volontà di rimpatriare sarebbero state costruite delle case prefabbricate nella capitale macedone Skopje. Chi non accettava l'offerta era minacciato di espulsione.

L'allora cancelliere Wolfgang Clement, nell'ottobre del 1991, a bordo di un aereo volò a Skopje, accompagnato da rappresentanti della Caritas e da un seguito di giornalisti, allo scopo di fare un esame iniziale delle prime case costruite. Nella parte della città chiamata "Shutka" il convoglio di Clement passò prima davanti a a un quartiere povero nel quale abitavano circa 45000 Rom. La pioggia aveva trasformato le strade in deserti di fango; le baracche di legno e di lamiera ondulata minacciavano di crollare alla prossima folata di vento.

A questo punto il gruppo raggiunse gli alloggi costruiti con i fondi della Renania Settentrionale-Vestfalia: semplici ma solide case bifamiliari. Il contrasto con la confinante baraccopoli dei Rom non avrebbe potuto essere maggiore. Clement si mostrò ottimista, sicuro che l'esempio della Renania Settentrionale-Vestfalia avrebbe fatto scuola e che per i Rom rimpatriati fosse stata anche possibile la creazione di posti di lavoro. I rimpatriati dovevano tuttavia assicurare per iscritto che "non sarebbero più rientrati nella Renania Settentrionale-Vestfalia per una permanenza a lungo termine".

Nei mesi successivi furono costruite complessivamente 114 case per circa 600 rimpatriati. Convertendo i marchi di allora negli euro di adesso, il Land spese 12,8 milioni di euro per le case, i biglietti d'aereo, la costruzione di un asilo e di una scuola. Così come per il pagamento degli alimenti a lungo termine.

E il risultato? Fra i Rom di Shutka si diffusero invidia sociale e gelosie. Già verso la fine del 1991 il politico della CDU, Herbert Reul, nel Landtag concluse che il cosiddetto "programma di rimpatrio" non avesse portato a niente. Lo stesso Clement, anni dopo, dovette rispondere di "sviluppi spiacevoli" della sua politica: molti "rimpatriati" erano rientrati in Germania e avevano nuovamente presentato richiesta di asilo politico. Alcune case erano ormai vuote; in altre non abitavano più le famiglie alle quali l'alloggio era stato assegnato.

La Cancelleria non sa dire cosa ne sia oggi di quelle case prefabbricate. L'allora "programma per i Rom" era già considerato concluso nel 1998. Il Land ha recentemente lanciato un nuovo progetto: con 7,5 milioni di euro il ministro dell'Interno Ralf Jäger e il ministro del Lavoro Guntram Schneider (entrambi dell'SPD) hanno intenzione di aiutare le città della Renania Settentrionale-Vestfalia colpite dalle immigrazioni a causa della povertà. Il denaro proviene dal sistema dei finanziamenti esistenti (anche dell'UE). Mordace il commento della CDU: "Ai comuni i placebo non bastano mai".

I ROM

Luogo di origine è il subcontinente indiano

Il termine "Rom" indica un gran numero di gruppi di popolazioni che sono collegate tra loro dalla provenienza originaria dal subcontinente indiano e dalla lingua, il Romanes, di origine indoeuropea. Sono in Europa da almeno 700 anni.

Minoranza - I Rom hanno sempre rappresentato delle minoranze all'interno dei loro rispettivi paesi. Da almeno il 16. secolo in poi sono stati oggetto di numerose forme di discriminazione, persecuzione ed espulsione.

Fonte: RP

 
Di Fabrizio (del 16/09/2013 @ 09:06:53, in casa, visitato 1470 volte)

di Antonio Viccaro - ComuneInfo

Perché la lettera
L'elaborazione di questa lettera è il risultato del Coordinamento delle Associazioni elencate in calce, portatrici di pratiche decennali e di sperimentazione di attività di convivenza con le Comunità Rom e Sinti nell'area di Colli Aniene, Tor Sapienza, La Rustica, Alessandrino e Centocelle.

Queste strutture associative si sono costituite in Coordinamento per ri-affermare integralmente la loro determinazione ad impegnare i decisori politici e istituzionali nella formulazione di strategie politiche e sociali capaci di cambiare radicalmente rotta rispetto alle fallimentari esperienze delle Amministrazioni precedenti. Amministrazioni che, con i soldi dei contribuenti, hanno prodotto segregazione ed esclusione sociale per Rom e Sinti, nonché l'incremento del disagio e dell'insicurezza per gli abitanti di quelle estreme periferie interessate da insediamenti che ne incrementano gli intrinseci processi di degrado.

Andare oltre "l'Emergenza Rom"
E dunque le nuove strategie devono essere implementate secondo una logica sistemica. Vale a dire, fatte di azioni capaci di assumere la gestione delle criticità che alcuni territori manifestano per la presenza di insediamenti Rom e Sinti, senza farsi imbrigliare dalla retorica della cosiddetta Emergenza Rom. Assunto che questa altro non è che la dimostrazione plastica della inadeguatezza delle Amministrazioni capitoline che si sono succedute negli anni al governo della Città di Roma, nel gestire e soprattutto nel contrastare, la povertà urbana delle periferie, determinando la creazione di ulteriore degrado, emarginazione e messa a rischio della sicurezza sociale.

Perché lavorare alla convivenza tra diversi
Operativamente le azioni strategiche devono mirare alla ri-costruzione di una soglia di convivenza tra abitanti dei quartieri limitrofi (vedi Via Salviati, C. Aniene, T. Sapienza) e Rom/Sinti per interessarli entrambi ad agire insieme alla graduale chiusura dei Campi.

Un percorso da concordare con le Istituzioni, Municipali e Centrali, da progettare e realizzare nei tempi (certi e controllabili) e nei modi, attraverso un'azione di benchmarking, per puntare all'eccellenza, in coerenza con la Strategia Nazionale di Inclusione Sociale dei Rom, Sinti e Camminanti[1].

Con questo approccio il fine (la convivenza tra diversi) diventa mezzo per il superamento del Modello Campi. Modello che, obiettivamente tende ad "...alimentare l'intolleranza dei cittadini romani residenti nelle aree dei campi che percepiscono la presenza di chi li abita come ingombrante e minacciosa..."[2]

Quanto esposto ci consente di affermare che quella della convivenza deve essere considerata una strategia spuria e transitoria: spuria poiché sarà il frutto di una pratica da orientare e sperimentare day by day e soprattutto in termini contingency. E dunque difficilmente modellizzabile. Transitoria per definizione, in quanto propedeutica alle nuove strategie di superamento del Modello Campi.

L'intelligenza territoriale collettiva come risorsa
Lo sviluppo di queste politiche e strategie, se realmente volte ad introdurre una vera e propria discontinuità, sia con i cosiddetti Piani Nomadi (tristemente noti per i loro alti costi e la loro totale inefficacia), sia con gli sterili sgomberi fine a se stessi, potrà contare sul supporto di una intelligenza territoriale collettiva, fatta di pratiche concrete ricche di un know how socio-tecnico, teorico ed esperienziale che dimostra che nei nostri territori ci sono le risorse necessarie al superamento delle strategie dei Campi.

Il nostro impegno
Il Comitato di Coordinamento nel quale si riconosce il raggruppamento di Associazioni che firma la presente lettera, sta predisponendo una raccolta ragionata delle migliori pratiche sperimentate in una pluralità di percorsi, laboratori e progetti d'inclusione, che vanno dal rafforzamento dei mercati, alla creazione di cooperative di riuso e riciclo, al realizzare la raccolta differenziata porta a porta, all'offerta di sostegno extra-scolastico gratuito, integrato ed interculturale, all'auto-recupero di palazzi abbandonati e alla creazione di condomini multiculturali, allo sviluppo di orti e di agricoltura urbana, per recuperare il degrado ambientale e per creare redditi di sussistenza.

Tutte queste pratiche/proposte hanno bisogno di un accompagnamento forte e deciso da parte delle Istituzioni, per determinare tempi più celeri di realizzazione e di successo.

Ormai ci sono generazioni e generazioni di nuovi cittadini nati in questi campi e non c'è più tempo da perdere! E non si possono più ostacolare le azioni di resilienza delle reti territoriali, che operano per ritessere i rapporti sociali spezzati.

Intervenire in forma integrale
Le strutture che firmano la lettera hanno compreso che bisogna intervenire in una forma integrale e decisa, in dialogo con i territori, e con le comunità Rom e Sinti in coerenza con le strategie di ri-costruzione della convivenza come conditio sine qua non per l'avvio dei percorsi di superamento del Modello dei Campi.

Per questo, sia Noi che Loro stiamo facendo tutti questi percorsi sulla nostra pelle, spesso abbandonati dalle Istituzioni. Non vogliamo rincorrere la rabbia o l'idea dell'emergenza permanente, né trovare soluzioni univoche e semplicisticamente immediate, ma lavorare per prevedere il lungo termine, trovando insieme soluzioni strutturali, mettendo in azione e valorizzando tutte le energie, le intelligenze e le risorse a disposizione.

La nostre preoccupazioni
In questa sede esprimiamo alcune preoccupazioni, in particolare di fronte ai primi passi di governo di questa Giunta Comunale e di quelle Municipali, che non si sono ancora dichiarate, in modo forte e chiaro, contro il Modello dei Campi Rom e contro il Piano Nomadi.

Per quanto ci riguarda possiamo affermare che le politiche decennali portata avanti da tutte le Amministrazioni cittadine che si sono avvicendate nel governo della città si sono dimostrate completamente inadeguata, finendo con il favorire un enorme spreco di risorse pubbliche.

Non ci possiamo permettere un nuovo fallimento di queste Politiche Sociali: le comunità Rom e Sinti (vivono?) in condizioni igienico-sanitarie pessime, tra un succedersi di sgomberi che tende a criminalizzarli indistintamente incrementando l'intolleranza che non aiuta la ri-costruzione della convivenza tra diversi. Le Buone pratiche ed i Progetti d'integrazione che generano competenze socio-economiche che molte realtà culturali, sociali e politiche stanno realizzando per determinare una convivenza più matura tendono ad essere banalizzate; anche qui ostacolando la convivenza. E questo nonostante le dichiarazioni espresse da "pezzi" significativi delle Comunità Rom e Sinti circa lo loro disponibilità ad intraprendere impegnativi percorsi di integrazione.[3]

Anche sul fronte dei Cittadini che abitano nelle periferie si rileva una grave esasperazione per la mancanza di servizi pubblici e di una reale presenza attiva delle Istituzioni. Queste da anni non propongo piani e programmi di investimenti strategici per la riqualificazione delle periferie che tendono ad un progressivo degrado. In questa situazione è facile allora che si sviluppi l'odio tra la popolazione attraverso azioni che possono sfociare nella violenza più cieca.

Tuttavia, ci conforta che, ciononostante ci sono anche molti cittadini che rifiutano questo tipo di manipolazioni, convinti che la rigenerazione delle aree urbane e la creazione di opportunità per tutti, eviterà la proliferazione di altre isole di degrado ed emarginazione, costituendo l'unica strada percorribile per una vera politica di riscatto, di benessere e di sicurezza della nostra società.

Infine, vorremmo capire se questa Giunta Comunale ha intenzione davvero di scrivere un nuovo capitolo per la città di Roma, ascoltando i diretti interessati (le Comunità Rom e Sinti), e coloro che hanno maturato un'esperienza di collaborazione con queste Comunità; gli unici soggetti, tra l'altro, che hanno anche provato a diffondere una contro-informazione a favore dell'umanizzazione di una situazione che ha trasceso ogni tipo di violazione dei diritti umani.

  1. Strategia formulata dal nostro Governo nel 2012
  2. Documento Associazione 21 luglio e Arci Solidarietà Onlus - 9 settembre 2013
  3. Vedi lettera al Sindaco Marino inviata il 30 agosto dalla Comunità Rom insediata dallo scorso giugno in via Salviati
 
Di Fabrizio (del 01/10/2013 @ 09:06:10, in casa, visitato 1532 volte)

Sabato, 28 Settembre 2013 17:26
Riceviamo e pubblichiamo:

Una bambina di sette anni con i suoi genitori, da un mese e mezzo, non avendo una casa, mangia e dorme nell'abitacolo di un'autovettura e da pochi giorni dentro un garage.

Dopo le ripetute richieste avanzate al Comune e ai diversi settori di pertinenza, ad oggi, i Commissari che gestiscono l'ente comunale non hanno ricevuto la famiglia e i Servizi sociali non si sono interessati minimamente del caso.

Lasciare che una bambina e i suoi genitori dormano su una automobile o sul cemento di un garage, non significa negare un diritto fondamentale ? In questo caso, è il comune di Reggio Calabria che nega questo diritto?

A queste domande la risposta che, da tempo, viene data dal Comune è la seguente: non ci sono alloggi disponibili per l'assegnazione.

Ma le cose non stanno così, e gli addetti ai lavori lo sanno bene.

Gli alloggi popolari necessari, da assegnare alle famiglie che ne hanno bisogno, ci sono. Su tutto il territorio della città, da Bocale a Catona, tantissimi (nell'ordine di qualche centinaio) sono gli alloggi popolari che non sono più abitati dagli assegnatari e che, secondo la normativa vigente, dovrebbero tornare nella disponibilità del Comune, se l'ente applicasse la legge e quindi disponesse le verifiche sulla permanenza dei requisiti degli assegnatari.

Non è solo l'Opera Nomadi che, da diversi anni, denuncia questa grave situazione di cattiva gestione della politica della casa e di illegalità. Nella relazione redatta dalla Commissione di Accesso al Comune di Reggio Calabria che ha portato allo scioglimento dell'ente alla pagina 59 viene riportato: "non risultano essere stati svolti dall'Ente accertamenti periodici al fine di verificare la sussistenza, nel tempo, dei requisiti che hanno portato all'iniziale assegnazione. Tale situazione di palese, ingiustificato inattivismo ha evidentemente determinato situazioni di palese irregolarità nelle quali, verosimilmente, alcuni inquilini hanno continuato a mantenere la disponibilità dell'alloggio popolare pur non avendone i requisiti ed a discapito di altri soggetti in stato di concreta ed attuale necessità".

Rispetto al periodo (2012), precedente al Commissariamento del comune, in cui la Commissione ministeriale ha verificato questo aspetto della politica comunale, nulla è cambiato. Anche in quest'ultimo anno le verifiche non sono state effettuate.

Se la Commissione straordinaria cominciasse ad applicare la legge effettuando le verifiche ritornerebbero al Comune almeno 1.000 alloggi, che potrebbe essere assegnati alle famiglie che ne hanno bisogno e urgenza (art. 31 della legge reg.le 32/1996), come la famiglia Amato.

In questo momento di crisi economica, riteniamo che sia particolarmente grave che il Comune non faccia nulla per riprendersi e assegnare gli alloggi non abitati, mentre tante famiglie non riescono a far fronte all'affitto, oppure sono già senza una casa e sono costrette a dormire su un'automobile.

Una Commissione di prefetti che amministra un comune sciolto per contiguità mafiosa e con una situazione debitoria molto grave, ha sicuramente molte cose importanti e urgenti da fare.

Ma a nostro parere la Commissione dovrebbe mettere anche questa tra le azioni importanti da fare, visto che è un'azione che non incide sul bilancio comunale e che serve a ripristinare una condizione di legalità e di giustizia sociale.

Pertanto chiediamo che la Commissione straordinaria provveda ad effettuare le operazioni di legge necessarie per assegnare alla famiglia Amato un alloggio popolare e proceda allo stesso modo per altri nuclei che si trovano nella stessa condizione.

Il presidente
Sig. Antonino Giacomo Marino

 
Di Fabrizio (del 02/10/2013 @ 09:03:51, in casa, visitato 1273 volte)

Donne rom scioperano: By: Joe Fiorito Columnist, Published on Wed Sep 18 2013

Un gruppo di inquiline rom, inaspettatamente schiette, sono scese in sciopero dell'affitto per protestare contro le condizioni dei loro appartamenti.

Le romnià sono in sciopero dell'affitto, non tutte ma solo alcune, e non avevo mai sentito di una cosa simile. Ma ne hanno abbastanza.

Vivono con le loro famiglie in una serie di appartamenti popolari in Lake Shore Blvd. W. Ero lì l'altro giorno. Ma prima avevamo parlato sullo sciopero dell'affitto, qui nella vostra Toronto:

Nel parcheggio dietro gli appartamenti, una macchina abbandonata, portiere ammaccate, finestrini rotti, i bambini ci sono appoggiati come ad un'attrezzatura da parco giochi; nessuno sa di chi sia quella macchina.

In lontananza si possono vedere gli alberi spinosi e le bianche vele delle imbarcazioni ormeggiate nella marina sulle sponde del lago.

Quando arrivai, c'erano una mezza dozzina di donne che aspettavano nel parcheggio. Tutte volevano parlare, tutte assieme. Avevo l'aiuto di un traduttore ungherese, grazie al servizio legale della Parkdale Community.

Ho iniziato chiedendo dove fossero gli uomini. "Hoo, ha!" mi hanno risposto in segno di affettuosa derisione.

OK, perché uno sciopero dell'affitto?

Dicono di aver avuto molte difficoltà ad ottenere le riparazioni, e quando il lavoro è stato fatto,hanno dovuto pagarle di tasca propria e il costo non è stato detratto dal canone d'affitto.

Sono andate ingruppo, un paio di volte, nell'ufficio del padrone di casa, che è un avvocato. Gli incontri non sono andati bene.

Il fatto ha dello straordinario, perché la maggior parte dei Rom a Toronto evita di fare qualsiasi cosa che possa risvegliare attenzione nei loro confronti.

Il servizio legale della Parkdale Community ha scritto una lettera di lamentela al proprietario. Che a sua volta, ha risposto al servizio legale a stretto giro di posta, suggerendo di rivolgere le lamentele all'amministratore dell'immobile. "Comprendo che il responsabile della proprietà ha già avuto a che fare con qualcuno di voi", è nella sua risposta. Aggiungendo che gli inquilini che danneggiano la proprietà potrebbero essere sfrattati.

Secondo il legale di Parkdale, due famiglie hanno pagato l'affitto dopo le riparazioni. Ma diciotto famiglie continuano a rifiutarsi di farlo.

In ognuno dei tre edifici ci sono 38 unità.

In che condizioni sono?

Dice una donna "Lo scarico del vater non funziona. Devo usare un secchio." Riempie il secchio nella vasca da bagno e lo svuota nello scarico.

Cos'altro?

"Devo usare lo scotch per le finestre, perché non cadano." Le lastre di vetro sono rotte e, dicono, le finestre non si aprono o si chiudono correttamente.

"Il pavimento si sta sollevando e ci sono tonnellate di scarafaggi." Le altre, tutte, annuiscono all'elenco delle lamentele.

La discussione continua sui piccoli animali negli appartamenti, forse topi o forse ratti, per arrivare alle cimici.

Un'altra donna dice: "Venerdì non ho potuto usare la toilette, e ho dovuto andare in quella della vicina."

Quale vicina?

"Quella del secchio."

Oh, santo cielo!

Aggiunge: "Le tubazioni perdono. Ho dovuto chiudere l'acqua calda. Il lavandino è così intasato che la sua acqua sgorga dalla vasca da bagno."

Un'altra donna dice: "Ho molti scarafaggi. Il parquet sta andando. In camera da letto non ho elettricità, le prese non funzionano. Da aprile, non funziona il forno, e..."

Un attimo... Il forno non funziona? Come prepara la cena per la famiglia? "Uso la cucina di qualcuna che conosco." Cucina prima o dopo che l'ha fatto la sua vicina?

Quando lei ha già cucinato.

Un'altra dice: "Il mio bagno era intasato. Si sono allagati il mio appartamento e quello della famiglia al piano di sotto."

Infine, una donna: "Ho quattro bambini. La toilette non funziona. In cucina il rubinetto non si chiude. In cucina la dispensa è senza antine. Le finestre sono rotte. Il pavimento si sta sollevando."

Una delle donne mi concede di dare un'occhiata. Quando apre la porta di casa, gli scarafaggi scappano sui controsoffitti, attraverso la stufa, sotto i piedi e lungo le pareti. Rispondendo alle vostre domande, è una casalinga ordinata e pulita.

Aveva ragione su finestre e pavimento, e sulle perdite, e tornando a pianterreno, ho notato che le luci d'emergenza non funzionavano ed i corridoi erano al buio.

Di sicuro non è giusto.

Ho chiamato il proprietaro, l'avvocato. Ha detto di essere troppo occupato per avere un colloquio. Ha suggerito di sentire l'amministratore dell'edificio.

Quest'ultimo non voleva ammettere che ci fossero dei problemi, poi voleva sapere quale fossero gli appartamenti problematici ed infine, dietro suggerimento del suo avvocato, si è rifiutata di parlare.

Giusto così.

Così, settimana scorsa alcuni inquilini hanno avuto le attese riparazioni, che due famiglie hanno giudicato soddisfacenti. Ma ci sono ancora 18 famiglie che non stanno pagando l'affitto, e girà voce che la proprietà voglia portare il caso in tribunale.

Restate sintonizzati.

 
Di Fabrizio (del 11/11/2013 @ 09:05:08, in casa, visitato 1643 volte)

La Gazzetta di Modena
di Serena Arbizzi - Duecento persone protestano in consiglio comunale e pure i sinti rifiutano: "Un ghetto". Rese note le cifre dell'assistenza nomadi

"Cortile non è il posto dove nascondere i problemi di Carpi" e, ancora, "Prima il confronto poi la delibera", "Sì al superamento del campo, no a nuovi ghetti".

Al suono di questi slogan, scritti sugli striscioni e ripetuti da oltre duecento cittadini che ieri sera hanno "invaso" palazzo Scacchetti in occasione del consiglio comunale, il più affollato dell'intera legislatura, in cui sono stati dibattuti quattro ordini del giorno, due interrogazioni e altrettante mozioni sull'infuocato argomento del trasloco del campo nomadi a Cortile. In particolare, l'ordine del giorno Pdl "ritiene illegittima quella parte dell'Ordinanza del Sindaco che dispone l'utilizzo di un terreno privato con opere di urbanizzazione pubbliche" e ha sottolineato che già Emergency il 28 agosto 2012 aveva evidenziato condizioni disastrose in via Nuova Ponente. Paradossalmente, ieri sera, le ragioni dei nomadi, presenti anch'essi con una delegazione di dieci sinti, combaciavano con quelle dei comitati: "Noi non vogliamo andare a Cortile, vogliamo le microaree - ha detto il gruppo che verrà trasferito all'ex scuola - così veniamo ghettizzati. Noi lavoriamo, commerciamo nel ferro, facciamo le pulizie... anche se la gente non si fida di noi".

In principio di seduta sono poi volate parole grosse tra il presidente del consiglio Giovanni Taurasi e Antonio Russo perché la diretta prevista nella sala vicina alla discussione era stata annullata.

L'assessore Alberto Bellelli ha invitato le opposizioni a proporre alternative, dopo avere passato in rassegna gli interventi dell'Ausl nella storia del campo, ma non "le microaree: non le reputo una soluzione, laddove sono state costruite hanno moltiplicato problemi esistenti. Il centro di prima accoglienza di Cortile era quello che poteva essere recuperato nei tempi più ragionevoli. Ho chiesto agli uffici delle politiche sociali cosa significherebbe una chiusura del campo in termini di spesa per l'accesso diretto ai servizi: 11 madri con 11 figli, costerebbero fino a 99mila euro al mese, 16 minori da 7 a 16 anni, le rette arrivano a oltre a 130 euro, fino a 69.400 euro al mese. Gli anziani non autosufficienti costerebbero 780 euro al mese".

Applaudito l'intervento del consigliere Cristian Rostovi, che ha parlato di "balle" dette dal Comune: "Per fortuna che si tratta della decisione dei tempi più brevi: ci avete messo 25 anni... Quanto ai costi a carico delle politiche sociali: sembra che li abbiate tenuti in quelle condizioni perché vi costavano meno...".

I cittadini - che hanno già raccolto con la petizione 2.000 firme contrarie - si sono scaldati anche sulle cifre spese dal Comune per i nomadi, 870mila euro, enunciate da Russo.

 
Di Fabrizio (del 02/02/2014 @ 09:08:32, in casa, visitato 2858 volte)

Cosenza, la comunità rom accampata lungo il fiume Crati sperimenta una stufa che trasforma in calore il rischio incendio. Così si punta su energia alternativa e riciclaggio
Nella foto la stufa Rmh all'interno della Scuola del Vento (© Coessenza \ Confluenze) - Corriere della Calabria

COSENZA Riscaldarsi riciclando, con una stufa semplice da realizzare ed efficiente. Sembra lo spot di una televendita. E ad alcuni sembrerà pure impossibile, ma chi la sta provando è pronto a giurare che la stufa Rocket Mass Heater fa egregiamente il suo lavoro ed è un oggetto rivoluzionario. Il "target" è inedito: vista la loro capacità di riciclare materiali, è ideale per i rom. In più, i costi di realizzazione sono vicini allo zero e soprattutto, grazie alla struttura e al funzionamento, il rischio di incendio e di ustioni è molto più contenuto: sono due dei motivi per cui un oggetto così - che potrebbe essere venduto in tv o sul web ma attualmente è utilizzato nella "Scuola del Vento" Coessenza all'interno del campo nomadi di Cosenza lungo il fiume Crati - è stato salutato con entusiasmo. La baraccopoli rom del capoluogo calabrese festeggia così la Scuola del Vento, un progetto educativo che quest'anno spegnerà 5 candeline: lezioni gratuite in una baracca autocostruita dai rom e dai volontari di alcune associazioni della città.

L'Rmh, l'"oggetto misterioso" con cui la Scuola si sta riscaldando da qualche mese, è una stufa a legna con un'efficienza termica tale da ottenere la stessa quantità di calore utilizzando tra il 50 e l'80% in meno di legna rispetto a una stufa tradizionale: ciò è possibile grazie al processo di pirolisi, che consente di far bruciare la maggior parte dei gas della combustione (il fumo del fuoco) ottenendo così altro calore, ed emissioni minime composte quasi esclusivamente da Co2 e vapore acqueo. "Considerato poi che la forma e il funzionamento della camera di combustione creano un tiraggio consistente - spiegano i volontari della Scuola del Vento -, è possibile indirizzare il tubo di uscita degli esausti nella direzione desiderata, anche orizzontalmente, e ciò permette di farlo passare all'interno di una massa termica di materiale inerte pietroso (il pavimento, una panchina, un letto, un muretto o un qualsiasi altro elemento architettonico) ottenendo così di accumulare all'interno della casa una notevole quantità di calore che andrebbe altrimenti disperso". Anche i costi e i tempi di realizzazione di questo sistema innovativo sono eccezionalmente contenuti: è possibile infatti realizzare un impianto base con massa termica per meno di 150 euro e in meno di due giornate lavorative. Inoltre, sono già stati sperimentati sistemi che incorporano la possibilità di produrre acqua calda.

RMH, UN SISTEMA RIVOLUZIONARIO
NON SOLO PER LA COMUNITA' NOMADE

Un impianto di riscaldamento a costo ridotto e più sicuro dei metodi finora usati dalle fasce di cittadini meno abbienti che popolano la città potrebbe essere una salvezza se pensiamo agli episodi drammatici dell'ultimo anno: ai primi di marzo 2013 due clochard morti carbonizzati in una vecchia palazzina abbandonata, a pochi metri dal salotto buono di Cosenza, mentre il 2 gennaio a fare una fine simile è stato un anziano sarto, travolto dalle fiamme nella sua mansarda alle spalle del Municipio. Ma il rischio incendi è comune a tutti i (non) luoghi d'Italia abitati da quelli che i sociologi chiamano "marginali": proprio all'alba di oggi a Roma un cittadino straniero è morto carbonizzato in un incendio scoppiato in un residence abitato soprattutto da migranti, che vivono in condizioni disumane.

Insomma, il Rocket Mass Heater potrebbe far comodo a molti, di questi tempi. Ma perché è ancora più rivoluzionario per la comunità rom? Eccolo spiegato, in quattro punti:

  • L'utilizzo di una stufa con massa termica consente di avere minori sbalzi di temperatura. Ciò è particolarmente rilevante in un ambiente come le baracche che si surriscaldano quando le stufe a legna sono accese per poi raffreddarsi molto velocemente appena la stufa si spegne, portando alla condensa dell'umidità trattenuta all'interno dai rivestimenti plastici che vengono utilizzati per isolare le baracche e, dunque, ad una sostanziale insalubrità dell'ambiente.
  • La possibilità di utilizzare un quantitativo di legna molto inferiore disincentiva il ricorso a legna con plastica o vernici attaccati e alla plastica.
  • La qualità degli esausti, che sono praticamente respirabili, migliora radicalmente la qualità dell'aria all'esterno, che, specialmente nei campi densamente popolati, è spesso molto inquinata proprio a causa della combustione di materiali tossici e del posizionamento molto basso dei comignoli, favorendo malattie respiratorie e neoplasie.
  • Il bidone incorporato nel sistema, può essere utilizzato come piano di cottura, portando ad un risparmio sul gas e ad un miglioramento della qualità dell'aria all'interno delle baracche, dove la combustione del gas per la cottura può inquinare pesantemente l'aria.

OSTILITA' DEI CITTADINI (E DELLA NATURA)
L'INTEGRAZIONE FINORA È FALLITA

La "stufa rivoluzionaria" è un tassello che arricchisce la sfida della Scuola del Vento, esperienza di integrazione come poche altre su scala nazionale. Quella della scolarizzazione dei bambini rom rumeni accampati nei due campi cittadini (a Vaglio Lise e nel Palazzetto dello Sport di Cosenza-Casali) è una questione molto delicata: i dati non proprio incoraggianti spiegano meglio la situazione. Nel biennio 2011-2012 risultavano 52 bambini iscritti a scuola, di cui 40 alle elementari e 12 alle medie. I frequentanti alle elementari sono stati 29, 11 bambini hanno invece frequentato con discontinuità. Alle medie, 8 bambini hanno seguito con costanza, 4 saltuariamente. Il disagio economico, sociale e ambientale in cui vivono le loro famiglie è una delle cause della dispersione scolastica. L'assenza di una residenza ufficiale causa, invece, la difficoltà di accesso alle vaccinazioni (un dossier appena ultimato da un gruppo di associazioni ha contato fino a oggi 23 bambini vaccinati, mentre gli operatori dell'ambulatorio dei Medici Senza Confini "A. Grandinetti" di Cosenza hanno documentato i rischi igienico-sanitari nei due nuclei abitativi (campo e Palazzetto). Secondo i volontari, un primo passo verso una reale integrazione potrebbe essere l'impiego dei rom nella raccolta e lavorazione del materiale ferroso e dei rifiuti ingombranti, sulla scorta di quanto già accade a Bolzano ma anche a Reggio Calabria e Lamezia.

Anche se la diffidenza è dura a morire, in 9 anni di presenza, le "manifestazioni" più ostili per i rom della baraccopoli sono venute dal fiume in piena, dalla pioggia o dalle fiamme (mai dolose, se non in un caso e ad opera di una persona del campo). La scorsa estate, però, dopo il boom di furti nei quartieri periferici vicini al campo ma anche in centro città, si registrò qualche episodio di violenza sotto forma di raid punitivo: i topi d'appartamento non sono mai stati individuati, ma nella vulgata dei cosentini "gli zingari" erano i colpevoli.

COSTANO 7000 EURO A BIENNIO
ECCO I NUMERI DEI 2 "CAMPI"

Nell'ultimo biennio, la cifra totale messa a disposizione del Comune di Cosenza - denunciano i volontari - ammonta a soli 7000 euro, serviti per coprire i costi dei pasti erogati ai rom sfollati da un grosso incendio scoppiato a Vaglio Lise nel luglio del 2012, e per il pagamento delle utenze del Palazzetto dello Sport di Cosenza-Casali, luogo nel quale queste persone sono state temporaneamente sistemate e dove alcuni rom risiedono tuttora. I dati ufficiali a disposizione dell'Ufficio Statistiche del Comune di Cosenza raccolti in occasione dei due censimenti effettuati prima nel marzo del 2010 e poi nel mese di luglio del 2011, indicano la presenza di sole 320 persone. Di queste, la maggior parte è collocata nell'"insediamento informale" di Vaglio Lise, mentre una cinquantina di persone, circa 13 famiglie, si trovano all'interno del Palazzetto dello sport di Cosenza-Casali.

Il primo ottobre 2009, con una massiccia operazione congiunta di polizia, carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale in collaborazione con vigili del fuoco e 118, furono notificati 90 provvedimenti di allontanamento dall'Italia per motivi di sicurezza emessi dal prefetto di Cosenza, su segnalazione della questura - e fu di fatto eseguito il primo "censimento" dei rom rumeni che vivono nella baraccopoli lungo il Crati. Oggi da quella stessa baraccopoli arriva una piccola ma significativa lezione sulle nuove energie.

eu. f.

 

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