Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Desideri, disperazioni e voglia di normalità dalla periferia più periferica.

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 22/11/2010 @ 09:57:27, in musica e parole, visitato 1621 volte)

Quindici-Molfetta.it La presentazione dell’iniziativa, contro i pregiudizi e le discriminazioni dei rom lanciata dal Consiglio d’Europa, il 26 novembre alle 10.30 al foyer del teatro Kursaal Santalucia di Bari

BARI – La Puglia abbraccia la campagna "Dosta", contro i pregiudizi e le discriminazioni dei rom lanciata dal Consiglio d’Europa, che sarà presentata il 26 novembre alle 10.30 al foyer del teatro Kursaal Santalucia di Bari.
La kermesse è promossa dagli assessorati al Mediterraneo e alla Cittadinanza Sociale della Regione Puglia, dal Consiglio d’Europa e il Ministero delle Pari Opportunità (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar).
Il progetto europeo di favorire una maggiore e corretta conoscenza della realtà dei rom attraverso il coinvolgimento e la sensibilizzazione dei media e la promozione dell’incontro tra le comunità locali e i rom è l’obiettivo della campagna "Dosta". "Dosta" infatti significa "Basta" in romanes ed è stato scelto come slogan della campagna, sostenuta dalla commissione Europea, che farà tappa a Bari dopo l’adesione della Puglia con la delibera di Giunta del 3 novembre scorso.
Testimonial l’attrice francese Fanny Ardant, che ha anche realizzato un breve documentario sui rom.
Interverranno rappresentanti regionali Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo, Cultura e Turismo, Nicola Fratoianni, assessore alla Cittadinanza Sociale, Michael Guet, responsabile della campagna Dosta, Hanry Scicluna, coordinatore attività Rom del Consiglio d’Europa, Giovanni Trovato, responsabile campagna Dosta-Italia-Unar, Pietro Vulpiani, campagna Dosta-Italia-Unar, Dijana Pavlovic, vice presidente federazione Rom e Sinti Insieme.
A concludere la giornata, la "Festa Rom" con due spettacoli, in collaborazione con Puglia Sounds: "Le Danze di Billy e Dijana" e " Taraf da Metropulitana –Ballate Romanes dalla Metro di Roma" (Kursaal Santalucia – ore 21.00).

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Di Fabrizio (del 23/11/2010 @ 09:07:04, in Kumpanija, visitato 1796 volte)

Ventidue interventi di recupero che hanno consentito, tra l'altro, di salvare circa 42,5 quintali di pesce, smaltiti quintali di rifiuti ingombranti, taglio di alberi pericolanti, sfalcio di arbusti e recupero di alcuni tratti delle sponde. Sono gli interventi di pulizia e riqualificazione dei Navigli effettuati in circa due settimane dal Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi che annuncia il termine, oggi, dell'asciutta dei canali milanesi. "Il preoccupante degrado ambientale dovuto a consistenti quantità di rifiuti presenti nell'alveo del Naviglio, il pericolo esondazione causato dalla barriera dei rifiuti, l'impossibilità di utilizzare le barche fresanti per eliminare le alghe nel corso della stagione irrigua, lo smottamento di alcuni tratti della sponda destra - ha spiegato Alessandro Folli, presidente del Consorzio - sono alcuni dei motivi che ci hanno spinto ad intervenire sul tratto del Naviglio Martesana tra il nodo Lambro e via Melchiorre Gioia a Milano". Inoltre, "si sono create le condizioni ideali - sottolinea Folli - per un sodalizio tra il Consorzio, Legambiente locale e gli abitanti del campo rom di via Idro con l'obiettivo di valorizzare il tratto milanese del naviglio che pur perdendo la sua vocazione irrigua mantiene un forte valore paesaggistico. Un'azione comune perché i cittadini abbiano più a cuore il rispetto e la salvaguardia di questo pezzo importante della storia milanese" (grassetto mio, leggere QUI ndr). "Stesso discorso per la Darsena e i tratti adiacenti dei Navigli Grande e Pavese. Non è più accettabile che questi canali siano sommersi da rifiuti e da una inciviltà imperante - sottolinea il Consorzio -. Ad esempio, sono stati recuperati quintali di rifiuti rappresentati soprattutto da bottiglie di vetro. Un controsenso: i Navigli vissuti come eccellenza della vita serale e notturna milanese e nello stesso tempo, dagli stessi fruitori, villeggiati e sfregiati con la mancanza di rispetto per l'ambiente e per il corso d'acqua stesso". Anche per la Darsena, il Consorzio in accordo con il Comune di Milano ha provveduto alla sua pulizia con l'impegno di una squadra di 4 operai e con mezzi appositi per il sollevamento e trasporto dei rifiuti. "A breve chiederemo un incontro con il sindaco Moratti - ha concluso Folli - per pianificare i prossimi interventi di manutenzione, già in occasione dell'asciutta della primavera 2011. Soprattutto per avviare un'azione sinergica tra tutti gli enti interessati perché con Expo 2015 tornino agli antichi splendori tutti i tratti dei nostri cinque Navigli".(Omnimilano.it)

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Di Fabrizio (del 23/11/2010 @ 09:36:15, in musica e parole, visitato 2900 volte)

Dal 30 novembre al 5 dicembre - Tieffe Teatro Menotti – Via Ciro Menotti, 11 – Milano
Produzione Cantieri Teatrali Koreja e Centar Za Kulturu di Smederevo (Serbia) con il sostegno di Teatro Pubblico Pugliese


BRAT (FRATELLO)
Cantieri per un’opera rom


Regia e adattamento di Salvatore Tramacere
Con Miljan Guberinic, Ajnur Ibraimi, Damir Kriziv, Sead Kurtisi, Vukosava Lazic, Marija Miladinovic, Marija Mladenovic, Ana Pasti, Darko Petrovic, Igor Petrovic, Maria Rosaria Ponzetta, Ferdi Ramadani, Ajnur Redzepi, Emran Sabani, Senad Sulejmani, Marko Stojanovic, Danijel Todorovic, Andjelka Vulic

Collaborazione alla regia: Fabrizio Saccomanno
Collaborazione all’allestimento: Mariarosaria Ponzetta
Cura del movimento: Silvia Traversi
Musiche di: Admir Shkurtaj
Eseguite dal vivo da: Giorgio Distante, Redi Hasa, Admir Shkurtaj
Luci e suoni: Mario Daniele, Angelo Piccinni
Organizzazione: Marija Anicic, Alessandra Bisconti, Dragoljub Martic, Laura Scorrano
Cura del progetto: Franco Ungaro

"Popolo mite e nomade che non rivendica sovranità, territorio, zecca, divise, timbri, bolli e confini, ma semplicemente il diritto di continuare a essere quel popolo sottilmente altro e trascendente rispetto a tutti quelli che si contendono territori, bandiere e palazzi; un popolo che, un pò come gli ebrei, fa parte della storia e dell'identità europea proprio perchè a differenza di tutti gli altri hanno imparato ad essere leggeri, compresenti, capaci di passare sopra e sotto i confini, di vivere in mezzo a tutti gli altri, senza perdere se stessi e di conservare la propria identità anche senza costruirci uno stato intorno"

"Non si puo' togliere l'acqua ai pesci e poi stupirsi se i pesci non riescono piu' ad essere agili ed autosufficienti, gentili ed autosufficienti come una volta"

Alex Langer


Quello di Brat è un percorso iniziato tre anni fa, a Smederevo, 70 chilometri da Belgrado, tra una dozzina di giovani rom, altrettanti attori loro coetanei di quella città, e il gruppo teatrale Koreja di Lecce, da sempre interessato a misurarsi con il fascino e i nodi irrisolti, l’ignoto e le diversità dell’est Europa.

Non concede illusioni o facili scorciatoie di “redenzione” lo spettacolo elaborato da Salvatore Tramacere con Fabrizio Saccomanno: una parabola zingara contro i “nuovi olocausti”.

Nasce così uno spettacolo accolto trionfalmente dal pubblico nelle rapide incursioni al NapoliTeatroFestival e al Festival Castel dei Mondi di Andria fino all’approdo nel capoluogo salentino.

Come nell’originale di Gay c’è una malavita organizzata, una polizia corrotta, un affarismo senza scrupoli, un bordello di ragazze scatenate.

Interpreti scatenati, pronti a cambiare di ruolo e di genere, mentre la musica balcanica di Admir Shkurtaj, eseguita dal vivo, li incalza e li dirige verso un apparente happy end.

Incontriamo da tre anni un gruppo di giovani rom e giovani attori che vivono a Smederevo, Settanta chilometri da Belgrado, alcune centinaia da Lecce. Proviamo a fare teatro. Lavoriamo di sera, dopo faticose giornate di lavoro quotidiano, specie per i giovani rom, a raccogliere frutta, vetro e carta. Non vogliamo creare una nuova compagnia professionale né cerchiamo alcuna catarsi sociale. Che fare? Partiamo da un testo. L’Opera del mendicante di John Gay.

Cerchiamo persone e attori in grado di dare senso e verità alle parole molto graffianti dell’Opera. Al tempo del reality quando sempre più sottile si fa il confine tra verità e finzione.

Ladri, ricettatori, donne di malaffare, capi di polizia in combutta per spillare quattrini dove si può: questi sono i nuovi eroi di un mondo alla rovescia.

Una storia rappresentata tante volte in diverse epoche e luoghi.

Undici non attori rom e otto giovani attori serbi, assumono ruoli da commedia dell'arte, facendosi testimoni di una cultura, la propria.

Una cultura che, come i piccoli ladruncoli che loro mettono in scena, è destinata a scomparire.

Ne è scaturita una "presentazione" che, giocando con gli stereotipi di una cultura periferica, mette proprio in discussione il labile confine tra finzione e realtà.

Cantieri Teatrali Koreja

Tieffe Teatro Menotti – Via Ciro Menotti, 11 – Milano
Orari spettacolo: lun. mar. gio. ven. sab ore 21 - mer. ore 19. - dom. ore 17
Orari biglietteria: dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle 19 - sabato 16 - 19
Prenotazioni e informazioni: 0236592544 , info@tieffeteatro.it - www.tieffeteatro.it
Prezzi: 22 intero – 15 ridotto (over 60, under 25)
convenzioni: pr@tieffeteatro.it


Giovedì 18 novembre c'è stata la conferenza stampa di presentazione. Ivana Kerecki (che ci fornisce anche le foto) ci riferisce:

Prima della conferenza la RAI ha fatto un'intervista con gli attori rom e il protagonista Danijel Todorovic, che ha detto che questo spettacolo ha rotto un tabù, un muro che molti vedono fra se stessi e i Rom. I ragazzi hanno salutato la TV italiana con un saluto collettivo in lingua romanes.

Per prima ha parlato Livia Pomodoro, soprattutto dell'importanza del "Premio Internazionale Teresa Pomodoro per il Teatro dell'Inclusione" (sempre con prestigiosa giuria internazionale), che poi è stato assegnato la stessa sera al Teatro No'hma, inaugurando la sua stagione. Secondo lei questo premio è anche il segno dell'attenzione a "questo grande problema"…

Salvatore Tramacere, direttore artistico dei Cantieri Teatrali Korejadi Lecce, ha raccontato il lavoro svolto durante i 3 anni con 35 ragazzi di Smederevo, la cittadina a 50 km da Belgrado. Gli è dispiaciuto molto che dopo un lavoro così importante, uno dei ragazzi, Ferdi, non può venire in Italia per partecipare allo spettacolo. Il motivo: il suo datore di lavoro (precario e saltuario: il cosiddetto lavoro a "chiamata", che potrebbe anche non arrivare) ha minacciato di "licenziarlo"…

Alcune sue battute (certe si possono più o meno condividere):

"Il teatro ha senso solo se ha il coraggio, altrimenti si rischia di fare cose molto banali e perdere il senso."
"Mi hanno chiesto perché ho fatto uno spettacolo così. Perché no? Perché non prendere questa responsabilità?"
"I nostri ragazzi hanno tutto, sanno tutto. Con loro, invece, c'è bisogno di fare le cose dall'A alla Z."
"Questi ragazzi hanno conquistato una dignità e possono avere una chance come tutti i ragazzi del mondo."
"Vorremmo fare di più: primo, creare un centro permanente, mettere insieme le diversità, non solo quelle di nazionalità o etnia ma di possibilità di vivere la vita quotidiana. Un centro in più luoghi, per incontrarsi e far progetti vari, non solo spettacoli. Secondo, all'inizio mi vergognavo un po' di dire questa cosa: i ragazzi mi chiedevano ‘quanti soldi prenderemo?'. Il progetto in se stesso è nobile, ma anche loro hanno un diritto di fare questo LAVORO chiedendo di essere pagati. Rinuncio a fare lo spettacolo se non li pagano. Per una ulteriore dignità. Stanno acquisendo una cosa forte. Se ne chiedono un'altra: paghiamoli!"

Franco Ungaro, ha detto che non è stato così facile portare questi ragazzi in Italia. Si è sempre posta la domanda: ci saranno problemi con la polizia? Alla fine è andato tutto liscio. Secondo lui, questo spettacolo è un po' il simbolo di come si può coniugare un'idea dei Rom con quella del cosmopolitismo e mostrare la cultura identitaria di un popolo, di persone, inserita nel contesto di contemporaneità, mentre il lavoro con questi attori è stato anche una denuncia delle loro condizioni di vita.

L'assessore alla Cultura del Comune di Milano, Massimiliano Finazzer Flory, ha raccontato un po' di teoria: di come il teatro (che è anche nomade) nasce dalla esperienza e la questione antropologica, lì non c'è il post-montaggio che smonta il contesto antropologico. Ha ripreso anche le parole di Tramacere, ribadendo che l'attore deve sempre essere pagato: "perché se mi pagano, valgo". Ha tentato di rispondere anche alla precedente domanda "perché", con una storia della rosa che nasce senza motivo, cresce senza motivo ecc.

Emilio Russo, direttore artistico del Teatro Tieffe, ha detto che siamo noi che stiamo perdendo la dignità e che praticamente tutte le richieste di aiuto per lo spettacolo (costoso) avevano trovato le porte chiuse, e lo spettacolo costa. Ha parlato anche dei più di 300 sgomberi che hanno subito i Rom che abitano a Milano e ribadito che questo è anche uno spettacolo politico e importante per la città.

È stata chiamata a fare un intervento anche Dijana Pavlovic che, oltre a richiamare ancora l'attenzione sui numerosi e tristi sgomberi di Milano, ha invitato i presenti a considerare che la povertà in Serbia non riguarda soltanto la popolazione rom, e che ci sono delle differenze delle condizioni e possibilità dei Rom in Italia e in Serbia, dove anche una ragazza come lei aveva potuto laurearsi all'Accademia dell'Arte drammatica e dove molti Rom, oltre a fare i lavori semplici elencati dai relatori – pulizie, raccolta del ferro e simili –  svolgono anche funzioni importanti professionali e politiche. Ha detto che è grata a tutti quelli che hanno appoggiato questo progetto, che ha fatto dei ragazzi-attori persone fortunati, invitando le autorità a pensare anche ai Rom di Milano che un'occasione così non l'hanno mai avuta, perché la città ne ha veramente bisogno: non basta dare alle persone soltanto un pezzo di pane, bisogna dare loro anche la dignità e il senso, non bisogna permettere loro solo la mera sopravvivenza, perché hanno diritto anche a una vita vera, di essere considerati. Quindi, bisogna pensare anche a dei progetti per i ragazzi rom di Milano.

Danijel Todorovic, il protagonista dello spettacolo, invitato a dire qualche parola, ha detto che perfino lui aveva un po' di pregiudizi nei confronti dei Rom prima dello spettacolo, ma che sono passati appena si sono conosciuti e avevano cominciato a lavorare insieme. Quindi pensa che in Serbia lo spettacolo è servito per abbattere dei muri e spera che così succederà anche in Italia.

La prima domanda del pubblico riguardava l'assenza della signora Moioli. Hanno spiegato che era in ritardo da qualche altra parte…

Una giornalista ha detto che ultimamente si parla di portare il teatro anche fuori, per strada, quindi chiedeva se era possibile un'esibizione sotto la torre di via Imbonati, cosa che ha subito dato fastidio all'assessore Finazzer, che ha chiesto di "non caricare lo spettacolo che ha già un significato con altri significati". [Più tardi ho spiegato al direttore del teatro serbo e ai ragazzi rom cosa succede alla torre di via Imbonati e si sono dimostrati interessati a passare al presidio portando la loro solidarietà agli immigrati in Italia.]

Qui invece ti scrivo le info e i nomi giusti giusti, degli attori, tradotti liberamente da un jugo-sito:
Si tratta del progetto culturale nato dalla collaborazione del Centro per la Cultura Smederevo (Centar za kulturu Smederevo), del Centro informativo rom "Drom" e del Teatro Koreja di Lecce e il Teatro.
Partecipano anche gli attori del teatro "Patos".

"Opera dei mendicanti" [là si chiama così, come l'originale ispiratore di Ray] è nata e dura fuori dai soliti standard di teatro, offrendo uno sguardo diverso sul teatro stesso. L'anno scorso ha partecipato a BITEF, il più importante festival teatrale serbo. Il regista è Salvatore Tramacere, il suo assistente Milan Guberinić del teatro Patos. Attori: Darko Petrović, Danijel Todorović, Senad Sulejmani, Ajnur Ibraimi, Senat Ramizi, Ferdi Ramadani [che non viene] Džemailj Krujezi, Damir Krujezi, Damir Kriziv, Ajnur Redžepi, Igor Petrović, Goran Galić, Marija Mladenović, Ivan Simić, Dušan Štrbac, Vukosava Lazić, Ana Pašti, Ina Marić, Marija Mladenović, Miljan Guberinić.

Confrontate però con quelli che vengono in Italia, che non sono proprio tutti uguali.

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Di Fabrizio (del 24/11/2010 @ 09:35:25, in lavoro, visitato 1583 volte)

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La cucina è integrazione. Anche per un campo rom abusivo all'interno di uno dei quartieri più pericolosi d'Italia: Scampia. La sfida è lanciata dall'associazione "Chi rom chi no" con il progetto Kumpanìa, Percorsi Gastronomici Interculturali. Nella baracca del campo rom dove ha sede l'associazione la presentazione del progetto, che in lingua roman indica l'insieme delle famiglie appartenenti allo stesso gruppo, è stata una festa a cui ha partecipato come ospite d'onore anche un simbolo della legalità, il prefetto Andrea De Martino

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Di Sucar Drom (del 24/11/2010 @ 09:52:36, in conflitti, visitato 2483 volte)

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Al MedFilm Festival 2010 Tony Gatlif vince uno dei due premi più importanti, ovvero Amore e Psiche "Menzione speciale" con la pellicola di produzione francese "Korkoro" (Liberté), sulla tragedia di cui furono vittime le popolazioni sinte e rom durante il nazismo e il fascismo.

Il film racconta le vicende di una famiglia probabilmente sinta manouche che vaga in Francia nel 1940. Sono gli anni dell’inizio del Porrajmos. Dal 1940 al 1945, infatti, almeno 500.000 rom e sinti furono internati e sterminati nei campi di concentramento e nei campi di sterminio, insieme a ebrei, handicappati e omosessuali.

Il film di Gatlif ci mostra nella sua crudezza la storia di alcuni di loro. Si potevano salvare i nostri protagonisti, grazie ad un francese che lottava contro il nazismo. Ma loro scelgono la libertà e quindi andranno verso morte sicura.

Il regista ci porta in un mondo dove sinti e non sinti possono vivere insieme e lottare per gli stessi ideali di libertà. Il tutto è visto con gli occhi innocenti del piccolo Claude, orfano francese, che trova tra i sinti una nuova famiglia e soprattutto uno zio pazzo di nome Taloche. È un film assolutamente attuale che speriamo arrivi presto nelle sale italiane con una distribuzione all’altezza dell’importanza della pellicola.

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Di Fabrizio (del 25/11/2010 @ 09:06:41, in scuola, visitato 1991 volte)

Segnalazione di Stefano Pasta

Incrocinews.it Lo stillicidio degli allontanamenti non mina la determinazione di questo ragazzo rom, della sua sorellina e dei suoi cuginetti a continuare a studiare 23.11.2010 di Silvio MENGOTTO

Marius, quindicenne rom analfabeta, da due mesi ha iniziato un corso di alfabetizzazione presso un circolo Acli nel quartiere Rubattino: viene seguito da alcuni insegnanti e volontari della Comunità di Sant’Egidio. Marius si vuole integrare e trovare un lavoro. Da settembre è stato sgomberato cinque volte, vive con la mamma Vasilica, la sorella Alexandra di otto anni, il papà e due nonni.

Il quinto sgombero risale a venerdì 19 novembre in via Caduti di Marcinelle. Alle sei del mattino vengono allontanate diverse famiglie, tutte provenienti da diversi sgomberi di via Rubattino, tra cui quella di Marius. Coinvolti anche cinque bambini che frequentavano regolarmente le scuole di Crescenzago (molto distanti) e di via Pini.

La famiglia di Marius aveva raggiunto la sorella Flora, presente da molti anni a Milano. Marius parla solo il romanì, la lingua rom; l’apprendimento dell’italiano è faticoso, ma non impossibile. A volte al gioco preferisce lo studio.

Dopo l’ultimo sgombero la famiglia di Marius si era trasferita a cinquanta metri dal vecchio capannone abbandonato, nascondendosi sul fondo di una scarpata che confina con un muro di cinta. Nello spazio di mezzo metro vivevano all’aria aperta dodici persone, senza tenda e senza alcun riparo, sotto la pioggia. Per molti giorni Marius e la sorella Alexandra hanno vissuto in quello spazio per il semplice motivo che le rispettive scuole erano vicine.

Ogni domenica mattina i volontari di Sant’Egidio accompagnano i rom per una doccia in un campo sportivo. La doccia è fredda, ma i rom non la trascurano perché è l’unica occasione settimanale per potersi lavare e Marius non la perde mai. "A volte - dice Annelise, insegnante - ha vergogna nel venire a lezione perché ha le scarpe infangate ed è zuppo di umidità per la notte trascorsa sotto la pioggia".

La prima notte dopo lo sgombero Marius l’ha trascorsa al freddo sotto un cavalcavia con tutta la famiglia. Nonostante i tentativi di cercare lavoro, i genitori di Marius sono scoraggiati e tentati di ritornare in Romania, ma anche laggiù la situazione non sarebbe rosea. Con il lavoro cercano anche strade di integrazione come la scolarizzazione per i loro figli che, al contrario dei genitori, vorrebbero rimanere a Milano per continuare a studiare.

Oggi Marius è seguito da volontari che, alternandosi, organizzano lezioni di italiano, letteratura e scrittura, svolte nella sede del circolo Acli in via Conte Rosso. Questa preparazione è indispensabile perché nel gennaio prossimo Marius vuole sostenere l’esame per una borsa-lavoro da apprendista. Insieme a mamma Vasilica partecipa anche al corso di lingua italiana per stranieri ogni sabato pomeriggio nella parrocchia di S. Crisostomo in via Padova, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.

Mamma Vasilisca si commuove ogni volta che vede il figlio studiare con passione. "Spesso - dice Annelise - Marius arriva per le lezioni bagnato, ma la cartella e i quaderni sono asciutti, i compiti fatti. Lo stillicidio degli sgomberi continui non mina la determinazione di Marius e della sua sorellina e dei suoi cuginetti a continuare a studiare anche se ogni spostamento la scuola diventa più lontana da raggiungere, anche se hanno dormito all’aperto, anche se non sanno dove potranno dormire la notte". Nel caos dell’ultimo sgombero Marius è arrivato in ritardo alla lezione, ma paradossalmente, dice Annelise, "il suo volto era euforico di gioia. La vera notizia era la nascita della piccola cuginetta avvenuta nella stessa mattinata dello sgombero".

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Di Anna Luridiana (del 25/11/2010 @ 09:41:47, in Kumpanija, visitato 3520 volte)

Da Mundo_Gitano

IPSnews.net Di Emilio Godoy

Città del Messico, 12 ottobre 2010

Nella storia "Gente Bella", il dittatore messicano della situazione, invia una missione in Europa per importare 300 famiglie, così da "sbiancare la razza (quella india n.d.t.) e farla finita con la pigrizia". L'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe però lo imbroglia e gli invia, dietro compenso in oro, degli zingari.

Questo aneddoto storico-sociale del politico messicano di sinistra e scrittore Eraclio Zepeda, nato nel 1937, è un velato riferimento al Presidente Porfìrio Diaz (1830-1015) e rappresenta il persistente stereotipo negativo dei rom (zingari) che spiega in parte la loro invisibilità ancora oggi, nonostante questi ultimi abbiano profonde radici in Messico.

Ysmed Nebarak, vive ad Acapulco, sulla costa pacifica meridionale del Messico. Conosce questa invisibilità. Suo nonno, un ungherese che arrivò in Messico attorno al 1920, raccontò alla madre di Ysmed (sua figlia), la storia della sua prima moglie, che era rom (gitana).
"Francamente non so nulla degli antenati di mio nonno, perché lui non volle mai palarci di loro", ha raccontato Ysmed.

In questo Paese dell'America Latina, con 107 milioni di abitanti, vivono 15.850 gitani – o rom come preferiscono essere chiamati – stando al censimento del 2000, realizzato dall'Istituto Nazionale di Statistica e Geografia. Secondo alcuni ricercatori però la cifra è da considerarsi sottostimata a causa dei criteri limitativi utilizzati per classificare i membri del gruppo etnico.

Le attività principali della comunità rom messicana consistono nella vendita di tessuti, vestiti, automobili, camion e gioielli, ed inoltre nell'esibirsi e nell'insegnare il canto e la danza.

"I rom sono stati de-storicizzati, privati propria storia. Essi infatti non compaiono nella storia del Messico" ci ha detto David Lagunas, della scuola Nazionale di Antropologia e Storia.
"Conosciamo molto poco di loro, cosa che porta a far sorgere stereotipi e immagini negative nei loro confronti. Il Messico è un mix di gruppi con storie e passato differenti fra loro".
Secondo l'antropologo, spagnolo di nascita, il fatto che il popolo rom amministri il proprio tempo, il proprio lavoro ed il proprio denaro in maniera non convenzionale, fa sì che la società più tradizionalista sia diffidente e sospettosa verso di loro.

Lagunas sa bene di che cosa parla, avendo passato dieci anni con i rom dell'Andalusia, nel sud della Spagna, e in Catalogna, a nordest, vivendo nei loro caravan e vendendo abiti nei loro mercati, mentre scriveva la sua tesi di laurea.

La prima ondata di rom arrivò in Messico nel 1890. Provenivano dalla Ungheria, dalla Polonia, e dalla Russia per stabilirsi nelle Americhe, principalmente negli Stati Uniti e in Brasile, ma anche in Argentina, Cile, Colombia Ecuador, Uruguay e Venezuela.
Nel periodo fra la prima e la seconda Guerra Mondiale, molti altri rom lasciarono l'Ungheria per il Messico ed altri paesi sudamericani.
Nel 1931, quando vi era già una grande comunità rom in Messico, le leggi sull'immigrazione vennero riformate con lo scopo di impedire loro di stabilirsi nel Paese, essendo cresciuto il numero delle denunce per attività criminose.
Il maggior afflusso dei rom avvenne nel 1969.
Venivano dalla Spagna e si stabilirono principalmente nel centrale quartiere di Juàres a Città del Messico. Lì si dedicarono soprattutto alla vendita di tessuti e di abbigliamento in cuoio.
Oggi ci sono delle comunità rom nella capitale e nelle città di Veracruz, sulla costa orientale del Messico, e Puebla a sud, a Guadalajara ad ovest e a Monterrey a nordest.
Ma la comunità più conosciuta è quella di San Luis Potosì, nel Messico centrale.

Uno dei più importanti rappresentanti della cultura rom, il leader Pablo Luvinoff venne ucciso in un ospedale della capitale messicana, nonostante un poliziotto fosse di piantone fuori dalla sua camera.
Dal 2004 Luvinoff era scampato a tre attentati maturati dalla disputa per il controllo della comunità rom nella capitale. Dopo il suo assassinio, le autorità arrestarono diversi sospetti, tutti rom.

Nonostante sia noto che i rom, in Messico come in altri Paesi, siano discriminati, non sono mai state inoltrate molte proteste nei loro confronti.
Nel 2006 la Commissione Nazionale per la Prevenzione delle Discriminazioni, un ente governativo, investigò sul caso di un membro della comunità rom dello stato della Baja *California , ma alla fine la denuncia fu ritirata.

In anni recenti, diversi autori e fotografi hanno cercato di combattere l'ignoranza sulla comunità rom in Messico, ma sono stati circondati dal silenzio.
Nel 2001, il ricercatore Ricardo Pèrez Romero pubblicò "La lumea de noi – Memoria de los ludar de Mexico". "Lumea de noi" signific "la nostra gente" in Rumeno. Il libro racconta la storia e la vita giorno per giorno del popolo Ludar, rom della Romania.

"Piel de carpa; Los gitanos de Mexico", un libro di egual rilievo, fatto da alcuni fotografi messicani, dalla ricercatrice Ruth Campos Cabello e dall'artista e fotografo spagnolo Antonio Garcìa, venne pubblicato nel 2007.

"I gitani sono come gli indigeni: esistono molti gruppi differenti", dice Lorenzo Armendariz, un fotografo messicano molto conosciuto per i suoi ritratti di gruppi etnici differenti.
"Fra di loro i nomadi viaggiano ancora con le tende della famiglia, e i loro gruppi includono clowns, maghi e danzatori, nonostante l'attrazione principale sia l'ipnosi di massa".

Nel 1994, quando il famoso fotografo aveva 33 anni, scoprì che suo nonno, che era conosciuto semplicemente come "el hùngaro", era un rom. Dopo questa scoperta Armendariz cominciò a farsi coinvolgere nel mondo dei rom messicani, vivendo con loro per lunghi periodi ed allestendo mostre fotografiche.
Decise di sposarsi secondo i riti rom, e per far questo, dovette essere prima adottato da una famiglia della comunità.

"Avrei voluto conoscere qualunque cosa avesse a che fare con la storia e le usanze dei miei antenati" ha detto Nebarak , il cui nonno allevava polli.

Come nel libro "Cent'anni di Solitudine" del premio Nobel colombiano Gabriel Garcìa Màrquez, alcuni gruppi di rom girano il Messico con proiettori per pellicole a batterie per pellicole, trasportati nei loro camion, portando film in villaggi e città.
Anche il padre di Luvinoff, girava con un camion dove trasportava un proiettore da 35mm e una collezione di vecchi film messicani.

"Non abbiamo visto progressi in termini di politiche sociali, come in altri Paesi" ci ha detto Lagunas, laureato alla Pubblica Università di Barcellona, nel nordest della Spagna.

"Le nostre associazioni politiche non si sono di fatto mobilitate/espresse, e le nostre questioni non sono nell'agenda dei politici; non c'è nessun riconoscimento dei diritti dei rom".

Dove invece l'accattivante mondo dei rom non è passato inosservato è nelle soap-opera dei diversi Paesi dell'America Latina, Messico compreso.
Il più grande network televisivo del Messico, Televisa, trasmise nel 1970 la soap "Yesenia", dove la protagonista era una giovane donna rom, e ne fece un remake nel 1987.

TVAzteca, il secondo network messicano per importanza, in coproduzione con Telemundo, network statunitense in lingua spagnola, stanno, fino a d oggi, trasmettendo una serie chiamata "Gitanas" (donne rom).

Luvinoff, l'ultimo patriarca della comunità rom, partecipò come consulente alla sceneggiatura sia in "Gitanas" sia nel remake di "Yesenia"

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Di Fabrizio (del 26/11/2010 @ 09:17:02, in casa, visitato 2263 volte)

Corriere della Sera Famiglia nomade fa sgomberare gli abusivi: quell'alloggio era assegnato a noi

MILANO - Rosa quasi non ci credeva più, e invece. Dieci anni di attesa ma alla fine anche lei e la sua famiglia - marito e quattro figli, sinti italiani del campo di via Idro - dopo tutta la trafila erano riusciti a scalare la classifica dell'Aler e ottenere una casa. Peccato solo che quando si sono presentati a prenderne possesso l'abbiano trovata già abusivamente occupata. Da una famiglia italiana a sua volta, che solo ieri è stata a sua volta sfrattata: inizialmente aveva pensato di rivolgersi a sua volta alla Casa della Carità, ma in serata ha evidentemente trovato il modo di arrangiarsi altrimenti.
«Adesso ci manca soltanto - ironizzava ieri don Virginio Colmegna con amarezza - che qualcuno scateni la campagna sugli italiani che vengono sfrattati per far posto agli zingari...».
L'episodio, in verità, rappresenta un capitolo parallelo rispetto al problema dello svuotamento di quell'altro - più famoso - campo rom di via Triboniano: quello interessato dalle polemiche degli ultimi mesi sulle famose case Aler che il Piano Maroni sottoscritto dal Comune destinava, prima che il Comune stesso cambiasse idea, ai percorsi di uscita dei suoi occupanti. Un'area complessa, una parte della quale - il vecchio settore bosniaco - si è peraltro già svuotata quasi del tutto un po' alla volta senza tanto rumore, attraverso gli itinerari più vari e l'individuazione di alloggi anche sul mercato privato: salvo la presenza di un'ultima famiglia, attualmente «circondata» dalle altre di origine romena tuttora in attesa di una soluzione.

Ma la famiglia di Rosa non c'entrava nulla con tutto questo. Quella di Rosa, come altre famiglie italiane del campo di via Idro, è solo una di quelle che da molti anni hanno fatto una semplice, regolare domanda in cui segnalare i propri requisiti per l'assegnazione di una casa popolare. E alla fine Rosa ce l'ha fatta: presentatevi in via Vincenzo da Seregno - diceva la lettera che le era arrivata qualche giorno fa - e andate a vivere nella casa che vi è stata assegnata. Solo che quando ci sono arrivati hanno trovato la porta chiusa e un'altra famiglia già dentro da anni. Anche in questo caso una donna con un marito e quattro figli, di origine calabrese. La variazione sul tema è che questa volta gli abusivi erano loro, e a dover chiedere l'intervento della polizia sono stati gli «altri».
La polizia è intervenuta ieri. E così nel pomeriggio è stato lui, l'occupante abusivo italiano, a ritrovarsi in strada con i mobili: le sue proteste davanti alle telecamere e ai fotografi non sono servite. E oggi la famiglia di Rosa, salvo sorprese, entrerà nella sua nuova casa.

Paolo Foschini
24 novembre 2010

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Di Fabrizio (del 26/11/2010 @ 09:30:47, in Europa, visitato 2183 volte)

Da Roma_Francais (nb. i link sono in francese)

La-croix.com Una settimana ordinaria in un campo rom, par Paula BOYER

05/11/2010 18:28 - Tre mesi dopo l'inizio della polemica del luglio 2010 riguardo l'installazione dei Rom in Francia, l'inviata speciale di "La Croix", Paula Boyer, ha passato cinque giorni in un campo a Ormoy (Essonne) che conta 47 roulotte. Un campo incastrato tra strada, ferrovia e fiume, dove, lontano dai luoghi comuni, la vita è fatta soprattutto di espedienti, di miseria e dell'angoscia delle espulsioni.

L'accampamento Rom di Moulin Galant si estende su tre comuni: Corbeil, Ormoy et Villabé. La parte del campo che si trovava sul territorio del comune di Corbeil è stata evacuata il 7 ottobre 2010 (photo : Alain Keler/M.Y.O.P)

LUNEDI'

I salici ed i pioppi che costeggiano l'Essone nascondono una sordida realtà. Un campo s'è installato illegalmente nel 2008, ospitando circa 200 Rom, per la maggior parte originari di Timisoara e dintorni (Romania), ma la maggior parte presenti in Francia da tempo. Qui, niente elettricità, o acqua potabile, o sanitari (la legna serve da WC). All'ingresso, mucchi di rottami. Dentro, un insieme di mobili, panni stesi sulle corde, vecchi furgoni e una quarantina d roulotte, della stessa età, formano una sorta di reticolo di stradine.

Sulla destra, una trincea - un buon metro di profondità - accompagnata da un tumulo di terra: la città di Corbel ha realizzato questo lavoro per impedire ai Rom di tornare sul terreno da cui sono stati evacuati nel mese di ottobre 2010. Il campo è a cavallo di due altri comuni, Ormoy et Villabé, ed è stato sufficiente spingere le roulotte a 20 metri per sfuggire provvisoriamente all'espulsione.

Questa mattina, il campo è quasi vuoto. Molti bambini sono a scuola. Qualche uomo è partito a raccogliere ferraglia da rivendere o per lavorare in nero. Altri, uomini e donne, sono andati con i bambini a mendicare, sino a Parigi, prendendo la RER alla vicina stazione di Moulin-Galant.

Nel pomeriggio, il campo si risveglia. Le vetture si accostano alle roulotte. Le donne, che hanno finito di raccogliere l'acqua (vanno ad un idrante di un complesso residenziale lì vicino, con un bidone caricato su un carrello), lavano e pelano le patate. Gli uomini parlano a voce alta. I bambini corrono dappertutto. Le ragazze chiacchierano.

Pierre Germain e Yves Bouyer, due preti-operai in pensione, membri della Mission de France e militanti dell'Associazione di Solidarietà di Essonne con le famiglie rumene e rom, distribuiscono corrieri giuridici o amministrativi ricevuti dalle famiglie domiciliati presso di loro. Spesso arriva anche Paul Israël, un altro militante.

Vicino alla carovana di Robert, il "capo" (impossibile, malgrado le domande, sapere il perché di questo titolo), c'è festa. Dolci, frutta, soda e... preghiere. Un anniversario? O, come sembra, una cerimonia di ringraziamento?

Improvvisamente, una vettura si ferma all'ingresso del campo. Un'infermiera in pensione ne esce per distribuire vestiti. C'è la corsa, la ressa ed i pianti. Quelli che, come Roxana, abitano nelle roulotte più lontane, sono arrivati troppo tardi. Ne nasce una colluttazione, coltello alla mano. Poi la schermaglia viene evitata per miracolo.

MARTEDI'

Oggi c'è sciopero.; niente trasporti per recarsi ai propri "affari" a Parigi o altrove. Neanche la scuola. Il campo è animato. Gli uomini riparano le vetture, altri dividono i rottami. In fondo al campo, Petre brucia l'immondizia che s'è accumulata. La comunità urbana ha ritirato il cassonetto dopo che Corbeil aveva fatto evacuare il suo terreno.

Anche dei ratti enormi strisciano a due passi dagli abitanti. Nella sua minuscola roulotte, Roxana rumina ancora la sua collera: "Non ho avuto niente, mi manca tutto!" Non ha notizie di suo marito, espulso giovedì scorso. Ha ricevuto l'ordine di lasciare il territorio francese (in gergo amministrativo, si parla di ODTF) dove ha vissuto per oltre tre mesi.

Privato del titolo di soggiorno, di domicilio fisso e di risorse, rappresentava, secondo la prefettura, un "peso irragionevole per lo stato francese". Cittadino rumeno - e dunque europeo - può, con la sua carta d'identità, circolare liberamente nell'Unione (1). Quindi tornare ad Ormoy, dove il viavai Francia-Romania, volontario o forzato, è frequente.

Suo marito ha i 120 € necessari per l'autobus di ritorno? "No, ma loro te li anticipano e tu hai due settimane per rimborsare... 150 €", racconta Roxana senza voler dire chi sono "loro". "Mio marito ha cercato a lungo un vero lavoro, invano."

"Ora, stava rifacendo una casa, ci permette di mangiare", spiega questa giovane di 24 anni che ammette di aver mendicato e a volte rubato il mangiare per le sue tre figlie. Fortunatamente, l'anno scorso, dopo la nascita dell'ultima, ha potuto trascorrere alcuni mesi in un ostello per famiglie monoparentali. Come molti Rom, non è sposata col padre dei suoi figli.

"Essere separati è stato terribile, ma i piccoli erano al caldo," insiste Roxana sull'angoscia per il prossimo inverno. Perché restare in Francia se è così dura? "E' meno peggio della Romania! Qui, abbiamo la roulotte, questa è la differenza!"

Poco lontano Ionel, 37 anni, divide con la sua donna e quattro dei cinque figli due vecchie roulotte. "Se si gonfiano un po' i pneumatici, vanno ancora," ride. Lui vende giornali nelle stazioni. Proprietario di un furgone - "assicurato" insiste -, raccoglie anche oggetti ingombranti e ferraglia. Sua figlia Carina, 9 anni, sogna di diventare avvocato. "Per proteggerci", dice. E l'altro figlio? "Vive in Romania, sposato con una Rom che è ricca. La sua famiglia ha una casa!"

MERCOLEDI'

Appena 4 °C. Questa mattina, c'è un via-vai di furgoni e vetture caricate di ogni tipo di oggetti. "Qui, non siamo ladri," assicura con forza Robert, "lavoriamo. Abbiamo imparato a cavarcela. Sicuro, come dappertutto, alcuni ce la fanno meglio degli altri. La vita, è la seconda scuola."

Vende i rottami a 14 centesimi al Kg. E 2,40 € il rame. Un giorno sale, l'altro scende... "Quando arrivo ad una tonnellata a settimana, non guadagno 100 €, pagato il diesel." Da Robert ci sono sei bocche da sfamare: la sua compagna Eugenia e quattro figli.

Per fortuna, Eugenia ha una carta di soggiorno, quindi la CMU (copertura malattia universale) e l'indennità familiare, contrariamente alle altre donne furiose di essere "private della CAF, anche dopo dieci anni in Francia!"

Vicino alla sua roulotte, Maria è tutto un sorriso: suo marito, anche lui espulso giovedì scorso, arriva stasera, ha telefonato! "Vieni a bere un caffè!" Nella sua roulotte con le finestre rattoppate con lo scotch, l'acqua gocciola dal soffitto. I quattro bambini giocano sull'unico letto dove la famiglia si rannicchia la notte.

Maria prepara il caffè alla turca, in un pentolino. Dopo lascia il bruciatore acceso come calorifero. "La bombola del gas dura appena tre giorni. Fortunatamente, l'ho comprata da Carrefour a 20 €", sospira. Come molti altri, Maria fuma e beve caffè su caffè. "Per calmare la fame," spiegherà più tardi un'attivista delle associazioni.

Nel primo pomeriggio. quattro testimoni di Geova si avvicinano esprimendosi in rumeno. Vengono qui regolarmente. Per "reclutare"? Esclamano: "Vogliamo annunciare la buona novella e fare un po' di lavoro sociale."

Al calar della notte, Lazar ed un amico riescono a trasformare un barile in una stufa a legna. Dai vicini, un'altra stufa raccolta per strada è installata su un appoggio circolare per proteggere il fragile pavimento della roulotte. Una piastra metallica buca il tetto per lasciare passare il condotto d'areazione.

Stasera, queste due famiglie avranno caldo. I loro vicini più "ricchi" faranno funzionare una stufa a petrolio. La maggior parte si accontenterà, come Maria o Roxana, di un bruciatore a gas, oltre a qualche centimetro di coperte.

Stasera ancora riunione, a Évry, dei militanti delle associazioni. Dopo gli sgomberi di Fleury-Mérogis, Massy e Sainte-Geneviève-des-Bois, Ormoy è diventato il più grande campo dell'Essonne. Anche questo sarà sgomberato. Secondo gli uni, il tribunale si pronuncerà il 23 novembre. Gli altri credono che la procedura verrà interrotta.

Molti evocano il campo di Athis-Mons, in preda ai traffici di alcool e sigarette, l'affitto delle baracche gestito dal "capo" e forse prostituzione. "I militanti sono stanchi", dice una giovane che ha visto partire per la Romania i bambini che a fatica aveva iscritto a scuola. Segue allora un vivace dibattito e qualche nome d'uccello viene scambiato sugli "atteggiamenti" dei Rom...

Altri si domandano che fare di fronte alle attività criminose. Goyïta Epaillard, la presidente, conclude: "Che la polizia faccia il suo lavoro! Il nostro ruolo è di proteggere i Rom contro le ingiustizie e la negazione dei diritti, non di gestire la loro vita o quella dell'accampamento."

GIOVEDI'

Il termometro è sceso ancora. Vicino all'ingresso del campo stanno tre uomini ben vestiti. "Sono i dipendenti della città di Corbeil che vengono ad assicurarsi che non siamo tornati sul terreno evacuato," spiega Robert, berretto di pelo canadese sulle orecchie. Stamattina si scaglia contro tutti, compresi "i Rom che non puliscono" ed i militanti delle associazioni "troppo morbidi".

"Nell'Essonne, nessuno vuol fare qualcosa per noi. Sono dei razzisti. In Francia, da ventun anni, non ho mai visto un dipartimento come questo," si adira. Perché restare, allora? "E' il solo terreno che abbiamo trovato dopo l'espulsione di Créteil (Val-de-Marne). Se Ormoy ci caccia, dovremo alla fine partire." Dove? "Cercherò." La sua roulotte può muoversi? "Sono meccanico." Al limite, ne troverà un'altra, tra i 200 e i 400 €.

Sulla provinciale davanti al campo, stamattina non è parcheggiata nessuna macchina. Sembra che tutti siano in giro per i loro affari. In ogni caso, i bambini sono a scuola, tranne quelli che non hanno il veicolo paterno ad accompagnarli. Una frequenza costosa. "Sono 1 € al giorno o 3 litri di carburante a settimana", sospira una mamma.

Nella sua roulotte, Roxana è felice. Christian è di ritorno e non finisce di abbracciare le figlie. Cambia loro i pannolini, dona frutta sciroppata dalla Romania, sorride alla sua donna. Questi cinque si amano, impossibile dubitarne.

Di primo pomeriggio, Caroline, Hélène e Borys, dell'associazione Intermèdes Robinson, carichi di giochi, libri, carte, matite, penne si sistemano su pezzi di cartone e propongono attività curriculari a tutti i piccoli non scolarizzati. "Fanno progressi, parlano meglio il francese," insiste Hélène. In un anno una delle sue colleghe, Sophie, è riuscita a mandare a scuola 19 dei 50 bambini del campo.

Poco dopo la loro partenza, si presenta con grandi baffi neri e completo nero impeccabile, Bibbia alla mano. E' un pastore protestante rumeno installato nella regione parigina. Chiama cinque persone ad assisterlo nel culto dentro la "chiesa", in effetti una roulotte per cui i Rom si sono autotassati. Tra i partecipanti, Mariana, la donna di Lazar, una cattolica imparentata con P. Germain e anche dei testimoni di Geova.

Sincretismo che non sorprende questa donna, costretta a letto la maggior parte del tempo (attende una nuova operazione ginecologica): "Se c'è un Dio, ce n'è uno solo, lo stesso per tutti!" E' più preoccupata per le bollette portate a casa da scuola da sua figlia: 20 € per la mensa, 40 € per lo studio. "Non ho soldi, cosa succederà?" s'interroga, ripetendo: "la vita è dura!"

All'ingresso del campo, Robert ha in mano un volantino di Jean-Pierre Bechter, il sindaco UMP uscente di Corbeil. Attento alle proteste degli abitanti che si lamentano dei furti in aumento, fa campagna (2) sul tema: "Ho eliminato le baraccopoli create dai Rom sul nostro territorio."

VENERDI'

La trincea che separa il campo dal territorio di Corbeil s'è riempita d'immondizia. Attorno, i ratti sono sempre più numerosi. Davanti alla sua roulotte, Monica spazza le foglie. Sua madre vive in Romania grazie alla piccola pensione di suo padre, custode statale ai tempi di Ceausescu. "Allora, là per noi era meglio. Si guadagnava poco, ma tutti lavoravano ed i Rom erano meno discriminati di oggi."

In Francia da quindici anni, Monica erra da un campo all'altro. "E' dura. Non voglio più parlare, se no piango," dice. "Vorremmo un lavoro ed un alloggio stabili," insiste suo marito. Stamattina, il prezzo del rottame è sceso a 9,5 centesimi al kg. Arriva un gruppo di giovani. La conversazione si anima attorno ad un unico tema: "Anche Ormoy ci caccerà?"

(1) Il progetto di legge sull'immigrazione attualmente in discussione al Parlamento prevede misure più restrittive.
(2) La giunta comunale è dimissionaria, a Corbeil-Essonne ci saranno nuove elezioni il 5 e il 12 dicembre.

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Di Fabrizio (del 27/11/2010 @ 09:19:48, in Europa, visitato 2105 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert

Skopje, 2010/11/22 09:08 - I residenti del più grande insediamento rom della Macedonia stanno abbandonando le sue strade sporche e gli alloggi di fortuna per cercare impiego e prosperità nell'Unione Europea, riporta oggi il portale informativo BalkanInsight.com. Valijant, tassista 34enne di Shuto Orizari, sta pensando di vendere la sua Lada arrugginita dell'era sovietica, col parabrezza incrinato due anni fa - la cui riparazione costerebbe un patrimonio. Dice: "Userò il mio denaro per andare in Francia dove vive mio fratello. Non ho intenzione di tornare, a meno che non debba. Farò là tutto ciò che posso."

Valijant spera di iniziare una vita migliore in Europa occidentale. Più o meno è convinto che anche se le autorità francesi lo prenderanno a lavorare senza permesso, farà lo stesso abbastanza soldi da comprarsi una nuova macchina.

Ogni giorno, un autobus pieno di persone lascia Shuto Orizari per l'Europa occidentale. La gente sta vendendo la propria casa e qualsiasi piccola proprietà posseduta per pagare il viaggio per sé e la propria famiglia. I biglietti verso la terra promessa costano circa 120 €.

Giovedì scorso, il ministro belga all'immigrazione, Melchior Wathelet, ha visitato Shuto Orizari per la seconda volta quest'anno, nel tentativo di far pressione sulle autorità locali perché fermino l'afflusso di emigrati verso il suo paese. Belgio, Germania, Svezia ed altri paesi UE hanno ammonito per la seconda volta quest'anno che da quando non sono più richiesti visti da Macedonia, Montenegro e Serbia dal dicembre 2009, il numero di richiedenti asilo da questi tre paesi è accresciuto di molto.

Shuto Orizari, tuttavia, è un mondo a sé. E' l'unico comune in Macedonia con un sindaco rom, radio e televisione in lingua romanes. Dei 20.000 residenti, il 75% è di etnia rom e sono tra i più poveri nel paese.

Vasti settori del quartiere residenziale non sono niente di più di uno slum. Le case sono coperte con tetti di lamiera, percorsi fangosi funzionano come strade e non esiste un sistema fognario. Solo la strada principale ha un livello "adeguato" di asfalto. I marciapiedi sono pieni di bancarelle improvvisate dove si vendono accessori, vestiti e DVD (quasi tutti piratati).

"Qui ho tutto ciò che voglio, la famiglia, gli amici, la ragazza che ho sposato, ma ho un bisogno disperato di lavoro. Ho bisogno di un lavoro decente per dar da mangiare ai miei due bambini e non dover vendere questa spazzatura tutto il giorno," dice Elvis, 26 anni, che vende DVD. Sostiene di aver lavorato per sei mesi in una discarica in Germania prima di essere rimpatriato in Macedonia.

"Molti dei miei amici sono andati e solo qualcuno è ritornato perché è stato rimandato indietro," spiega Elvis. "Sto programmando un altro viaggio."

I viaggi verso l'Europa occidentale sono organizzati dalla locale agenzia viaggi, Skay Wim-Travel. Anche se sulla porta è indicato "aperto", l'ingresso era chiuso e le luci spente quando ci siamo andati.

Ufficialmente l'agenzia vende biglietti per fare shopping a Bruxelles, Amburgo, Lione, Malmö, Parigi, Vienna, Stoccarda e altri popolari destinazioni nell'Europa occidentale. "Piacciono così tanto che la gente decide di fermarsi e di estendere lo shopping," dice un locale con una risata.

Venerdì il Parlamento macedone ha adottato una risoluzione volta ad aiutare i Rom e la loro "integrazione nella società".  Si suppone che la risoluzione si volta a convincere Bruxelles che Skopje sta affrontando seriamente la questione del numero crescente di emigrati dalla Macedonia.

Per Rahipa Muaremovová, madre di quattro figli, simili nobili parole non significano niente. "Non so cosa significhi integrazione," dice. "Perché non mi chiedi come vivo, o se sono in grado di mettere cibo sulla tavola ogni giorno?"

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