Rom e Sinti da tutto il mondo

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Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.

La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Kumpanija (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 02/01/2013 @ 09:07:00, in Kumpanija, visitato 1485 volte)

Da ateo vorrei fare una domanda a chi ne capisce più di me: esiste una differenza tra religione e credo? (i fondamentalisti possono astenersi dal rispondere)

Ho un ricordo confuso di un missionario, una foto che ritrae un giovane Gasparri (sì, proprio lui!) in un campo nomadi della capitale. I missionari che ho conosciuto, credo fossero di una chiesa concorrente, all'inizio in giacca e cravatta, poi hanno capito che l'abito da lavoro andava cambiato. La testa no, quella era più difficile da cambiare.

Era difficile, perché c'è chi si avvicina ai Rom e Sinti (o meglio, a quelli di loro che stanno oggettivamente male) pensando di:

  • avere di fronte una massa di bambini troppo cresciuti da rieducare (esiste anche la versione "missionario da combattimento": quello che vuole insegnare loro come si deve comportare uno zingaro);

  • avere comunque a che fare con gente che vuole assomigliare a loro, pensare come loro, parlare come loro.

Senza calcolare che:

  • Zingaro non è sinonimo di deficiente. Se qualcuno vuole assomigliare, pensare, parlare come un missionario, è in grado di impararlo anche da solo;

  • ma si sa che al missionario piace credersi indispensabile.

I Rom e i Sinti che stanno oggettivamente male, chiedono una risposta IMMEDIATA ai loro bisogni. Il missionario offre per forza soluzioni a lungo termine; e ce n'è bisogno, PER DIAMINE, ma occorre per forza instaurare un DIALOGO, o un codice condiviso, altrimenti non si va da nessuna parte.

Allarghiamo un momento il discorso: sento sempre di più parlare di disaffezione alla politica: ecco... diciamo che io mi fiderei poco di qualcuno che vedo una volta ogni uno-sei mesi, ma è talmente innamorato della mia causa e della mia miseria da voler parlare e progettare (progettare significa pensare) al posto mio. Un po' come essere soci: a me la miseria e a lui i discorsi.

Ieri notte mentre in via Idro festeggiavamo assieme un ennesimo san Silvestro, erano questi i pensieri che mi guastavano la festa. Esattamente un anno fa avevo scritto una cronaca piena di speranze ma, a parte abbracci, bevute e scherzi, quest'anno si sentiva la differenza. Nessuna delle promesse fatte si è realizzata in questo anno e la gente è stufa sino alla disperazione. E' stufa e vede complotti e nemici ovunque. Non ci si fida dei vicini con cui si è trascorsa una vita, ci sono genitori che di certe cose non parlano neanche coi loro figli. Difatti quest'anno ognuno ha festeggiato per conto suo, mancava il solito corteo di visite. Se questa è la situazione interna, che fiducia può esserci verso chi è esterno?

Tutta la fatica di anni nel progettare ASSIEME è a rischio, non tanto per il valore di quello che è stato raggiunto, ma perché le due mentalità che non si sono incontrate potrebbero portare ad un risultato del tipo:

  • i missionari insisteranno (fuori campo) su quello che ora potrebbe diventare il LORO progetto;

  • e se pure questo si realizzasse (in tempi biblici, suppongo) non ci sarà più nessuno degli abitanti;

  • perché quello che attualmente è un mantra (IL SUPERAMENTO DEI CAMPI) senza fondi a disposizione, si sta realizzando gratuitamente rendendo i campi superstiti ancora più invivibili del passato.

Poi, come in ogni credo, ci saranno (anzi, ci sono già) guerre di religione: i Rom sfiduciati che tornano ai vecchi atteggiamenti, associazioni che se la prendono col comune, comune che se la prende con qualcuno dei due. Ecco, questo sì mi ricorda i bambini, quando in Idro facevo l'animatore e non fare picchiare tra di loro le diverse fazioni era già un successo.

Ma sono passati vent'anni buoni, e nel mio doposbornia sto pensando di essere ancora allo stesso punto di allora. Non è neanche l'alcool: è da ottobre che ho cominciato a mandare affanculo a destra e sinistra. Adesso non saprei dove voltarmi, colpa dei vaffanculo, ma soprattutto di aver contribuito a mettere in moto tutto 'sto casino, senza sapere risolverlo. Servirebbero amici, dentro e fuori campo, ma amici veri. O che si mantenesse, ogni tanto, qualche impegno.

 
Di Fabrizio (del 23/01/2013 @ 09:04:01, in Kumpanija, visitato 1485 volte)

...

Dalla prefazione di Jean Léonard-Touadi:

... Un inferno con tanti gironi e ciascuna consorteria pro-Africa che si impadronisce di un girone e lo spaccia per il tutto. Ogni associazione ha la "sua Africa": quella dei lebbrosi, dei bambini soldato, dell'Aids, dei pozzi da scavare, delle mutilazioni genitali da combattere, delle periferie degradate degli "street boys" e delle masse da evangelizzare. Tutte battaglie sacrosante. Ci può essere il pericolo, però, che diventi l'Africa della messa in scena, della spettacolarizzazione e dello sfruttamento della sofferenza altrui a fini di "fund raising". La fibra emotiva qui è di rigore. Si tratta di suscitare la "pietas" del donatore eventuale, senza minimamente preoccuparsi di fare capire le cause remote e attuali delle situazioni. Qui gli africani sono passivi, oltre che pazienti, in attesa che irrompa il "deus ex machina" europeo che tutto sana, tutto risolve e salva. E gli africani, grati di tanta generosità, vengono mostrati mentre ballano e cantano inni di ringraziamento. Quest'Africa della drammatizzazione della bontà europea ignora la soggettività di popoli che da sempre si sono caratterizzati per la loro precipua capacità di resistenza e di "debroullardise" (arte di arrangiarsi). Donne, giovani e intere comunità - tramortiti dai meccanismi infernali della globalizzazione neoliberale e da poteri locali conniventi - che cercano di dare un senso alla loro esistenza ridotta a una ginnastica individuale e collettiva di sopravvivenza. Cambiare l'immagine dell'Africa non significa dare voce a quelle realtà, come spesso si sente dire; ma tendere un megafono perché queste voci arrivino il più lontano possibile. In altri termini, l'immagine delle Afriche che hanno smesso di guardare il cielo degli aiuti rende giustizia alla realtà di un continente che ha imparato a "ottimizzare l'anarchia" della politica e dell'economia ufficiali. Forse ciò servirà poco alle operazioni di raccolta fondi ma è più aderente al vissuto individuale e collettivo degli africani.

[...]


Dall'introduzione di Daniele Mezzana

... quest'immagine dell'Africa a Sud del Sahara è, purtroppo, rintracciabile nei molti punti di vista che si occupano, a diverso titolo, delle vicende di tale continente. Non solo i "cattivi" pensano a un'Africa stereotipata e, per così dire, araldica, ma anche, spesso, i "buoni", o addirittura i buoni "intelligenti". Tutto ciò ha come conseguenza una concezione asimmetrica delle relazioni internazionali, a svantaggio dei Paesi africani, e una forma, in qualche modo crudele, di forte isolamento di tali Paesi, che si risolve in una sostanziale, spesso involontaria, negazione dell'umanità africana. Questo accentua, se possibile, il dolore che l'Africa già patisce, poiché aggiunge ai suoi numerosi problemi la sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, prodotta dall'incomprensione e da uno stigma neanche tanto nascosto. La realtà, in effetti, è profondamente diversa, o quanto meno più complessa di quanto non pensino tante persone, anche colte e avvertite.

[...]


Penso che sarebbe un libro indicato a chi si interessa alle tematiche solitamente trattate in MAHALLA

Società africane. L'Africa sub-sahariana tra immagine e realtà - Anno 2005 - Editore Zelig - Collana Futura - 330 p., brossura (cur. Mezzana Daniele, Quaranta Giancarlo)

 
Di Fabrizio (del 24/01/2013 @ 09:05:57, in Kumpanija, visitato 7902 volte)

Da chiara-di-notte.blogspot.com

Il fatto che la rappresentazione delle genti di colore - e delle donne di colore, in particolare - sia stata esotizzata e finanche sessualizzata nella percezione occidentale, non e' una novita', e i Rom non sono sfuggiti a questo fenomeno. Scrive Borrow (1841): "Le donne e le ragazze zingare sono in grado di accendere passione piu' che nelle descrizioni piu' audaci, in particolare in coloro che non sono zingari, perche', naturalmente, la passione diventa piu' violenta quando e' nota l'impossibilita' quasi assoluta di gratificazione".

    Alcune premesse storiche. I Rom sono originari dell'Asia, i cui antenati, lasciato il nord-ovest dell'India a seguito di una serie di incursioni islamiche nell' XI secolo, sono stati progressivamente spinti in Europa sud-orientale, dove quasi la meta' si sono stabiliti nei Balcani, e dove sono stati tenuti in schiavitu' fino al 1864. Mentre l'altra meta' in grado di andare avanti si e' sparsa nel resto dell'Europa. Ci sono oggi circa dodici milioni di Rom, di cui piu' o meno otto milioni vivono nel vecchio continente e due o tre milioni si sono stabilizzati in America e altrove, costituendo cosi' la piu' grande e diffusa minoranza etnica del mondo. Quasi il doppio di quanti siano i danesi o gli svedesi.

    Quando i Rom sono apparsi per la prima volta in Europa, tutti credevano che facessero parte della diffusione islamica all'interno della cristianita', e sono stati quindi identificati con i turchi ottomani. La parola "turchi" riferita ai Rom e' infatti ancora oggi diffusa in molti luoghi. Altra definizione impropria usata per i Rom e' stata anche "egiziani", da cui sono derivati appunto i termini Zingari, Gitani, Tzigani, eccetera.

    Benche' esistano moltissimi riferimenti medioevali e rinascimentali riguardanti la vera origine indiana del popolo Rom, questo fatto, col passare del tempo e' stato dimenticato anche dagli stessi Rom. Di conseguenza, un gran numero ipotesi errate, a volte bizzarre, sono state formulate. Tra queste, ce n'e' una che li fa originari delle profondita' della Terra, o della Luna o di Atlantide, o li identifica come i resti di una razza preistorica. A seconda del periodo storico e delle credenze del momento sono stati Nubiani, o Druidi, oppure ebrei venuti allo scoperto dopo i pogrom medioevali.

    La vera origine e' stata scoperta casualmente nel 1760 quando in una universita' olandese, uno studente che aveva imparato un po' di Romani (la lingua dei Rom) da operai che lavoravano nella tenuta di famiglia in Ungheria, una volta ascoltati i discorsi di alcuni studenti provenienti dall'India, che parlavano una lingua simile, si convinse della reale provenienza del popolo Rom. Questo porto' al primo libro mai scritto sul tema (Grellmann, 1783).

    La pubblicazione del libro di Grellmann, durante l'Illuminismo, che apparve in una edizione inglese del 1807, coincise con l'emergere di una serie di discipline scientifiche, tra cui la botanica e la zoologia, e la necessita' di classificare le piante e gli animali che venivano scoperti durante l'esplorazione delle nuove colonie europee d'oltremare. Cosa che rapidamente porto' anche alla classificazione delle popolazioni umane non europee.

    E' stato proprio in quel tempo che l'idea che "mescolare le razze", sia geneticamente che socialmente, fosse pericoloso. Un'idea che si e' diffusa sempre piu' nella cultura e che e' stata, poi, la causa che nel XX secolo ha portato al nazismo e alle terribili e ben note conseguenze. Ma proprio per la sua natura proibita, l'incrocio tra razze ha acquisito anche quell'elemento morboso di attrazione che soprattutto durante l'epoca vittoriana, ha trovato la sua espressione in una certa arte e letteratura, con la rappresentazione di rapporti sessuali tra colonizzatori e schiave, ovvero tra donne di colore e maschi bianchi. La fotografia erotica del tardo XIX secolo e' infatti caratterizzata principalmente da donne nude africane o asiatiche, e non includeva mai immagini di donne bianche svestite.

    Una parentesi curiosa: la piu' antica organizzazione che si e' dedicata allo studio del popolo Rom e' stata la Gypsy Lore Society, fondata nel 1888 e che ancora esiste. Alcuni dei suoi membri di sesso maschile - tutti non Rom - si riferivano a loro stessi come "Ryes"; un'auto-designazione interpretata come "chi aveva guadagnato una posizione privilegiata nel mondo Romani". In lingua Romani "Rai" significa infatti "persona che ha autorita'", quindi puo' essere "signore" oppure anche "poliziotto". Ma ha anche un altro specifico significato, e si riferisce a chi, pur essendo non Rom, e' in grado di portarsi a letto una donna Rom.

Per varie ragioni, gli occidentali hanno avuto (ed hanno tuttora), una maggiore familiarita' con la schiavitu' degli africani nelle Americhe di quanta ne abbiano avuta con la schiavitu' dei Rom in Europa. Per questo motivo, le rappresentazioni inesatte degli zingari descritti nei cliche' letterari dell'epoca, che delineavano in termini stereotipati un certo tipo di schiavo a un pubblico vittoriano, e' sempre stato quello che ha incontrato il maggior successo in letteratura.

In uno scritto di Ozanne (1878), si legge che gli schiavi Rom in Valacchia avevano "labbra spesse e capelli crespi, con una carnagione molto scura, e una forte somiglianza con la fisionomia e il carattere dei negri". Anche St. John (1853) descrive i Rom cosi': "Gli uomini sono generalmente di alta statura, robusti e muscolosi. La loro pelle e' nera o color rame, i capelli, densi e lanosi, le loro labbra hanno la pesantezza dei negri, e i loro denti sono bianchi come perle; il naso e' notevolmente appiattito, e il volto e' tutto illuminato, per cosi' dire, dal vivo degli occhi".

Uno degli stereotipi piu' diffusi e' stato legato per lungo tempo a una "preoccupazione sessuale" concentrata sugli uomini di colore, ritenuti essere ossessionati dal desiderio per le donne bianche. Questo ha portato, poi, negli anni '20 in America, alla pratica razzista di castrare gli afro-americani, sottolineando una paura sessuale e un'insicurezza profonda insita nei maschi bianchi di quel periodo. Anche i Rom nei Balcani venivano, ovviamente, visti come una minaccia alla femminilita' bianca. Tra di loro vi era una categoria chiamata "skopitsi", uomini che erano stati castrati da ragazzi il cui compito era quello di guidare i mezzi delle donne dell'aristocrazia senza che ci fosse paura di molestie per queste ultime. Tutto cio' lo si trova riflesso anche nel codice civile moldavo dell'epoca, in cui si affermava che "se uno schiavo zingaro avesse violentato una donna bianca, sarebbe stato bruciato vivo". Mentre un rumeno che avesse "incontrato una ragazza per strada e avesse ceduto all'amore... non avrebbe potuto essere punito".

E' questa castrazione del maschio di colore che si ritrova spesso nella tradizione letteraria dell'epoca, e che e' ben espressa dalle parole di Gayatri Spivak, in cui si percepisce la necessita' di "salvare le donne dagli uomini neri". Ma questa fobia razzista riguardo alla mescolanza etnica non e' qualcosa che riguarda solo il passato. Anche nel 1996 Shehrezade Ali ha fortemente criticato il film di Disney "Il gobbo di Notre Dame" per la creazione di un impulso subliminale a sfondo razziale negli atteggiamenti sociali in via di sviluppo dei bambini. Ecco cio' che scrive:

"Ad oggi, nessuno dei personaggi femminili bianchi di Disney sono stati accoppiati con pretendenti neri o non bianchi, mentre le donne di colore sono esclusivamente legate a uomini bianchi, ignorando totalmente la loro etnia. E' questo il modo che ha la Disney di essere tollerante? Perche' la Disney mette le donne di colore in situazioni romantiche con uomini bianchi al posto di uomini di colore? E che tipo di messaggio subliminale si pensa che recepiscano le ragazzine nere o zingare quando e' ripetutamente implicito che l'unico eroe salvatore che hanno e' un maschio bianco? E che dire dei piccoli ragazzi neri o zingari che non hanno ancora avuto modo di vedere se stessi in un ruolo di eroe protagonista in un film Disney? Che cosa si puo' dire circa la loro autostima? Cio' rende visibile la continuazione del mito razzista per cui ogni donna del pianeta, sia nera o bianca, abbia un solo eterno eroe: un uomo bianco".

Un'altra caratteristica che ricorre in questo tipo di messaggio che Shehrazade Ali definisce razzista, e' che, alla fine, l'oggetto d'amore si rivela non essere una Rom, dopotutto, ma una ragazza bianca che e' stata "rapita dagli zingari" da bambina, e successivamente salvata, rendendo cosi' la relazione romantica accettabile e persino ammirevole, in quanto entrambi i protagonisti risultano appartenere alla stessa etnia.

Ma oltre a questa "preoccupazione sessuale" (tuttora presente anche se latente nell'inconscio del maschio bianco) e' sempre esistito nei confronti delle popolazioni di colore anche un profondo pregiudizio igienico oltre che morale, in quanto viste come impure, sia spiritualmente che fisicamente. Hoyland (1816) ha ribattuto a lungo sulla convinzione elisabettiana che la pelle scura dei Rom fosse semplicemente a causa di sporcizia. "Gli zingari, privi della loro carnagione bruna", scrive, "sono quelli che molto tempo fa hanno interrotto il loro modo sporco di vivere". E Celia Esplugas (1999), nel suo grossolano saggio pieno di inesattezze e disinformazione, rincara la dose e ribadisce che "la pulizia e l'igiene degli zingari non e' mai riuscita a soddisfare lo standard inglese".

Kenrick e Puxon (1972) ritengono che l'attuale odio per i Rom sia una memoria storica che risale alla loro prima apparizione in Europa, e nasce dalla convinzione medioevale che il nero denoti l'inferiorita' e il male che erano ben radicati nella mente occidentale. La pelle scura di molti zingari fa dunque essere questo popolo vittima di un pregiudizio. Il folklore europeo contiene, infatti, una serie di riferimenti alla carnagione dei Rom. Un proverbio greco, ad esempio, dice: "Andare dai bambini zingari e scegliere il piu' bianco". E in yiddish esistono proverbi come: "Lo stesso sole che sbianca il lino scurisce lo zingaro" oppure "Nessun lavaggio rende mai bianco lo zingaro nero".

A indicare il colore della pelle, una diffusa auto-ascrizione in Romani e' "Kale'", che significa appunto "neri", mentre i gage' (i non-Rom) sono indicati nella stessa lingua, anche da Rom dalla pelle chiara che potrebbero essere fisicamente indistinguibili da loro, come "parne'" o "parnorre'", vale a dire "bianchi." Questi tratti sono stati rimarcati dal viaggiatore francese Félix Colson (1839) che visitando la Romania, dov'era prassi consolidata offrire schiave Rom come intrattenimento sessuale ai visitatori [1], scrisse: "La loro pelle e' quasi marrone, e alcune di loro sono bionde e belle".

Ma anche se poteva essere utilizzata sessualmente, una donna Rom non poteva diventare la moglie legale di un uomo bianco. Un tale matrimonio veniva considerato "un atto malvagio e cattivo", e un sacerdote che l'avesse celebrato sarebbe stato scomunicato, come indicato in un proclama anti meticciato del 1776 da Constantin, principe di Moldavia:

"Zingari che sposano donne moldave, e anche uomini moldavi che prendono in moglie ragazze zingare, compiono un atto che e' interamente contro la fede cristiana, non solo perche' queste persone sono tenute a passare tutta la loro vita con degli zingari, ma soprattutto perche' i loro figli rimarranno per sempre in schiavitu'. Un tale atto e' odioso a Dio, e contrario alla natura umana. Qualsiasi prete che ha avuto l'audacia di celebrare un tale matrimonio, che e' un grande atto malvagio ed eterno, verra' rimosso dal suo incarico e severamente punito". (Ghibanescu, 1921)

Coloro che in passato hanno scritto a proposito del trattamento degli schiavi hanno creduto, probabilmente per liberarsi la coscienza, che i Rom fossero effettivamente ben disposti a tale condizione. Lecca (1908) sosteneva che "una volta fatti schiavi... sembra preferissero quello stato", e Paspati (1861) si chiedeva se i Rom non fossero "di per se' predisposti volontariamente alla schiavitu'". Emerit (1930), dal canto suo, riteneva che "nonostante le punizioni che i proprietari di schiavi infliggevano a caso, gli zingari non provavano del tutto odio per questo regime tirannico, che di tanto in tanto aveva anche qualita' paterne".

Fu Bayle St. John (1853), che baso' il suo saggio interamente su cio' che aveva scritto Grellman e che (come il creatore di Carmen Bizet) non aveva mai incontrato un Rom in vita sua, che per primo scrisse che gli zingari erano "una razza molto bella, le donne in particolare. Queste formose, scure di pelle, bellissime donne, riescono a stupirci solo a pensare a come certi occhi, certi denti e tali figure possano esistere nell'atmosfera soffocante delle loro tende". Preoccupandosi pero' di aggiungere, secondo la morale pudica dell'epoca vittoriana, che era "dispiaciuto di dover ammettere la loro indole estremamente dissoluta". Al carattere lussurioso delle donne zingare accenna anche Celia Esplugas (1999): "La sfiducia nel comportamento morale degli zingari e' estesa al loro comportamento sessuale e gli uomini non Rom vengono attratti dal mistero di questa razza, dalla bellezza delle donne, e dal loro stile di vita molto libero".

La presunta mancanza di morale tra gli zingari e' stata esplicitata con veemenza nelle critiche alle loro pratiche sessuali che hanno sempre descritto un totale disinteresse per la decenza e il rispetto verso il corpo, in particolare da parte delle donne zingare. Per questo, in gran parte nell'arte, nella musica e nella letteratura del XIX secolo, la zingara e' stata caratterizzata da stereotipi quali lo spirito libero, forte, deviante, esigente, sessualmente eccitante, seducente, e indifferente ai sentimenti altrui [2]. Questa costruzione romantica della donna zingara puo' essere letta come una contrapposizione alla donna bianca, corretta, controllata, casta, e sottomessa come l'ideale vittoriano europeo richiedeva.

Certi atteggiamenti maschili, come quelli di St. John ed altri, cioe' di parlare della donna zingara senza averne mai incontrata una, sono ancora oggi presenti. Nel 1981, sulla rivista Cosmopolitan, e' apparso un articolo scritto dallo specialista in arti marziali Dave Lowry, dal titolo: "Che cosa si prova ad essere una ragazza zingara", dove mentre l'autore sostiene di aver consentito a una ragazza Rom, Sabinka, di raccontare la propria vita, e' chiaro fin dall'inizio che Sabinka e' Dave Lowry stesso. Un indizio per la motivazione che puo' spingere un uomo bianco adulto ad affrontare un tema del genere e' in primo luogo da riferirsi alla "libido maschile" e alle "fantasie erotiche senza fine".

Ma in nessun luogo la diffusione di questa immagine erotica della donna zingara e' piu' evidente come sul sito d'aste eBay, dove le "sexy camicette zingare" vengono offerte ogni giorno, pubblicizzate da procaci modelle dalle caratteristiche tutte Rom. Un altro sito, "La Zingara", informa il visitatore che gli zingari sono normalmente di pelle scura con audaci occhi lampeggianti, ma non e' raro trovarne dai capelli oro o cremisi... la maggior parte vivono in carri chiamati vardo, perennemente in viaggio... il fuoco e' il centro della vita familiare zingara... e tante altre piccole o grandi stronzate spacciate per verita'.

Due altri siti che forniscono dettagli del tutto inventati della cultura Romani, appartengono a Morrghan Savistr'i, una donna che si dichiara Rom nata in America, e Allie Theiss, una sedicente discendente dei Rom provenienti dalla Transilvania. Sul suo sito (adesso non piu' funzionante e in vendita, dato lo strepitoso successo avuto - ndr), la signora Savistr'i, affermava di essere una Maga del Caos e una Shuvani, la cui occupazione principale sarebbe stata quella di elaborare alcuni rituali Rom per la pulizia e la purificazione, piu' recenti e meno complessi di quelli tradizionali che per la maggior parte i Rom non sono in grado di fare a causa della scarsita' dei materiali, nonche' per la quantita' di tempo richiesta per svolgerli adeguatamente. La signora Savistr'i ci faceva anche sapere che aveva due gatti, di nome Fuzz Face e Mr. Pants, dei quali ci raccontava tutte quante le peripezie. Allie Theiss, invece, scrive libri di magia gitana e amore. Confessa al lettore di non sapere di dove i Rom siano originari (e' una che ha studiato molto - ndr), ma non importa quali siano le loro vere origini, perche' gli zingari sono apprezzati per le loro notevoli abitilita' psichiche e per il dono che hanno di attirare la buona fortuna, oppure per rovinare una vita con una maledizione. Tutti, dice la signora Theiss, sono nati con tale dono, ma cio' che rende innati i loro poteri e' il rapporto che hanno con la natura. Il loro legame con gli spiriti della vita all'aria aperta permette al loro dono di evolversi in modo naturale. Inoltre non vagano piu' per il mondo in una roulotte trainata da cavalli, ma si sono modernizzati e viaggiano in auto, in autobus e in aereo".

Tre libri che raccontano stupidita' piu' o meno simili sono: "Cuore zingaro" di Sasha White. (Puo' un uomo piegato alla sedentarieta' convincere una donna dallo spirito libero a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo). Isabella Jordan: "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico" (Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un'amante zingara!) E infine la serie di Alison Mackie "Cronache zingare" ("In ogni letto matrimoniale che Tzigany de Torres costruisce insieme alla moglie, gitana, egli conferisce un fascino potente: quello che garantisce per una vita il piacere di fare l'amore...") E poi aggiunge: "Quello che mi qualifica a scrivere di zingari? Ebbene, ho avuto una tata andalusa che si chiamava Ahalita"; una giustificazione non infrequente tra gli scrittori bianchi che vogliono scrivere di non bianchi (si veda ad esempio Sue Monk Kidd: "La vita segreta delle api"). E' in questo modo che l'identita' Romani rimane ancora in gran parte controllata dal mondo non Romani, dal cinema di Hollywood e da romanzieri e giornalisti della domenica come quelli che ho citato.

In ogni caso, per concludere, che un'etichetta etnica possa essere metaforicamente applicata non e' necessariamente offensivo. Spesso puo' accadere, ma gli stereotipi non sono dannosi fintanto che sono riconosciuti come tali. E' noto infatti che nella filmografia i mafiosi non rappresentano tutti gli italiani, e che l'Italia ha dato anche Botticelli, Leonardo e Michelangelo. Oggi, con una maggiore copertura dei media e l'accesso a siti web informativi, l'ignoranza non puo' piu' essere usata come una giustificazione. La gente deve arrivare quindi a capire che il termine letterario "zingari" e' qualcosa di molto diverso dai Rom, la cui vera storia e' complessa e in costante movimento. Percio' le ragioni che portano alla perpetuazione inesorabile del mito della zingara in quanto oggetto di desiderio sessuale devono essere cercate altrove, ed esaminate a parte. Non per questo dobbiamo dire addio a Carmen, Esmeralda e alle loro sorelle di fantasia, pero' dovremmo riconoscerle per chi e per quello che realmente sono.

Note:

    [1] E 'stata proprio questa consuetudine ad essere in gran parte responsabile del fatto che molti zingari sono ormai di pelle chiara. Tra le belle ragazze, le piu' gradite erano quelle di pelle piu' chiara e bionde, e le figlie indesiderate di queste unioni sessuali automaticamente diventano schiave, facendo aumentare nelle successive discendenze i tratti parne', rendendo sempre meno visibili quelli kale'.

    [2] Il fascino per il mondo proibito e tabu' delle donne zingare, in musica e'caratterizzato al meglio con l'opera Carmen, che ne' e' l'immagine predefinita: gitana spagnola disponibile sessualmente e promiscua e nei suoi affetti.

Per il post mi sono liberamente ispirata alla lettura del libro di Ian Hancock: "Danger! Educated Gypsy: Selected Essays"

 
Di Sucar Drom (del 27/01/2013 @ 09:01:06, in Kumpanija, visitato 1429 volte)
 
Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2459 volte)

Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato. Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro cammino.

    Cos'è oggi la memoria

Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo ricominciare. Jean-Luc_Godard

"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in altre forme" recita Wikipedia. La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa che non si ricorda più che significato abbia.

Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento

  1. di unità,
  2. di fratellanza.

E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno, per forza si aggiunga il punto

  1. di ipocrisia.

Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe stato l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.

I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:

  1. internet non sapevano neanche bene cosa fosse,
  2. quegli anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.

Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi 30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un mondo diverso.

Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che, bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo, c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.

Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E' successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi che la vorrebbero negare.

di Mauro Biani

Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni (pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai riflettori.

Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.

    Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce qui.
    Le ceneri del camino e l'idea di nazione

Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:

    Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
    Omosessuali: da 10.000 a 600.000
    Zingari: da 500.000 a 1.500.000
    Testimoni di Geova: 25.000
    Disabili: da 200.000 a 250.000
    Massoni: da 80.000 a 200.000
    Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
    Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
    Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000

L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti. Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare, perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?

Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra; sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:

  • Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato" per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra (ricorda niente?);
  • Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori, piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico" incastonato nel XX secolo;
  • Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo. Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle normali famiglie.

Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan (eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).

Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili, ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà, accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito (come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi, ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo positivo per una "futura" razza ariana superiore - L'UOMO NUOVO.

Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge a produrre).

La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei), ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a questo punto: anche gli oppositori politici e gli omosessuali). Ma Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro esempio andava spazzato via.

Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre delle vittime dal fronte orientale.

I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po' meglio di chi non era più in grado di lavorare.

Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie, la sporcizia, non poter parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile) della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come normalissimo esecutore di ordini.

Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt, che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!), l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.

E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more, nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che abbiamo esportato in Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.

Democratici, perché questo è il quadro in cui ci definiamo. Ma dentro il quadro, tornando a quanto scrivevo prima, ci siamo ancora noi, razzisti, antirazzisti e gente che volta la testa. Torneremo agli stessi slogan di inizio del secolo scorso: "A cosa servono gli zingari?", ma da allora è cambiata la risposta: "Li metterei ai forni!". Siamo diventati così civili ed evoluti, che non è più necessario essere noi i razzisti, l'importante è che lo diventino gli altri.

Riletture possibili

  • L'Italia e l'innocenza perduta: MEMORS
  • L'Italia oggi e la mancanza di memoria: COCCI
 
Di Fabrizio (del 04/02/2013 @ 17:32:08, in Kumpanija, visitato 1443 volte)

Iniziativa per La Giornata della Memoria
7 Febbraio 2013 - inizio ore 9.00
Aula Magna Liceo Manzoni - via G. Deledda 11 - Milano (MM1-2 Loreto)

Jovica Jovic non sa se sta ancora fuggendo dai nazisti, o se è rimasto senza casa, o sia semplicemente in tourneé.
Jovica Jovic oggi è un fisarmonicista di talento, conosciuto in Europa, che insegna ai bambini a suonare ad orecchio.
La sua storia parte dalla Jugoslavia degli anni '40, e la MEMORIA di allora si lega alle guerre degli anni '90, sino all'arrivo e alle incertezze in Italia.
La sua storia personale è quella del suo popolo, i Rom, testimoni mai ascoltati di eccidi lontani.
Suonerà e discorrerà col pubblico, ridendo, ragionando, sperando assieme a voi.

Progetto Memoria Storica: Il Popolo Rom e L'Olocausto - Commissione Cultura - Consiglio di Zona 2

Motivo: Mentre si parla molto delle vittime Ebree della persecuzione Nazi-Fascista nell'Olocausto, molto meno si parla di altre loro vittime: gli oppositori politici, gli omosessuali e i Rom. Questa lezione/spettacolo/concerto vuole cercare di spiegare cos'è successo e continua a succedere a quest'ultimo gruppo etnico, storicamente vessato e perseguitato.
Abbiamo voluto così fare conoscere un'altra tessera dell'enorme e terribile mosaico dell'Olocausto.

Obiettivo: Informare e sensibilizzare i giovani. Saranno invitati i ragazzi di alcune scuole della Zona 2 dalle medie ai licei, inclusi gli studenti dei Licei Manzoni e Carducci, per una lezione/spettacolo coinvolgente sull'argomento.

L'invito è soprattutto per le scuole ma l'entrata è libera per tutti.

 
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:02:37, in Kumpanija, visitato 1857 volte)

Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONE Nel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore, sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013

Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare" sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.

Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.

Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può condannare un'altra persona".

E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci appartengono e stanno dentro la nostra cultura".

Lo so. È una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani, presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce. Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si vergogna del male che siamo in grado generare.

Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo sterminio dei rom e sinti.

Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom (chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti. Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio 2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.

E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.

Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la "contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non essere di religione cattolica.

Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile (compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.

La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata. Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e insegnanti.

Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi ed espulsioni.

Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.

"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare. È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".

 
Di Barbara Breyhan (del 28/02/2013 @ 09:06:29, in Kumpanija, visitato 1838 volte)

Kissaqani.com

"Abbiamo deciso di donare gli organi, così la nostra Natalia rivivrà in altri bambini". Questa la decisione dei genitori della piccola Natalia, la bimba rom di 14 mesi caduta nel Tevere giovedì 21 febbraio e morta al Policlinico Gemelli di Roma sabato 23 febbraio. La piccola stava giocando sulla sponda del Tevere sotto Ponte Testaccio, dove viveva con i genitori in una baracca di fortuna. É scivolata nel fiume, il padre l'aveva subito salvata e portata in ospedale, ma le sue condizioni erano apparse da subito gravissime per problemi cardiaci legati all'ipotermia. I giovani genitori hanno deciso di donare gli organi. Ora però non hanno i soldi per il funerale e per riportare il corpo in Romania. Nessun sostegno dal Comune. L'Associazione 21 Luglio ha lanciato una raccolta fondi per aiutarli.

Questo l'appello dell'Associazione 21 luglio:

Sabato 23 febbraio è morta presso il Policlinico Gemelli di Roma, Natalia, la bimba rom di 14 mesi caduta giovedì 21 febbraio nel Tevere, mentre giocava sulle sponde dove la sua famiglia vive in una baracca di fortuna sotto Ponte Testaccio. I giovani genitori rom rumeni, colpiti da questa tragedia, hanno espresso il desiderio che il sacrificio della loro bimba servisse a salvare altre piccole vite, dando il consenso alla donazione degli organi della figlia. A distanza di giorni la famiglia, che ancora vive nella baracca lungo il fiume, non ha ricevuto alcuna assistenza dal Comune di Roma ed è in attesa di espletare le pratiche per il funerale di Natalia che verrà celebrato in Romania. Il giorno dopo la morte di Natalia le forze dell'ordine hanno preavvisato la coppia dell'imminente sgombero dell'area. La loro povera baracca verrà distrutta. L'Associazione 21 luglio ha deciso di offrire al nucleo assistenza legale. Per sostenere i giovani genitori nelle spese per il funerale e per il rimpatrio della figlia l'Associazione 21 Luglio ha lanciato una sottoscrizione. É possibile aderire alla sottoscrizione tramite Bonifico bancario presso Bancoposta Codice IBAN: IT48 J076 0103 2000 0000 3589 968 o attraverso il Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio. Sul sito dell'Associazione 21 luglio è possibile fare un versamento attraverso la carta di credito. Ogni versamento dovrà avere come causale: Per Natalia.

A Roma il tasso di mortalità infantile dei bambini rom è del 24 per mille contro il 9 per mille dei minori non rom, come evidenziato nel libro "Roma Underground. Libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom a Roma", presentato proprio il 19 febbraio scorso a Roma dall'Associazione 21 Luglio. La ricerca ha analizzato le conseguenze delle politiche capitoline degli ultimi tre anni, ovvero quelle realizzate in seno al Piano Nomadi, sull'esistenza dei minori che vivono a Roma in emergenza abitativa.

 
Di Fabrizio (del 05/03/2013 @ 09:05:28, in Kumpanija, visitato 1539 volte)

YOUR MIDDLE EAST Gli zingari d'Irak - incontro con un popolo in isolamento - di Nizar Latif (giornalista freelance da Baghdad)

Il villaggio di Fuwwaar si trova presso la città di Diwaniyah, 180 km a sud di Baghdad, ma rimane isolata dal mondo esterno - parte è dovuto al suo stile di vita zigano e parte alla considerevole presenza dei militari, che controllano il traffico in entrata e in uscita.

Uomini armati osservano con attenzione chi entra, in cerca di prostitute e altri piaceri proibiti. Gli stranieri che tentano di entrare nel villaggio vengono uccisi, sulla base di semplici sospetti, da militanti dei gruppi armati.

Fuwwaar assomiglia ad un sito archeologico nel deserto; abbandonato dalla gente e con poche case - distrutte o in via di distruzione. Rimangono rifiuti e poche persone, devastate da migliaia di anni di guerra. Una famiglia qui e una lì. Le pareti delle case sono di fango e il tetto, le poche famiglie che ne hanno uno, è di argilla. Le case rimanenti sono aperte al sole e alle intemperie. Il villaggio manca di scuole, centri medici o di acqua potabile.

C'è una lotta in corso. Sono stati messi in discussione e combattuti da tutti: lo stato, il governo, la costituzione, la legge, religione, costumi, tradizioni e persino la società. La lotta segna i loro volti e corpi. Sono invecchiati molto più velocemente rispetto alla loro controparte nella società maggioritaria.

Sono vivi ma sopravvivono. La loro unica colpa è di essere nati così. Gli zingari, in Irak in generale e a Diwaniyah in particolare, affrontano il confinamento sociale e la mancanza di servizi. Il capo degli zingari di Diwaniyah, che per ragioni di sicurezza si fa chiamare Abu Saleh, ci dice: "Patiamo numerosi problemi e questioni: soprattutto la non esistenza di qualsiasi servizio. Non c'è acqua, elettricità o altri servizi, oltre al confinamento sociale e alla malevola percezione degli zingari nella società. D'estate soffriamo la calura, in queste povere case senza elettricità. Alcuni bambini per rinfrescarsi si gettano nelle acque dei liquami. Il nostro unico accesso all'acqua viene dagli scarichi contaminati per uso non-domestico."

Tutta la regione affronta difficoltà simili, puntualizza Abu Saleh, specialmente dopo l'assalto armato al villaggio di cinque anni fa.

"Ma non abbiamo altra scelta," aggiunge. "Quanti sono emigrati avevano possibilità finanziarie ed erano di famiglia benestante, con i mezzi per guadagnarsi da vivere. Noi non abbiamo una professione, né un lavoro, né un salario o qualche altra fonte per guadagnarci da vivere."

Dice che la prostituzione e le altre forme di corruzione sono terminate cinque anni fa, e che le famiglie che gestivano queste attività sono emigrate. Quelle che ora sono qui, dice, sono estremamente povere e non hanno lavoro né altri mezzi per vivere.

"Mendicano per mangiare!" dice. "Sono le stesse famiglie che si sono insediate nel villaggio negli anni '70 e sono rimaste sino a oggi."

Il problema degli zingari riguardo il lavoro va oltre la mancanza di competenze o i contatti  con i reclutatori. Viene loro rifiutato a causa della stigmatizzazione sociale. Socialmente, sono disprezzati e gli stranieri rifiutano di socializzare con loro. Sono spalle al muro sul piano sociale, tribale, religioso e governativo, e non viene loro permesso di condurre i propri affari. Sono anche esclusi dai servizi della sicurezza sociale, lanciati dal governo iracheno a protezione dei poveri nel paese.

Abu Aysir siede accanto alla strada che attraversa il villaggio, vende della verdura appoggiata a terra. Serve per mantenere la sua famiglia di due mogli e quattro bambini. "Nonostante tutte le sofferenze, l'assenza di servizi, la disoccupazione, la povertà e tutte le nostre difficili condizioni," dice "la verità è che non abbiamo praticato il terrorismo o agito contro la sicurezza del paese."

"Non abbiamoi mai preso partito, anche nelle circostanze più dure, causando problemi, il ché ci rende molto patriottici," aggiunge, "eppure ci sono stati dei martiri tra il nostro popolo, che hanno perso la vita in atti di terrorismo e violenza. Neanche per un giorno abbiamo pensato di ricorrere alla violenza e al terrorismo, non ci apparttengono. E oggi qui, viviamo nella marginalizzazione e nel totale disprezzo delle nostre esigenze di base, come la disponibilità di un minimo di lavoro, di cui vivere. Non è giusto che beviamo acqua sporca dal torrente, senza acqua potabile, elettricità e altri servizi."

Gli zingari sono stati soggetti di numerosi brutali attacchi da parte di Al Qaeda e di militanti sciiti, in diverse città dell'Irak. Attacchi che hanno lasciato migliaia di morti; donne, bambini e uomini, senza alcun intervento da parte del governo, che è rimasto in silenzio.

Una giovane di ventotto anni, Shakir, dice: "Cinque anni fa, fanatici delle milizie sciite hanno lanciato centinaia di attacchi contro il nostro villaggio, e hanno bruciato le nostre case. Con le loro spade hanno macellato brutalmente le nostre donne, uomini e bambini. Hanno smembrato i loro corpi e tagliato le teste dalle nuche. Nel contesto sociale delle tribù arabe, tagliare la testa dalla parte posteriore del collo rappresenta il più basso grado per morire e che il valore è zero. E' una forma di odio e disumanizzazione essere uccisi brutalmente. Questi militanti sciiti si distinguevano nell'ucciderci e torturarci."

Aggiunge: "Il governo e i funzionari iracheni furono ciechi e sordi ai crimini brutali di cinque anni fa. Secondo me, li hanno persino appoggiati, dato che la maggioranza dei politici sono fanatici sciiti." Secondo Shakir, dozzine di famiglie lasciarono il villaggio per stabilirsi in città più sicure, e molte di quelle rimaste hanno perso, almeno, due o tre componenti, uccisi dalle milizie estremiste sciite.

La famiglia di Abu Saleh è tra queste. Ha diviso il resto del suo clan in 22 piccoli gruppi, mandandoli a mendicare, una dura soluzione, ma l'unica che permettesse di mantenersi uniti.

"Ho diviso il mio clan in piccoli gruppi, composti da una o due famiglie, e li mandati in diverse provincie irachene," spiega. "Era l'unico modo per guadagnare qualcosa senza essere riconosciuti dalle milizie che cercano sempre di ucciderci, o da altra gente che potesse riconoscerci e rifiutarsi di darci qualcosa. Uno zingaro non è in grado di ottenere un lavoro, perché la gente comune si sentirebbe in disgrazia e disonorata, se lo facesse. Inoltre, il governo iracheno è sempre più dominato da islamisti fanatici, e mai assumerebbe degli zingari. Ci trattano come animali."

Il gruppo sarà via per un mese e oltre. Al loro ritorno nel villaggio, dovranno condividere quanto guadagnato con le altre famiglie che mancano di un reddito. Prima del 2003, Fuwwaar ospitava oltre 1.700 zingari. Oggi sono meno di 200.

"L'isolamento mi fa sognare il momento che sentirò di appartenere al resto della razza umana e dell'umanità," dice Sama, 22 anni. "La solitudine di questo posto senza vita, ti fa vivere un dolore e una pena che uccidono lo spirito. La sera vado verso il deserto qua vicino e penso a cosa ci riserva il futuro. La scena di bambini miseri e vecchie stanche seduti in circolo di fronte a una delle case del villaggio, che ricordavano i giorni passati e ora, mentre si chiedevano dove sarebbero finite, tra le altre cose, è stato una dei motivi che mi ha spinto a lasciare la mia amara realtà e cercare la solitudine, solo per scoprire che noi tutti non siamo responsabili della tragedia che stiamo vivendo."

Perché pagare per errori mai commessi, si chiede. Ma è anche preoccupa anche di lasciare la comunità, perché neanche fuori ci sarebbero garanzie di successo. Dov'è la speranza, si chiede.

"Abbiamo il diritto di rimproverare i nostri antenati?" si chiede un'anziana che da giovane vendeva il proprio corpo. "No, non li biasimo. Siamo destinati ad essere zingari ed in questo modo dobbiamo vivere."

Molte delle donne del villaggio sono disposte a fare tutto il necessario per provvedere alle loro famiglie. Dentro il villaggio possono lavorare e sentirsi rispettate, lontano dagli insulti e dalle umiliazioni del mondo esterno. Dice Um-Suhair, sarta: "Qui c'è un'infinità di donne che sanno cucire e tessere benissimo, e sono pronte a lavorare in qualsiasi professione decente, per guadagnarsi da vivere e aiutare le loro famiglie. Soffriamo la percezione della comunità, in quanto siamo considerate estranee al quadro dello stato e dell'umanità, inoltre non siamo Iracheni. Il mio lavoro sono il cucito e la maglieria, ma gli affari non sono più quelli di una volta. L'immigrazione, la povertà e l'indigenza prevalente nel paese, trasformano ogni attività artigianale in fallimentare e non redditizia."

La sofferenza si estende alle strade che portano al villaggio, dice, e degli attacchi da parte delle tribù che lo circondano, che rendano pericoloso entrare ed uscire dal villaggio. Molte donne sono state violentate o uccise.

Gli zingari iracheni, conosciuti anche localmente come Kaulia, hanno radici che affondano in India e Spagna. Secondo il ministero iracheno dei diritti umani, questi zingari formano una minoranza etnica tra le 50.000 e le 200.000 persone. Sono insediati in villaggi e insediamenti, di solito isolati ai margini delle città e paesi, sono presenti nelle provincie di Baghdad e AlBasra, Ninawa e Diyala, inoltre in alcuni villaggi delle pianure del sud, come Al-Muthanna and Diywaniyah. Erano tribù nomadi sino agli anni '70, l'Irak riconobbe loro la cittadinanza nei primi anni '80. Erano parte della comunità irachena, in quanto si occupavano dell'intrattenimento. Le piccole comunità hanno tradizioni e costumi molto differenti dal resto del paese.

Ma, nonostante il loro rifiuto da parte della società, l'arte zingara ha catturato l'interesse degli iracheni e trovato una strada attraverso la TV e le stazioni radio, queste ultime popolari soprattutto nell'Irak rurale. Prima che arrivassero alle trasmissioni TV, gli Iracheni avevano l'abitudine di chiedere agli zingari l'intrattenimento per le feste di matrimonio e le celebrazioni all'aperto, dove le donne zingare ballavano e cantavano dietro compenso. Le femmine zingare diventarono delle star nella scena artistica irachena. Le canzoni zingare sono parte fondamentale di quelle irachene, e i cantanti zingari sono sinonimo di cantanti folk. Raramente c'è una festa  senza che venga suonata una melodia gitana.

Dice Laith Abdul Latif, ricercatore ed esperto di genealogia: "Il termine Al-Kaulia si applica alle tribù indiane le cui donne guadagnavano di vivere con l'adulterio, la danza nr il clero durante i servizi religiosi, altre cercando piacere. Altre provenivano dal tempio indiano di re Kaul, da cui il nome. Le origini degli zingari Kauli vengono dall'India."

Nonostante il fatto che parlino arabo e che siano musulmani, come loro stessi dichiarano, continua Laith Abdul Latif, la carnagione scura e i tratti affilati li distinguono dal resto della popolazione. Gli zingari si lamentano della discriminazione riguardo a terminologia, le loro caratteristiche di spicco indiane, e le loro pratiche della danza, prostituzione, intrattenimento e di affittare le donne. Dice Widad Hatem, presidente della commissione sui diritti umani della provincia di Diwaniyah: "Dalle ricognizioni che effettuiamo attorno al villaggio degli zingari, abbiamo scoperto diversi problemi che sono gli stessi degli altri residenti nella regione: assenza di elettricità e acqua potabile, disoccupazione dovuta a discriminazione etnica e disprezzo sociale. In quanto funzionari, assieme alla commissione sui diritti umani, dobbiamo fornire soccorso alla regione, assieme ai servizi necessari, quali energia elettrica, acqua potabile e presidi medici."

Aggiunge che, la chiave è spostare l'interesse dalle autorità preposta e dalla presidenza del consiglio, verso la direzione del prendersi  cura e interesse di questo gruppo sociale, che ha sofferto sia il disprezzo comunitario che le difficoltà di vita.

"L'area è stata rifornita di tre serbatoi di acqua potabile, installati in diverse posizioni del villaggio.  Inoltre, la direzione municipale sta progettando di rimuovere i detriti ed eseguire la manutenzione stradale. I nostri sforzi congiunti, combinati con quelli delle organizzazioni della società civile, cercano di introdurre agevolazioni per cucito e tessitura, laboratori, un progetto di riciclaggio dei rifiuti o qualsiasi altro schema nell'area, perché la loro interazione con la società esterna non passi attraverso sofferenze o molestie, dovendo mendicare - una pratica che blocca qualsiasi strada.

Ma dice che il lavoro nel cercare di migliorare le loro condizioni è reso più difficile a causa dello stigma sociale. Vede barriere, non solo politiche, ma anche con i leader civili e politci. E' dice che tutto è diventato più impegnativo dopo la partenza delle organizzazioni USA che avevano contribuito sinora. Ora si sta affrontando una battaglia in salita nell'aiutare un gruppo così marginalizzato, in un paese dalle poche risorse.

"Ciò che mi rattrista," dice, "è quando si parla degli zingari, si parla di loro come qualcosa di sporco e ripugnante. Siamo tutti esseri umani e dovremmo essere trattati ugualmente. Questo dice l'Islam."

 
Di Fabrizio (del 09/03/2013 @ 09:08:23, in Kumpanija, visitato 1370 volte)

"I Rom uccidono i cavalli" Mediaroma (NdR: conosco allevatori rom di cavalli, in Lombardia e altrove. Magari non sarà così per tutti, ma per loro è quasi un tabù: non alleverebbero mai un animale, ma neanche un pollo - per fare un esempio, per macellarlo. Lettura consigliata Raccontino)

La dichiarazione di Nihal Kobal, presidentessa della Camera dei Macellai di Sakarya, in cui lamenta che i Rom macellerebbero cavalli, ha suscitato reazioni tra gli stessi (regione di Marmara). Il presidente dell'associazione locale dei Rom, Orhan Tanyel, ha detto che presto faranno una denuncia in merito a tale dichiarazione.

La dichiarazione di Nihal Kobal nasce da voci secondo cui carne di cavallo verrebbe venduta di nascosto ad un ristorante di Sakarya. Secondo lei i cavalli verrebbero macellati dai Rom del posto. Orhan Tanyel, presso la sede della sua associazione, ha fatto una contro-dichiarazione stampa sulla questione, in cui afferma: "Perché Kobal se la prende solo coi Rom? E' possibile che qualcuno tra di noi che macelli cavalli. Potrebbe fornire i loro nomi, senza stigmatizzarci tutti. Non c'è necessità di sottolineare l'origine etnica di questa gente. D'altra parte, sappiamo che non ci sono Rom tra i macellai conosciuti per vendere carne di cavallo."

Source: CHA

 
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