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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 16/01/2010 @ 09:45:21, in Italia, visitato 3056 volte)

L'ombra della speculazione edilizia si allunga su Napoli. La Commissione Edilizia nominata dal Sindaco Iervolino boccia il progetto del PalaPonticelli. di Alessio Viscardi

L'ombra della speculazione edilizia si allunga su Napoli. La Commissione Edilizia nominata dal Sindaco Iervolino boccia il progetto del PalaPonticelli, opera destinata alla riqualificazione di uno dei quartieri più degradati della città. "Un centro commerciale camuffato da opera pubblica", la motivazione.

"Palaponticelli, un'opera di interesse pubblico realizzata con investimenti interamente privati che andrà a colmare la carenza nel capoluogo campano e nel Sud Italia di "luoghi" al coperto per concerti e altre attività legate alla cultura, alla musica e allo spettacolo, consentendo di inserire la città nei tours musicali più significativi a livello internazionale". Così si legge nel sito del Comune di Napoli. Ma con la bocciatura del progetto da parte della commissione edilizia non solo sono svaniti i sogni di rilancio della zona, ma sono riemersi dubbi e polemiche legate a speculazione edilizia e malaffare. Ancora una volta.

Un nuovo scandalo alla "Global Service". Le violazioni al Piano Regolatore riscontrate dalla Commissione sarebbero la copertura di un'attività illecita. Scopo: alterare il valore economico di alcuni terreni di Ponticelli.

Un'occasione persa
Doveva essere "il più grande pala-eventi d'Italia", una Casa della Musica dalla capienza di oltre 12 mila spettatori. Destinato ad esibizioni e concerti dal vivo, il PalaPonticelli sarebbe stato anche un volano per la riqualificazione della zona. Un anfiteatro per concerti ed un Centro Commerciale per arricchire il panorama (culturale) del quartiere alle porte di Napoli.

Costo complessivo: 147 milioni, a carico del soggetto promotore. Investimenti e struttura interamente privati, ma sottoposti ai "vincoli di uso pubblico" previsti dal Piano Regolatore Generale.

Due anni per la sua realizzazione, che avrebbe dato lavoro a più di mille operai.

Significativa la scelta di edificare la struttura a Ponticelli per recuperare la periferia. Infatti, sono a carico dell'impresa realizzatrice anche la manutenzione di strade e l'erogazione di servizi nella zona.

Alt dalla Commissione
Un Centro Commerciale che viola le disposizioni del Piano Regolatore Generale. A questa conclusione è giunta la Commissione Edilizia di Napoli, che boccia interamente il progetto del PalaPonticelli.

Sembrava una pura formalità dopo l'approvazione definitiva del progetto presentato dalla PalaPonticelli s.r.l. alla Giunta Comunale il 29 gennaio 2009. Diventa ora un dovere inderogabile per il sindaco Iervolino. Sebbene il parere della Commissione Edilizia non sia vincolante, i suoi membri sono nominati con chiamata diretta del Primo Cittadino.

Il verdetto, un déjà vu
Le conclusioni a cui giunge la commissione edilizia ricalcano fedelmente le perplessità espresse in precedenza da diversi membri dell'opposizione napoletana. A sollevare la questione sono i consiglieri Andrea Santoro e Pietro Diodato, che già nel 2006 definivano il PalaPonticelli: "Una delle più grosse speculazioni edilizie e commerciali che abbia mai colpito la città di Napoli".

La Commissione Consiliare Attività Produttive, presieduta dal prof. Federico Alvino, viene chiamata ad esprimere un parere sul progetto dopo numerose denunce al Tar dei commercianti di Ponticelli. Anche in questo caso, il parere è contrario a causa dell'eccessiva superficie dedicata alle attività commerciali.

Le violazioni al Piano Regolatore Generale
La zona scelta per l'edificazione dell'opera è classificata area Fe dal Prg di Napoli. In base all'articolo 50, è permessa soltanto la realizzazione di attrezzature pubbliche o di uso pubblico – anche su iniziativa privata – destinate a sport, attività culturali e sanità. Vincolo fondamentale da rispettare è la sussidiarietà delle attività commerciali rispetto all'opera pubblica.

Infatti, il PalaPonticelli su carta è un "centro culturale di zona" affiancato da un piccolo centro commerciale. Negozi e ristoranti non dovrebbero occupare una superficie superiore a quella dell'anfiteatro per concerti.

Ma la Commissione Edilizia giudica violati i vincoli di uso pubblico. Stando al verbale di istruttoria del 23 aprile 2009, le attività commerciali previste a compendio del Palaeventi non presentano il requisito della "sussidiarietà".

Si tratta, invece, di un vero e proprio Centro Commerciale che si pone in autonomia funzionale rispetto all'opera pubblica.

Le misure del mercato
Analizzare i dati del progetto permette di capire le reali proporzioni tra zone destinate all'attività culturale e zone destinate all'attività commerciale.

Inizialmente, le approvazioni rilasciate dagli enti di controllo si basano su un'interpretazione falsata dell'opera. La superficie del PalaPonticelli viene suddivisa in tre aree dal dipartimento urbanistica di Napoli. Secondo i tecnici del Comune, dei 192.730 mq totali, il 44,3% è destinato al Palaeventi.

Un restante 32,5% è finalizzato alla creazione di spazi pubblici di verde (una piazza coperta di 62.710 mq).

Infine, all'attività commerciale viene destinato soltanto il 23,2% dello spazio totale – in osservanza del vincolo di sussidiarietà.

In realtà, agli 85.420 mq destinati al PalaPonticelli, la Commissione Edilizia sottrae gli spazi destinati a parcheggi ed infrastrutture secondarie. Ne risulta che la superficie dedicata alle attività culturali è tre volte inferiore a quella destinata al Centro Commerciale.

Una nuova Global Service
Dietro la bocciatura tecnica si nasconderebbe uno scandalo simile al recente terremoto giudiziario denominato "Global Service". A sostenerlo sono diversi osservatori che da anni denunciano le ombre del progetto.

La costruzione del PalaPonticelli sarebbe soltanto l'ultimo atto di un piano elaborato anni fa e finalizzato ad alterare il valore economico dei terreni privati di Ponticelli.

Ad infittire i sospetti è soprattutto la tempistica con cui giunge la bocciatura della Commissione Edilizia. Da anni le incongruenze tecniche vengono denunciate dall'opposizione, ma il Comune è sempre andato avanti sulla propria strada.

C'è chi mette in relazione la bocciatura con il rinvio a giudizio chiesto dal G.U.P. Andrea Rovida per consiglieri comunali ed un dirigente della PalaPonticelli s.r.l.

L'ipotesi di reato è quella di associazione a delinquere. Secondo l'accusa, si tratterebbe di un vero e proprio sodalizio criminale costituito da uomini d'affari, tecnici e consiglieri della Giunta di Napoli, che esercitavano pressioni sul consiglio comunale per l'approvazione di emendamenti a favore della propria attività imprenditoriale.

Al centro delle indagini l'edile Salvatore Capacchione e le sue presunte ingerenze nell'approvazione dell'Emendamento Scarpitti e della variante al Piano Regolatore Generale.

Capacchione avrebbe costituito, sempre secondo gli atti dell'indagine, un'associazione a delinquere dedita a corruzione e abuso d'ufficio per modificare artificialmente il valore economico dei terreni che sono proprio di fronte a quelli su cui era prevista l'edificazione del PalaPonticelli. Terreni in possesso della Elio s.r.l. e della Vignale Immobiliare s.p.a.

Il disegno criminoso che è stato delineato vede il sodalizio fare pressioni nel 2002 perché vengano approvate le modifiche al Prg. L'obiettivo è mettere in cantiere la costruzione di poli attrattivi nel quartiere Ponticelli.

Nel 2003, il gruppo contatta diversi amministratori pubblici del Comune per garantire l'approvazione da parte della Giunta Consiliare dell'emendamento nr. 112 – nominalmente presentato dal Consigliere Scarpitti, anche se redatto da Capacchione.

Con l'emendamento Scapitti viene innalzato l'indice di fabbricabilità dei terreni in possesso della Elio s.r.l. e della Vignale Immobiliare s.p.a.

Il coinvolgimento del PalaPonticelli
Tra gli indagati c'è anche Silvio De Simone, amministratore della PalaPonticelli s.r.l.

Capacchione aveva già presentato nel 2004 un progetto per la costruzione di un Centro Commerciale in via Argine. Progetto formalmente rifiutato.

Inoltre, la stessa PalaPonticelli s.r.l. sembra essere una società costituita soltanto per l'affare. Proprietaria è Marilù Faraone Mennella – detta anche Lady Confindustria perché compagna del presidente Antonio D'Amato.

Quando deposita il progetto nel 2006, la società possiede un capitale sociale di appena 2.500 euro – il minimo per la sua costituzione. Eppure si propone di gestire un progetto con investimenti ingenti: circa 147 milioni di euro.

La proprietà della PalaPonticelli s.r.l. è ambigua e difficile da ricostruire. Presidente è Faraone Mennella, ma la società è controllata al 100% dall'Armonia s.r.l. di Biella. La quale è a sua volta proprietà di D.M. s.p.a. di Roma.

Rintracciare i veri proprietari della società è impossibile, perché la D.M. è controllata da diverse società lussemburghesi soggette ad una legislazione che ne garantisce l'anonimato.

Rom e camorra
Si possono affidare progetti importanti come il PalaPonticelli a società di cui non si conoscono i proprietari? La legalità dell'atto è indubbia, ma non bisogna dimenticare gli interessi camorristici nella zona.

Nell'aprile 2008 il presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di una ragazzina rom scatena una rivolta popolare a Ponticelli. I nomadi che vengono cacciati dalla popolazione infuriata stanziano proprio sui campi su cui devono cominciare i lavori del PalaPonticelli.

Un articolo di El Pais sottolinea gli interessi del clan Sarno su quei terreni. Se i lavori non fossero partiti entro pochi mesi, si sarebbero persi gli ingenti fondi per la riqualificazione urbana di Ponticelli. Forse è soltanto una coincidenza, ma ad un anno di distanza il clan Sarno è diventato il cartello criminale egemone a Napoli.

La magistratura indaga su quella che è stata definita la "più grande speculazione edilizia" che abbia interessato il capoluogo partenopeo negli ultimi anni. Numerosi sono i punti oscuri. Anche se l'interesse della camorra fosse soltanto marginale, siamo di fronte all'ennesimo episodio di sfruttamento di una terra già fin troppo martirizzata dalla malavita e dalla malapolitica.

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Di Fabrizio (del 17/01/2010 @ 09:18:43, in Europa, visitato 1767 volte)

15 gennaio 2010
Germania: il nuovo Ministro all’Immigrazione vuole più impiegati pubblici di origine immigrata.
Boehmer: insegnanti, educatori, poliziotti e impiegati della pubblica amministrazione che conoscano l’esperienza di migrazione senza però stabilire quote.

Il Governo tedesco intende aumentare le assunzioni di cittadini di origine straniera nel servizio pubblico, senza tuttavia arrivare a fissare quote. È quanto ha dichiarato al quotidiano Rheinische Post il ministro alla Cancelleria con delega all’Immigrazione, Maria Boehmer (Cdu), secondo cui anche nel servizio pubblico bisogna tener conto del fatto che un abitante su cinque della Bundesrepublik proviene da esperienze migratorie dirette o della famiglia.

"Abbiamo urgentemente bisogno di più insegnanti ed educatori con un passato da migrante", spiega la signora Boehmer, sottolineando che ciò deve valere anche per le forze di polizia, i vigili del fuoco e gli impiegati delle amministrazioni comunali. In una comunicazione ufficiale il Ministro ha tuttavia precisato che "stabilire quote è fuori discussione”. La proposta del Ministro ha ricevuto l'immediato appoggio del presidente del sindacato di polizia, Konrad Freiberg, secondo il quale le forze dell'ordine hanno fatto finora buone esperienze con l'assunzione nei loro quadri di migranti. Dello stesso avviso si è detto Josef Kraus, presidente dell'Associazione degli insegnanti tedeschi, per il quale un accresciuto numero di insegnanti di provenienza extracomunitaria contribuisce ad una migliore integrazione degli studenti con analoga origine e serve anche da modello di ascesa sociale.

(Red.)

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Di Fabrizio (del 18/01/2010 @ 00:37:43, in casa, visitato 2315 volte)

di Eugenio Viceconte - Jan. 17th, 2010 at 8:09 PM

Da pochi minuti il TG3 Lazio ha annunciato che domani mattina circa 150 rom del Campo di Salone, un campo legale, spartano ma attrezzato con container e servizi, saranno spostati al Centro Richiedenti Asilo (CARA) di Castel Nuovo di Porto (circa a 50 km dal campo di Salone).

Un CARA non è una prigione o un CIE ma è comunque un luogo in cui vengono applicate restrizioni alle libertà individuali.

E' un luogo che serve ad ospitare persone appena arrivate sul territorio nazionale che richiedono asilo per motivi politici o economici.

I rom di Salone sono o di origine dell'ex Jugoslavia, e quindi sono arrivati in Italia da almeno 15 anni, o più recentemente dalla Romania.

Ovviamente parlare di richiedenti asilo per dei cittadini comunitari come i Rumeni è una bestialità incivile.
Parlare di richiedenti asilo per gente che 20 anni fa è arrivata in italia da un paese in guerra ... ed a cui l'italia 20 anni fa e negli anni a seguire non ha saputo trovare una cittadinanza, è una ulteriore bestialità.

Le promesse di Alemanno e del prefetto Pecoraro alle comunità rom di roma sono belle e dimenticate.


Gran parte della popolazione di Salone è fatta da ragazzi che sono nati a Roma!

Le foto che vedete nel seguente slide show sono state scattate da ragazzi rom in gran parte del campo di Salone.
Molte, sono scattate nel campo di Salone, un campo con gravi problemi ma che offre un minimo di normalità a chi ci vive.
Nel CARA di Castel Nuovo di Porto non troveranno tutto questo.

Ragazzi che parlano italiano, per il semplice motivo che sono nati TUTTI a Roma.

Richiedenti asilo da cosa? Dal nostro infame paese che non ha saputo dargli un futuro ne vorrà mai offrirglielo?

... altri "flash", citazioni, foto commenti e link li trovate su TUMBLR http://hiddenside.tumblr.com/

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Di Fabrizio (del 18/01/2010 @ 09:14:22, in conflitti, visitato 3694 volte)

di Alessandro Matta

In vista della prossima Giornata della Memoria, molte sono le iniziative per il 27 Gennaio 2010. Come ogni anno, la Macchina della memoria, alimentata dalle scuole e dalle istituzioni sta scaldando i motori per la decima Giornata della Memoria, che coincide col 65° anniversario dalla liberazione dei Lager Nazisti e della liberazione dell' Europa dall'incubo nazifascista.

Tuttavia, in questi giorni, ha colpito la mia attenzione un video, mandatomi via Facebook da Alberto Melis, maestro elementare e scrittore, impegnato come me in quella che fu definita da Pupa Garribba (giornalista, esponente di spicco della delegazione Italiana della Shoah Foundation di Spielberg nonché testimone delle leggi razziali del 1938 scampata da bambina alla deportazione a Auschwitz e a morte certa)la memoria come lotta.

E' curioso che Facebook, spesso additato dai media come un covo di gruppi razzisti o antisemiti o negazionisti della Shoah, possa riuscire come veicolo di trasmissione della memoria. Il video ha un'importanza molto particolare. Non è lungo, è un video girato negli anni '40 a colori (rarità per quella epoca) della durata di un minuto e mezza. Eppure, questo documento conservato oggi presso gli archivi del Bundesarchiv in Germania, e visibile anche attraverso il sito Web della sezione Audiovisivi del museo dell' Olocausto di Washington, è assai importante per l'approfondimento dell'altro sterminio nazista, quello più dimenticato o talvolta addirittura approvato, quello dei rom.

Il filmato è il resoconto video degli esperimenti sui bambini rom attuati da Eva Justin, una assistente del Dottor Robert Ritter, che si occupò durante il Nazismo di studiare a livello razziale il popolo zingaro, arrivando a considerarlo come affetto da malattie biologiche o razziali specificatamente inventata di sana pianta dai nazisti come l'Ibridismo o la tendenza al nomadismo o alla delinquenza .

La Justin studiò i bambini rom come parte della sua dissertazione sulle caratteristiche razziali. I bambini erano a St. Josefspflege, un brefotrofio cattolico a Mulfingen, in Germania. La Justin completò i suoi studi poco dopo la realizzazione di questo film. I bambini furono deportati ad Auschwitz, dove la maggior parte di loro venne immediatamente sterminata.

Il video è uno dei pochi, anzi pochissimi, documenti filmati dagli stessi carnefici relativi alla Porrajmos, ovvero allo sterminio degli zingari, che i nazisti decisero di eliminare su motivazione biologica e su progetto eugenetico esattamente come avevano iniziato con gli ebrei nel 1941. Pochissimi altri i filmati come questo della Justin che documentano la schedatura dei rom, le indagini eugenetiche su di loro o talvolta la loro deportazione. Esiste un filmato del 1940 in bianco e nero con audio aggiunto in inglese che mostra l'arresto di alcuni rom e il loro caricamento su alcuni camion della durata di due minuti.

Come non vedere questi filmati con una sorta di brivido alla schiena, come una sorta di vera e propria incubazione dello sterminio che di li a poco si abbatterà su quelle inermi persone filmate a scopo di ricerca razzistica o per puro divertimento?

Dalla relazione finale delle indagini di Eva Justin sui bambini di Mulfingen , si legge una terribile conclusione, pari a quelle apportate dal Dottor Ritter, relativamente al fatto che la questione zingara non potrà essere risolta se non con lo sterminio anche dei bambini rom, anzi, soprattutto di essi.

Ciò che provoca rabbia in qualunque persona che veda questi filmati , è il sapere che queste persone, questi carnefici anzi , dopo la guerra abbiano continuato all' 85% una vita normale, senza che nessuno arrivasse a processarli.

Eva Justin, per esempio, dopo la guerra divenne "addetta di previdenza sociale". H. Grebe, assistente di Verschuer al KWI per l'antropologia, sarà nominato professore incaricato a Marburgo e successivamente diventerà presidente della Lega tedesca Medici sportivi. Heinze, perito per l'eutanasia, divenne nel 1953 capo dell' ambulatorio di psichiatria giovanile nell'ospedale di Wunstdorf.

Come non vedere in tutto ciò una giustizia mancata e uno sterminare due volte un popolo pacifico come i rom? I rom che non hanno mai dichiarato guerra a nessun altro popolo in tutta la loro storia e che solo per questo meriterebbero il Nobel per la pace!

Link del video dei Bambini usati per gli esperimenti di Eva Justin

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Di Fabrizio (del 18/01/2010 @ 09:24:58, in Kumpanija, visitato 2093 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Milano, 16 gennaio 2009

Cari amici antirazzisti (che siate attivisti, giornalisti, politici o persone che credono nella solidarietà),

fra le tante iniziative curate dagli attivisti EveryOne vi è il sostegno a famiglie Rom e "clandestine" in difficoltà. Nessuno dei membri del nostro gruppo è ricco, eppure ogni mese ciascuno di noi riesce a devolvere i propri risparmi ora a questa, ora all'altra famiglia. Sono grandi sacrifici e personalmente ringrazio tutti i nostri attivisti per quello che fanno, rinunciando alle vacanze, all'auto nuova, a oggetti superflui, a vestiario di marca... e anche a beni necessari. In un momento tragico, uno dei nostri membri ha venduto la casa, per mettere in salvo (provvedendo a rinnovo documenti, spese di viaggio, mezzi  di sostentamento urgente) in Romania, Spagna e Francia molte famiglie Rom sgomberate a Milano, Roma, Pesaro e in altre città. Grazie a questa incredibile generosità di amici che sono onorato di avere, di persone che mettono le esigenze di chi soffre ancora prima delle proprie, sono state salvate decine di vite umane, si sono evitati smembramenti di famiglie, si è alleviato (e si allevia) il dolore e l'emarginazione di chi è costretto dai nostri governanti a vivere e morire ai margini della società.

Questo mese abbiamo avuto una serie di spese impreviste, dopo gli sgomberi di Pesaro, attuati con procedure inumane, sgomberi che hanno originato spaventosi drammi umanitari. Presto vi aggiorneremo sul più importante dei progetti realizzati: qualcosa che lascerà una traccia!

Ora però lanciamo a tutti voi un S.O.S.

La famiglia di Rebecca Covaciu, la giovanissima artista Rom di cui si sono occupati i media di tutto il mondo, ha grosse difficoltà con l'affitto dell'appartamentino in cui vive, a Milano. Rebecca e i suoi fratellini frequentano la scuola dell'obbligo con grande profitto, nonostante la povertà. Papà Stelian e mamma Georgina fanno i miracoli per provvedere alle tante necessità e il sostegno del nostro gruppo non sempre è sufficiente, dati i molteplici interventi e la situazione sempre più grave dei perseguitati.

La discriminazione rende difficile inserire i Covaciu nel mercato del lavoro. Abbiamo procurato a Stelian e al figlio maggiore diversi appuntamenti, ma i potenziali datori di lavoro, quando apprendono che si tratta di Rom, non concedono loro un'occasione. Samuel ha 20 anni ed è un grande lavoratore, disposto a lavori di fatica o anche di fiducia. Ha fatto il lavapiatti, il cameriere, l'uomo di fatica. Sa assistere infermi, anziani e bambini.

Chiunque sia in grado di aiutarlo a trovare un lavoro a Milano, darà una grande mano a questa bella, coraggiosa e sfortunata famiglia. Sono utili anche contributi-affitto (anche minimi), via vaglia postale o Western Union.

Ecco il telefono di Rebecca: 380 7575 313

Grazie a chi darà un contribuito in questa azione di giustizia, diritti umani e umanità.

Roberto Malini

Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
+39 3408135204 :: + 39 3313585406
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

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Di Fabrizio (del 19/01/2010 @ 09:26:01, in conflitti, visitato 1860 volte)

Da Roma_Daily_News

Thomas Seibert, Foreign Correspondent

Istanbul, 12/01/2010 - Ercan Koca dice che lui e la sua famiglia devono le loro vite ad una porta ben chiusa.

"Hanno provato per mezzora, ma non sono riusciti a scardinare la porta di ferro," ha detto Koca ai media turchi dopo che la sua casa a Selendi è stata attaccata settimana scorsa. "Se fossero entrati, saremmo stati tutti uccisi. Bruciarono la mia macchina con una molotov." Ha detto che alcuni degli assalitori indossavano maschere.

Oltre 70 persone, tutte Rom come Koca, sono state allontanate dalle loro case a Selendi, una città agricola di 8.000 persone nella provincia di Manisa non lontana dall'Egeo, dopo essere state attaccate da diverse centinaia di Turchi. Le violenze sono iniziate in seguito ad una lite, poi degenerata, tra un proprietario di una casa da the ed un cliente Rom.

Sono state lanciate pietre contro le case dei Rom, mentre gli assalitori gridavano: "Selendi è nostra e rimarrà così," riportano i giornali. Alcuni Rom hanno sentito grida di "Colpite gli zingari" dalla folla.

Ma Musa Yildiz, il proprietario di una casa da the, ha detto che il Rom aveva imprecato contro di lui e l'aveva colpito. La polizia non ha compiuto arresti, ma più tardi ha scortato dozzine di Rom, donne e bambini inclusi, fuori dalla città. Alcuni di loro si sono fermati da parenti nella vicina Gordes, mentre altri sono stati alloggiati a Salihli, più a ovest.

"Da quelle parti ci sono state per molto tempo tensioni tra Rom e non-Rom, e sono esplose settimana scorsa," ha detto ieri Yakup Cardak, presidente dell'Associazione Cultura e Solidarietà Rom, un'organizzazione nella città occidentale di Smirne. "Le autorità locali non avrebbero dovuto permettere che succedesse."

Il governo di Ankara ha promesso di investigare sulle ragioni dietro le violenze e di offrire soluzioni ai problemi.

Gli eventi di Selendi non hanno scioccato soltanto la comunità rom turca. Hanno anche sollevato preoccupazioni più generali che la pace sociale in Turchia possa essere minacciata, soprattutto perché gli attacchi ai Rom di Selendi hanno coinciso con scontri tra altri gruppi in altre parti del paese.

Nella città nord-occidentale di Edirne, attivisti di sinistra che chiedevano il rilascio di diversi amici dalla prigione, sono stati attaccati da un gruppo di nazionalisti turchi, e le notizie dicono che la polizia non è intervenuta a fermare le violenze. I media hanno descritto i disordini a Selendi ed Edirne come "tentativi di linciaggio".

Alcuni osservatori credono che le riforme democratici degli anni recenti, che hanno incoraggiato le minoranze a chiedere più diritti, abbiano alzato il coperchio sulle tensioni etniche e sociali che erano tenute sotto ferreo controllo nel nome dell'unità nazionale. Nel passato, la legge turca proibiva le espressioni di diversità etnica, ma la richiesta di unirsi all'Unione Europea ha cambiato tutto ciò.

Politici di spicco come Abdullah Gul, il presidente, hanno elogiato come un bene la diversità etnica e culturale del paese. Ma i leader di opposizione hanno ammonito che la politica di riforme del governo è una minaccia all'unità nazionale.

"Nel passato, le differenze religiose e le altre potevano diventare evidenti solo in un quadro molto stretto, le voci contro la discriminazione non si udivano," ha scritto Oral Calislar, editorialista del giornale Radikal, dopo gli eventi di Selendi. Ma, ha aggiunto, questo sta cambiando. Scrive Calislar, come fanno progressi le iniziative del governo per espandere i diritti dei Curdi, Rom e Alevi del paese, crescono anche le reazioni dei nazionalisti contro le riforme.

L'associazione Rom di Cardak a Smirne offre un esempio dello sviluppo che la Turchia sta passando. Quando fondò la prima volta l'organizzazione nel 1996, questa venne chiusa immediatamente perche le leggi turche di quel periodo non permettevano di menzionare il nome di un gruppo etnico nel titolo di un'associazione. Cardak, che oggi ha 63 anni, rifondò il gruppo nel 2005, dopo che la Turchia ha promulgato riforme che hanno rinforzato la società civile. Dice che oggi i Rom sentono di avere più diritti.

I Rom vivono in Anatolia da secoli. Non è certa la dimensione della loro comunità della Turchia odierna, perché le leggi non permettono la categorizzazione per etnia dei cittadini, le stime variano tra il mezzo milione e i cinque milioni di persone.

Cardak dice che i Rom erano generalmente ben integrati nella società maggioritaria turca. "Naturalmente ci sono pregiudizi che non si possono superare, ma abbiamo vissuto assieme per secoli e continueremo così."  Ha accolto con favore la discussione sui diritti delle minoranze e la reazione del governo dopo gli incidenti a Selendi. "Non penso che qualcosa di simile succederà ancora."

Alcuni Rom di Selendi non sono così sicuri. Rifiutano di tornare in città anche se le case sono le loro. Rappresentanti di Selendi, incluso il sindaco Nurullah Savas, hanno visitato alcuni dei Rom che sono stati portati fuori dalla città settimana scorsa, e hanno chiesto loro di tornare. Secondo le cronache, Savas, membro del Partito di Azione Nazionale, ha detto ai Rom "Siete nostri fratelli."

Ma risulta che alcuni Rom dicono che i loro bambini sono rimasti traumatizzati dagli eventi. Una delle vittime, Erdal Cetin, ha detto che alcuni dei suoi migliori amici sono stati tra i primi a tirare pietre contro il suo negozio.


15.01.2010 scrive Fazıla Mat

I cittadini di Selendi, nella Turchia occidentale, costringono l'intera popolazione rom a lasciare il paese a seguito di un incidente avvenuto la notte di capodanno. Decine di persone deportate. I commenti dei media e il dibattito sulle minoranze in Turchia

A Selendi, nella provincia di Manisa (Turchia occidentale), fino a una settimana fa viveva una popolazione rom di 74 persone, di cui 15 bambini e 20 donne. Lo scorso 7 gennaio, scortati dalla polizia, sono stati tutti deportati nella località di Gördes. Le autorità avevano mostrato di essere incapaci di difenderli dagli attacchi degli altri abitanti della cittadina.

L'episodio è scaturito da una discussione avvenuta la notte di capodanno. Burhan Uçkun, cittadino rom di Selendi, è entrato in un bar per bere un tè. "Non serviamo da bere agli zingari", gli avrebbe detto il proprietario del locale, che sostiene però di aver solamente intimato a Uçkun di rispettare il divieto di fumo. Sta di fatto che dagli insulti si è passati alle mani, coinvolgendo più persone da entrambe le parti. Alla fine Uçkun è stato portato prima in ospedale e poi al comando di polizia mentre suo padre, non reggendo l'agitazione, è morto di infarto.

Cinque giorni dopo, quando il bar ha riaperto, è scoppiata una nuova rissa tra i parenti del defunto e i frequentatori del locale. A questo punto si è formato un gruppo di circa mille persone che ha attaccato le abitazioni dei rom. Le case sono state prese a sassate, alcuni veicoli sono stati bruciati ed è stato necessario l'intervento della gendarmeria per calmare la folla, che poi è stata mandata a casa.

I rom, invece, sono stati caricati su pullman e trasferiti provvisoriamente nella vicina Gördes. E' chiaro che per loro al momento non si parla di far ritorno nella cittadina dove vivevano da oltre trent'anni, visto che immediatamente dopo il trasferimento i bulldozer hanno raso al suolo gli accampamenti e le baracche in cui abitavano.

I rom attribuiscono gran parte della responsabilità dell'accaduto al sindaco di Selendi, Nurullah Savaş, che avrebbe incitato la folla all'aggressione, e ricordano che prima della sua elezione l'anno scorso dalle file dell'MHP (Partito di Azione Nazionale), non si era mai verificato un caso del genere.

Secondo altre testimonianze, il presidente della provincia di Manisa, Celalettin Güvenç, avrebbe poi chiesto ai rom di firmare un foglio in cui dichiaravano di trasferirsi volontariamente. Güvenç avrebbe anche affermato che erano obbligati ad andarsene, e che non avrebbero potuto più restare nella cittadina.

L'ampio spazio dedicato dai media turchi al caso dei rom di Selendi, descritto come eclatante caso di razzismo, ha tuttavia portato le autorità a dichiarare pubblicamente sostegno e a offrire garanzie agli sfollati. Abdullah Cıstır, presidente dell'Associazione rom di Izmir, ha riferito alla NTV che il presidente della provincia di Manisa avrebbe quindi garantito la protezione dello Stato ai rom che volessero far ritorno a Selendi, aiutandoli a pagare per sei mesi o anche un anno l'affitto di case prefabbricate che verrebbero costruite per loro. Ma sono pochissimi quelli che prendono in considerazione un eventuale ritorno.

"Anziché avere un tetto preferisco dormire all'aperto ma essere in salvo", ha detto un giovane commentando l'invito a tornare. Dodici famiglie intanto, circa quaranta persone, sono state trasferite, sembrerebbe in modo definitivo, nella città di Salihli, nella stessa provincia. Sarebbe stata garantita loro una casa, un sussidio per l'affitto, viveri e riscaldamento per aiutarli a iniziare una nuova vita.

Gli abitanti di Selendi sembrano intanto molto contrariati per il fatto di essere stati bollati come "razzisti", e accusano i media di aver distorto i fatti. Nelle diverse interviste continuano a ripetere che i rom sono dei ladri e degli usurai che bestemmiano e bevono.

L'ex imam della cittadina ha detto che il padre di Uçkun, morto d'infarto la notte di capodanno, "bestemmiava contro Allah e la moschea. Alla fine è stato fulminato e giustizia è stata fatta. Quell'uomo venticinque anni fa aveva sparato ad una persona. Se fossimo razzisti non l'avremmo tenuto qui a quel tempo."

C'è anche chi dice che "i rom potrebbero anche fare ritorno, purché vivano come esseri umani", mentre altri si alterano anche solo a considerare una tale eventualità. Un ex insegnante racconta che in passato ci sono state famiglie che hanno dovuto andarsene via a causa degli atteggiamenti violenti dei rom, e pur affermando che non ci sono scuse per quello che è stato fatto la notte del 5 gennaio conclude: "Ora che se ne sono andati siamo sereni. Se tornassero, loro stessi non lo sarebbero".

La discriminazione dei rom in Turchia in materia di accesso all'istruzione e alle strutture sanitarie, partecipazione sociale, ricerca di un lavoro e ottenimento dei documenti di identità è una situazione oggettiva citata anche nell'ultimo rapporto dell'Unione europea sul Paese. Il governo dell'AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), che finora ha fatto ben poco per rimediare a questo stato di cose, il 10 dicembre scorso ha realizzato il primo incontro del gruppo di lavoro costituito per valutare la condizione dei rom.

La sociologa Neşe Erdilek ricorda che i rom della Turchia hanno iniziato a emergere in pubblico come gruppo sociale dieci anni fa; che precedentemente, proprio perché venivano automaticamente emarginati per la loro identità, hanno cercato sempre di non manifestare la propria origine. Ma la loro situazione ha assunto una fisionomia diversa quando hanno iniziato a costituirsi in associazioni, e la popolazione rom ha smesso di auto-denominarsi "zingaro" (çingene), termine associato ad un'identità negativa, per adottare il termine roman.

La Erdilek spiega però che, facendo ciò, hanno optato per una posizione a favore dell'autorità e del più forte – atteggiamento che avrebbe consentito loro la sopravvivenza anche al tempo degli ottomani – ed è per questo che una gran parte di essi sottolinea sempre la fedeltà allo Stato e alla bandiera turca evidenziando con enfasi la propria differenza da altri gruppi sociali come i kurdi.

Non sarà un caso che Burhan Kuzu, presidente della commissione per la redazione della Costituzione, commentando i fatti di Selendi abbia detto: "I rom sono i nostri cittadini più fedeli, quelli che non hanno mai problemi con il sistema, con il regime e le altre persone. Sono cioè quelle persone che sono da considerarsi le più innocenti e – non che qualcuno debba essere emarginato – proprio quelle da emarginare di meno."

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Di Sucar Drom (del 19/01/2010 @ 09:53:55, in blog, visitato 1540 volte)

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Di Fabrizio (del 19/01/2010 @ 11:12:27, in Italia, visitato 1892 volte)

Sempre sulla situazione del campo di via Salone a Roma, Eugenio Viceconte segnala un suo video di poco tempo fa

 Alla conferenza della Federazione Romanì il rappresentante del campo di via Salone chiede aiuto alla federazione preoccupato per la situazione di molti della comunità che si trovano senza documenti di soggiorno. E' il problema che 3 mesi dopo si sta proponendo con i rom che vengono mandati al CARA di Castelnuovo di Porto


Rassegna da NoBlogo:

Anna Pizzo - Sulla situazione del trasferimento al CARA dei Rom del campo di Salone Jan. 18th, 2010 at 4:17 PM
“Vorrei sapere per quale ragione è stato deciso di trasferire una parte dei rom di via Salone presso il Cara di Castelnuovo di Porto che non è un luogo adatto ad ospitare intere famiglie rom, per la maggior parte nate e cresciute in Italia, ma è un centro provvisorio per rifugiati richiedenti asilo”.

Da tusciaweb.

Sono le stesse perplessità espresse ieri notte da questo blog.

Anna Pizzo ci mette il cuore nel suo essere consigliere regionale.

Questa mattina era al Campo di Salone, e tra le altre cose ha messo l'accento su:
- continuità scolastica dei bambini che frequentano le scuole del territorio e che verranno invece trasferiti lontano dai propri istituti scolastici (ci sono circa 50 km tra Castelnuovo di Porto e la zona della Rustica dove è il Campo di Salone)
- la durata, ad oggi sconosciuta, della deportazione in un luogo inadeguato
- il rischio di disgregazione dei nuclei familiari dovuto alla permanenza in un luogo, il CARA, che non è in grado di garantire una vita normale e regolare alle famiglie con bambini.


Il gioco dei bussolotti ... Jan. 18th, 2010 at 7:46 PM
Forse nelle vecchie fiere qualche zingaro dalla mano veloce c'avrà provato a far fessi i gagé gonzi con il gioco delle tre carte, con le tre tavolette o con i bussolotti. Un peccato veniale.

Questa volta a Roma il banco del gioco dei bussolotti lo tengono il Sindaco Alemanno ed il prefetto Pecoraro che gestisce la perpetua emergenza nomadi.

Con il valido aiuto della Croce Rossa, tra una baracca, un container ed una camerata in un CARA cercano di far sparire lo "Zingaro" sotto gli occhi di tutti.

Dopo mesi di promesse e di assicurazioni, di fasulli riconoscimenti delle rappresentanze dei campi, comincia il vorticoso giro di spostamenti tra i campi.

Questa mattina si è cominciato al Campo di Salone, che sta poco oltre il raccordo zona La Rustica.

130 persone che senza nessuna logica vengono inviate a Castelnuovo di Porto in una struttura classificata come CARA ed a cui viene appiccicata l'incongrua definizione di "richiedenti asilo".

La logica dello spostamento al CARA non è chiara.

Perché mai mandare interi nuclei familiari, sloggiandoli dal container che occupano da anni, in una camerata lurida di un CARA per sbrigare una situazione anagrafica ormai pluri decennale?

Il racconto della mattinata lo fa molto bene Enza Forceri. - "Via di Salone, dai nomadi no al trasferimento: “Via da qui solo morti”.

Le dichiarazioni di Marco Squicciarini della Croce Rossa lasciano più che perplessi, cito dall'articolo di E. Forceri:

“La decisione è stata presa da Comune e Prefettura e ha riguardato le persone che non avevano documenti in regola e avevano fatto richiesta d'asilo - ha spiegato Marco Squicciarini, coordinatore per l'emergenza rom della Croce rossa Italiana - Il prefetto si è anche impegnato a chiudere l'istruttoria per le loro richieste in 15 giorni invece dei due mesi necessari. Questo per tranquillizzare i rom che stamani non volevano partire”.
....
“Qualcuno ha deciso di andarsene - ha continuato Squicciarini - comunque alla fine dell'esame delle richieste, chi ha diritto tornerà nella sua casetta di Salone. Proprio per fugare i loro dubbi, abbiamo lasciato loro le chiavi e dal Cara potranno venire ogni giorno a controllare che tutto sia a posto. È prevista soltanto una disinfestazione interna alle casette”.
La gente di via di Salone ha paura che questa operazione si risolva in una ingiusta espulsione verso paesi, che neanche più conoscono. Speriamo che non sia vero e questa storia della "richiesta d'asilo" si risolva finalmente nei documenti di soggiorno di cui hanno bisogno.

La testimonianza di questa paura la trovate già nelle parole del rappresentante del campo alla conferenza della Federazione Romanì che si è tenuta Roma il 30 ottobre scorso.

E dal racconto di Enza Forceri, e da voci raccolte da amici al Casilino 900, è chiaro che il gioco dei bussolotti rischia anche di diventare una lotta al massacro tra disperati.

La gente di Via Salone va via dal container senza un motivo credibile e con la pura di vedersi scalzata dalle persone del Casilino 900.

Quelli del Casilino 900, che domani cominceranno a muoversi per via Salone, hanno il fondato timore di trovarsi nella situazione di dover affrontare l'ostilità da parte dei vecchi residenti.

Al Casilino la comunità ha indetto un assemblea per giovedì.
Riporto dal gruppo del Casilino 900 questo appello del portavoce del campo:
... oggi siamo nella emergenza di un trasferimento del campo del Casilino 900
chiedo una assemblea generale delle associazioni , cittadini, comitati di quartieri, professori universitari, giornalisti e di tutti coloro che ci conoscono o abbiano la voglia di conoscerci
che si terrà giovedì ore 15 nel piazzale FIGLI DI UN STESSO PADRE
siete tutti invitati

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Di Fabrizio (del 20/01/2010 @ 09:29:32, in Europa, visitato 1496 volte)

Da Romanian_Roma (per ulteriori informazioni, cercare nel blog Guardia Ungherese o Magyar Garda)

[...]

Nell'agosto 2009 Gabor Vona, il presidente del partito ungherese ultra-nazionalista JOBBIK, prese parte ad un campo giovanile organizzato dalla Gioventù Ungherese in Transilvania. La partecipazione di un estremista ungherese ad un evento organizzato in Romania è stata trattata con indifferenza dalle autorità rumene. Allora MCA espresse preoccupazione su questa apparizione ed il suo futuro impatto, ma non si fece niente, né da parte delle autorità, né da parte dell'UDMR, il partito rappresentante la minoranza ungherese di Romania, partito che partecipa al governo appena formato.

Il 12 gennaio 2010, il giornale "Adevarul" informava i lettori sul "Plutonul Secuiesc", una divisione del battaglione "Wass Albert", parte della "Guardia Ungherese", gruppo paramilitare estremista che ha esteso la sua attività in Romania.

La procedura di reclutamento del "Plutonul Secuiesc", come presentato da "Adevarul", include elementi che indicano chiaramente la natura paramilitare di questo gruppo che si sta sviluppando in Romania: domande come "hai servito nell'esercito?", "pratichi sport estremi?", "qual è il tuo grado militare e in quale corpo hai militato?", fanno parte del questionario che i richiedenti devono compilare.

In conclusione. un nuovo soggetto si è aggiunto ai gruppi esistenti estremisti, nazionalisti, anti-democratici in Romania. Questo è un gruppo controllato e formato da un'entità politica straniera, un gruppo che in Ungheria è stato dichiarato illegale. Facciamo appello alle autorità rumene di agire rapidamente e con decisione nel prendere tutte le misure necessarie a bloccare il trasferimento di attività illegali, razziste, ultra-nazionaliste sul suolo rumeno.

Maximillian Marco KATZ and Alexandru Florian
The Center for Monitoring and Combating AntiSemitism in Romania (MCA)

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Di Fabrizio (del 20/01/2010 @ 09:37:10, in Italia, visitato 1531 volte)

VENERDI' 29 GENNAIO ORE 20.30

Presso l'Area Fenderl (Vittorio centro-dietro la stazione ferroviaria)

L'ANPI di Vittorio Veneto in ricorrenza della Giornata della Memoria organizza una serata su: TUTTI I COLORI DELL'OLOCAUSTO

Nei lager i prigionieri erano “classificati” attraverso dei triangoli colorati. Il colore qualificava, negando l’identità ed il percorso esistenziale della persona, la tipologia dei deportati. Così il rosso identificava gli oppositori del regime (politici/partigiani), il verde i criminali comuni, il nero gli “asociali” (gruppo dai contorni indefiniti che comprendeva prostitute, senza fissa dimora, lesbiche, profughi), il blu gli immigrati, gli apolidi e i combattenti della Spagna Repubblicana, il viola i Testimoni di Geova e altri gruppi religiosi (fatta eccezione per i sacerdoti polacchi), il marrone gli zingari (Rom e Sinti), il rosa gli omosessuali. La stella gialla composta da due triangoli contrapposti indicava gli ebrei. In questo caso il triangolo sottostante era sempre giallo, mentre quello superiore poteva essere anche di un altro colore corrispondente alla classificazioni precedentemente elencate.
Questo incontro è un'occasione per conoscere le persone che furono perseguitate durante la dittatura nazista e fascista. Saranno rappresentate le componenti etniche, religiose e sociali che il totalitarismo nazifascista perseguitava. A testimonianze sul passato e considerazioni sul nostro presente si accompagnerà un’introduzione e un inquadramento storico da parte di Daniele Ceschin, il quale porrà particolare attenzione alla situazione locale.

Partecipano:

Eliseo Moro
Partigiano del battaglione Bixio, catturato nel gennaio 1945 e deportato nel lager di Dachau. Presidente dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (Aned) Sezione di Pordenone

Alessandro Zan
Presidente regionale Arcigay Veneto

Loris Levak
Presidente dell’Associazione Rom Kalderash, figlio di Mirko Levak, ex deportato sopravissuto ad Auschwitz

Daniele Ceschin
Storico, membro del Comitato Direttivo dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana

Contatti:
anpivittorioveneto@gmail.com
328 8935643
347 1024232 (dopo le 19)

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