Da
Roma_Daily_News
Thomas Seibert, Foreign
Correspondent
Istanbul, 12/01/2010 - Ercan Koca dice che lui e la sua famiglia devono le loro
vite ad una porta ben chiusa.
"Hanno provato per mezzora, ma non sono riusciti a scardinare la porta di
ferro," ha detto Koca ai media turchi dopo che la sua casa a Selendi è stata
attaccata settimana scorsa. "Se fossero entrati, saremmo stati tutti uccisi.
Bruciarono la mia macchina con una molotov." Ha detto che alcuni degli
assalitori indossavano maschere.
Oltre 70 persone, tutte Rom come Koca, sono state allontanate dalle loro case
a Selendi, una città agricola di 8.000 persone nella provincia di Manisa non
lontana dall'Egeo, dopo essere state attaccate da diverse centinaia di Turchi.
Le violenze sono iniziate in seguito ad una lite, poi degenerata, tra un
proprietario di una casa da the ed un cliente Rom.
Sono state lanciate pietre contro le case dei Rom, mentre gli assalitori
gridavano: "Selendi è nostra e rimarrà così," riportano i giornali. Alcuni Rom
hanno sentito grida di "Colpite gli zingari" dalla folla.
Ma Musa Yildiz, il proprietario di una casa da the, ha detto che il Rom aveva
imprecato contro di lui e l'aveva colpito. La polizia non ha compiuto arresti,
ma più tardi ha scortato dozzine di Rom, donne e bambini inclusi, fuori dalla
città. Alcuni di loro si sono fermati da parenti nella vicina Gordes, mentre
altri sono stati alloggiati a Salihli, più a ovest.
"Da quelle parti ci sono state per molto tempo tensioni tra Rom e non-Rom, e
sono esplose settimana scorsa," ha detto ieri Yakup Cardak, presidente
dell'Associazione Cultura e Solidarietà Rom, un'organizzazione nella città
occidentale di Smirne. "Le autorità locali non avrebbero dovuto permettere che
succedesse."
Il governo di Ankara ha promesso di investigare sulle ragioni dietro le
violenze e di offrire soluzioni ai problemi.
Gli eventi di Selendi non hanno scioccato soltanto la comunità rom turca.
Hanno anche sollevato preoccupazioni più generali che la pace sociale in Turchia
possa essere minacciata, soprattutto perché gli attacchi ai Rom di Selendi hanno
coinciso con scontri tra altri gruppi in altre parti del paese.
Nella città nord-occidentale di Edirne, attivisti di sinistra che chiedevano
il rilascio di diversi amici dalla prigione, sono stati attaccati da un gruppo
di nazionalisti turchi, e le notizie dicono che la polizia non è intervenuta a
fermare le violenze. I media hanno descritto i disordini a Selendi ed Edirne
come "tentativi di linciaggio".
Alcuni osservatori credono che le riforme democratici degli anni recenti, che
hanno incoraggiato le minoranze a chiedere più diritti, abbiano alzato il
coperchio sulle tensioni etniche e sociali che erano tenute sotto ferreo
controllo nel nome dell'unità nazionale. Nel passato, la legge turca proibiva le
espressioni di diversità etnica, ma la richiesta di unirsi all'Unione Europea ha
cambiato tutto ciò.
Politici di spicco come Abdullah Gul, il presidente, hanno elogiato come un
bene la diversità etnica e culturale del paese. Ma i leader di opposizione hanno
ammonito che la politica di riforme del governo è una minaccia all'unità
nazionale.
"Nel passato, le differenze religiose e le altre potevano diventare evidenti
solo in un quadro molto stretto, le voci contro la discriminazione non si
udivano," ha scritto Oral
Calislar, editorialista del giornale Radikal, dopo gli eventi di Selendi. Ma, ha
aggiunto, questo sta cambiando. Scrive Calislar, come fanno progressi le
iniziative del governo per espandere i diritti dei Curdi, Rom e Alevi del paese,
crescono anche le reazioni dei nazionalisti contro le riforme.
L'associazione Rom di Cardak a Smirne offre un esempio dello sviluppo che la
Turchia sta passando. Quando fondò la prima volta l'organizzazione nel 1996,
questa venne chiusa immediatamente perche le leggi turche di quel periodo non
permettevano di menzionare il nome di un gruppo etnico nel titolo di
un'associazione. Cardak, che oggi ha 63 anni, rifondò il gruppo nel 2005, dopo
che la Turchia ha promulgato riforme che hanno rinforzato la società civile.
Dice che oggi i Rom sentono di avere più diritti.
I Rom vivono in Anatolia da secoli. Non è certa la dimensione della loro
comunità della Turchia odierna, perché le leggi non permettono la
categorizzazione per etnia dei cittadini, le stime variano tra il mezzo milione
e i cinque milioni di persone.
Cardak dice che i Rom erano generalmente ben integrati nella società
maggioritaria turca. "Naturalmente ci sono pregiudizi che non si possono
superare, ma abbiamo vissuto assieme per secoli e continueremo così." Ha
accolto con favore la discussione sui diritti delle minoranze e la reazione del
governo dopo gli incidenti a Selendi. "Non penso che qualcosa di simile
succederà ancora."
Alcuni Rom di Selendi non sono così sicuri. Rifiutano di tornare in città
anche se le case sono le loro. Rappresentanti di Selendi, incluso il sindaco Nurullah
Savas, hanno visitato alcuni dei Rom che sono stati portati fuori dalla città
settimana scorsa, e hanno chiesto loro di tornare. Secondo le cronache, Savas,
membro del Partito di Azione Nazionale, ha detto ai Rom "Siete nostri fratelli."
Ma risulta che alcuni Rom dicono che i loro bambini sono rimasti
traumatizzati dagli eventi. Una delle vittime, Erdal Cetin, ha detto che alcuni
dei suoi migliori amici sono stati tra i primi a tirare pietre contro il suo
negozio.
15.01.2010 scrive Fazıla Mat
I cittadini di Selendi, nella Turchia occidentale, costringono l'intera
popolazione rom a lasciare il paese a seguito di un incidente avvenuto la notte
di capodanno. Decine di persone deportate. I commenti dei media e il dibattito
sulle minoranze in Turchia
A Selendi, nella provincia di Manisa (Turchia occidentale), fino a una
settimana fa viveva una popolazione rom di 74 persone, di cui 15 bambini e 20
donne. Lo scorso 7 gennaio, scortati dalla polizia, sono stati tutti deportati
nella località di Gördes. Le autorità avevano mostrato di essere incapaci di
difenderli dagli attacchi degli altri abitanti della cittadina.
L'episodio è scaturito da una discussione avvenuta la notte di capodanno. Burhan
Uçkun, cittadino rom di Selendi, è entrato in un bar per bere un tè. "Non
serviamo da bere agli zingari", gli avrebbe detto il proprietario del locale,
che sostiene però di aver solamente intimato a Uçkun di rispettare il divieto di
fumo. Sta di fatto che dagli insulti si è passati alle mani, coinvolgendo più
persone da entrambe le parti. Alla fine Uçkun è stato portato prima in ospedale
e poi al comando di polizia mentre suo padre, non reggendo l'agitazione, è morto
di infarto.
Cinque giorni dopo, quando il bar ha riaperto, è scoppiata una nuova rissa tra i
parenti del defunto e i frequentatori del locale. A questo punto si è formato un
gruppo di circa mille persone che ha attaccato le abitazioni dei rom. Le case
sono state prese a sassate, alcuni veicoli sono stati bruciati ed è stato
necessario l'intervento della gendarmeria per calmare la folla, che poi è stata
mandata a casa.
I rom, invece, sono stati caricati su pullman e trasferiti provvisoriamente
nella vicina Gördes. E' chiaro che per loro al momento non si parla di far
ritorno nella cittadina dove vivevano da oltre trent'anni, visto che
immediatamente dopo il trasferimento i bulldozer hanno raso al suolo gli
accampamenti e le baracche in cui abitavano.
I rom attribuiscono gran parte della responsabilità dell'accaduto al sindaco di
Selendi, Nurullah Savaş, che avrebbe incitato la folla all'aggressione, e
ricordano che prima della sua elezione l'anno scorso dalle file dell'MHP
(Partito di Azione Nazionale), non si era mai verificato un caso del genere.
Secondo altre testimonianze, il presidente della provincia di Manisa, Celalettin
Güvenç, avrebbe poi chiesto ai rom di firmare un foglio in cui dichiaravano di
trasferirsi volontariamente. Güvenç avrebbe anche affermato che erano obbligati
ad andarsene, e che non avrebbero potuto più restare nella cittadina.
L'ampio spazio dedicato dai media turchi al caso dei rom di Selendi, descritto
come eclatante caso di razzismo, ha tuttavia portato le autorità a dichiarare
pubblicamente sostegno e a offrire garanzie agli sfollati. Abdullah Cıstır,
presidente dell'Associazione rom di Izmir, ha riferito alla NTV che il
presidente della provincia di Manisa avrebbe quindi garantito la protezione
dello Stato ai rom che volessero far ritorno a Selendi, aiutandoli a pagare per
sei mesi o anche un anno l'affitto di case prefabbricate che verrebbero
costruite per loro. Ma sono pochissimi quelli che prendono in considerazione un
eventuale ritorno.
"Anziché avere un tetto preferisco dormire all'aperto ma essere in salvo", ha
detto un giovane commentando l'invito a tornare. Dodici famiglie intanto, circa
quaranta persone, sono state trasferite, sembrerebbe in modo definitivo, nella
città di Salihli, nella stessa provincia. Sarebbe stata garantita loro una casa,
un sussidio per l'affitto, viveri e riscaldamento per aiutarli a iniziare una
nuova vita.
Gli abitanti di Selendi sembrano intanto molto contrariati per il fatto di
essere stati bollati come "razzisti", e accusano i media di aver distorto i
fatti. Nelle diverse interviste continuano a ripetere che i rom sono dei ladri e
degli usurai che bestemmiano e bevono.
L'ex imam della cittadina ha detto che il padre di Uçkun, morto d'infarto la
notte di capodanno, "bestemmiava contro Allah e la moschea. Alla fine è stato
fulminato e giustizia è stata fatta. Quell'uomo venticinque anni fa aveva
sparato ad una persona. Se fossimo razzisti non l'avremmo tenuto qui a quel
tempo."
C'è anche chi dice che "i rom potrebbero anche fare ritorno, purché vivano come
esseri umani", mentre altri si alterano anche solo a considerare una tale
eventualità. Un ex insegnante racconta che in passato ci sono state famiglie che
hanno dovuto andarsene via a causa degli atteggiamenti violenti dei rom, e pur
affermando che non ci sono scuse per quello che è stato fatto la notte del 5
gennaio conclude: "Ora che se ne sono andati siamo sereni. Se tornassero, loro
stessi non lo sarebbero".
La discriminazione dei rom in Turchia in materia di accesso all'istruzione e
alle strutture sanitarie, partecipazione sociale, ricerca di un lavoro e
ottenimento dei documenti di identità è una situazione oggettiva citata anche
nell'ultimo rapporto dell'Unione europea sul Paese. Il governo dell'AKP (Partito
della Giustizia e dello Sviluppo), che finora ha fatto ben poco per rimediare a
questo stato di cose, il 10 dicembre scorso ha realizzato il primo incontro del
gruppo di lavoro costituito per valutare la condizione dei rom.
La sociologa Neşe Erdilek ricorda che i rom della Turchia hanno iniziato a
emergere in pubblico come gruppo sociale dieci anni fa; che precedentemente,
proprio perché venivano automaticamente emarginati per la loro identità, hanno
cercato sempre di non manifestare la propria origine. Ma la loro situazione ha
assunto una fisionomia diversa quando hanno iniziato a costituirsi in
associazioni, e la popolazione rom ha smesso di auto-denominarsi "zingaro" (çingene),
termine associato ad un'identità negativa, per adottare il termine roman.
La Erdilek spiega però che, facendo ciò, hanno optato per una posizione a favore
dell'autorità e del più forte atteggiamento che avrebbe consentito loro la
sopravvivenza anche al tempo degli ottomani ed è per questo che una gran parte
di essi sottolinea sempre la fedeltà allo Stato e alla bandiera turca
evidenziando con enfasi la propria differenza da altri gruppi sociali come i
kurdi.
Non sarà un caso che Burhan Kuzu, presidente della commissione per la redazione
della Costituzione, commentando i fatti di Selendi abbia detto: "I rom sono i
nostri cittadini più fedeli, quelli che non hanno mai problemi con il sistema,
con il regime e le altre persone. Sono cioè quelle persone che sono da
considerarsi le più innocenti e non che qualcuno debba essere emarginato
proprio quelle da emarginare di meno."