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\\ Mahalla : VAI : Regole (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 14/06/2013 @ 08:50:56, in Regole, visitato 3361 volte)

Ricevo da Stefania Benedetti:

Milano: 13 giugno 2013 - Oggi ero da Marina ad aiutare le figlie con i compiti per le vacanze quando sono arrivate Nadia, Tora, Katiuscia con il piccolo Louis e Michelle sconvolte e agitate per avere subito un episodio di puro razzismo... chi le conosce sa come sono, donne per bene , vestite alla moda come noi gagè per cui fa ancora più impressione per come sono state trattate... Mi sale la rabbia e vado con Nadia e Tora nel luogo dove è accaduto il fatto per chiedere spiegazioni...
Poi mi faccio raccontare tutto per filo e segno quello che è successo dalle mie amiche e ve lo scrivo con la preghiera di diffondere il racconto alla stampa...


Visualizzazione ingrandita della mappa

Alle 18,00/18,30 circa 4 donne (e un bambino piccolo in braccio alla sua mamma) si recano nel centro commerciale situato tra via Derna e via Palmanova [vedi piantina sopra, ndr].
Entrano nel negozio di scarpe Pittarello. Stanno facendo un giro per il negozio quando improvvisamente vengono affiancate da due poliziotti che gli intimano di uscire perché: - Persone come voi non sono gradite - Le donne allibite chiedono il motivo anzi una di loro si rivolge alla commessa che era lì di fianco e le chiede :- Ho fatto qualcosa?- risponde la commessa: - No! un'altra dice a un poliziotto: - Chiami il Direttore perché mi conosce bene, vengo spesso qui a comprare le scarpe - il poliziotto - Non c'è! E comunque ripeto qui non vi vogliono - I clienti del negozio si girano e le guardano. La donna che ha in braccio il figlio di pochi mesi esclama: - Ci fate fare brutta figura e ci fate vergognare davanti alla gente - Il poliziotto risponde:- Proprio te parli di vergogna andiamo a vedere la tua fedina penale! -
- Se vuole andiamo - Ribatte quest'ultima . - Non fare la gradassa perché hai il bambino in braccio! Vi consiglio di andare via. Se volete rientrare sono fatti vostri! - Le donne escono dicendo : - Noi non rubiamo perche lavoriamo, io - dice una delle 4 - lavoro da 20 anni nella scuola di via Russo - Allora uno dei due poliziotti è rimasto zitto mentre l'altro ha continuato ad inveire...


Alle 19 vado nel negozio a chiedere spiegazioni e dicendo ai commessi che finiranno sul giornale per il loro comportamento, una commessa si affretta a scusarsi con le mie amiche per l'increscioso incidente (perché non l'ha fatto prima con i poliziotti?) dicendo che la Polizia non l'hanno chiamata per loro ma per dei ladri che poco prima erano entrati in negozio per rubare ed erano scappati ( ma che c'entra!!!)
Stefania


Nota dalla redazione

Lo confesso, prima di adesso ignoravo persino di cosa si occupasse Pittarello. Quando l'ho scoperto, mi sono un po' preoccupato:

, "Questione di cuore" recita il claim. In realtà, si tratta di scarpe. E loro, col cuore, ci tengono al cliente, e pure all'immagine. Sono su Facebook,su Twitter e anche su Google +. In parole povere, sono in mezzo a noi, ad un clic di distanza.

Cioè, PENSATE CHE BELLO: se chi ha letto questa notizia vuol protestare, e lo vuol fare anche chi la diffonde, ci vuole poche ad inondare le loro bacheche. VOGLIAMO FARLO? METTIAMOCI D'ACCORDO.

E facciamoglielo capire, col cuore - naturalmente, dove loro sono più interessati:

  • in un simile periodo di crisi ci vuol poco a rivolgersi ad altri "brand" per scarpe, stivali e calzature varie.

Visto che questi non sono piccoli artigiani, facciamo lavorare i loro esperti di marketing su quanti potenziali clienti hanno perso.

Voi, che ne pensate?

 
Di Fabrizio (del 22/06/2013 @ 09:08:44, in Regole, visitato 1564 volte)

Da deputata EU a richiedente asilo in Canada: il lungo viaggio di una Romnì - 16 giugno 2013 | Mirjam Donath | Reuters - Chicago Tribune - (Reporting by Mirjam Donath; Editing by Claudia Parsons and Tim Dobbyn)

TORONTO (Reuters) - Meno di quattro anni fa, Viktoria Mohacsi si godeva la vita da politica internazionale, mangiando nei costosi ristoranti di Bruxelles e ottenendo premi come attivista dei diritti umani.

Oggi, trentotto anni e madre di tre figli, dorme sul pavimento di un seminterrato di Toronto e rischia la deportazione. In quanto richiedente asilo, spera di convincere il Canada che la vita di un ex membro del Parlamento Europeo può essere in pericolo in un paese democratico come l'Ungheria.

Racconterà martedì la sua storia nel corso di un'audizione di fronte all'Immigration and Refugee Board. Un banco di prova per la nuova politica migratoria del governo canadese, che considera "sicuri" quasi tutti i paesi EU. Mohacsi, che è rom, sostiene che se tornasse in Ungheria sarebbe a rischio di violenze da parte di gruppi razzisti e di persecuzioni da parte del governo ungherese.

Se perdesse, sarebbe rimpatriata. Se vincesse, il suo caso darebbe speranza agli altri richiedenti asilo della comunità rom dell'Europa centrale e orientale, che attualmente alcuni in Canada considerano come migranti per lavoro, o peggio - criminali che vogliono abusare di un sistema generoso.

Il governo conservatore a dicembre ha inasprito la legge sui rifugiati, per dare un giro di vite a quello che dice essere un'ondata di falsi richiedenti asilo dall'Unione Europea, che cercherebbero di trarre vantaggio dai generosi programmi di welfare. Molti di questi sarebbero Rom. Jason Kenney, ministro all'immigrazione, ha individuato l'Ungheria come principale sorgente dei richiedenti asilo in Canada negli ultimi tre anni, anche se gli Ungheresi, in quanto cittadini UE, possono girare liberamente all'interno del blocco.

Il governo canadese afferma che mentre desidera che il paese rimanga una delle destinazioni preferite per i rifugiati, è sommerso da gente che finge di fuggire da persecuzioni. Le cifre ufficiali mostrano che il Canada ha concesso asilo negli ultimi quattro anni ad oltre 300 Ungheresi, la maggior parte dei quali, dicono gli esperti di immigrazione, erano Rom. Il ministero non si pronuncia sui singoli casi.

Il governo ungherese ha respinto l'ipotesi che qualsiasi suo cittadino, compresa Mohacsi, possa trovarsi in pericolo in Ungheria. "Per quanto ci sia del lavoro da fare nel combattere i pregiudizi contro le minoranze, la sicurezza di una particolare comunità, in generale, non è in discussione," ha detto un portavoce governativo. Ha poi aggiunto: "Se la signora Mohacsi ha le prove di un piano criminale da parte delle forze di sicurezza ungheresi nel violare i suoi diritti costituzionali, il governo le chiede di presentarle agli enti preposti."

CRESCITA RAPIDA

Per molto tempo Mohacsi è stata una delle Romnià più conosciute in Ungheria. La sua ascesa da seduta nel fondo di un'aula scolastica in un piccolo paese ungherese assieme ad altri scolari rom, a seduta nel semicerchio del Parlamento Europeo, è stata rapida. A 20 anni, la piccola donna con gli occhi da cerbiatto divenne la prima femmina rom presentatrice nella principale televisione ungherese, prima di darsi alla politica

"Ero una dolce zingarella che non si poteva fare a meno di aiutare," dice Mohacsi, parlando in ungherese durante un'intervista alla Reuters di Toronto. "Fui sostenuta e ce la feci, entrai nella vita pubblica." Si sposò con Gabor Bernath, direttore del Roma Media Center, con forti collegamenti con i circoli che contano nel partito liberale ungherese.

Quando le elite politiche ungheresi finirono sotto pressione sulla questione della piena rappresentazione delle minoranze, divenne commissario speciale per il ministero all'istruzione, lavorando al programma per desegregare le scuole. A 29 anni, fu una delegata al Parlamento Europeo, madre di due bambini adottati e "ambasciatrice" non-ufficiale dei Rom.

I problemi iniziarono con una serie di violenti attacchi contro i Rom, attraverso tutta l'Europa all'inizio del 2008. Mohacsi viaggiò ossessivamente per tutta l'Ungheria da una scena del crimine all'altra, raccogliendo informazioni. Spinse le vittime che erano riluttanti per paura della polizia, a farsi avanti e denunciare i crimini, spingendo la polizia ad indagare

Arrivò la mattina presto di uno scuro febbraio, nel villaggio di Tatarszentgyorgy dove un uomo e suo figlio di 5 anni erano stai colpiti a morte, mentre fuggivano dalla loro casa data alle fiamme. Un'indagine interna alla polizia confermò che la scena del crimine non era stata resa sicura per ore. Si confrontò con la polizia quando scoprì che avevano riportato che le vittime erano morte per inalazione dei fumi e chiamò direttamente il capo dei "casi delicati" all'Ufficio Nazionale Investigazioni.

"Quando esaminai le foto, vidi subito che lei aveva ragione (erano stati colpiti da armi da fuoco)," disse Lajos Kovacs, detective ora in pensione a cui si rivolse, aggiungendo che l''aiuto di Mohacsi fu "indiscutibile".

Due poliziotti dell'unità coinvolta hanno poi subito provvedimenti disciplinari interni. Attualmente quattro persone sono sotto processo per una serie di attacchi anti-Rom nel 2008-2009., incluso l'uccisione dell'uomo e di suo figlio a Tatarszentgyorgy.

Il governo ungherese ha sottolineato quelle misure - come lo scioglimento del gruppo paramilitare Guardia Ungherese, responsabile di assalti anti-rom - come prova delle misure adottate a favore dei Rom dopo gli omicidi.

Facendo eco ai funzionari canadesi, il governo ungherese ha anche detto che la criminalità organizzata coinvolta nel traffico di persone, sarebbe dietro ad un numero cospicuo di richiedenti asilo in Canada, trovati con motivazioni non genuine.

Alla richiesta di un commento su questa vicenda, il dipartimento della polizia ungherese non ha risposto.

IN PERICOLO O NO?

Poco dopo aver parlato del caso Tatarszentgyorgy, dice Mohacsi, iniziò a ricevere email minacciose in cui veniva chiamata "lurida zingara puzzolente" e "sporco animale" che "presto [morirà] assieme a tutta la tua razza." Scatenò critiche il suo commento che un giocatore di pallamano ucciso avrebbe provocato i suoi assassini rom (che ora sono in prigione per omicidio). Chiese e ricevette la protezione della polizia a casa.

Un elemento chiave negli argomenti di Mohacsi, che sarebbe posta in pericolo dalle autorità in caso di ritorno, è la sua conoscenza di un rapporto dell'Ufficio per la Sicurezza Nazionale riguardo gli attacchi anti-rom nel 2008-2009. Il rapporto pubblicato dal Comitato Parlamentare per la Sicurezza Nazionale concludeva affermando che i servizi segreti avevano seguito gli assalitori e avevano ampie informazioni su di loro, già anni prima che venissero commessi omicidi seriali. Parte del rapporto è stato secretato.

Mohacsi dice di non aver visto il rapporto integrale, ma di avere avuto delle conversazioni a riguardo, inclusa una con Jozsef Gulyas, capo del comitato che aveva commissionato il rapporto.

Gulyas, allora politico dei liberali, e uno tra gli autori del rapporto, dice di non vedere la ragione per cui una parto dello stesso sarebbe stata secretata o perché Mohacsi debba aver avuto timori e lasciare il paese. Parlando al telefono dall'Ungheria, ha detto che il rapporto indicava gli errori che i servizi segreti avevano compiuto durante le indagini sugli attacchi contro i Rom, fossero più che semplice negligenza. Ma aggiungeva: "Non ho mai detto che le autorità abbiano partecipato direttamente agli eventi."

Dice Gulyas: "Sono d'accordo che per un Rom non è facile vivere in Ungheria, ma che lei sostenga che la sua vita sarebbe a rischio, è un'esagerazione poetica."

Kenney, ministro canadese all'immigrazione, ha visitato l'Ungheria ad ottobre, dopodiché dei cartelloni avevano fatto la loro apparizione nella città di Miskolc, patria di molti Rom, che anticipavano il cambiamento delle leggi canadesi in materia di immigrazione, e aggiungevano che quanti non avevano titolo per richiederla sarebbero presto stati rimpatriati. Secondo il ministero dell'immigrazione, nei primi tre mesi del 2013, le richieste di asilo dall'Ungheria, il paese in cima alla lista canadese, sono scese del 98% rispetto al passato, con solo nove Ungheresi in cerca di asilo.

Il caso Mohacsi viene seguito con attenzione in Ungheria e in altri paesi dell'Europa Centrale e Orientale che hanno significative presenze di popolazione Rom.

Aladar Horvath, importante attivista e primo Rom del parlamento ungherese, ha visitato Toronto questa primavera, per operare come testimone esperto in un altro caso di asilo.

Dice che una decisione positiva nel caso Mohacsi "rovescerebbe la posizione politica che l'Ungheria è un paese sicuro."

 
Di Fabrizio (del 26/06/2013 @ 09:00:49, in Regole, visitato 1468 volte)

CORRIEREIMMIGRAZIONE, di Sveva Haertter

I cittadini non sono mai "nuovi", "vecchi" o a metà: è lo Stato a essere in ritardo. Le riflessioni di Sveva Haertter, nata a Roma ma italiana solo dal 1983.

Sono nata a Roma nel 1965. Mia madre era italiana, ma siccome mio padre era tedesco e in quegli anni lo "ius sanguinis" era anche sessista - e lesivo degli articoli 3 e 29 della Costituzione - mi hanno dato la cittadinanza tedesca. Non c'era ancora la Comunità Europea e quindi in Italia ero considerata straniera a pieno titolo, mi serviva il permesso di soggiorno da rinnovare ogni anno e per qualsiasi cosa era necessario presentare un mare di certificati.

Il 21 aprile 1983, dopo una sentenza della Corte Costituzionale e un parere del Consiglio di Stato, venne fatta una nuova legge che poneva rimedio all'illegittimità costituzionale di quella precedente, facendo sì che fosse cittadino per nascita il figlio minore, anche adottivo, di padre o di madre cittadini.

Il passaggio non era però automatico e quindi, una ventina di giorni dopo, appena compiuti i 18 anni, feci domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Nel giugno 1983, diventata maggiorenne e italiana il mese prima, ho potuto votare alle elezioni politiche. Sulle liste elettorali il mio nome era stato aggiunto a mano all'ultimo momento e io non avevo ancora fatto in tempo ad ottenere dei documenti italiani... Tutto sommato mi è andata bene e non avuto particolari difficoltà, sicuramente anche perché ho la pelle bianca e questo rende tutto più facile, in Italia come in tanti altri posti.

Ma non è una storia un po' assurda? Chiaro che, se non altro per fatto personale, ritengo l'introduzione dello "ius soli" non solo necessaria, ma urgente.
Altrettanto chiaro è però che anche se lo "ius soli" venisse introdotto oggi stesso, resterebbe la legge Bossi-Fini, la tassa sul permesso di soggiorno, i Cie, non sarebbe risolta la questione del diritto di asilo, né sparirebbero automaticamente il razzismo e le discriminazioni e un mare di altri problemi che non sto ora qui ad elencare, anche se in effetti non se ne può parlare mai abbastanza.

Ma come si definisce una come me? Sono forse anch'io una "nuova cittadina"? E da dove viene fuori questa espressione? Già semplicemente per il fatto che sono passati 30 anni, come cittadina tanto "nuova" non sono...

Ne scrivo perché questa espressione mi da un po' sui nervi e non per ragioni formali. Mi fa pensare a uno con il vestito della domenica, una cravatta bruttissima e il sorriso a 32 denti che dice "Eccomi! Sono qui, sono buono e voglio tanto integrarmi! Faccio tutto quello che volete!" o qualcosa del genere. Ma soprattutto mi pare che sposti l'asse del ragionamento.

Se è corretto definire la cittadinanza come una condizione giuridica nella quale ad una persona viene riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici, come fa un cittadino a essere "nuovo"? Ce ne sono forse di "vecchi"? E quale sarebbe la differenza? Certamente se una persona ha acquisito la cittadinanza da poco, si può definire come "nuova" la sua condizione, ma che c'entra? Insomma, penso che sia proprio sbagliato parlare di "nuovi cittadini", mentre sicuramente è necessario rinnovare il concetto di cittadinanza in termini giuridici, legislativi, sociologici, e via dicendo.

Secondo me parlando di "nuovi cittadini" si vuole proprio ottenere l'effetto di spostare il ragionamento sul fatto che le persone, in quanto "nuove", devono dimostrare il proprio valore, la propria utilità. Essere insomma sottoposte ad una sorta di collaudo/rodaggio per poi finire magari nella condizione precedente in caso di funzionamento insoddisfacente... E infatti in questo periodo si sente dire di tutto. Si è parlato persino dell'ipotesi di legare lo "ius soli" a percorsi di scolarizzazione. E a uno che ha la cittadinanza in base allo "ius sanguinis", ma magari è analfabeta, qualcuno si è forse posto il problema di toglierla?

Di includere poi la categoria degli "immigrati" in quanto tale nell'attuale dibattito sulla cittadinanza, se non per quanto riguarda appunto i figli nati in Italia, non se ne parla proprio e già è tanto se negli ultimi anni è assurta fino allo status di "risorsa"...

In Germania si usa parlare di persone "mit Migrationshintergrund", che tradotto significa grosso modo "persone che hanno alle spalle una storia di migrazione". Non so se è corretto come modo di dire, comunque l'approccio mi pare un po' più inclusivo.

E poi qualche eccezione che conferma la regola c'è sempre. Come me, che però particolari problemi non ne ho avuti, anche se un po' spaesata forse a volte lo sono, sia in Italia che in Germania.

Parliamo insomma di una questione di diritti da riconoscere alle persone che nascono e risiedono in questo paese, con tutta la complessità che questo implica e che non si può ricomprendere in un'espressione come "nuovi cittadini". Non ci sono cittadini "nuovi" o "vecchi" o persone catalogabili per numero di generazioni alla quale si presume appartengano (in base a quale criterio di conteggio poi?) o altre cose ancora.

È semplicemente lo Stato ad essere in grandissimo ritardo. Forse è sufficiente partire almeno da questo.

 
Di Fabrizio (del 01/07/2013 @ 09:01:50, in Regole, visitato 1437 volte)

Il 21 Giugno 2013 la Sezione civile del tribunale di Pescara ha pubblicata la sentenza di condanna del Popolo della libertà e della Lega nord per la pubblicazione e la diffusione di dichiarazioni di carattere discriminatorio in pregiudizio della comunità rom di Pescara, per fatti accaduti nel maggio 2012.

Copia della sentenza nel sito della Fondazione romanì Italia alla sezione news.

La sentenza del Tribunale di Pescara riconosce e condanna Pdl e Lega nord per la discriminazione verso la minoranza rom di Pescara, mentre non riconosce il risarcimento del danno chiesto dai ricorrenti (Associazione Studi Giuridici Italiana, Associazione RomSinti @ politica, Guarnieri Nazzareno, Spinelli Attilio, Di Rocco Carmine) perché "alcun atto discriminatorio risulta essere stato compiuto nei confronti dei ricorrenti".

Per noi che da molti anni e quotidianamente siamo impegnanti sulla tematica della discriminazione razziale e della integrazione culturale è importante la sentenza di condanna per discriminazione razziale del Tribunale di Pescara perché da troppo tempo anche in Abruzzo la pubblicazione e la diffusione di dichiarazioni di carattere discriminatorio, in pregiudizio della comunità rom, sono reiterate ed impunite.

La Fondazione romanì Italia si impegnerà con stimoli e proposte ad enti locali ed istituzioni affinché questa sentenza sia il punto di svolta per il ripristino della legalità a tutto tondo, valida per tutti e per ciascuno, ed il punto di partenza per avviare percorsi strutturati di integrazione culturale della minoranza rom, rispettosi della diversità culturale ed a beneficio di tutta la collettività, evitando ogni forma di buonismo e di assistenzialismo.

Fondazione Romanì newsletter

 
Di Fabrizio (del 05/08/2013 @ 09:09:09, in Regole, visitato 1289 volte)

Segnalazione di Giacomo Marino

- Patrizia Maiocchi - 1 agosto 2013

Il blog razzista è un'associazione per delinquere. Per la Corte di Cassazione le pene per i reati associativi, previsti dalla legge 654/1975 in linea con la Convenzione di New York (modificata dalla legge 205/1993) sono estensibili alle comunità virtuali, dalle chat ai social network, che incitano all'odio razziale. Messaggi tanto più efficaci proprio perché affidati alla forza comunicativa delle nuove tecnologie.

La Suprema corte (sentenza 33179, depositata ieri) respinge il ricorso del coordinatore di un sito internet finalizzato a ingrossare le fila dei sostenitori della superiorità della razza. L'imputato chiedeva di essere assolto in nome della libertà di pensiero e negava la giurisdizione del giudice italiano perché il sito-madre era stato costituito negli Stati Uniti e operava su un server estero. Inoltre rivendicava il diritto ad essere trattato al pari di un direttore di giornale.

Contestazioni che la Cassazione non ha difficoltà a smontare. Il collegio della III sezione specifica che il giudice italiano è competente a esprimersi sulla diffamazione aggravata dall'odio razziale, anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all'estero, purché l'offesa sia stata percepita dai fruitori che si trovano in Italia.

Nel caso esaminato l'attività del ricorrente e dei suoi supporter aveva diversi scopi: fare proseliti, istigare a compiere azioni dimostrative nel territorio italiano, raccogliere fondi per la "causa" e dare giudizi sulle persone o sugli episodi. Uno dei punti forti degli "opinionisti" era quello di bollare come "traditori" e "delinquenti italiani" i sostenitori dell'uguaglianza e dell'integrazione con gli immigrati. Cade naturalmente anche la pretesa di avere la tutela costituzionale che garantisce la libera manifestazione del pensiero e di associazione: entrambe vengono meno quando la libertà viene male usata per istigare alla discriminazione. Nessuna possibilità per il ricorrente di essere assimilato al direttore di un giornale: in primo luogo, perché era stata riconosciuta la sua responsabilità come organizzatore e moderatore del blog incriminato, poi perché la stessa Cassazione ha chiarito (sentenza 23230/2012) che il blog non rientra nella definizione di "stampato    ".

Per finire, i requisiti di stabilità e di organizzazione propri di un sito internet, rendono la comunità virtuale idonea a configurare l'associazione per delinquere. "Il minimum organizzatorio necessario a integrare l'associazione a delinquere nelle diverse sfaccettature analizzate dalla giurisprudenza si modula in maniera specifica per le realtà associative cosiddette "in rete", le quali utilizzano le nuove tecnologie, privilegiando l'uso dei blog, chat o virtual communities in internet, non potendosi per tali strutture ricercare quella fisicità di contatti tra i partecipi, tipica dell'associazione a delinquere di tipo, per così dire classico".

 
Di Fabrizio (del 06/09/2013 @ 09:04:45, in Regole, visitato 1678 volte)

Metodologia della formazione "Pretend Your Rights!" - Popica Onlus - Metropoliz
Pubblicato in data 03/set/2013

 
Di Fabrizio (del 20/09/2013 @ 09:04:28, in Regole, visitato 1487 volte)

di Stella Arena, Daniela Bauduin e Mila Grimaldi - giuriste

Da anni assistiamo ad un aspro dibattito sulla gestione della cosiddetta "emergenza nomadi" che viene affrontata con un approccio sicuritario come se fosse un problema di ordine pubblico.

In base a un'indagine conoscitiva sulla condizione di Rom e Sinti in Italia, promossa dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani a partire dall'ottobre 2009, nel nostro Paese vivrebbero all'incirca 150.000 persone di etnia Sinti o Rom (pari allo 0,2% della popolazione, uno dei tassi più bassi d'Europa), la metà delle quali avrebbe cittadinanza italiana e di cui solo 40.000 vivrebbe attualmente nei campi, spesso abusivi o provvisori. Il metodo emergenziale nella risoluzione delle questioni legate agli insediamenti delle popolazioni Rom è tuttavia sbagliato sia dal punto di vista sociale che giuridico, come dimostra la vicenda delle tre ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri adottate il 30 maggio 2008 per fronteggiare lo "stato di emergenza" dichiarato in Lombardia, Lazio e Campania in relazione alla presenza di comunità nomadi nei rispettivi territori.

Il 16 novembre 2012 il giudice amministrativo ha deciso sui ricorsi in appello proposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell'Interno, dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle Prefetture di Roma, Milano, Napoli e dal Comune di Roma per la riforma della sentenza con cui il Tar Lazio nel 2009 aveva accolto l'impugnazione proposta dall'associazione per la difesa dei diritti dei Rom European Roma Rights Centre (ERRC) e da due abitanti del campo Casilino 900 della capitale, annullando in parte le tre ordinanze e cassando anche alcune disposizioni dei regolamenti adottati dai commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.

Nel giudizio d'appello è stato accolto il ricorso incidentale degli attori originari e dichiarata l'illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 adottato sulla base dell'articolo 5 della legge istitutiva del Servizio di Protezione civile (legge 24 febbraio 1992, n. 225), con cui era stato dichiarato lo stato di emergenza già citato, con la conseguenza che tutti i provvedimenti emessi sono stati annullati per carenza di potere. L'articolo 5 già citato, con la rubrica "Stato di emergenza e potere di ordinanza", dispone che al verificarsi degli eventi straordinari previsti dal legislatore il Consiglio dei ministri deliberi lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale. Per attuare gli interventi di emergenza si provvede poi con ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto però dei principi generali dell'ordinamento giuridico e attraverso commissari delegati.

Il Consiglio di Stato ha osservato che sebbene l'apprezzamento della situazione di fatto e degli eventi posti alla base della dichiarazione dello stato d'emergenza rientri nell'ampia discrezionalità dell'amministrazione, lo stato di emergenza possa essere dichiarato solo in presenza delle situazioni riconducibili alla lettera c) del precedente articolo 2, ossia "calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari". Tanto premesso, il Consiglio esclude che nel caso sottoposto al suo esame sussista il rapporto eziologico fra esistenza sul territorio di comunità nomadi, da un lato, e straordinaria ed eccezionale turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate, dall'altro, nonchè la presenza dell'altro requisito legale, cioè l'impossibilità di fronteggiare la situazione con gli strumenti ordinari, siccome tale presupposto non discende dalla "mera incapacità delle istituzioni, ovvero da una loro scarsa volontà politica".

Com'è a tutti noto, nelle ultime legislature il Governo italiano ha adottato centinaia di ordinanze di protezione civile, che sono atti della pubblica amministrazione e in quanto tali sottratti al controllo della Corte costituzionale volto a garantire il rispetto della Costituzione da parte delle leggi. A partire dal 1992, con l'istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile, per far fronte a "calamità naturali, catastrofi o altri eventi" il Governo ha iniziato ad adottare lo strumento dell'ordinanza in deroga alle norme, rafforzando così la tendenza ad un utilizzo sempre più "normale" di strumenti che consentono all'autorità amministrativa di non rispettare le norme ordinarie. Nel conflitto tra emergenza e deroga alle regole si colloca la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità Rom e Sinti e la conseguente nomina di commissari straordinari per l'emergenza.

Come osservato da Caterina Miele, dottore di ricerca in Antropologia culturale presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale", "l'approccio "emergenziale" e "securitario" fino a oggi applicato agli interventi pubblici sul tema dell'integrazione dei rom ha fatto declinare molte delle indagini sulla questione nell'ambito di azioni di ordine pubblico. Non a caso in Campania il primo atto dello stato emergenziale determinato dal decreto governativo fu un censimento, guidato dallo staff della Prefettura, della Questura e della Croce Rossa Italiana e realizzato prima nel campo di via Cupa Perillo a Scampia e poi in altri campi della regione."

In questo contesto si inquadra la storia della comunità Rom di Giugliano, in provincia di Napoli, che dopo vari trasferimenti veniva collocata nell'area di Masseria del Pozzo, zona notoriamente ad alto rischio ambientale per i rifiuti tossici presenti. L'architetto Alexander Valentino, da anni impegnato nel lavoro sul campo, racconta "dell'odore malsano che si avverte in quell'area, di sfoghi sulla pelle dei bambini di cui non si conosce l'origine e delle condizioni igienico-sanitarie inadeguate". Una vicenda drammatica che si svolge in una terra, la Campania, in cui l'illegalità ambientale è tanto diffusa da collocare la regione al primo posto per il numero di reati contro l'ambiente (Legambiente, Ecomafia 2013, ed. Ambiente, p.36), con la produzione di effetti devastanti soprattutto per le persone più deboli.

La scelta politico-amministrativa di tale area è avvenuta sulla base di criteri che si richiamano a necessità di ordine pubblico, infatti nella delibera del Commissario prefettizio (nominato a seguito delle dimissioni del sindaco per la provvisoria gestione dell'ente) n. 10 del 6/12/2012 sul progetto preliminare per l'allestimento di un'area adibita a campo sosta temporanea, si parla di "emergenza prodotta sul territorio comunale dalla presenza significativa e costante dei gruppi nomadi".

La conoscenza del rischio ambientale cui viene sottoposta la comunità Rom nel vivere in tali luoghi d'altronde si desume dallo stesso atto che regola il funzionamento dell'area di sosta temporanea (approvato con delibera del Commissario Straordinario n. 33 del 26/03/2013), in cui all'articolo 5 si prevede che con periodicita mensile sia garantita una verifica delle condizioni di salubrita dell'area, operata dagli organismi istituzionali preposti alla salvaguardia ambientale e sanitaria".

Appare chiaro come nel bilanciare i vari interessi giuridici coinvolti nelle vicende raccontate, ossia l'inclusione sociale e il ritenuto ordine pubblico, sia prevalso quest'ultimo, con ripercussioni pesanti che gravano su individui già emarginati cui si nega oggi anche la tutela della salute che dovrebbe essere garantita a tutti ai sensi della nostra Costituzione. Una strategia nazionale ben lontana dalla comunicazione della Commissione europea n. 173/2011 che sottolinea, invece, la necessità di superare il modello del "campo" per combattere l'isolamento e favorire percorsi di inclusione sociale.

 
Di Fabrizio (del 28/09/2013 @ 09:05:02, in Regole, visitato 1685 volte)

(26 settembre 2013) Svezia, la schedatura etnica viola i diritti dei rom

Amnesty International ha appreso con profonda preoccupazione la notizia, pubblicata dalla stampa svedese, secondo la quale il dipartimento di polizia di Skane ha proceduto alla schedatura illegale di oltre 4000 rom, apparentemente solo per motivi etnici.

Il database, contenente informazioni su persone nate tra la fine dell'800 e il 2011, è stato creato come strumento elettronico al servizio delle indagini criminali, sebbene la maggior parte delle persone schedate non abbia alcun precedente penale.

Il capo della polizia del dipartimento di Skane, il capo della polizia nazionale e i ministri della Giustizia e dell'Integrazione hanno espresso rammarico per la vicenda e si sono scusati pubblicamente.

La raccolta di informazioni personali unicamente sulla base dell'etnia è discriminatoria, priva di necessità e ingiustificata ed è una evidente violazione di standard internazionali ed europei in materia di privacy e libertà dalla discriminazione.

Amnesty International ha chiesto alle autorità svedesi di assicurare che tutte le persone ancora in vita schedate nel database siano contattate, informate della possibilità di presentare un reclamo e di pretendere un rimedio. Le autorità svedesi dovranno inoltre avviare un'inchiesta tempestiva, indipendente e imparziale sull'intera vicenda e verificare se presso altri dipartimenti di polizia esistano analoghi archivi.

 
Di Fabrizio (del 03/10/2013 @ 09:05:05, in Regole, visitato 1923 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso - Bozhidar Stanishic' 23 settembre 2013

Berlino, il Muro (Foto Context Travel, Flickr)

Il recente voto del Parlamento Europeo sulla possibile reintroduzione dei visti rappresenta un'ulteriore minaccia alla libertà di movimento in Europa e la violazione di una promessa. Il commento

Il 12 settembre il Parlamento Europeo ha votato un dispositivo di legge che rende possibile il ritorno dei visti per i cittadini dei Balcani occidentali.

I paesi più minacciati dalla possibilità di reintroduzione della misura sono la Bosnia Erzegovina, la Serbia e la Macedonia, paesi che fanno parte della cosiddetta "lista bianca" di Schengen e da poco beneficiano di un sistema agevolato di visti.

I 631 parlamentari presenti al voto hanno votato a maggioranza, 328, a favore dell'introduzione del meccanismo che permette il ritorno temporaneo del regime dei visti in situazioni d'emergenza e in casi di abuso del sistema.

Anche se questo "meccanismo di sicurezza" adottato dal Parlamento europeo non è una misura, ma solo una possibilità, esso potrà scattare su richiesta di uno o più paesi membri dell'Unione se qualcuno di loro avrà notato un aumento considerevole (superiore al 50%) delle richieste dei cosiddetti falsi richiedenti asilo.

In tale caso, il meccanismo sarà applicato per un periodo di sei mesi, con una possibile proroga per altri nove mesi. In breve: basta una lettera di uno degli stati dell'Unione poi si radunano gli esperti (che a Bruxelles non mancano mai ) e si va al voto. Il gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), come sempre, sarà compatto.

Tanja Fajon, eurodeputata slovena, attenta alle problematiche di quella parte del vecchio continente, oltre alla critica del meccanismo di una votazione seguita ad un dibattito burrascoso (secondo lei il voto era illegale per la limitazione dei diritti del Parlamento e avrebbe dovuto essere fatta in un altro momento), è stata chiara: "Il Partito popolare europeo, insieme alle forze populiste e conservative del Parlamento europeo, ha mostrato per l’ennesima volta di non avere alcun riguardo per la sicurezza dei cittadini europei e per la libertà di movimento, che sono uno dei diritti umani fondamentali."

Jelko Kacin, consigliere del Parlamento europeo per i Balcani, da buon impiegato dice che non bisogna esserne preoccupati. Il meccanismo, sostiene, potrà essere applicato solo fino al 2016.

La vergogna delle file di fronte ai consolati
Subito dopo aver letto la notizia della possibile reintroduzione dei visti, nel primo pomeriggio del 12 settembre, ho incontrato a Udine un mio compaesano, originario della Bosnia occidentale. Anche lui aveva sentito la stessa notizia.

"Grazie a Dio, noi siamo a posto. Tutti in famiglia ora abbiamo la cittadinanza italiana."

Cosa potevo dire a quel mio amico, un ex impiegato che in Friuli si è trasformato in piastrellista? Citargli il profeta Geremia, la sua riflessione su Gerusalemme: "Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia mano destra ogni abilità"?

Un'ora più tardi mi ha chiamato un altro amico dalla Bosnia: "Che cosa vogliono da noi?" Stranamente contento perché il mio coetaneo non ha detto "che cosa volete", cercavo di consolarlo: "Tieni presente che non si tratta di una misura che è stata adottata, ma di una possibilità..." Mi ha interrotto: "Ma chi sono queste persone che, fra tutti i problemi in cui l'Europa è immersa, hanno tempo per discutere di un pugno di furbi, emarginati e qualche disperato che approfitta del regime dei visti per fare domanda di asilo?" Che cosa potevo o dovevo rispondergli?

Ho un'esperienza in materia. All'inizio del 1997, su proposta della sede italiana di un'organizzazione internazionale, sono stato al Consiglio d'Europa, a Strasburgo, per dare uno sguardo personale alla problematica del difficile ritorno dei profughi bosniaci al paese d'origine dopo la guerra. Sono tornato a casa con un'impressione più che amara: insieme agli altri relatori, compaesani esuli in diversi paesi europei, ho constatato l'ignoranza della materia da parte della stragrande maggioranza dei membri della commissione davanti a cui avevamo esposto le nostre osservazioni. Ricordo che un rappresentante romeno ha incominciato il suo commento con queste parole: "Nel mio paese c'è un proverbio: Chi ha visto un cavallo verde e un serbo onesto?"

Il mio amico ha proseguito, come se avesse intuito la mia risposta: "Quindi, i rappresentanti parlamentari di 28 paesi membri dell'Unione si sono pronunciati a favore di una misura del tutto fuori dallo spirito europeo?" Che potevo rispondergli: "Mica tutti hanno letto le opere di Massimo Cacciari o di Edgar Morin, o riescono a comprendere che l'Europa è un arcipelago, le cui isole sono pure i paesi dei Balcani occidentali..."

Lui, come se volesse dar sfogo a quella ribellione che di solito finisce fra le quattro pareti domestiche, mi ha chiesto: "Di nuovo, quindi, chi vuole viaggiare dovrà mettersi in fila davanti alle porte dei consolati? Le file, le file di nuovo! Che vergogna! In 328 hanno votato sì, 48 astenuti! Va bene, il mio rispetto a quei 238 con le palle umane!" Aggiungendo che non pensava più a sé, ma ai giovani, ha detto che secondo lui c'era qualcosa sotto, non soltanto la questione dei visti.

"Forse è l'annuncio che noi, secondo quei signori seduti sulle poltrone d'Europa che hanno alzato la mano del loro 'sì', non siamo benvenuti, né come viaggiatori né come Stati?"

Un lontano ricordo: la caduta del Muro
Tutti noi che ricordiamo la caduta del Muro, ricordiamo pure non solo i fuochi d'artificio e lo sventolare delle bandiere, ma pure le parole pronunciate, piene di promesse per un futuro migliore per tutti gli europei. Certo, promettere fa parte del mestiere del politico, perciò ricordo più volentieri la critica di Günter Grass sull'ipocrisia dell'accoglienza dei rifugiati nel periodo del dopo Muro. Secondo Grass, finita l'emergenza, finiti i nomi eccellenti dei personaggi in fuga dall'altra parte del Muro, si sono spenti i riflettori dei media, si è asciugato l'inchiostro nelle penne dei giornalisti.

Tradotto in parole povere, oggi, niente più Sacharov, né scrittori e intellettuali polacchi, ungheresi, romeni ed altri dell'ex blocco sovietico, ma persone, numeri, profughi delle guerre umanitarie, disperati senza nome.

Credo che il 12 settembre 2013 debba essere considerata una giornata vergognosa, e non solo per il Parlamento europeo. La vergogna è ancora superiore per coloro che rappresentano i partiti di destra (non dimentico i cittadini che li hanno votati) nei paesi dell'ex Est Europa. Mi pare che la memoria, là, sia diventata un lusso, forse una pillola proibita. Mi chiedo quanti a Riga, Praga, Varsavia, Budapest e altre città simbolo dell'oppressione dei regimi comunisti si ricordano della Cortina di Ferro, dell'impossibilità di viaggiare, di visitare le città occidentali. Quando i loro rappresentanti politici nell'Unione hanno alzato la mano per un "si" che minaccia milioni di cittadini dei paesi dei Balcani occidentali, da tempo paria di questa Europa promessa, si ricordavano quella marea di promesse del novembre 1989?

 
Di Fabrizio (del 14/10/2013 @ 09:06:09, in Regole, visitato 1782 volte)

UN PRIMO RISULTATO DELLA CONSULTA ROM E SINTI DI MILANO CONTRO L'"EMERGENZA NOMADI" DECRETATA DAL GOVERNO BERLUSCONI. CANCELLATI I DATI PERSONALI DEL CENSIMENTO SU BASE ETNICA DEL 2008

La Consulta Rom e Sinti di Milano ha avviato a giugno 2013, in collaborazione con ERRC (European Roma Rights Center), un'azione legale per la cancellazione dei dati personali - un vero archivio parallelo su base etnica - e per ottenere un risarcimento per danni morali da parte delle comunità di Milano che hanno subito il censimento etnico nell'ambito della cosiddetta “emergenza nomadi" decretata dal governo Berlusconi nel maggio del 2008.

Questa "emergenza" - e tutti i suoi effetti: censimento, regolamento prefettizio - è stata definitivamente dichiarata illegittima, motivando le richieste di cancellazione dei dati e il risarcimento danni.

Il 4 ottobre il prefetto di Milano ha trasmesso all'avvocato della Consulta, Gilberto Pagani, il verbale di cancellazione dei dati, sia cartacei, sia digitali, raccolti con il censimento. Un primo importante risultato dell'azione della Consulta che ora proseguirà con la causa per il risarcimento danni di chi ha subito un censimento razziale nell'estate del 2008.

In allegato il verbale di cancellazione.

Per informazioni: 339.7608728

 
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