Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 14/06/2013 @ 08:50:56, in Regole, visitato 3361 volte)
Ricevo da Stefania Benedetti:
Milano: 13 giugno 2013 - Oggi ero da Marina ad aiutare le figlie con i compiti per le vacanze quando sono
arrivate Nadia, Tora, Katiuscia con il piccolo Louis e Michelle sconvolte e
agitate per avere subito un episodio di puro razzismo... chi le conosce sa come
sono, donne per bene , vestite alla moda come noi gagè per cui fa ancora più
impressione per come sono state trattate... Mi sale la rabbia e vado con Nadia e Tora
nel luogo dove è accaduto il fatto per chiedere spiegazioni...
Poi mi faccio raccontare tutto per filo e segno quello che è successo dalle mie
amiche e ve lo scrivo con la preghiera di diffondere il racconto alla stampa...
Visualizzazione ingrandita della mappa
Alle 18,00/18,30 circa 4 donne (e un bambino piccolo in braccio alla sua mamma)
si recano nel centro commerciale situato tra via Derna e via Palmanova
[vedi piantina sopra, ndr].
Entrano nel negozio di scarpe Pittarello. Stanno facendo un giro per il negozio
quando improvvisamente vengono affiancate da due poliziotti che gli intimano di
uscire perché: - Persone come voi non sono gradite - Le donne
allibite chiedono il motivo anzi una di loro si rivolge alla commessa che era lì
di fianco e le chiede :- Ho fatto qualcosa?- risponde la commessa:
- No! un'altra dice a un
poliziotto: - Chiami il Direttore perché mi conosce bene, vengo spesso qui a
comprare le scarpe - il poliziotto - Non c'è! E comunque ripeto qui non vi
vogliono - I clienti del negozio si girano e le guardano. La donna che ha in
braccio il figlio di pochi mesi esclama: - Ci fate fare brutta figura e ci fate
vergognare davanti alla gente - Il poliziotto risponde:- Proprio te parli di
vergogna andiamo a vedere la tua fedina penale! -
- Se vuole andiamo - Ribatte quest'ultima . - Non fare la gradassa perché hai il
bambino in braccio! Vi consiglio di andare via. Se volete rientrare sono fatti
vostri! - Le donne escono dicendo : - Noi non rubiamo perche lavoriamo, io
- dice
una delle 4 - lavoro da 20 anni nella scuola di via Russo -
Allora uno dei due poliziotti è rimasto zitto mentre l'altro ha continuato ad
inveire...
Alle 19 vado nel negozio a chiedere spiegazioni e dicendo ai commessi che
finiranno sul giornale per il loro comportamento, una commessa si affretta a
scusarsi con le mie amiche per l'increscioso incidente (perché non l'ha fatto
prima con i poliziotti?) dicendo che la Polizia non l'hanno chiamata per loro ma
per dei ladri che poco prima erano entrati in negozio per rubare ed erano
scappati ( ma che c'entra!!!)
Stefania
Nota dalla redazione
Lo confesso, prima di adesso ignoravo persino di cosa si occupasse
Pittarello.
Quando l'ho scoperto, mi sono un po' preoccupato:
,
"Questione di cuore" recita il claim. In realtà, si tratta di scarpe. E
loro, col cuore, ci tengono al cliente, e pure all'immagine.
Sono su
Facebook,su Twitter
e anche su
Google +. In parole povere, sono in mezzo a noi, ad un clic di distanza.
Cioè, PENSATE CHE BELLO: se chi ha letto questa notizia vuol protestare, e lo
vuol fare anche chi la diffonde, ci vuole poche ad inondare le loro bacheche.
VOGLIAMO FARLO? METTIAMOCI D'ACCORDO.
E facciamoglielo capire, col cuore - naturalmente, dove loro sono più
interessati:
- in un simile periodo di crisi ci vuol poco a rivolgersi ad altri "brand"
per scarpe, stivali e calzature varie.
Visto che questi non sono piccoli
artigiani, facciamo lavorare i loro esperti di marketing su quanti potenziali
clienti hanno perso.
Voi, che ne pensate?
Di Fabrizio (del 22/06/2013 @ 09:08:44, in Regole, visitato 1564 volte)
Da deputata EU a richiedente asilo in Canada: il lungo viaggio di una
Romnì - 16 giugno 2013 | Mirjam Donath | Reuters -
Chicago Tribune - (Reporting by Mirjam Donath; Editing by Claudia Parsons and Tim Dobbyn)
TORONTO (Reuters) - Meno di quattro anni fa, Viktoria Mohacsi si godeva la vita
da politica internazionale, mangiando nei costosi ristoranti di Bruxelles e
ottenendo premi come attivista dei diritti umani.
Oggi, trentotto anni e madre di tre figli, dorme sul pavimento di un
seminterrato di Toronto e rischia la deportazione. In quanto richiedente asilo,
spera di convincere il Canada che la vita di un ex membro del Parlamento Europeo
può essere in pericolo in un paese democratico come l'Ungheria.
Racconterà martedì la sua storia nel corso di un'audizione di fronte all'Immigration and Refugee Board.
Un banco di prova per la nuova politica migratoria del governo canadese, che
considera "sicuri" quasi tutti i paesi EU. Mohacsi, che è rom, sostiene che se
tornasse in Ungheria sarebbe a rischio di violenze da parte di gruppi razzisti e
di persecuzioni da parte del governo ungherese.
Se perdesse, sarebbe rimpatriata. Se vincesse, il suo caso darebbe speranza
agli altri richiedenti asilo della comunità rom dell'Europa centrale e
orientale, che attualmente alcuni in Canada considerano come migranti per
lavoro, o peggio - criminali che vogliono abusare di un sistema generoso.
Il governo conservatore a dicembre ha inasprito la legge sui rifugiati, per
dare un giro di vite a quello che dice essere un'ondata di falsi richiedenti
asilo dall'Unione Europea, che cercherebbero di trarre vantaggio dai generosi
programmi di welfare. Molti di questi sarebbero Rom. Jason Kenney, ministro
all'immigrazione, ha individuato l'Ungheria come principale sorgente dei
richiedenti asilo in Canada negli ultimi tre anni, anche se gli Ungheresi, in
quanto cittadini UE, possono girare liberamente all'interno del blocco.
Il governo canadese afferma che mentre desidera che il paese rimanga una
delle destinazioni preferite per i rifugiati, è sommerso da gente che finge di
fuggire da persecuzioni. Le cifre ufficiali mostrano che il Canada ha concesso
asilo negli ultimi quattro anni ad oltre 300 Ungheresi, la maggior parte dei
quali, dicono gli esperti di immigrazione, erano Rom. Il ministero non si
pronuncia sui singoli casi.
Il governo ungherese ha respinto l'ipotesi che qualsiasi suo cittadino,
compresa Mohacsi, possa trovarsi in pericolo in Ungheria. "Per quanto ci sia del
lavoro da fare nel combattere i pregiudizi contro le minoranze, la sicurezza di
una particolare comunità, in generale, non è in discussione," ha detto un
portavoce governativo. Ha poi aggiunto: "Se la signora Mohacsi ha le prove di un
piano criminale da parte delle forze di sicurezza ungheresi nel violare i suoi
diritti costituzionali, il governo le chiede di presentarle agli enti preposti."
CRESCITA RAPIDA
Per molto tempo Mohacsi è stata una delle Romnià più conosciute in Ungheria.
La sua ascesa da seduta nel fondo di un'aula scolastica in un piccolo paese
ungherese assieme ad altri scolari rom, a seduta nel semicerchio del Parlamento
Europeo, è stata rapida. A 20 anni, la piccola donna con gli occhi da cerbiatto
divenne la prima femmina rom presentatrice nella principale televisione
ungherese, prima di darsi alla politica
"Ero una dolce zingarella che non si poteva fare a meno di aiutare," dice
Mohacsi, parlando in ungherese durante un'intervista alla Reuters di Toronto.
"Fui sostenuta e ce la feci, entrai nella vita pubblica." Si sposò con Gabor Bernath,
direttore del Roma Media Center, con forti collegamenti con i circoli che
contano nel partito liberale ungherese.
Quando le elite politiche ungheresi finirono sotto pressione sulla questione
della piena rappresentazione delle minoranze, divenne commissario speciale per
il ministero all'istruzione, lavorando al programma per desegregare le scuole. A
29 anni, fu una delegata al Parlamento Europeo, madre di due bambini adottati e
"ambasciatrice" non-ufficiale dei Rom.
I problemi iniziarono con una serie di violenti attacchi contro i Rom,
attraverso tutta l'Europa all'inizio del 2008. Mohacsi viaggiò ossessivamente
per tutta l'Ungheria da una scena del crimine all'altra, raccogliendo
informazioni. Spinse le vittime che erano riluttanti per paura della polizia, a
farsi avanti e denunciare i crimini, spingendo la polizia ad indagare
Arrivò la mattina presto di uno scuro febbraio, nel villaggio di Tatarszentgyorgy
dove un uomo e suo figlio di 5 anni erano stai colpiti a morte, mentre fuggivano
dalla loro casa data alle fiamme. Un'indagine interna alla polizia confermò che
la scena del crimine non era stata resa sicura per ore. Si confrontò con la
polizia quando scoprì che avevano riportato che le vittime erano morte per
inalazione dei fumi e chiamò direttamente il capo dei "casi delicati"
all'Ufficio Nazionale Investigazioni.
"Quando esaminai le foto, vidi subito che lei aveva ragione (erano stati
colpiti da armi da fuoco)," disse Lajos Kovacs, detective ora in pensione a cui
si rivolse, aggiungendo che l''aiuto di Mohacsi fu "indiscutibile".
Due poliziotti dell'unità coinvolta hanno poi subito provvedimenti
disciplinari interni. Attualmente quattro persone sono sotto processo per una
serie di attacchi anti-Rom nel 2008-2009., incluso l'uccisione dell'uomo e di
suo figlio a Tatarszentgyorgy.
Il governo ungherese ha sottolineato quelle misure - come lo scioglimento del
gruppo paramilitare Guardia Ungherese, responsabile di assalti anti-rom - come
prova delle misure adottate a favore dei Rom dopo gli omicidi.
Facendo eco ai funzionari canadesi, il governo ungherese ha anche detto che
la criminalità organizzata coinvolta nel traffico di persone, sarebbe dietro ad
un numero cospicuo di richiedenti asilo in Canada, trovati con motivazioni non
genuine.
Alla richiesta di un commento su questa vicenda, il dipartimento della
polizia ungherese non ha risposto.
IN PERICOLO O NO?
Poco dopo aver parlato del caso Tatarszentgyorgy, dice Mohacsi, iniziò a
ricevere email minacciose in cui veniva chiamata "lurida zingara puzzolente" e
"sporco animale" che "presto [morirà] assieme a tutta la tua razza." Scatenò
critiche il suo commento che un giocatore di pallamano ucciso avrebbe provocato
i suoi assassini rom (che ora sono in prigione per omicidio). Chiese e ricevette
la protezione della polizia a casa.
Un elemento chiave negli argomenti di Mohacsi, che sarebbe posta in pericolo
dalle autorità in caso di ritorno, è la sua conoscenza di un rapporto
dell'Ufficio per la Sicurezza Nazionale riguardo gli attacchi anti-rom nel
2008-2009. Il rapporto pubblicato dal Comitato Parlamentare per la Sicurezza
Nazionale concludeva affermando che i servizi segreti avevano seguito gli
assalitori e avevano ampie informazioni su di loro, già anni prima che venissero
commessi omicidi seriali. Parte del rapporto è stato secretato.
Mohacsi dice di non aver visto il rapporto integrale, ma di avere avuto delle
conversazioni a riguardo, inclusa una con Jozsef Gulyas, capo del comitato che
aveva commissionato il rapporto.
Gulyas, allora politico dei liberali, e uno tra gli autori del rapporto, dice
di non vedere la ragione per cui una parto dello stesso sarebbe stata secretata
o perché Mohacsi debba aver avuto timori e lasciare il paese. Parlando al
telefono dall'Ungheria, ha detto che il rapporto indicava gli errori che i
servizi segreti avevano compiuto durante le indagini sugli attacchi contro i
Rom, fossero più che semplice negligenza. Ma aggiungeva: "Non ho mai detto che
le autorità abbiano partecipato direttamente agli eventi."
Dice Gulyas: "Sono d'accordo che per un Rom non è facile vivere in Ungheria,
ma che lei sostenga che la sua vita sarebbe a rischio, è un'esagerazione
poetica."
Kenney, ministro canadese all'immigrazione, ha visitato l'Ungheria ad
ottobre, dopodiché dei cartelloni avevano fatto la loro apparizione nella città
di Miskolc, patria di molti Rom, che anticipavano il cambiamento delle leggi
canadesi in materia di immigrazione, e aggiungevano che quanti non avevano
titolo per richiederla sarebbero presto stati rimpatriati. Secondo il ministero
dell'immigrazione, nei primi tre mesi del 2013, le richieste di asilo
dall'Ungheria, il paese in cima alla lista canadese, sono scese del 98% rispetto
al passato, con solo nove Ungheresi in cerca di asilo.
Il caso Mohacsi viene seguito con attenzione in Ungheria e in altri paesi
dell'Europa Centrale e Orientale che hanno significative presenze di popolazione
Rom.
Aladar Horvath, importante attivista e primo Rom del parlamento ungherese, ha
visitato Toronto questa primavera, per operare come testimone esperto in un
altro caso di asilo.
Dice che una decisione positiva nel caso Mohacsi "rovescerebbe la posizione
politica che l'Ungheria è un paese sicuro."
Di Fabrizio (del 26/06/2013 @ 09:00:49, in Regole, visitato 1468 volte)
CORRIEREIMMIGRAZIONE, di Sveva Haertter
I cittadini non sono mai "nuovi", "vecchi" o a metà: è lo Stato a essere
in ritardo. Le riflessioni di Sveva Haertter, nata a Roma ma italiana solo dal
1983.
Sono nata a Roma nel 1965. Mia madre era italiana, ma siccome mio padre era
tedesco e in quegli anni lo "ius sanguinis" era anche sessista - e lesivo
degli articoli 3 e 29 della Costituzione - mi hanno dato la cittadinanza
tedesca. Non c'era ancora la Comunità Europea e quindi in Italia ero considerata
straniera a pieno titolo, mi serviva il permesso di soggiorno da rinnovare ogni
anno e per qualsiasi cosa era necessario presentare un mare di certificati.
Il 21 aprile 1983, dopo una sentenza della Corte Costituzionale e un parere del
Consiglio di Stato, venne fatta una nuova legge che poneva rimedio
all'illegittimità costituzionale di quella precedente, facendo sì che fosse
cittadino per nascita il figlio minore, anche adottivo, di padre o di madre
cittadini.
Il passaggio non era però automatico e quindi, una ventina di giorni dopo,
appena compiuti i 18 anni, feci domanda per ottenere la cittadinanza italiana.
Nel giugno 1983, diventata maggiorenne e italiana il mese prima, ho potuto
votare alle elezioni politiche. Sulle liste elettorali il mio nome era stato
aggiunto a mano all'ultimo momento e io non avevo ancora fatto in tempo ad
ottenere dei documenti italiani... Tutto sommato mi è andata bene e non avuto
particolari difficoltà, sicuramente anche perché ho la pelle bianca e questo
rende tutto più facile, in Italia come in tanti altri posti.
Ma non è una storia un po' assurda? Chiaro che, se non altro per fatto
personale, ritengo l'introduzione dello "ius soli" non solo necessaria, ma
urgente.
Altrettanto chiaro è però che anche se lo "ius soli" venisse introdotto oggi
stesso, resterebbe la legge Bossi-Fini, la tassa sul permesso di soggiorno, i
Cie, non sarebbe risolta la questione del diritto di asilo, né sparirebbero
automaticamente il razzismo e le discriminazioni e un mare di altri problemi che
non sto ora qui ad elencare, anche se in effetti non se ne può parlare mai
abbastanza.
Ma come si definisce una come me? Sono forse anch'io una "nuova cittadina"? E da
dove viene fuori questa espressione? Già semplicemente per il fatto che sono
passati 30 anni, come cittadina tanto "nuova" non sono...
Ne scrivo perché questa espressione mi da un po' sui nervi e non per ragioni
formali. Mi fa pensare a uno con il vestito della domenica, una cravatta
bruttissima e il sorriso a 32 denti che dice "Eccomi! Sono qui, sono buono e
voglio tanto integrarmi! Faccio tutto quello che volete!" o qualcosa del genere.
Ma soprattutto mi pare che sposti l'asse del ragionamento.
Se è corretto definire la cittadinanza come una condizione giuridica nella quale
ad una persona viene riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici,
come fa un cittadino a essere "nuovo"? Ce ne sono forse di "vecchi"? E quale
sarebbe la differenza? Certamente se una persona ha acquisito la cittadinanza da
poco, si può definire come "nuova" la sua condizione, ma che c'entra? Insomma,
penso che sia proprio sbagliato parlare di "nuovi cittadini", mentre sicuramente
è necessario rinnovare il concetto di cittadinanza in termini giuridici,
legislativi, sociologici, e via dicendo.
Secondo me parlando di "nuovi cittadini" si vuole proprio ottenere l'effetto di
spostare il ragionamento sul fatto che le persone, in quanto "nuove", devono
dimostrare il proprio valore, la propria utilità. Essere insomma sottoposte ad
una sorta di collaudo/rodaggio per poi finire magari nella condizione precedente
in caso di funzionamento insoddisfacente... E infatti in questo periodo si sente
dire di tutto. Si è parlato persino dell'ipotesi di legare lo "ius soli" a
percorsi di scolarizzazione. E a uno che ha la cittadinanza in base allo "ius
sanguinis", ma magari è analfabeta, qualcuno si è forse posto il problema di
toglierla?
Di includere poi la categoria degli "immigrati" in quanto tale nell'attuale
dibattito sulla cittadinanza, se non per quanto riguarda appunto i figli nati in
Italia, non se ne parla proprio e già è tanto se negli ultimi anni è assurta
fino allo status di "risorsa"...
In Germania si usa parlare di persone "mit Migrationshintergrund", che tradotto
significa grosso modo "persone che hanno alle spalle una storia di migrazione".
Non so se è corretto come modo di dire, comunque l'approccio mi pare un po' più
inclusivo.
E poi qualche eccezione che conferma la regola c'è sempre. Come me, che però
particolari problemi non ne ho avuti, anche se un po' spaesata forse a volte lo
sono, sia in Italia che in Germania.
Parliamo insomma di una questione di diritti da riconoscere alle persone che
nascono e risiedono in questo paese, con tutta la complessità che questo implica
e che non si può ricomprendere in un'espressione come "nuovi cittadini". Non ci
sono cittadini "nuovi" o "vecchi" o persone catalogabili per numero di
generazioni alla quale si presume appartengano (in base a quale criterio di
conteggio poi?) o altre cose ancora.
È semplicemente lo Stato ad essere in grandissimo ritardo. Forse è sufficiente
partire almeno da questo.
Di Fabrizio (del 01/07/2013 @ 09:01:50, in Regole, visitato 1437 volte)
Il 21 Giugno 2013 la Sezione civile del tribunale di Pescara ha pubblicata la
sentenza di condanna del Popolo della libertà e della Lega nord per la
pubblicazione e la diffusione di dichiarazioni di carattere discriminatorio in
pregiudizio della comunità rom di Pescara, per fatti accaduti nel maggio 2012.
Copia della sentenza nel sito della Fondazione romanì Italia alla
sezione news.
La sentenza del Tribunale di Pescara riconosce e condanna Pdl e Lega nord per la
discriminazione verso la minoranza rom di Pescara, mentre non riconosce il
risarcimento del danno chiesto dai ricorrenti (Associazione Studi Giuridici
Italiana, Associazione RomSinti @ politica, Guarnieri Nazzareno, Spinelli
Attilio, Di Rocco Carmine) perché "alcun atto discriminatorio risulta essere
stato compiuto nei confronti dei ricorrenti".
Per noi che da molti anni e quotidianamente siamo impegnanti sulla tematica
della discriminazione razziale e della integrazione culturale è importante la
sentenza di condanna per discriminazione razziale del Tribunale di Pescara
perché da troppo tempo anche in Abruzzo la pubblicazione e la diffusione di
dichiarazioni di carattere discriminatorio, in pregiudizio della comunità rom,
sono reiterate ed impunite.
La Fondazione romanì Italia si impegnerà con stimoli e proposte ad enti locali
ed istituzioni affinché questa sentenza sia il punto di svolta per il ripristino
della legalità a tutto tondo, valida per tutti e per ciascuno, ed il punto di
partenza per avviare percorsi strutturati di integrazione culturale della
minoranza rom, rispettosi della diversità culturale ed a beneficio di tutta la
collettività, evitando ogni forma di buonismo e di assistenzialismo.
Fondazione Romanì newsletter
Di Fabrizio (del 05/08/2013 @ 09:09:09, in Regole, visitato 1289 volte)
Segnalazione di Giacomo Marino
- Patrizia Maiocchi
- 1 agosto 2013
Il blog razzista è un'associazione per delinquere. Per la Corte di Cassazione le
pene per i reati associativi, previsti dalla legge 654/1975 in linea con la
Convenzione di New York (modificata dalla legge 205/1993) sono estensibili alle
comunità virtuali, dalle chat ai social network, che incitano all'odio razziale.
Messaggi tanto più efficaci proprio perché affidati alla forza comunicativa
delle nuove tecnologie.
La Suprema corte (sentenza 33179, depositata ieri) respinge il ricorso del
coordinatore di un sito internet finalizzato a ingrossare le fila dei
sostenitori della superiorità della razza. L'imputato chiedeva di essere assolto
in nome della libertà di pensiero e negava la giurisdizione del giudice italiano
perché il sito-madre era stato costituito negli Stati Uniti e operava su un
server estero. Inoltre rivendicava il diritto ad essere trattato al pari di un
direttore di giornale.
Contestazioni che la Cassazione non ha difficoltà a smontare. Il collegio della
III sezione specifica che il giudice italiano è competente a esprimersi sulla
diffamazione aggravata dall'odio razziale, anche nel caso in cui il sito web sia
stato registrato all'estero, purché l'offesa sia stata percepita dai fruitori
che si trovano in Italia.
Nel caso esaminato l'attività del ricorrente e dei suoi supporter aveva diversi
scopi: fare proseliti, istigare a compiere azioni dimostrative nel territorio
italiano, raccogliere fondi per la "causa" e dare giudizi sulle persone o sugli
episodi. Uno dei punti forti degli "opinionisti" era quello di bollare come
"traditori" e "delinquenti italiani" i sostenitori dell'uguaglianza e
dell'integrazione con gli immigrati. Cade naturalmente anche la pretesa di avere
la tutela costituzionale che garantisce la libera manifestazione del pensiero e
di associazione: entrambe vengono meno quando la libertà viene male usata per
istigare alla discriminazione. Nessuna possibilità per il ricorrente di essere
assimilato al direttore di un giornale: in primo luogo, perché era stata
riconosciuta la sua responsabilità come organizzatore e moderatore del blog
incriminato, poi perché la stessa Cassazione ha chiarito (sentenza 23230/2012)
che il blog non rientra nella definizione di "stampato ".
Per finire, i requisiti di stabilità e di organizzazione propri di un sito
internet, rendono la comunità virtuale idonea a configurare l'associazione per
delinquere. "Il minimum organizzatorio necessario a integrare l'associazione a
delinquere nelle diverse sfaccettature analizzate dalla giurisprudenza si modula
in maniera specifica per le realtà associative cosiddette "in rete", le quali
utilizzano le nuove tecnologie, privilegiando l'uso dei blog, chat o virtual
communities in internet, non potendosi per tali strutture ricercare quella
fisicità di contatti tra i partecipi, tipica dell'associazione a delinquere di
tipo, per così dire classico".
Di Fabrizio (del 06/09/2013 @ 09:04:45, in Regole, visitato 1678 volte)
Metodologia della formazione "Pretend Your Rights!" - Popica Onlus -
Metropoliz
Pubblicato in data 03/set/2013
Di Fabrizio (del 20/09/2013 @ 09:04:28, in Regole, visitato 1487 volte)
di
Stella Arena, Daniela Bauduin e Mila Grimaldi - giuriste
Da anni assistiamo ad un aspro dibattito sulla gestione della cosiddetta
"emergenza nomadi" che viene affrontata con un approccio sicuritario come se
fosse un problema di ordine pubblico.
In base a un'indagine conoscitiva sulla condizione di Rom e Sinti in Italia,
promossa dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei
diritti umani a partire dall'ottobre 2009, nel nostro Paese vivrebbero
all'incirca 150.000 persone di etnia Sinti o Rom (pari allo 0,2% della
popolazione, uno dei tassi più bassi d'Europa), la metà delle quali avrebbe
cittadinanza italiana e di cui solo 40.000 vivrebbe attualmente nei campi,
spesso abusivi o provvisori. Il metodo emergenziale nella risoluzione delle
questioni legate agli insediamenti delle popolazioni Rom è tuttavia sbagliato
sia dal punto di vista sociale che giuridico, come dimostra la vicenda delle tre
ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri adottate il 30 maggio 2008
per fronteggiare lo "stato di emergenza" dichiarato in Lombardia, Lazio e
Campania in relazione alla presenza di comunità nomadi nei rispettivi territori.
Il 16 novembre 2012 il giudice amministrativo ha deciso sui ricorsi in appello
proposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero
dell'Interno, dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle Prefetture di
Roma, Milano, Napoli e dal Comune di Roma per la riforma della sentenza con cui
il Tar Lazio nel 2009 aveva accolto l'impugnazione proposta dall'associazione
per la difesa dei diritti dei Rom European Roma Rights Centre (ERRC) e da due
abitanti del campo Casilino 900 della capitale, annullando in parte le tre
ordinanze e cassando anche alcune disposizioni dei regolamenti adottati dai
commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Nel giudizio d'appello è stato accolto il ricorso incidentale degli attori
originari e dichiarata l'illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 21 maggio 2008 adottato sulla base dell'articolo 5 della legge
istitutiva del Servizio di Protezione civile (legge 24 febbraio 1992, n. 225),
con cui era stato dichiarato lo stato di emergenza già citato, con la
conseguenza che tutti i provvedimenti emessi sono stati annullati per carenza di
potere. L'articolo 5 già citato, con la rubrica "Stato di emergenza e potere di
ordinanza", dispone che al verificarsi degli eventi straordinari previsti dal
legislatore il Consiglio dei ministri deliberi lo stato di emergenza,
determinandone durata ed estensione territoriale. Per attuare gli interventi di
emergenza si provvede poi con ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto però dei principi generali dell'ordinamento giuridico e attraverso
commissari delegati.
Il Consiglio di Stato ha osservato che sebbene l'apprezzamento della situazione
di fatto e degli eventi posti alla base della dichiarazione dello stato
d'emergenza rientri nell'ampia discrezionalità dell'amministrazione, lo stato di
emergenza possa essere dichiarato solo in presenza delle situazioni
riconducibili alla lettera c) del precedente articolo 2, ossia "calamità
naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari". Tanto premesso, il
Consiglio esclude che nel caso sottoposto al suo esame sussista il rapporto
eziologico fra esistenza sul territorio di comunità nomadi, da un lato, e
straordinaria ed eccezionale turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica
nelle aree interessate, dall'altro, nonchè la presenza dell'altro requisito
legale, cioè l'impossibilità di fronteggiare la situazione con gli strumenti
ordinari, siccome tale presupposto non discende dalla "mera incapacità delle
istituzioni, ovvero da una loro scarsa volontà politica".
Com'è a tutti noto, nelle ultime legislature il Governo italiano ha adottato
centinaia di ordinanze di protezione civile, che sono atti della pubblica
amministrazione e in quanto tali sottratti al controllo della Corte
costituzionale volto a garantire il rispetto della Costituzione da parte delle
leggi. A partire dal 1992, con l'istituzione del Servizio Nazionale di
Protezione Civile, per far fronte a "calamità naturali, catastrofi o altri
eventi" il Governo ha iniziato ad adottare lo strumento dell'ordinanza in deroga
alle norme, rafforzando così la tendenza ad un utilizzo sempre più "normale" di
strumenti che consentono all'autorità amministrativa di non rispettare le norme
ordinarie. Nel conflitto tra emergenza e deroga alle regole si colloca la
dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di
comunità Rom e Sinti e la conseguente nomina di commissari straordinari per
l'emergenza.
Come osservato da Caterina Miele, dottore di ricerca in Antropologia culturale
presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale", "l'approccio
"emergenziale" e "securitario" fino a oggi applicato agli interventi pubblici
sul tema dell'integrazione dei rom ha fatto declinare molte delle indagini sulla
questione nell'ambito di azioni di ordine pubblico. Non a caso in Campania il
primo atto dello stato emergenziale determinato dal decreto governativo fu un
censimento, guidato dallo staff della Prefettura, della Questura e della Croce
Rossa Italiana e realizzato prima nel campo di via Cupa Perillo a Scampia e poi
in altri campi della regione."
In questo contesto si inquadra la storia della comunità Rom di Giugliano, in
provincia di Napoli, che dopo vari trasferimenti veniva collocata nell'area di
Masseria del Pozzo, zona notoriamente ad alto rischio ambientale per i rifiuti
tossici presenti. L'architetto Alexander Valentino, da anni impegnato nel lavoro
sul campo, racconta "dell'odore malsano che si avverte in quell'area, di sfoghi
sulla pelle dei bambini di cui non si conosce l'origine e delle condizioni
igienico-sanitarie inadeguate". Una vicenda drammatica che si svolge in una
terra, la Campania, in cui l'illegalità ambientale è tanto diffusa da collocare
la regione al primo posto per il numero di reati contro l'ambiente (Legambiente,
Ecomafia 2013, ed. Ambiente, p.36), con la produzione di effetti devastanti
soprattutto per le persone più deboli.
La scelta politico-amministrativa di tale area è avvenuta sulla base di criteri
che si richiamano a necessità di ordine pubblico, infatti nella delibera del
Commissario prefettizio (nominato a seguito delle dimissioni del sindaco per la
provvisoria gestione dell'ente) n. 10 del 6/12/2012 sul progetto preliminare per
l'allestimento di un'area adibita a campo sosta temporanea, si parla di "emergenza prodotta sul territorio comunale dalla presenza significativa e
costante dei gruppi nomadi".
La conoscenza del rischio ambientale cui viene sottoposta la comunità Rom nel
vivere in tali luoghi d'altronde si desume dallo stesso atto che regola il
funzionamento dell'area di sosta temporanea (approvato con delibera del
Commissario Straordinario n. 33 del 26/03/2013), in cui all'articolo 5 si
prevede che con periodicita mensile sia garantita una verifica delle condizioni
di salubrita dell'area, operata dagli organismi istituzionali preposti alla
salvaguardia ambientale e sanitaria".
Appare chiaro come nel bilanciare i vari interessi giuridici coinvolti nelle
vicende raccontate, ossia l'inclusione sociale e il ritenuto ordine pubblico,
sia prevalso quest'ultimo, con ripercussioni pesanti che gravano su individui
già emarginati cui si nega oggi anche la tutela della salute che dovrebbe essere
garantita a tutti ai sensi della nostra Costituzione. Una strategia nazionale
ben lontana dalla comunicazione della Commissione europea n. 173/2011 che
sottolinea, invece, la necessità di superare il modello del "campo" per
combattere l'isolamento e favorire percorsi di inclusione sociale.
Di Fabrizio (del 28/09/2013 @ 09:05:02, in Regole, visitato 1685 volte)
(26 settembre 2013) Svezia, la schedatura etnica viola i
diritti dei rom
Amnesty International ha appreso con profonda preoccupazione la notizia,
pubblicata dalla stampa svedese, secondo la quale il dipartimento di polizia di
Skane ha proceduto alla schedatura illegale di oltre 4000 rom, apparentemente
solo per motivi etnici.
Il database, contenente informazioni su persone nate tra la fine dell'800 e
il 2011, è stato creato come strumento elettronico al servizio delle indagini
criminali, sebbene la maggior parte delle persone schedate non abbia alcun
precedente penale.
Il capo della polizia del dipartimento di Skane, il capo della polizia nazionale
e i ministri della Giustizia e dell'Integrazione hanno espresso rammarico per la
vicenda e si sono scusati pubblicamente.
La raccolta di informazioni personali unicamente sulla base dell'etnia è
discriminatoria, priva di necessità e ingiustificata ed è una evidente
violazione di standard internazionali ed europei in materia di privacy e libertà
dalla discriminazione.
Amnesty International ha chiesto alle autorità svedesi di assicurare che tutte
le persone ancora in vita schedate nel database siano contattate, informate
della possibilità di presentare un reclamo e di pretendere un rimedio. Le
autorità svedesi dovranno inoltre avviare un'inchiesta tempestiva, indipendente
e imparziale sull'intera vicenda e verificare se presso altri dipartimenti di
polizia esistano analoghi archivi.
Di Fabrizio (del 03/10/2013 @ 09:05:05, in Regole, visitato 1923 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso - Bozhidar Stanishic' 23 settembre 2013
Berlino, il Muro (Foto Context Travel, Flickr)
Il recente voto del Parlamento Europeo sulla possibile reintroduzione
dei visti rappresenta un'ulteriore minaccia alla libertà di movimento in Europa
e la violazione di una promessa. Il commento
Il 12 settembre il Parlamento Europeo ha votato un dispositivo di legge che
rende possibile il ritorno dei visti per i cittadini dei Balcani occidentali.
I paesi più minacciati dalla possibilità di reintroduzione della misura sono la
Bosnia Erzegovina, la Serbia e la Macedonia, paesi che fanno parte della
cosiddetta "lista bianca" di Schengen e da poco beneficiano di un sistema
agevolato di visti.
I 631 parlamentari presenti al voto hanno votato a maggioranza, 328, a favore
dell'introduzione del meccanismo che permette il ritorno temporaneo del regime
dei visti in situazioni d'emergenza e in casi di abuso del sistema.
Anche se questo "meccanismo di sicurezza" adottato dal Parlamento europeo non è
una misura, ma solo una possibilità, esso potrà scattare su richiesta di uno o
più paesi membri dell'Unione se qualcuno di loro avrà notato un aumento
considerevole (superiore al 50%) delle richieste dei cosiddetti falsi
richiedenti asilo.
In tale caso, il meccanismo sarà applicato per un periodo di sei mesi, con una
possibile proroga per altri nove mesi. In breve: basta una lettera di uno degli
stati dell'Unione poi si radunano gli esperti (che a Bruxelles non mancano mai )
e si va al voto. Il gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), come sempre, sarà
compatto.
Tanja Fajon, eurodeputata slovena, attenta alle problematiche di quella parte
del vecchio continente, oltre alla critica del meccanismo di una votazione
seguita ad un dibattito burrascoso (secondo lei il voto era illegale per la
limitazione dei diritti del Parlamento e avrebbe dovuto essere fatta in un altro
momento), è stata chiara: "Il Partito popolare europeo, insieme alle forze
populiste e conservative del Parlamento europeo, ha mostrato per l’ennesima
volta di non avere alcun riguardo per la sicurezza dei cittadini europei e per
la libertà di movimento, che sono uno dei diritti umani fondamentali."
Jelko Kacin, consigliere del Parlamento europeo per i Balcani, da buon impiegato
dice che non bisogna esserne preoccupati. Il meccanismo, sostiene, potrà essere
applicato solo fino al 2016.
La vergogna delle file di fronte ai consolati
Subito dopo aver letto la notizia della possibile reintroduzione dei visti, nel
primo pomeriggio del 12 settembre, ho incontrato a Udine un mio compaesano,
originario della Bosnia occidentale. Anche lui aveva sentito la stessa notizia.
"Grazie a Dio, noi siamo a posto. Tutti in famiglia ora abbiamo la cittadinanza
italiana."
Cosa potevo dire a quel mio amico, un ex impiegato che in Friuli si è
trasformato in piastrellista? Citargli il profeta Geremia, la sua riflessione su
Gerusalemme: "Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia mano destra
ogni abilità"?
Un'ora più tardi mi ha chiamato un altro amico dalla Bosnia: "Che cosa vogliono
da noi?" Stranamente contento perché il mio coetaneo non ha detto "che cosa
volete", cercavo di consolarlo: "Tieni presente che non si tratta di una misura
che è stata adottata, ma di una possibilità..." Mi ha interrotto: "Ma chi sono
queste persone che, fra tutti i problemi in cui l'Europa è immersa, hanno tempo
per discutere di un pugno di furbi, emarginati e qualche disperato che
approfitta del regime dei visti per fare domanda di asilo?" Che cosa potevo o
dovevo rispondergli?
Ho un'esperienza in materia. All'inizio del 1997, su proposta della sede
italiana di un'organizzazione internazionale, sono stato al Consiglio d'Europa,
a Strasburgo, per dare uno sguardo personale alla problematica del difficile
ritorno dei profughi bosniaci al paese d'origine dopo la guerra. Sono tornato a
casa con un'impressione più che amara: insieme agli altri relatori, compaesani
esuli in diversi paesi europei, ho constatato l'ignoranza della materia da parte
della stragrande maggioranza dei membri della commissione davanti a cui avevamo
esposto le nostre osservazioni. Ricordo che un rappresentante romeno ha
incominciato il suo commento con queste parole: "Nel mio paese c'è un proverbio:
Chi ha visto un cavallo verde e un serbo onesto?"
Il mio amico ha proseguito, come se avesse intuito la mia risposta: "Quindi, i
rappresentanti parlamentari di 28 paesi membri dell'Unione si sono pronunciati a
favore di una misura del tutto fuori dallo spirito europeo?" Che potevo
rispondergli: "Mica tutti hanno letto le opere di Massimo Cacciari o di Edgar
Morin, o riescono a comprendere che l'Europa è un arcipelago, le cui isole sono
pure i paesi dei Balcani occidentali..."
Lui, come se volesse dar sfogo a quella ribellione che di solito finisce fra le
quattro pareti domestiche, mi ha chiesto: "Di nuovo, quindi, chi vuole viaggiare
dovrà mettersi in fila davanti alle porte dei consolati? Le file, le file di
nuovo! Che vergogna! In 328 hanno votato sì, 48 astenuti! Va bene, il mio
rispetto a quei 238 con le palle umane!" Aggiungendo che non pensava più a sé,
ma ai giovani, ha detto che secondo lui c'era qualcosa sotto, non soltanto la
questione dei visti.
"Forse è l'annuncio che noi, secondo quei signori seduti sulle poltrone d'Europa
che hanno alzato la mano del loro 'sì', non siamo benvenuti, né come viaggiatori
né come Stati?"
Un lontano ricordo: la caduta del Muro
Tutti noi che ricordiamo la caduta del Muro, ricordiamo pure non solo i fuochi
d'artificio e lo sventolare delle bandiere, ma pure le parole pronunciate, piene
di promesse per un futuro migliore per tutti gli europei. Certo, promettere fa
parte del mestiere del politico, perciò ricordo più volentieri la critica di
Günter Grass sull'ipocrisia dell'accoglienza dei rifugiati nel periodo del dopo
Muro. Secondo Grass, finita l'emergenza, finiti i nomi eccellenti dei personaggi
in fuga dall'altra parte del Muro, si sono spenti i riflettori dei media, si è
asciugato l'inchiostro nelle penne dei giornalisti.
Tradotto in parole povere, oggi, niente più Sacharov, né scrittori e
intellettuali polacchi, ungheresi, romeni ed altri dell'ex blocco sovietico, ma
persone, numeri, profughi delle guerre umanitarie, disperati senza nome.
Credo che il 12 settembre 2013 debba essere considerata una giornata vergognosa,
e non solo per il Parlamento europeo. La vergogna è ancora superiore per coloro
che rappresentano i partiti di destra (non dimentico i cittadini che li hanno
votati) nei paesi dell'ex Est Europa. Mi pare che la memoria, là, sia diventata
un lusso, forse una pillola proibita. Mi chiedo quanti a Riga, Praga, Varsavia,
Budapest e altre città simbolo dell'oppressione dei regimi comunisti si
ricordano della Cortina di Ferro, dell'impossibilità di viaggiare, di visitare
le città occidentali. Quando i loro rappresentanti politici nell'Unione hanno
alzato la mano per un "si" che minaccia milioni di cittadini dei paesi dei
Balcani occidentali, da tempo paria di questa Europa promessa, si ricordavano
quella marea di promesse del novembre 1989?
Di Fabrizio (del 14/10/2013 @ 09:06:09, in Regole, visitato 1782 volte)
UN PRIMO RISULTATO DELLA CONSULTA ROM E SINTI DI MILANO CONTRO L'"EMERGENZA
NOMADI" DECRETATA DAL GOVERNO BERLUSCONI. CANCELLATI I DATI PERSONALI DEL
CENSIMENTO SU BASE ETNICA DEL 2008
La Consulta Rom e Sinti di Milano ha avviato a giugno 2013, in collaborazione
con ERRC (European Roma Rights Center), un'azione legale per la cancellazione
dei dati personali - un vero archivio parallelo su base etnica - e per ottenere
un risarcimento per danni morali da parte delle comunità di Milano che hanno
subito il censimento etnico nell'ambito della cosiddetta “emergenza nomadi"
decretata dal governo Berlusconi nel maggio del 2008.
Questa "emergenza" - e tutti i suoi effetti: censimento, regolamento
prefettizio - è stata definitivamente dichiarata illegittima, motivando le
richieste di cancellazione dei dati e il risarcimento danni.
Il 4 ottobre il prefetto di Milano ha trasmesso all'avvocato della Consulta,
Gilberto Pagani, il verbale di cancellazione dei dati, sia cartacei, sia
digitali, raccolti con il censimento. Un primo importante risultato dell'azione
della Consulta che ora proseguirà con la causa per il risarcimento danni di chi
ha subito un censimento razziale nell'estate del 2008.
In allegato il verbale di cancellazione.
Per informazioni: 339.7608728
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