Osservatorio Balcani e Caucaso - Bozhidar Stanishic' 23 settembre 2013
Berlino, il Muro (Foto Context Travel, Flickr)
Il recente voto del Parlamento Europeo sulla possibile reintroduzione
dei visti rappresenta un'ulteriore minaccia alla libertà di movimento in Europa
e la violazione di una promessa. Il commento
Il 12 settembre il Parlamento Europeo ha votato un dispositivo di legge che
rende possibile il ritorno dei visti per i cittadini dei Balcani occidentali.
I paesi più minacciati dalla possibilità di reintroduzione della misura sono la
Bosnia Erzegovina, la Serbia e la Macedonia, paesi che fanno parte della
cosiddetta "lista bianca" di Schengen e da poco beneficiano di un sistema
agevolato di visti.
I 631 parlamentari presenti al voto hanno votato a maggioranza, 328, a favore
dell'introduzione del meccanismo che permette il ritorno temporaneo del regime
dei visti in situazioni d'emergenza e in casi di abuso del sistema.
Anche se questo "meccanismo di sicurezza" adottato dal Parlamento europeo non è
una misura, ma solo una possibilità, esso potrà scattare su richiesta di uno o
più paesi membri dell'Unione se qualcuno di loro avrà notato un aumento
considerevole (superiore al 50%) delle richieste dei cosiddetti falsi
richiedenti asilo.
In tale caso, il meccanismo sarà applicato per un periodo di sei mesi, con una
possibile proroga per altri nove mesi. In breve: basta una lettera di uno degli
stati dell'Unione poi si radunano gli esperti (che a Bruxelles non mancano mai )
e si va al voto. Il gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), come sempre, sarà
compatto.
Tanja Fajon, eurodeputata slovena, attenta alle problematiche di quella parte
del vecchio continente, oltre alla critica del meccanismo di una votazione
seguita ad un dibattito burrascoso (secondo lei il voto era illegale per la
limitazione dei diritti del Parlamento e avrebbe dovuto essere fatta in un altro
momento), è stata chiara: "Il Partito popolare europeo, insieme alle forze
populiste e conservative del Parlamento europeo, ha mostrato per l’ennesima
volta di non avere alcun riguardo per la sicurezza dei cittadini europei e per
la libertà di movimento, che sono uno dei diritti umani fondamentali."
Jelko Kacin, consigliere del Parlamento europeo per i Balcani, da buon impiegato
dice che non bisogna esserne preoccupati. Il meccanismo, sostiene, potrà essere
applicato solo fino al 2016.
La vergogna delle file di fronte ai consolati
Subito dopo aver letto la notizia della possibile reintroduzione dei visti, nel
primo pomeriggio del 12 settembre, ho incontrato a Udine un mio compaesano,
originario della Bosnia occidentale. Anche lui aveva sentito la stessa notizia.
"Grazie a Dio, noi siamo a posto. Tutti in famiglia ora abbiamo la cittadinanza
italiana."
Cosa potevo dire a quel mio amico, un ex impiegato che in Friuli si è
trasformato in piastrellista? Citargli il profeta Geremia, la sua riflessione su
Gerusalemme: "Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia mano destra
ogni abilità"?
Un'ora più tardi mi ha chiamato un altro amico dalla Bosnia: "Che cosa vogliono
da noi?" Stranamente contento perché il mio coetaneo non ha detto "che cosa
volete", cercavo di consolarlo: "Tieni presente che non si tratta di una misura
che è stata adottata, ma di una possibilità..." Mi ha interrotto: "Ma chi sono
queste persone che, fra tutti i problemi in cui l'Europa è immersa, hanno tempo
per discutere di un pugno di furbi, emarginati e qualche disperato che
approfitta del regime dei visti per fare domanda di asilo?" Che cosa potevo o
dovevo rispondergli?
Ho un'esperienza in materia. All'inizio del 1997, su proposta della sede
italiana di un'organizzazione internazionale, sono stato al Consiglio d'Europa,
a Strasburgo, per dare uno sguardo personale alla problematica del difficile
ritorno dei profughi bosniaci al paese d'origine dopo la guerra. Sono tornato a
casa con un'impressione più che amara: insieme agli altri relatori, compaesani
esuli in diversi paesi europei, ho constatato l'ignoranza della materia da parte
della stragrande maggioranza dei membri della commissione davanti a cui avevamo
esposto le nostre osservazioni. Ricordo che un rappresentante romeno ha
incominciato il suo commento con queste parole: "Nel mio paese c'è un proverbio:
Chi ha visto un cavallo verde e un serbo onesto?"
Il mio amico ha proseguito, come se avesse intuito la mia risposta: "Quindi, i
rappresentanti parlamentari di 28 paesi membri dell'Unione si sono pronunciati a
favore di una misura del tutto fuori dallo spirito europeo?" Che potevo
rispondergli: "Mica tutti hanno letto le opere di Massimo Cacciari o di Edgar
Morin, o riescono a comprendere che l'Europa è un arcipelago, le cui isole sono
pure i paesi dei Balcani occidentali..."
Lui, come se volesse dar sfogo a quella ribellione che di solito finisce fra le
quattro pareti domestiche, mi ha chiesto: "Di nuovo, quindi, chi vuole viaggiare
dovrà mettersi in fila davanti alle porte dei consolati? Le file, le file di
nuovo! Che vergogna! In 328 hanno votato sì, 48 astenuti! Va bene, il mio
rispetto a quei 238 con le palle umane!" Aggiungendo che non pensava più a sé,
ma ai giovani, ha detto che secondo lui c'era qualcosa sotto, non soltanto la
questione dei visti.
"Forse è l'annuncio che noi, secondo quei signori seduti sulle poltrone d'Europa
che hanno alzato la mano del loro 'sì', non siamo benvenuti, né come viaggiatori
né come Stati?"
Un lontano ricordo: la caduta del Muro
Tutti noi che ricordiamo la caduta del Muro, ricordiamo pure non solo i fuochi
d'artificio e lo sventolare delle bandiere, ma pure le parole pronunciate, piene
di promesse per un futuro migliore per tutti gli europei. Certo, promettere fa
parte del mestiere del politico, perciò ricordo più volentieri la critica di
Günter Grass sull'ipocrisia dell'accoglienza dei rifugiati nel periodo del dopo
Muro. Secondo Grass, finita l'emergenza, finiti i nomi eccellenti dei personaggi
in fuga dall'altra parte del Muro, si sono spenti i riflettori dei media, si è
asciugato l'inchiostro nelle penne dei giornalisti.
Tradotto in parole povere, oggi, niente più Sacharov, né scrittori e
intellettuali polacchi, ungheresi, romeni ed altri dell'ex blocco sovietico, ma
persone, numeri, profughi delle guerre umanitarie, disperati senza nome.
Credo che il 12 settembre 2013 debba essere considerata una giornata vergognosa,
e non solo per il Parlamento europeo. La vergogna è ancora superiore per coloro
che rappresentano i partiti di destra (non dimentico i cittadini che li hanno
votati) nei paesi dell'ex Est Europa. Mi pare che la memoria, là, sia diventata
un lusso, forse una pillola proibita. Mi chiedo quanti a Riga, Praga, Varsavia,
Budapest e altre città simbolo dell'oppressione dei regimi comunisti si
ricordano della Cortina di Ferro, dell'impossibilità di viaggiare, di visitare
le città occidentali. Quando i loro rappresentanti politici nell'Unione hanno
alzato la mano per un "si" che minaccia milioni di cittadini dei paesi dei
Balcani occidentali, da tempo paria di questa Europa promessa, si ricordavano
quella marea di promesse del novembre 1989?