Segnalazione di Giacomo Marino
- Patrizia Maiocchi
- 1 agosto 2013
Il blog razzista è un'associazione per delinquere. Per la Corte di Cassazione le
pene per i reati associativi, previsti dalla legge 654/1975 in linea con la
Convenzione di New York (modificata dalla legge 205/1993) sono estensibili alle
comunità virtuali, dalle chat ai social network, che incitano all'odio razziale.
Messaggi tanto più efficaci proprio perché affidati alla forza comunicativa
delle nuove tecnologie.
La Suprema corte (sentenza 33179, depositata ieri) respinge il ricorso del
coordinatore di un sito internet finalizzato a ingrossare le fila dei
sostenitori della superiorità della razza. L'imputato chiedeva di essere assolto
in nome della libertà di pensiero e negava la giurisdizione del giudice italiano
perché il sito-madre era stato costituito negli Stati Uniti e operava su un
server estero. Inoltre rivendicava il diritto ad essere trattato al pari di un
direttore di giornale.
Contestazioni che la Cassazione non ha difficoltà a smontare. Il collegio della
III sezione specifica che il giudice italiano è competente a esprimersi sulla
diffamazione aggravata dall'odio razziale, anche nel caso in cui il sito web sia
stato registrato all'estero, purché l'offesa sia stata percepita dai fruitori
che si trovano in Italia.
Nel caso esaminato l'attività del ricorrente e dei suoi supporter aveva diversi
scopi: fare proseliti, istigare a compiere azioni dimostrative nel territorio
italiano, raccogliere fondi per la "causa" e dare giudizi sulle persone o sugli
episodi. Uno dei punti forti degli "opinionisti" era quello di bollare come
"traditori" e "delinquenti italiani" i sostenitori dell'uguaglianza e
dell'integrazione con gli immigrati. Cade naturalmente anche la pretesa di avere
la tutela costituzionale che garantisce la libera manifestazione del pensiero e
di associazione: entrambe vengono meno quando la libertà viene male usata per
istigare alla discriminazione. Nessuna possibilità per il ricorrente di essere
assimilato al direttore di un giornale: in primo luogo, perché era stata
riconosciuta la sua responsabilità come organizzatore e moderatore del blog
incriminato, poi perché la stessa Cassazione ha chiarito (sentenza 23230/2012)
che il blog non rientra nella definizione di "stampato ".
Per finire, i requisiti di stabilità e di organizzazione propri di un sito
internet, rendono la comunità virtuale idonea a configurare l'associazione per
delinquere. "Il minimum organizzatorio necessario a integrare l'associazione a
delinquere nelle diverse sfaccettature analizzate dalla giurisprudenza si modula
in maniera specifica per le realtà associative cosiddette "in rete", le quali
utilizzano le nuove tecnologie, privilegiando l'uso dei blog, chat o virtual
communities in internet, non potendosi per tali strutture ricercare quella
fisicità di contatti tra i partecipi, tipica dell'associazione a delinquere di
tipo, per così dire classico".