Di Fabrizio (del 02/12/2012 @ 09:04:18, in scuola, visitato 1251 volte)
Buongiorno SlovacchiaPresov: dal prossimo anno gli alunni rom
saranno a fianco degli altri bambini - 21 novembre 2012
Secondo una sentenza della Corte regionale di Presov del mese di ottobre, la
scuola primaria di Šarišské Michalany, che ha creato classi separate per bambini
provenienti da "ambienti socialmente svantaggiati", ha violato il principio
della parità di accesso all’istruzione. Secondo quanto scrive oggi il quotidiano
Sme, la scuola, con quasi i due terzi di questi alunni (per lo più dalle
comunità rom), dovrà pertanto chiudere le 15 classi separate e comprendere gli
alunni rom nelle classi regolari entro l'inizio del nuovo anno scolastico. In
questo modo si eviterà, ha scritto la corte, una discriminazione su base etnica.
Il nuovo direttore Jaroslav Valastiak ha però dei dubbi: se non rispetta il
verdetto, infrange il verdetto della corte. Ma se formasse solo classi solo
socialmente miste, la struttura diverrà esclusivamente una scuola rom. Dopo la
sentenza, ha detto, quattro bambini hanno lasciato la scuola e altri genitori
stanno pensando di farlo, e cercarsi una scuola diversa per evitare che i loro
figli condividano le classi con bambini rom spesso affamati e non preparati, con
scarse abitudini igieniche. La discriminazione, pensano i genitori, è contro i
loro figli che devono adattarsi al ritmo più lento di apprendimento dei bambini
delle comunità emarginate.
Secondo Valastiak, scrive Sme, la sentenza è legittima ed è contro ogni forma di
segregazione sociale nella scuola, ma secondo lui l'integrazione forzata non
porterà ad alcun beneficio. La sua posizione è condivisa dalla maestra di
appoggio per i rom, Monika Duzdova, che pensa che gli oltre 400 bambini della
scuola a diversi livelli di istruzione, diversa estrazione sociale e con
prospettive diverse non possono essere semplicemente "mischiati". Lei è scettica
nei confronti di questo tipo di "giustizia", considerando che addirittura gli
stessi genitori rom sono contro quest'idea di classi miste ove i loro bambini
dovrebbero studiare fianco a fianco con i figli di famiglie "bianche".
Del resto, la scuola stessa ha già provveduto a trasferire i migliori studenti
rom nelle classi ordinarie per favorirne l’integrazione.
Prague, 23.11.2012 20:46, Per avere successo studentessa rom
deve lasciare le scuole ceche
Il portale di notizie Novinky.cz
ha pubblicato (in lingua ceca, tradotto in inglese da Gwendolyn Albert ndr.))
la seguente intervista con Magdaléna Karvayová, una donna rom che ha frequentato
le superiori, nonostante la perdurante discriminazione a causa del colore
della sua pelle. Sin da giovane si è trovata di fronte odio, non ha mai avuto
molti amici a scuola ed era disprezzata dagli insegnanti, anche se i voti che
prendeva dimostravano che era un'alunna di talento. Si è iscritta ad una scuola
superiore internazionale per sfuggire da quell'ambiente sgradevole, ed anche là
ha ottenuto successo. Per lungo tempo nessuno ha creduto che potesse farcela, ma
alla fine è riuscita a segnare un percorso praticabile per i suoi fratelli più
piccoli.
Cosa faceva tuo padre per vivere?
Si guadagnava da vivere come indovino. Aveva una laurea, che dopo la
rivoluzione non è stata riconosciuta. Mia madre faceva le pulizie.
Sei cresciuta in una vasta comunità rom?
Allora a Jince u Příbrami c'erano solo tre famiglie rom, ma avevamo sempre
dei parenti in visita, quindi di volta in volta mi trovavo in una specie di
comunità rom.
Incontravate intolleranza e pregiudizi?
All'inizio. Ho avuto dei conflitti con dei bambini che avevano qualche anno
più di me, e non solo a scuola. Ad esempio, una volta era andata in negozio ed
un ragazzo che era in agguato mi ha afferrato la gola. Era è più tranquillo,
perché tutti ci conosciamo.
Quanto, i tuoi genitori ti hanno motivato a studiare?
Mi hanno appoggiato, ma la motivazione veniva soprattutto da me stessa. Avevo
due fratelli e sorelle più piccoli e dovevo prendermi cura di loro, ma quando
uscivo dicevo loro che dovevo studiare.
Com'era a scuola?
Una catastrofe. In tutta la scuola eravamo soltanto due studentesse rom. Non
avevo amiche e le mie compagne mi perseguitavano. Se solo camminavo nel
corridoio, i ragazzi mi spintonavano dicendo "Fuori di qui grassa zingara!". Mi
avrebbero spinto la testa nella tazza del gabinetto. Se mi lamentavo con
l'insegnante, lei mi accarezzava il viso rispondedomi "Facendo così, ti
succederà di nuovo". Così mio padre veniva a scuola tutti i giorni per
lamesso.entarsi, ma il direttore si limitava ad annuire ed il giorno seguente
era lo stesso.
Com'erano i tuoi voti?
Non ho mai preso meno del massimo dei voti. Facevo del mio meglio per
combattere, per mostrare loro - posso studiare anche meglio di voi, allora
perché mi trattate così? Poi è scattata una reazione e ho iniziato io stessa a
diventare una persona aggressiva, cosa che non piaceva a me né alla mia
famiglia. Decidemmo che avrei studiato alla Scuola Superiore Internazionale (Mezinárodní gymnázium),
dove c'erano sol studenti stranieri. L'ambiente multiculturale mi attraeva. Ci
sono andata a 12 anni.
Il tuo ambiente come ha reagito quando ti hanno accettata?
Gli insegnanti delle elementari mi hanno detto che non dovevo nemmeno
provarci, nessuno di loro credeva in me. Quando ho ottenuto un premio come
miglior studentessa del mese, mio padre l'ha portato alla scuola elementare per
mostrarlo. Dopo, anche i miei fratelli minori sono andati alle stesse mie
elementari, Anche loro hanno incontrato problemi, ma mai quanto me.
Com'era alle superiori?
Esattamente all'opposto. Il personale mi ha baciato e abbracciato per tutti i
miei sei anni di scuola. Il mio inglese non era del livello richiesto lì, ma gli
insegnanti mi aiutavano. Mi sono integrata in pochi mesi. Non c'era nessuna
ragione perché gli stranieri mi discriminassero, al contrario: ero qualcosa di
speciale per loro. Gli altri studenti venivano da tutto il mondo, ma io ero la
prima romanì.
Perché hai deciso per l'Anglo-American College?
Quando volevo iscrivermi alla Charles University, la prima domanda che mi
hanno fatto, guardando la mia carta d'identità, è stata: "Tu non sei Ceca,
vero?" Quell'approccio mi ha spento, avevo paura di ritrovarmi quella roba
daccapo. Dato che l'istruzione individualizzata funzione anche meglio per me, ho
scelto di frequentare l'Anglo-American.
Come fai fronte alla retta, che è piuttosto alta?
Lì c'è una borsa di studio per gli studenti rom - copre il 100% della retta
se si mantiene una certa media di valutazione. Così finora non ho pagato nessuna
tassa scolastica.
Perché stai studiando diritto comparato?
Dopo le esperienze che ho passato, ho deciso di aiutare gli altri, perché
sono sicura che non è capitato solo a me. Dovevo scegliere tra diritto e
psicologia, e diritto mi è sembrato più confacente. Voglio dedicare me stessa
all'istruzione, ai diritti umani e soprattutto alla minoranza romanì.
Ostrava, 24.11.2012 20:16,
Gli insegnanti cechi affermano che la comunità romanì non è interessata
allo studioDeník.cz, translated by Gwendolyn Albert
I genitori di alcuni studenti rom di Ostrava sono recentemente scesi in strada a
manifestare davanti al Municipio Nuovo. Tra i problemi che li preoccupano, il
fatto che ai bambini romanì non siano offerte le stesse condizioni educative
degli altri bambini, che vengono discriminati ed esclusi dall'istruzione
regolare, per essere mandati in scuole e classi per soli rom. Il portale di
notizie Deník.cz ha ora pubblicato un rapporto sulle esperienze negative e
positive di quanti insegnano hai rom nella scuola pubblica. Romea.cz ne presenta
qui la traduzione.
Esperienze negative
Gli insegnanti contattai da Deník.cz e quanti lavorano nella scuola con i
bambini romanì, dicono che la situazione è un po' differente da come è stata
dipinta dai suoi critici. Dicono che i genitori rom non partecipano spesso alle
riunioni di classe e non mostrano interesse nell'istruzione dei loro figli, e
spesso, neanche lo mostrano i bambini stessi.
Il punto è che l'istruzione non è importante nella loro cultura. Un altro
problema è che i genitori di questi bambini non hanno mai completato
l'istruzione primaria, quindi per loro è difficile aiutare i loro figli con le
responsabilità scolastiche, questi è la reale situazione," dice
Šárka Honová, direttrice dell'elementare Trnkovecká a Slezská Ostrava. Molti
degli alunni sono rom.
Honová dice che un altro problema è che i bambini romanì spesso non hanno il
materiale scolastico che serve. "E' stato annullato il beneficio per le matite e
le famiglie semplicemente non hanno i soldi per comperarle, o li usano per
altro," ritiene Honová.
Barbora (36 anni) è un'insegnante con parecchi bambini romanì in classe. Dice
che non è facile interessarli nell'istruzione. "Funziona quando sono più
giovani, ma già a 13-14 anni non hanno più alcun interesse nell'istruzione. Non
ho il tempo per focalizzarmi solo su di loro, specialmente quando le famiglie
non cooperano," dice Barbora, che non vuole rivelare il suo vero nome, per paura
che dei genitori si vendichino su di lei. "I genitori di questi studenti non
sono mai venuti alle riunioni di classe.
Secondo Jolana Šmarhovyčová, un'assistente sociale, sarebbe d'aiuto contare
più mediatrici scolastiche romanì, che aiuterebbero i bambini nell'uso del
materiale scolastico e nel rapporto con le insegnanti. Anche la direttrice
Honová è dello stesso parere.
Aggiunge: "Sfortunatamente, nessuno ci da il denaro che servirebbe. Però, se i
genitori non hanno interesse nell'istruzione dei figli, neanche gli assistenti
potranno servire."
Esempi positivi
Markéta (26 anni) lavora per un'organizzazione che assiste i bambini romanì ad
Ostrava. Dalla sua esperienza ha appreso che a molti di loro piace andare a
scuola.
"Ho visitato la famiglia di un bambino di 10 anni. Durante il periodo in cui
l'ho aiutato, i suoi voti sono migliorati di molto. Occorre pazienza," dice la
giovane.
Šmarhovyčová sottolinea che spesso i bambini romanì vivono segregati dalla
società maggioritaria. Anche se ufficialmente classi e scuole per soli rom non
esistono, dice che nel pratico ci sono queste divisioni.
Chiede: "Come possono questi bambini essere sufficientemente motivati, quando
mancano di esempi positivi? Quando i loro compagni di classe sono tutti nella
loro stessa situazione?"
Recentemente si è tenuta ad Ostrava una conferenza sull'istruzione per le
minoranze. Vi hanno preso parte autorità locali e organizzazioni non-profit,
oltre a genitori e dirigenti scolastici.
"Abbiamo proposto che l'ente legale incaricato delle scuole, monitori la
percentuale dei bambini romanì che le frequentano. Se la percentuale dovesse
raggiungere una data cifra, lì non si dovranno più iscrivere bambini romanì,"
dice Šmarhovyčová, aggiungendo che dev'essere aumentato anche il numero di
mediatrici scolastiche. "Penso che le parti si apriranno tra loro e che la
situazione migliorerà."
Di Fabrizio (del 23/12/2012 @ 09:05:08, in scuola, visitato 1442 volte)
Il 50% dei nuovi utenti delle biblioteche appartengono alle minoranze
[...] lo dice all'agenzia "Focus" Trendafil Meretev, di "Biblioteche
globali".
"Ha provocato grande interesse tra i bulgari che rom e turchi trovino le
librerie un posto molto interessante," dice Trendafil Meretev. "Anche se in un
primo momento è quasi un gioco, vanno lì per l'accesso ai libri e ad altri tipi
di servizi forniti dalle biblioteche. Inoltre, imparano a comunicare meglio tra
di loro, ed essendoci molti altri bambini, la biblioteca diventa un luogo di
attività sociale per tutti gli utenti."
Ha aggiunto che un buon esempio di ruolo moderno delle biblioteche pubbliche
sono i paesi nordici - Finlandia, Svezia, Danimarca ed in occidente - Inghilterra
e Paesi Bassi.
"Ci sono molti esempi di biblioteche pubbliche valorizzate, in cui le persone
sono realmente attive. La direzione delle nostre biblioteche lascia molto a
desiderare, confrontata con quelle simile in Europa occidentale, soprattutto
negli Stati Uniti. Per esempio, negli USA il 65% della popolazione frequenta le
biblioteche, mentre in Bulgaria la percentuale è inferiore al 10%. Anche questo
è importante," ha concluso.
Di Fabrizio (del 25/12/2012 @ 09:10:47, in scuola, visitato 1613 volte)
IlSole24ore 21 DICEMBRE 2012 - 10:18 Il futuro dei consumi di
Roberto La PiraRiceviamo e pubblichiamo questa testimonianza:
La temperatura in questi giorni gira intorno allo zero. Neve, freddo, nebbia. Mi
telefona Florina e mi chiede un paio di scarpe n° 36, le sue si sono bagnate con
la neve e non si sono più asciugate, a "temperatura ambiente" non è possibile.
Da una settimana non va a scuola perché non ha le scarpe. Vive con i genitori
nello scheletro di una fabbrica non terminata.
Ho della frutta e qualche panettone, vado a trovare Luminita e i suoi figli. Mi
offre un caffè, entro nella baracca rischiarata dall'alcool che brucia in una
lattina scoperchiata di aranciata; il sistema di sicurezza è la pentola dentro
cui la lattina è posta. Albert, sette anni toglie il quaderno dallo zaino per
farmelo vedere; tratti incerti, un po' troppo per un bambino che fa la seconda,
ma gli brillano gli occhi quando parla dei compagni e della sua maestra. Entra
anche Monica, che ha iniziato l'asilo quest'anno.
Chi sono questi bambini che vivono in baracca, senza luce, senza riscaldamento,
senza acqua e spesso con poco cibo? In quale città siamo?
Siamo a Milano, periferia est, ma qualunque altra periferia andrebbe benissimo
perché i luoghi disprezzati diventano casa per tanti bambini, per i loro papà e
per le loro mamme, che non hanno altra possibilità se non quella di "occupare
abusivamente" ciò da cui chiunque di noi si tiene assolutamente lontano.
Sono i miei amici rom che ci abitano. Anche per loro il freddo, la fame, la
mancanza di elementi primari sono duri e brutti. Non vivono lì perché è la loro
indole, vivono lì perché la loro povertà non consente altro. Unica speranza è
che le forze dell'ordine non distruggano anche la poca protezione che una
baracca può offrire. Incontro questi bambini e i loro genitori a scuola, li
incontro andando a trovarli, accompagnandoli a fare le vaccinazioni, ascoltando
le loro storie e i loro sogni, che sono quelli di tutti noi.
Cara Florina, le scarpe ora non le ho, ciò che arriva riparte subito, ma te le
cerco in fretta. Di bambini come lei e Albert, Monica, ce ne sono tanti a
Milano, arrivano a scuola con tanta fatica addosso, con tante difficoltà, ma
anche con tanta voglia di farcela, e i loro genitori fanno il possibile per fare
sì che la storia bella della scuola continui, e che i loro figli siano come gli
altri bambini.
Storie che vanno sostenute innanzitutto guardando questi bambini con occhi
diversi e apprezzando la loro fatica. Storie che, se accompagnate, rendono
Milano una città più giusta e aprono strade di cittadinanza a bambini altrimenti
destinati all'esclusione.
Di Fabrizio (del 31/12/2012 @ 09:04:08, in scuola, visitato 1707 volte)
ЕТНОСИBorsa di studio per Rom qualificato miglior studente in tre università
"Da bambina volevo diventare un medico e aiutare i malati. Sia perché mi
piace aiutare le persone, gli altri - ma anche perché questa professione è molto
redditizia", afferma Antonia Valentinova, che ha ricevuto un premio come
studente candidato di maggior successo medico.
E' stata adottata simultaneamente in tre facoltà di medicina - Sofia, Pleven
e Varna, con un punteggio molto alto. Ha scelto di studiare nella capitale. In
preparazione per gli esami, Antonia viene aiutata dal programma di borse di
studio per gli studenti di medicina e medici laureati rom - una iniziativa del
progetto "Rom Salute" - programma di borse di studio Roma Education Fund
e dell'Open Society Institute di Budapest, con i partner Amalipe
e Promedia. Il progetto mira a sostenere l'istruzione superiore degli
studenti rom, nelle specialità di medicina, farmacia, ostetricia, radiologia,
riabilitazione e gestione della salute.
[...] Oggi Antonia è convinta che il suo successo sia dovuto principalmente al
sostegno avuto dal programma. "Esplorando il mondo della medicina, da loro ho
imparato molto. Siamo stati e continuiamo ad essere una buona squadra con
insegnanti e colleghi, anche quelli in altre università," dice un'altra ragazza.
Sicuramente il sogno diventa più grande.
Antonia ha ricevuto una borsa di studio che copre costo di iscrizione, libri
di testo e articoli di cancelleria. Oltre a questo il supporto per gli studenti
delle
scuole superiori mediche e professionali e collegi e medici laureati, il
programma funge da mentore sul campo, per giovani accademici e professionali e la
loro formazione.
Sono stati premiati durante una cerimonia dei partecipanti al progetto il vice ministro della
sanità, Desislava Dimitrova, e il vice ambasciatore degli
Stati Uniti, Brian Dalton. Antonia si definisce una donna fortunata. Il suo
messaggio a colleghi ed amici è la sua frase preferita di Louis Pasteur: "La
felicità aiuta la mente ben preparata."
Il progetto ha ricevuto premi e studenti mentori - ". Yordanka Filaretova" Prof.
Ivaylo Tarnev coinvolti nel programma sin dal suo inizio, ostetrico-ginecologo
dottor Krassimir Kamburova Romanov e Galia, professore presso il Medical College
/ Salute
Enerida Isufi, 24 anni, vive Coriza. Una volta completati gli studi a Tirana in
due facoltà ha avviato la ricerca di un lavoro. Ha bussato a tante porte per
cercare lavoro nel suo profilo. E' laureata in relazioni pubbliche e
comunicazione, così come in diritto.
Enerida si è sacrificata molto per proseguire gli studi nelle due facoltà, ha
dovuto affrontare i pregiudizi e ha scavalcare muri, ma è riuscita. Però, a 24
anni, nessuno lo accetta. Io so perché: "Sono stati stabiliti stereotipi e pregiudizi in relazione a questa minoranza. Questa è una forma di discriminazione
dei casi più realistici, non capita solo a me, ma che è subita dalla maggior parte dei giovani
rom laureati", dice. Enerida è orgogliosa di appartenere alla
comunità rom. Mostra i casi specifici in cui si sono verificati rifiuti. La
ragazza si è assunta una grande responsabilità. Sta rompendo tabù e
stereotipi razziali creati per la comunità rom in Albania. Enerida ora vede la
vita come una doppia sfida di fronte ad un mercato del lavoro altamente
competitivo, ma anche per la sua origine. Non intende nascondersi o soprassedere,
vuole che essere rom sia per lei uno scudo e non una barriera.
Mentre si cammina sulla strada che è la stessa di tutti, ricorda che
tutti ignorano, e nemmeno prendono la briga di conoscere. Enerida è in realtà
una ragazza da ammirare. E 'orgogliosa della comunità di cui fa parte, vuole che
cadano i pregiudizi e non chi vi è sottoposto.
Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1719 volte)
La scuola, bella come un camion
Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08
Libération
Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei
bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo
Raphael Helle)
GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e
stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo
di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.
Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita
che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante
l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in
pellegrinaggio per
Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul,
per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze
abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare
alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di
sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei
voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper
leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre,
rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo
fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no,
non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche
rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare
il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto
rispetto a quello delle scuole superiori.
Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo
trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio
nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti,
faranno una relazione al Centre
national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato
accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola
all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage.
Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui
siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di
grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli
uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.
Tre circolari ed un messaggio dal ministro
La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in
Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo.
Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si
sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella
scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre
circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il
diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie
riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in
accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro
all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un
colloquio a Grenoble.
L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di
un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli.
Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss
e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi,
secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.
Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per
la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i
comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate
soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer
(Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia
o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare
dei piccoli lavori.
Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion
scolastico. (Photo Raphaël Helle)
120 alunni iscritti al Cned
Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale
- ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione
cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una
trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma
gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati
assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti
dall'Educazione Nazionale.
Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene
di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai
bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una
piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per
finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del
liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".
Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di
sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte",
un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz,
incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione
degli enfants du voyage.
Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di
contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del
proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono
alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di
Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.
Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio
gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento
in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle
elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le
superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad
esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…
Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti
specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana
va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte
si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.
Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i
figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea
Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion
scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4
anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un
sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli
enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e
scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi?
Questo camion ci permette progressi favolosi".
All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage,
le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione,
sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se
i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro
cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".
Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo
Raphaël Helle)
Bambini "più autonomi degli altri"
Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese.
Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più
autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli
insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se
conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci
piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze
scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la
ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul
fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare a
leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i
pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un
maestro davvero gentile che mi ha aiutato."
Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa
della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il
commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha
aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."
Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché
è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile."
Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per
Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.
Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita
da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il
Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo
nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è
dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."
"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia
di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e
poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola
significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare
il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli
anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende
biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero
più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a
cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."
(1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo,
l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi
parlano di "gens du
voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e
per gli stranieri di "arrivi allofoni".
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:00:40, in scuola, visitato 1737 volte)
Disegnatore di moda aiuta il progetto
Romsky' Mentor
Prague, 9.2.2013 20:32, (ROMEA)
Jana Baudyshovà, translated by Gwendolyn Albert
2013: Il progetto Romsky' Mentor si svolge nel centro comunitario di Pràdelna
a Praga 5 per il secondo anno di fila
Il centro comunitario di Pràdelna in via Holechkova a Praga 5 sta ospitando il
Romsky'
Mentor per il secondo anno di fila. Il processo d'integrazione porta lo stesso
nome ed ancora una volta ha la collaborazione di successo del disegnatore di
moda Pavel Berky.
Si gela, ma la "casetta", come i bambini chiamano il centro, è pieno di
giovani voci. Poco prima delle 15.00 Pavel arriva col "suo" gruppo. Lo schermo
cinematografico nella piacevole penombra dell'attico, è riempito da sfumature
colorate anni '60: vestiti a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa
d'elefante, segni della pace e il sorriso di Janis Joplin.
"Wow!" mi dico, guardando un gruppo di adolescenti che ascoltano attentamente le
storie dei loro nonni quando erano giovani. Non hanno paura di fare domande se
qualcosa li interessa e così il flusso della conversazione rotola su droga,
guerre, religione, amore libero, ed anche il lato scuro dello stile di vita
hippy.
Poi, la moda diventa la star dello show, ed inizia un vortice di misurare,
accorciare, cucire, selezionare i tessuti e intrecciare nastri nei capelli.
Quasi dimentico che sono lì col compito di scrivere sul progetto Romsky'
Mentor.
Raggiungere una cosa e capirne un'altra
Il progetto internazionale si svolge contemporaneamente con successo in
Bulgaria, Ungheria, Macedonia e Slovacchia. E' stato portato in Repubblica Ceca
dall'Open Society Foundations (OSF) e sin dal 2011 viene sviluppato da ROMEA.
"Lo scopo principale è contribuire verso l'integrazione dei bambini
svantaggiati, attuando attività ricreative nel campo delle arti e della cultura
nelle scuole," dice la coordinatrice Iva Hlavàchkovà.
Uno dei punti di contatto tra il progetto e il mondo esterno è un artista romanì
di successo: un professionista che regolarmente si incontra con un gruppo di
bambini e, assieme ad un pedagogo, ha preparato un programma per loro, in base
alla sua attenzione professionale. Come parte del programma, i bambini quindi
familiarizzano con un'attività specifica e coi suoi contesti più ampi, ma
soprattutto creano e inventano loro stessi.
Oltre a sviluppare competenze, però, i bambini imparano a lavorare in gruppo e
ottenere competenze sociali. Il modello positivo incarnato da una figura romanì
di successo, li motiv a sviluppare le loro idee sul futuro e di sforzarsi in un
percorso di carriera di successo.
Il progetto è aperto a tutti i bambini e, last but not least,
contribuisce ai bambini romanì o no ad imparare la cultura altrui. Il progetto
fa crescere la tolleranza e facilita l'integrazione scolastica.
Rivive la moda di tutto il secolo scorso
L'anno scorso il progetto Romsky'
Mentor si è focalizzato sullo spirito tradizionale del vestire romanì,
l'estetica dei suoi colori, il tipo di materiali adoperati, storia romanì,
cultura e moda indiana. Quest'anno Pavel, assieme al suo collega mentore,
l'insegnante Lenka Jiroudkovà, ha deciso di dedicare la sessione ad un viaggio
attraverso la storia della moda nel XX secolo.
Nell'accogliente attico della "casetta", grazie agli sforzi comuni, vediamo una
serie di fotografie di eleganti ragazze in attillati cappotti scuri, ombrelli
che ruotano dietro le schiene, come si fosse appena usciti dagli anni '40 o '50.
Vediamo punk hard-core con creste, hip-hopper con i pantaloni cascanti e dark
lady gotiche con cappotti che arrivano sino a terra, più neri del nero.
Col passare del pomeriggio, il centro comunitario si muta in una versione da
camera di Woodstock. Prevale tra i presenti un'atmosfera confortevole e
amichevole, mentre ci si diverte creando, godendo l'amicizia, condividendo
obiettivi comuni. Non ho dubitato per un momento - dopo tutto, di essere tra i
figli dei fiori.
Potete trovare qualcosa di più sul progetto Romsky'
Mentor sul sito di
ROMEA o su Facebook. IL progetto è totalmente finanziato da Open Society Foundation,
come parte del Programma Arti e Cultura di Budapest, e d anche parte del
Decennio Inclusione dei Rom.
Nadia, giovane rom, non vuole saperne dei libri... Appunti e riflessioni di uno
storico "maestro di strada".
Lunedì pomeriggio mi trovavo a Cosenza nel Circolo di via Popilia mentre erano
in corso le ultime attività del "doposcuola" frequentato da molti bambini dei
campi Rom. C'è anche Pamela (nome di fantasia, molto diffuso in quella
comunità), madre di Nadia (altro nome di fantasia) che in prima media ha smesso
di andare a scuola prima di dicembre e ora sembra, insieme alla madre, essere
ritornata sui suoi passi. Per sommi capi conosco la sua storia e c'è qualcosa
che non torna nel racconto che mi è stato fatto; quasi distrattamente, ma con
intento provocatorio le dico:
"Perché Nadia non vuole andare a scuola, è lei che non vuole mandarcela!".
Pamela non si scompone:
"Ma no, è lei che da sempre la scuola non gli entra in testa".
"Allora significa che il suo errore è cominciato da molti anni!".
Ancora non si scompone:
"Già alla scuola materna non voleva andare".
"Se è per questo anche mio figlio non voleva andarci, alla fine ha vinto lui,
però poi alla scuola elementare c'è andato. So che anche sua figlia c'è andata".
"Sì ma sempre senza voglia, non l'ha mai accettata".
Interloquisce Franca:
"Ma no! Fino alla quinta andava tutto bene, poi in quinta è successo qualcosa
che non so ed è cambiata".
"Allora, - insisto - è lei che non vuole mandarla, e cosa fa tutto il giorno?".
"Si alza tardi, verso le nove e mezza, poi passa il tempo così. Devo dire che
nei lavori di casa è coscienziosa, li fa volentieri".
Nel frattempo vedo sgusciare all'esterno una ragazzina che intuisco essere lei:
è alta, slanciata, capelli lunghi sciolti, una figura che per quel poco che ho
visto mi sembra di portamento elegante.
Finalmente Pamela reagisce:
"Io ho fatto fino alla prima elementare, poi ho abbandonato. Vorrei che lei
facesse la scuola perché solo le scuole danno il pensare" e si tocca la fronte
con le dita della mano riunite: il gesto che indica il pensare. "Ma lei con la
scuola proprio non si trova".
Poi ripete interrogativamente: "Perché solo la scuola dà il pensare".
Franca ripete che è successo qualcosa in quinta. Io invece resto senza parole; è
la prima volta che sento riassunto in una sola frase ciò che faticosamente, da
anni cerco di ripetere a tanti miei colleghi e compagni di lotta per
l'educazione: la scuola serve innanzitutto a se stessi, a costruirsi gli
strumenti di pensiero. E questa scena non mi esce di mente e continuo a pormi
delle domande, la prima delle quali vi giro: perché Pamela insiste a voler
retrodatare il disimpegno scolastico della figlia, nonostante evidenti prove
contrarie? E lo chiedo perché in migliaia di incontri avuti con i genitori di
allievi "difficili" è una affermazione piuttosto frequente.
La seconda domanda è cosa è successo in quinta, ma soprattutto - mi capita
spesso di fare questa domanda durante incontri formativi con docenti ed
educatori - perché vi interessa tanto il saperlo, perché abbiamo un bisogno
direi ossessivo di sapere "cosa c'è dietro"; non possiamo limitarci a vedere
Nadia come è oggi, a immaginare una figura elegante, mentre invece forse è
sguaiata; a immaginarla silenziosa e discreta quando invece, magari, urla al
disopra di tutte le compagne. Se vogliamo incontrare l'allievo dobbiamo avere
innanzitutto uno sguardo contemplativo, uno sguardo non analitico, che non si
separa da ciò che guarda, che si confonde in esso così come facevano i mistici
nei confronti di Dio: un'assenza di pensiero, uno stato fusionale. Senza questa
contemplazione iniziale ogni altra conoscenza sarà raccolta come dato che
inchioda la persona ai propri parametri oggettivi, ossia ad uno stereotipo
costruito con i paludamenti della scienza che non è scienza e non è neppure
conoscenza personale: è una costruzione mentale artificiosa che deve creare
l'illusione del controllo su una realtà che ci sfugge e ci inquieta.
La terza domanda è cosa significa "alleanza educativa" nel caso di Pamela. Io
credo che la frase: "solo la scuola dà il pensare" è il nucleo di una possibile
alleanza, è il punto in cui Pamela ha espresso un suo sogno. Forse appena cinque
minuti dopo avrà fatto qualcosa per smentire questo nobile proposito. Forse farà
molte cose per smentirsi. Ma il senso di una alleanza è proprio quello di
custodire in due una buona intenzione e di potersi appellare a quella intenzione
condivisa, il poter ricordare l'uno all'altro il comune intento. Alleanza
significa che da quel punto può cominciare una narrazione condivisa.
Quando parlo di queste cose vedo che spesso non ci si capisce, molti dicono che
l'alleanza c'è, ma poi non sanno esemplificare, è più implicita che esplicita,
non è stata formalizzata, non c'è stato un rito officiante. Perché un'alleanza
che non sia sufficientemente condivisa dalle parti non è un'alleanza, ma una
dichiarazione unilaterale che trasforma l'asimmetria di una relazione in una
struttura di potere. E quindi insisto che l'alleanza deve avere dei riti
appropriati, una enunciazione davanti ai testimoni giusti, una scrittura, un
simbolo che ce ne faccia ricordare. Dobbiamo potere in ogni momento ricordare a
noi educatori e ai nostri interlocutori quella parte buona di sé che
nell'alleanza si è impegnata.
La quarta domanda è cos'è che impedisce all'istituzione scuola un dialogo umano
con Pamela? Perché nei confronti di Pamela o c'è il disinteresse o si attiva una
catena persecutoria che le contesterà - come ho fatto io provocatoriamente - di
essere una madre sciagurata, di violare i diritti dei bambini, di eludere le
leggi dello Stato e quant'altro. Cos'è che impedisce alle tante donne che di
mestiere fanno le docenti e le educatrici di empatizzare con questa donna, di
capire che non è all'altezza dei suoi sogni perché è sopraffatta dai bisogni,
perché la sua mente non è libera, perché nessuno le riconosce il pensare -
neppure lei stessa - ed il nostro compito non è inchiodarla al suo piatto
realismo, ma sostenerla con i mezzi del pensiero e della riflessione a
migliorare se stessa. Ecco cosa potrebbe significare fare un lavoro educativo
con i genitori degli allievi 'che la scuola non gli è mai piaciuta'.
Di Fabrizio (del 22/03/2013 @ 09:01:10, in scuola, visitato 1738 volte)
Crescono sempre più i nati in Italia. I bimbi rom sempre più esclusi
dal sistema scolastico. 15 marzo 2013 -
Presentato il rapporto "Alunni con cittadinanza non italiana.
Approfondimenti e analisi. A.s. 2011/2012" elaborato dal Ministero
dell'istruzione e dalla Fondazione Ismu.
Sono 415 le scuole italiane nelle quali la presenza degli alunni stranieri
raggiunge o supera il 50% e se si considerano le sole scuole dell'infanzia otto
bambini stranieri su dieci sono nati in Italia.
Lo evidenzia il rapporto Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e
analisi. A.s. 2011/2012 elaborato dal Ministero dell'istruzione, dell'università
e della ricerca (Miur) e dalla Fondazione Ismu. Nell'anno scolastico 2011/2012,
gli alunni stranieri nati in Italia sono 334.284 e rappresentano il 44,2% sul
totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Cinque anni fa erano meno di
200mila, il 34,7%. Nelle scuole dell'infanzia i bambini stranieri nati in Italia
sono l'80,4%, più di otto su dieci, ma in alcune regioni la percentuale è ancora
più alta e supera l'87% in Veneto e l'85% nelle Marche, sfiora l'84% in
Lombardia e l'83% in Emilia Romagna. Mentre non raggiunge il 50% nel Molise e lo
supera di poco in Calabria, Campania e Basilicata. Negli ultimi cinque anni gli
studenti stranieri nati in Italia sono cresciuti del 60% nelle scuole
dell'infanzia (dove hanno raggiunto le 126mila unità, a partire dalle 79mila del
2007/2008) e nelle primarie (145mila), mentre sono più che raddoppiati nelle
secondarie di primo grado (46mila) e di secondo grado (17mila).
Secondo il rapporto del Miur e dalla Fondazione Ismu in totale le scuole in cui
la presenza di alunni stranieri non è inferiore a quella degli italiani sono 415
(corrispondenti allo 0,7% delle scuole), 10 in più dell'anno scolastico
precedente. Due terzi delle province italiane hanno almeno una scuola con un
numero di alunni stranieri non inferiore al 50%. Le scuole dell'infanzia con
almeno il 50% degli alunni stranieri sono 233. Le province con il maggior numero
di scuole con almeno il 50% di alunni stranieri sono Milano (55), Torino (34),
Brescia (32).
Gli alunni con cittadinanza rumena si confermano, per il sesto anno consecutivo,
il gruppo nazionale più numeroso nelle scuole italiane (141.050 presenze),
seguono gli albanesi (102.719) e i marocchini (95.912). Tra le crescite annue
più rilevanti si registrano quelle degli alunni moldavi (+ 12,3%) nei diversi
livelli scolastici, e ucraini (+ 11,7%) nelle primarie e filippini nelle
secondarie di primo grado (+8,5%) e di secondo grado (+11,2%).
La Lombardia si conferma la prima regione per il maggior numero di alunni con
cittadinanza non italiana (184.592). Seguono il Veneto, (89.367), e l'Emilia
Romagna con (86.944), il Lazio (72.632) e il Piemonte (72.053). Quanto agli
alunni rom, sinti e caminanti diminuiscono gli iscritti. Sono 11.899 nell'anno
scolastico 2011/2012, il numero più basso degli ultimi cinque anni, in
diminuzione del 3,9% rispetto al 2010/2011. Significativo il calo di iscritti
nelle scuole superiori di secondo grado (con una variazione del -26% dal
2007/2008 al 2011/2012) scesi a sole 134 unità di cui 10 in tutto il Nord Ovest.
Si osserva un calo degli iscritti nella scuola primaria, -5,7% rispetto ai
cinque anni precedenti, nelle scuole dell'infanzia, -5,8%, mentre risulta
leggermente in crescita il numero di iscritti nelle scuole secondarie di primo
grado. Un fortissimo calo di iscrizioni si registra già nel passaggio dalla
scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado, solo la metà degli alunni
rom prosegue gli studi pur essendo nella fascia dell'obbligo di istruzione.
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