Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:26:37, in Italia, visitato 2695 volte)
Ricevo da Tommaso Vitale
INAUGURAZIONE UFFICIALE PROGETTO DADO auto-recupero e inclusione
sociale
Lunedì 23 marzo
Settimo Torinese - Sala consigliare in Piazza Vittorio Veneto n.4
Affrontare il problema abitativo con la popolazione rom, soprattutto in questo
momento politico-sociale è di estrema delicatezza. Lo status medio delle
famiglie italiane si sta abbassando e spinge sempre più nuclei a scegliere di
vivere in periferia, quindi ai margini delle città, laddove si incontrano quelle
storie di storica emarginazione e dove si collocano gli insediamenti rom, in
particolare quelli spontanei/abusivi.
La straordinarietà del progetto Dado è racchiusa in una considerazione
fondamentale che potremmo chiamare “welfare alternativo”, nel senso che oggi, in
un momento in cui la disoccupazione è una delle maggiori preoccupazioni per
milioni di famiglie e la casa popolare un miraggio per tantissime altre, non è
pensabile innescare meccanismi di conflitto tra gli ultimi e i penultimi della
nostra società, scatenando sempre più odio.
In questo senso l’auto-recupero permette di non intaccare le già scarse risorse
esistenti per le persone in difficoltà, ma apre canali nuovi per ottimizzare
risorse che altrimenti verrebbero sprecate, come, in questo caso, uno stabile da
ristrutturare, in cui vivevano precedentemente alcuni soggetti fuori dal
controllo delle forze giudiziarie. Il progetto, che riceve un finanziamento
relativamente basso, rimette così a nuovo degli spazi che ritorneranno anche
alla cittadinanza, ma soprattutto permette un bassissimo impatto nei confronti
delle fasce deboli, evitando l’acuirsi dei conflitti.
PROGRAMMA DEL SEMINARIO
ore 8.45 registrazione partecipanti
ore 9.00 inizio lavori
ore 11.15- 11.30 coffee break
ore 13.00 termine dei lavori
ore 13.30 visita della struttura il Dado e pranzo a buffet
“SOCIAL HOUSING, INCLUSIONE SOCIALE, LOTTA AL PREGIUDIZIO”
“il DADO: una soluzione possibile” in differita su canale satellitare RAI
News 24
Conduce il dibattito: Corradino Minneo giornalista Rai Tre
Interverranno:
Michele Curto Presidente Terra del Fuoco
Fredo Olivero Ufficio Pastorale Migranti
Aldo Corgiat Sindaco di Settimo T.se
Don Luigi Ciotti Presidente di Libera e Gruppo Abele
Salvatore Rao Assessore alle politiche sociali della Provincia di Torino
Matteo Manzonetto Rappresentante ERIO (European Roma Information Office)
Ostalinda Maya Ovalle Rappresentante ERRC, European Roma Rights Centre di
Budapest.
È gradita la conferma della partecipazione all’evento con una mail a
priscilla.guidolin@terradelfuoco.org
oppure mari.rizzo@terradelfuoco.org
entro il 17/03/2009.
Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:45:42, in Italia, visitato 2140 volte)
Da
NO[b]LOGO
(ne approfitto per ricordare l'appuntamento di
oggi a Napoli)
Teverola è un piccolo centro al margine dell'interland Napoletano.
E' il primo comune della provincia di Caserta ma gravità su Aversa(NA), quasi un
quartiere di questa città antica e nobile, ed oggi disastrata.
Teverola era un centro agricolo diventato negli anni 60/70 un polo industriale,
la Texas, l'Indesit.
Ora resta ben poco dell'industria e della stessa agricoltura.
A Teverola sono arrivati alla fine degli anni 70, in case popolari, i napoletani
dopo il terremoto e i puteolani dopo il bradisismo.
Teverola è la frontiera di quell'interland divorato fatto di case, villette,
centri commerciali, residui di frutteti, discariche, un tessuto ormai urbano
degradato e difficile.
Non lontana dai poli camorristici di San Cipriano e Casal di Principe. A
Teverola passa l'alta velocità deviata da Caserta sul percorso Mondragone/Aversa.
Bene tra le tante cose a Teverola c'è un campo Rom, che la mia amica Nadia
Marino, presidente dell'Opera Nomadi di Caserta descrive così:
L’Opera Nomadi dopo un recente censimento ha potuto constatare che ..
... sono 200 rom circa (il doppio di quelli censiti ad
ottobre) a permanere nella zona e non 500-600 come paventato.
Una metà in fitto (non abusivi) su terreno privato, molti con
permesso di soggiorno e in Italia da una ventina di anni.
Per queste persone, con molti bambini si profila uno sgombero senza una
prospettiva di una nuova localizzazione, l'Opera Nomadi cerca di salvaguardare
quanto meno le esigenze dei bambini.
Al link trovate la lettera aperta indirizzata al prefetto ed al vicario ... mi
associo ... ben sapendo che non sono certo le 200 persone in emergenza ....
l'emergenza per Teverola e per l'Aversano, e che al contrario iniziare senza un
progetto il solito gioco degli sgomberi può essere solo un fattore di ulteriore
disaggio oltre che una crudeltà per i bambini e gli adulti della piccola
comunità.
Tarantolati Sud Magazine » Blog Archive » Opera Nomadi Caserta: “No allo
sgombero della comunità rom di Teverola”
Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:51:54, in Italia, visitato 1656 volte)
18 marzo 2009, ore 9.30 Università Roma Tre, Facoltà di Scienze della formazione, Aula Conferenze (ex Aula "I. Ambrogio"), IV piano, via del Castro Pretorio 20
Intervengono:
- Francesco Susi, Preside della Facoltà di Scienze della
Formazione;
- Francesco Pompeo, Coordinatore Osservatorio "M. G. Favara", I
territori della trasformazione tra accoglienza e rifiuto;
- Nunzia Marciano, Dirigente scolastico Istituto Carlo Pisacane,
Un'esperienza scolastica di frontiera;
Presentazione rapporti di ricerca:
- Ginevra De Maio, Capo redattore Osservatorio romano sulle
migrazioni, V Rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni;
- Ulderico Daniele, Osservatorio "M. G. Favara", Dossier
Emergenza "zingari" e censimenti dei "nomadi";
- Nazzareno Guarnieri, Presidente Federazione Rom e Sinti Insieme;
- Andrea Priori, Osservatorio "M. G. Favara", Monitoraggio delle
aggressioni ai danni di cittadini del Bangladesh nella città di Roma;
- Mukul Liaquat Ali Khan, Presidente Associazione "Mymensingh" -
Bangladesh;
- Vittorio Cotesta, Direttore del Centro Interdipartimentale di
Ricerca Educativa e Sociale, Riflessioni conclusive.
Nel corso della mattinata sarà inoltre presentato e distribuito il report
della ricerca realizzata dall'Osservatorio sul razzismo e le diversità "M. G.
Favara" nel Municipio VI del Comune di Roma: "Territorio, diritti,
partecipazione".
Info: oss.razzismo@uniroma3.it
Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:53:35, in media, visitato 1587 volte)
Da
LaStampa.it di BARBARA SPINELLI
E' davvero singolare che chi s'indigna per la messa a nudo dei politici
attraverso le intercettazioni, e addirittura parla di complicità dei giornali in
turpi linciaggi, non trovi le parole per protestare contro l'uso che viene fatto
dei volti di due romeni, Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz, arrestati il 17
febbraio per lo stupro di una minorenne nel parco della Caffarella. Quei volti
ci si accampano davanti a ogni telegiornale, e hanno qualcosa di cocciuto,
invasivo, conturbante: da ormai un mese ci fissano incessanti, nonostante il
Tribunale del Riesame abbia invalidato l'accusa dal 10 marzo, e le analisi del
Dna abbiano scagionato i loro proprietari già il 5 marzo. Se ne son viste tante,
di gogne: questa è gogna di due scagionati.
Parliamo di proprietari di due volti perché la faccia ci appartiene, è parte del
nostro corpo inalienabile. Così come esiste dal Medioevo un habeas corpus, che è
il divieto di sequestrare il corpo in assenza di imputazioni chiare, esiste
in molti codici quello che potremmo chiamare l'habeas vultus, l'habeas facies:
il diritto alla tua immagine anche se sei indagato (articolo 10, codice civile).
L'abuso in genere non avviene per gli italiani sospetti di violenza sessuale.
Per i romeni è diventata norma, anche se non ce ne accorgiamo più.
Il loro viso è sequestrato, strappato con violenza inaudita, e consegnato senza
pudore ai circhi che amano le messe a morte del reietto.
Habeas facies è un diritto che non ha statuto ma è in fondo anteriore all'habeas
corpus. In alcune religioni (ebraismo, islam) il volto è sacro al punto da non
dover essere ritratto. Vale per esso, ancor più, quello che Giorgio Agamben
scrisse anni fa sulle impronte digitali: "Ciò che qui è in questione è la nuova
relazione biopolitica "normale" fra i cittadini e lo Stato. Questa non riguarda
più la partecipazione libera e attiva alla dimensione pubblica, ma l'iscrizione
e la schedatura dell'elemento più privato e incomunicabile: la vita biologica
dei corpi. Ai dispositivi mediatici che controllano e manipolano la parola
pubblica, corrispondono i dispositivi tecnologici che iscrivono e identificano
la nuda vita: tra questi due estremi - una parola senza corpo e un corpo senza
parola - lo spazio di quella che un tempo si chiamava politica è sempre più
esiguo e ristretto" (Repubblica, 8 gennaio 2004). Agamben aggiunge:
"L'esperienza insegna che pratiche riservate inizialmente agli stranieri vengono
poi estese a tutti".
Il pericolo dunque riguarda tutti. Quando si comincia a denudare lo straniero,
ricorrendo al verbo o all'occhio del video, è il cruento rito del linciaggio che
s'installa, si banalizza, e l'abitudine inevitabilmente colpirà ciascuno di noi.
Lo ha scritto Riccardo Barenghi il 3 marzo su questo giornale ("Alla fine,
quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?") quasi parafrasando
le parole del pastore antinazista Martin Niemöller: "Prima di tutto vennero a
prendere gli zingari - e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a
prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici \. Poi un giorno
vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare".
Il linciaggio ha inizio con una svolta linguistica, cui ci si abbandona non
senza voluttà perché il linciaggio presuppone la muta ardente e la muta non
parla ma scaraventa slogan, non dà nomi all'uomo ma lo copre con sopra-nomi,
epiteti che per sempre inchiodano l'individuo a quel che esso ha presumibilmente
compiuto di mirabile o criminoso. Racz diventa "faccia da pugile". Isztoika
riceve un diminutivo - "biondino" - che s'accosta, feroce, al diminutivo che
assillante evoca le vittime (i "Fidanzatini"). Sono predati non solo i volti e i
nomi ma quel che i sospetti, ignorando telecamere, dicono in commissariato.
Bruno Vespa sostiene che le intercettazioni "sono una schifezza" e rovinano la
persona, ma non esita a esibire una, due, tre volte il video dell'interrogatorio
in cui il romeno confessa quel che ritratterà, trasformando la stanza del
commissariato in sacrificale teatro circense come per inoculare nello spettatore
la domanda: possibile mai che Isztoika sia innocente? Lo stesso fa l'Ansa, che
più di altri dovrebbe dominarsi e tuttavia magnifica gli investigatori perché
hanno condotto "un'indagine all'antica: decine di interrogatori di persone che
corrispondevano alle caratteristiche fisiche delle belve" (il corsivo è mio).
Avvenuta la svolta linguistica il danno è fatto, quale che sia il risultato
delle indagini, e i sospettati girano con quel bagaglio di nomignoli, slogan.
Rita Bernardini, deputato radicale del Pd, evoca il bieco caso di Gino
Girolimoni, il fotografo che negli Anni 20 fu accusato di omicidi di bambine e
poi scagionato ("Il fascismo dell'epoca trovò il capro espiatorio per
rasserenare la cittadinanza di allora e dimostrare che lo Stato era più che
efficiente e presente"). Ancor oggi, c'è chi associa Girolimoni all'epiteto di
mostro. Damiano Damiani nel '72 ne fece un film, Girolimoni - Il mostro di Roma,
con Nino Manfredi nella parte della belva. Non riuscendo più trovare un posto,
Girolimoni perse il patrimonio che aveva e cercò di sopravvivere aggiustando
scarpe e biciclette a San Lorenzo e al Testaccio. Morì nel '61, poverissimo. Ai
funerali, nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura, vennero rari amici. Tra
questi il commissario Giuseppe Dosi, che aveva smontato le prove contro
l'accusato: azione avversata da tutti i colleghi, e che Dosi pagò con la
reclusione a Regina Coeli e l'internamento per 17 mesi in manicomio criminale.
Fu reintegrato nella polizia solo dopo la caduta del fascismo.
Anche se scagionata, infatti, la belva resta tale: più che mai impura, impaura.
La sua vita è spezzata. Così come spezzati sono tanti romeni immigrati che
l'evento contamina. Guido Ruotolo, su questo quotidiano, fa parlare la
giornalista Alina Harhya, che lavora per Realitatea Tv: "Ma da voi non vale la
presunzione d'innocenza? Le forze di polizia non dovrebbero garantire il
diritto? E invece viene organizzata una conferenza stampa in questura e si
distribuiscono le foto, i dati personali, dei presunti colpevoli. Non ce l'ho
con la stampa italiana, sia chiaro. Però questo è un fatto. Qui da voi si fa la
rivoluzione se un politico viene ripreso in manette e invece nessuno protesta
quando si sbatte il mostro romeno in prima pagina" (La Stampa, 3 marzo). Ancora
non sappiamo di cosa siano responsabili Isztoika e Racz, ma i motivi per cui
restano in carcere appaiono oggi insussistenti e, se i romeni saranno scagionati
del tutto, le loro sciagure s'estenderanno ulteriormente: proprio come accadde a
Girolimoni, mai risarcito dallo Stato che l'aveva devastato.
La polizia di Stato può sbagliare: è umano. Ma se sbagliando demolisce una vita
e un volto, non bastano le parole. Se la comunità intera s'assiepa affamata
attorno al capro espiatorio, occorre risarcire molto concretamente. Iniziative
cittadine dovrebbero reclamare che i falsi colpevoli non siano scaricati come
spazzatura per strada. Nessun privato darà loro un lavoro: solo
l'amministrazione pubblica può. Occorre che sia lei a riparare il danno che gli
organi dello Stato hanno arrecato.
Se non si fa qualcosa per riparare avrà ragione Niemöller: non avendo difeso
romeni e zingari, verrà il nostro turno. Tutti ci tramuteremo in ronde -
politici, giornalisti, cittadini comuni - per infine soccombere noi stessi. Le
trasmissioni di Vespa sono già una prova di ronda. Le parole di Alessandra
Mussolini (deputato Pdl) già nobilitano e banalizzano slogan razzisti ("Certo,
non è che possono andare in galera se non sono stati loro, ma non cambia niente:
i veri colpevoli sono sempre romeni"). Saremo stati falsamente vigili sulla
sicurezza: perché vigilare è il contrario dell'indifferenza, del sospetto, e dei
pogrom.
Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 08:30:54, in Italia, visitato 2247 volte)
Ivana K Roman su Facebook mi ha rimproverato per questo
articolo sulla
Serbia, scrivendomi che l'Italia ha molto da imparare da quel paese sulla
tutela dei Rom... Probabilmente ha ragione, ecco che proprio la Milano dell'Expo
è finita sotto le critiche di
Amnesty International (file PDF). Per il momento sta circolando in inglese,
provo a tradurlo
Le autorità di Milano stanno preparandosi a sgomberare di forza una comunità
di circa 150 Rom che vivono sotto un cavalcavia a nord nella città. Secondo i
giornali locali, hanno annunciato che lo sgombero avverrà tra il 13 e il 30
marzo.
Per la legge italiana, le autorità pertinenti dovrebbero notificare ad ogni
individuo, o pubblicare nei modi previsti dalla legge un ordine o un avviso ma,
secondo le informazioni disponibili ad Amnesty International, non l'hanno fatto.
Dato che l'ordine non è stato formalizzato, la comunità non può ricorrere
attraverso i tribunali e fermare o posporre lo sgombero.
Non ci sono state consultazioni con la comunità sul minacciato sgombero, o
alcun tentativo di identificare assieme qualsiasi alternativa attuabile. Appare
che le autorità non hanno preparato nessun piano per un'adeguata sistemazione
alternativa o ne hanno discusso con i diretti interessati. L'atteggiamento della
municipalità nelle occasioni precedenti è stato di offrire qualche forma di
riparo nel breve termine (settimane o pochi mesi), e soltanto per le donne e i
bambini piccoli, nei dormitori per senzatetto. In alcuni casi sembra che
neanche questa offerta sia stata fatta. Attualmente la comunità sta vivendo in
tende e baracche autoprodotte sotto il ponte di Bacula, senza acqua corrente,
fognature o elettricità. Senza una sistemazione alternativa, le famiglie
dovranno spostarsi in un altro accampamento improvvisato o restare senza riparo.
La maggior parte dei Rom che vivono nel campo di Bacula hanno precedentemente
sperimentato almeno uno sgombero forzato. Si ritiene che circa 110 di loro siano
stati sgomberati nell'aprile 2008 da un altro campo non autorizzato, in via
Bovisasca. Di questi 110, almeno 100 sono stati sgomberati nell'ottobre 2007,
dallo stesso campo Bacula dove stanno vivendo adesso. Diversi degli sgomberi
precedenti sono degenerati in distruzioni di proprietà, inclusi i ripari,
vestiti, materassi ed, in qualche caso, medicine e documenti. Si ritiene che
tutti questi sgomberi siano stati portati avanti senza le procedure di
salvaguardia richieste dagli standard dei diritti umani regionali ed
internazionali, incluso un tempo di preavviso adeguato e ragionevole,
un'opportunità di un'autentica consultazione, fornitura di rimedi legali incluso
se necessario l'aiuto legale, soluzioni abitative alternative adeguate e
compensazione per tutte le perdite. L'Italia è anche sotto l'obbligo di
assicurare che gli sgomberi non rendano gli individui senza riparo o vulnerabili
alla violazione degli altri diritti umani.
Almeno in 35 a rischio di sgombero hanno meno di 18 anni, e 15 meno di 5.
Dieci bambini frequentano la scuola vicino al campo Bacula, nonostante le
condizioni di vita davvero difficili; le minacce di sgombero di interrompere la
loro scolarizzazione e disturbare seriamente la loro istruzione.
Se la comunità di Bacula fosse sgomberata a forza, sarebbero a rischio di
vivere in condizioni considerevolmente peggiori di quelle che affrontano oggi,
che sono già estremamente difficili, senza un semplice riparo vivrebbero
all'aperto esposti alle intemperie. L'interruzione renderebbe difficile per gli
adulti, di cui almeno 14 si ritiene abbiano un impiego regolare, di andare a
lavoro.
Per la legge internazionale gli sgomberi forzati - cioè sgomberi portati
avanti senza appropriate garanzie procedurali, inclusa la possibilità di
indennizzo giudiziario e senza assicurazione di sistemazione alternativa
adeguata - sono una grande violazione di diversi diritti umani, incluso il
diritto ad un alloggio adeguato. Lo sgombero può avvenire soltanto come ultima
possibilità, una volta che tutte le possibili alternative siano state esplorate
e soltanto con tutte le adeguate protezioni procedurali, in accordo con gli
standard internazionali e regionali dei diritti umani. L'Italia è stata
sottoposta a severe critiche dalle associazioni dei diritti umani internazionali
e locali, incluso il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, che hanno trovato
l'Italia in violazione della Carta Sociale Europea. Tuttavia l'Italia ha mancato
di implementare queste raccomandazioni ed al contrario ha continuato ed in
determinati casi aumentato gli sgomberi forzati di comunità rom.
INFORMAZIONI DI SFONDO
Per almeno gli ultimi10 anni, sono stati compiuti in Italia numerosi sgomberi
forzati di comunità rom. Gli sgomberi sono diventati più frequenti dopo che il
18 maggio 2007 sono stati firmati accordi speciali (i Patti per la Sicurezza)
tra il governo nazionale e le autorità locali, inclusa quella di Milano. Con
questi accordi alcuni poteri sono stati trasferiti dal Ministero degli Interni
alle autorità locali, allo scopo di indirizzare le minacce percepite alla
sicurezza, incluse quelle che si suppone siano poste dalla presenza di comunità
rom in queste città. Nel maggio 2008, un decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri (DCPM 21 maggio 2008) ha conferito poteri emergenziali ai Prefetti
(i rappresentanti permanenti del governo nazionale sul territorio) per un anno,
perché risolvessero "l'emergenza nomade" adoperando una legge del 1992 emanata
per fornire poteri d'emergenza in caso di disastri naturali. Il decreto da
potere ai Prefetti di derogare da un numero di leggi, compreso quelli che
conferiscono diritti a tutta la gente rispetto ai poteri delle autorità. Il
potere può essere esercitato contro chi di qualsiasi nazionalità sia ritenuto
"nomade". Sembra riguarda sproporzionatamente i Rom.
AZIONI RACCOMANDATE (questa è la parte più importante ndr): Vi
preghiamo di inviare appelli che arrivino il prima possibile, in italiano,
inglese o nella vostra lingua:
- per far pressione alle autorità che non sgomberino forzatamente le
famiglie rom che vivono sotto il cavalcavia Bacula;
- che ricordino alle autorità che gli sgomberi forzati, portati avanti
senza protezioni legali, sono proibiti dalla legge internazionale e una
grande violazione di diversi diritti umani; in particolare quello ad una
sistemazione adeguata;
- per fare pressione che gli sgomberi avvengano solo come ultima
possibilità, e soltanto in piena conformità con le garanzie richieste dagli
standard locali ed internazionali dei diritti umani, incluso attraverso una
reale consultazione coi residenti interessati dell'area e per esplorare le
possibili alternative; fornire loro una notifica adeguata e ragionevole;
garantire il diritto al risarcimento legale, inclusa la possibilità di
ricorrere in tribunale e di avere aiuto legale, fornire una sistemazione
alternativa adeguata e una compensazione per tutte le perdite ed assicurare
nessun maltrattamento ai Rom.
APPELLI DA INVIARE A:
Prefetto di Milano: Dott. Valerio Lombardi, Prefetto di Milano, Palazzo Diotti - Corso Monforte, 31
- 20122 Milano, ITALY Email
prefettura.milano@interno.it Fax: +39 02775 84170 Saluto: Egregio sig. Prefetto
Sindaco di Milano: Sindaco Letizia Moratti, Comune di Milano, Palazzo Marino, Piazza della Scala 2,
20121 Milano, ITALY Saluto: Egregio Sindaco
Vice Sindaco: Vice Sindaco Riccardo De Corato, Piazza Scala, 2 – 20121, Milano, Italy Fax: +3902884 50059 Email:
vicesindaco.decorato@comune.milano.it
Saluto: Egregio Vicesindaco
Assessore alle Politiche Sociali:
Assessore Politiche Sociali Mariolina Moioli, Largo Treves, 1 – 20121 Fax: +3902884 53391 Email:
assessore.moioli@comune.milano.it
Saluto: Egregio
Assessore
INVIATELE IMMEDIATAMENTE. Controllate con il Segretariato
Internazionale, o l'ufficio della vostra sezione, se inviare gli appelli dopo il
1 aprile 2009.
Da
Roma_Daily_News
9 marzo 2009
Un'associazione romanì di Didim ha lanciato una nuova campagna per reclutare
membri tra la sua comunità forte di 1.000 componenti, e promuovere la propria
cultura al più vasto pubblico.
L'Associazione, lanciata lo scorso settembre, ha già reclutato 60 membri, ma
alcuni all'interno della stessa comunità sono contrari a dichiarare
pubblicamente la loro identità, a causa delle ingiustizie percepite da parte del
pubblico più vasto.
Il presidente dell'associazione, Metin Çakir, ha detto di comprendere la loro
reazione, dato che molti hanno incontrato difficoltà nel lavoro, nella
scuola e per strada dichiarando la propria appartenenza romanì.
Come parte delle iniziative dell'associazione, per richiamare Rom e pubblico,
i suoi componenti hanno tenuto uno spettacolo di balli popolari il 28 febbraio.
Si stimano 1.000 zingari che vivono a Didim e dintorni, ci sono 221
associazioni zingare in Turchia - con circa 167 nella Regione Egea. La sola
Smirne ha 18 associazioni e due federazioni.
Çakir ha detto che stanno provando a spiegare l'importanza di essere
organizzati alla comunità di Didim, ma ancora esistono difficoltà all'interno.
Mentre la maggior parte dei membri è giovane, inclusi i non-zingari, alcuni
degli anziani della comunità romanì si sono espressi contro l'associazione.
Ha detto Çakir: "Sfortunatamente alcuni sono timidi nel dichiarare la loro
identità. Tuttavia, una volta che hanno assistito alla riunione della
federazione a Smirne, hanno avuto testimonianza dell'interesse delle autorità
dell'Unione Europea.
Sono interessati nel perpetuare la loro identità culturale in Turchia, nella
loro istruzione e negli standard di vita. La UE offre borse di studio ad alcuni
degli zingari che studiano all'università.
"Ora stiamo provando ad avere studenti delle superiori per beneficiare anche
della loro preparazione. Se possiamo unirci a Didim, allora possiamo beneficiare
di questi diritti."
Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:11:27, in Italia, visitato 1499 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Il Manifesto, 14 marzo 2009 - Politica e società di Cinzia Gubbini
Sta bene, sta imparando a leggere e scrivere e ormai parla un buon italiano.
Angelica V. compirà 17 anni a novembre, e da più di un anno ormai è rinchiusa
nel carcere minorile di Nisida, Napoli: è lei la prima rom ad essere stata
condannata in Italia per aver tentato di rapire un bambino, il pregiudizio che
da sempre insegue i rom in tutto il mondo. E' dal suo caso - che secondo il suo
avvocato difensore, secondo le associazioni che hanno seguito il processo di
primo grado, è ancora tutto da chiarire - che partirono i pogrom di Ponticelli,
capaci di far sparire in un paio di giorni i rom da quell'area, come da anni i
comitati cittadini tentavano di fare.
Angelica è rimasta sullo sfondo di una storia molto più grande e complicata,
che mette insieme razzismo, camorra, politica. A lei sono rimasti tre anni e
otto mesi di carcere da scontare, secondo la sentenza del Tribunale dei minori
del 13 gennaio scorso. Ieri è andata a trovarla un'attivista dell'associazione
Everyone, Giancarlo Ranaldi: "Angelica è tranquilla, e finalmente è riuscita a
tornare in contatto con un membro della sua famiglia, così può informarsi sulla
sua bambina". Perché anche Angelica è mamma. Sua figlia ha un anno e mezzo e
vive in Romania con i nonni, in una cittadina vicino Bistrita, nel nord-ovest
del paese. Anche Angelica viveva lì fino ad aprile, quando è venuta in Italia
con il marito e altri due parenti e si è stabilita a Ponticelli. Viveva di
elemosina, ma anche di furti. Giusto due giorni prima del presunto tentativo di
rapimento aveva già rischiato di essere linciata da un gruppo di abitanti,
perché era stata sorpresa in un appartamento. L'aveva salvata una pattuglia
della polizia. "Possibile che dopo due giorni da quell'episodio si sia andata a
ficcare in una situazione tanto pericolosa come il tentativo di rapire un
bambino?", si chiede Giancarlo. Lui che ci ha parlato ha avuto l'impressione che
sia una ragazzina come tante, allegra ieri perché era venerdì, il giorno della
telefonata. "Mi ha detto che vive aspettando il venerdì, quando può chiamare a
casa. Ma è ancora molto spaventata e mi ha detto di soffrire molto per la
lontananza di sua figlia e di suo marito". Giancarlo le ha anche chiesto se le
servissero soldi "ma mi ha risposto di no - racconta - perché in carcere le
hanno dato un lavoro e riceve una piccola paga. Me lo ha detto con orgoglio".
Il 7 maggio l'appello. L'avvocato Chirsitian Valle aveva denunciato la
parzialità del processo di primo grado. "Stiamo seguendo da vicino il caso -
dice Roberto Malini di Everyone - e anche il presidente dell'Union Romanì, Juan
De Dios Ramirez Heredia, che è avvocato, e potrebbe indossare di nuovo la toga
per difenderla".
Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:26:30, in Italia, visitato 2203 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
Liceo Scientifico St. “M. Malpighi”
Via Silvestri, 301, Roma
Progetto Intercultura / Diritti umani
CORSO DI AGGIORNAMENTO SULLE CULTURE ROM-SINTI
Con il patrocinio della Provincia di Roma
L'estrema tensione che si riscontra attualmente nel nostro Paese in merito alla
convivenza con le comunità Rom-Sinti richiede innanzi tutto l'avvio di un
percorso di conoscenza di quella realtà. Il nostro Liceo, che ha come linee
portanti del POF l'educazione all'intercultura, al rispetto dei diritti e alla
convivenza civile, basata sul reciproco rispetto e sulla solidarietà, si fa
promotore di una qualificata occasione di studio.
Il corso è rivolto non solo ai docenti interni, ma anche ai docenti delle scuole
di zona e in generale al territorio, perché in questa fase potrebbe risultare
interessante anche per altri operatori o semplicemente come momento di
approfondimento culturale su un tema molto caldo e sul quale l'informazione è
assolutamente carente.
Il corso si articolerà su tre incontri pomeridiani di tre ore ciascuno
(dalle 15.00 alle 18.30), articolati su moduli tematici e un pomeriggio finale dedicato
alla presentazione di espressioni artistiche, inteso come iniziativa aperta al
territorio.
Sarà possibile frequentare anche soltanto uno o due moduli.
Sarà disponibile la bibliografia raccolta dal Progetto Intercultura e a tutti i
partecipanti verranno distribuiti alcuni materiali di base.
Coordinatori del Corso:
Francesca Ferrari (Referente Progetto Intecultura/Diritti umani Liceo Sc. St.
Malpighi)
Cristina Mattiello (Liceo Sc. St. M. Malpighi)
Per informazioni e iscrizioni: cristinam@mclink.it
Programma
I giornata: tra storia e immaginario
Giovedì 19 marzo, ore 15.00-18.30
1 Quadro storico di base (con un'attenzione specifica allo sterminio nei lager
nazisti e alla creazione dei “campi nomadi”): Prof. Luca Bravi (Univ. di
Firenze)
2 La costruzione dello stereotipo: Pino Petruzzelli (regista, attore, autore di
“Non chiamarmi zingaro”)
3 L'immagine dello zingaro in letteratura: Cinzia Di Cicco (Liceo Sc. Malpighi)
II giornata: la scuola
Venerdì 17 aprile, ore 15.00-18.30
1 Problematiche della scolarizzazione: linee teoriche: Prof. Marco Brazzoduro
(Docente di Politiche Sociali e Sanitarie, Università "La Sapienza", Roma “)
2 Tavola rotonda. Gli operatori: Rocco Mangiavillani (Comunità di Capodarco),
Sabina Milani (Arci), un operatore di Sant'Egidio, un operatore dell'Opera
Nomadi
3 Interventi di insegnanti delle scuole elementari e medie limitrofe con
presenza di bambini Rom e di una maestra della Sc. Element. Iqbal Masih.
III giornata: la situazione attuale (diritti, cultura, interventi possibili)
Lunedì 11 maggio, ore 15.00-18.30
Laboratorio a cura di Eva Rizzin (sinta, Dottorato di ricerca in Geopolitica,
Istituto di cultura sinta, ricercatrice ed esperta per il Parlamento europeo);
presentazione di filmati e materiali vari sulle problematiche giuridiche e la
situazione politica e sociale in Italia e in Europa.
IV giornata: cultura e arte. Pomeriggio aperto al territorio
Venerdì 15 maggio
1 Quadro culturale generale: Cristina Formica, operatrice sociale, redattrice di
Carta
2 Gli zingari e il cinema: Cristina Formica
3 Musica dal vivo: un musicista Rom; Lucilla Galeazzi (cantante di fama
internazionale nel campo della musica popolare)
Verranno proposti assaggi di cucina Rom.
Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:28:22, in casa, visitato 2151 volte)
Da
Czech_Roma
The Prague Post, 12 marzo 2009
Foto Michael Heitmann: La madre single Helena Koňová
attende la rilocazione forzata verso quelle che chiama unità "sporche ed in
rovina" come parte della proposta di Chomutov.
By Curtis M. Wong and Sarah Borufka, Staff Writers
Chomutov, North Bohemia
Situata in una delle aree più indigenti del paese, la città di Chomutov
trasuda un'aria di profondo sfinimento. Appartamenti sbriciolati si allineano
ciascuno sulle vie principali, e persone dall'aria poco rassicurante
bighellonano fuori da trasandati bar con slot-machine e take-away asiatici.
Le industrie locali hanno lasciato i residenti senza lavoro, ed il municipio
di Chomutov spera di riaccendere la propria immagine con una complessa proposta
che ha avuto effetto a febbraio. Chiamato "Záchranný kruh" (Salvavita), il piano
ha lo scopo di rimuovere quelli a cui la sindaca Ivana Řápková si riferisce come
"gente che crea confusione" - incluse prostitute e percettori di previdenza
che non pagano l'affitto - dalle aree centrali e dai quartieri residenziali lì
attorno.
"Il nostro scopo è aiutare i cittadini decenti", ha detto Řápková. "Per la
prima volta nella storia della nostra città, tutti i dipartimenti municipali
stanno lavorando assieme... E' un sistema complesso di misure che si indirizza a
tutta la gente inadattabile di Chomutov".
Le statistiche di Řápková sono sconcertanti. Le registrazioni del municipio
di Chomutov indicano che gli sono dovuti un totale di 240 Kč di affitti
arretrati, come pure dalle susseguenti multe, soprattutto da parte di percettori
di previdenza. La popolazione di Chomutov attualmente si aggira sui 50.000
abitanti, e si stimano in 8.000 quanti attualmente ricevono sussidi statali, di
cui circa l'80% secondo quanto riferito è di origine Rom.
Nonostante la lodi del Ministro degli Interni Ivan Langer e dei residenti
dell'area (in oltre 10.000 hanno firmato una petizione online di appoggio alla
nuova legislazione in un periodo di otto giorni), l'iniziativa è stata
largamente bocciata a livello nazionale, sollevando le critiche dei locali
gruppi umanitari e anche di Michael Kocáb, Ministro per i Diritti Umani e le
Minoranze. Tra le molte preoccupazioni c'è la nuova procedura che permette agli
incaricati comunali di pubblicare i permessi di chi riceve la previdenza, come
pure il piano di rilocazione, che trasferisce chi non ha pagato l'affitto dagli
appartamenti comunali a blocchi di container in un'area periferica di Chomutov
che la città ha comprato quattro anni fa.
Foto Michael Heitmann: I gruppi dei diritti umani
considerano l'alloggio in container un piano inadeguato e populista.
Gli incaricati comunali dicono che il 60% degli avvisi di sgombero saranno
consegnati entro le prossime due settimane a chi non ha pagato l'affitto. Poco
dopo, i primi residenti si sposteranno nei container, poveramente isolati.
Precedentemente usati come magazzini, alcuni di questi attualmente mancano di
adeguato riscaldamento ed impianto elettrico, ed i residenti avranno l'accesso
solo alle docce ed ai ricoveri comunali. Una volta lì, i residenti dovranno
pagare 400 Kč ($18) al mese più i servizi.
"Il piano di Řápková è completamente demagogico", ha detto Jarmila Kuchárová,
assistente sociale presso il ramo di Chomutov di Člověk v tísni (Gente in
Difficoltà), una OnG. "Semplicemente non sono politiche sociali appropriate
quelle di rimuovere i residenti dalla loro casa e mandarli in appartamento -di
rimpiazzo- che sono così inadeguati."
Tra quanti stanno aspettando la rilocazione c'è Helena Koňová, madre single
di tre figli, che attualmente vive provvisoriamente in un appartamento lungo il
blocco dove sono situati i container. "Voglio solo vivere come chiunque altro,
in un appartamento con l'acqua calda ed il riscaldamento centralizzato," ha
detto Koňová, il cui marito è attualmente in prigione. "Non penso che sia troppo
chiederlo per una madre con tre figli. Quelli nuovi sono sporchi ed in rovina."
I gruppi umanitari locali hanno fatto un paragone tra le proposte di Řápková
e l'altrettanto criticata operazione dell'ex Ministro allo Sviluppo Regionale,
Jiří Čunek. Nel 2006, Čunek, che era allora sindaco di Vsetín, Moravia
orientale, spostò diverse famiglie rom dai quartieri centrali in case scadenti
ai margini della città.
"Politicamente favorevole"
A differenza di Čunek, che espressamente rivendicava che lo scopo del suo piano era di
"allontanare il pus dalla ferita", Řápková non fa riferimento esplicito ai
cittadini rom nel descrivere la sua proposta ma, dato che la maggior parte di
chi riceve assistenza sociale è di origine rom, i gruppi umanitari locali dicono
che sono certi la cosa sia implicita.
"E' ovvio che la gente dovrebbe essere obbligata a pagare i propri debiti,
indipendentemente dalla sua razza", dice Jan Šipoš, altro assistente sociale di
Gente in Difficoltà. "Spostare i residenti in questi blocchi non è differente
dal creare un altro ghetto... E' un modo di raggruppare gente di razza simile e
creare uno stigma che rimarrà con loro per il resto della vita".
Continua suggerendo che il piano municipale sia ampliamente motivato
politicamente. "E' un periodo politicamente favorevole a Řápková per
portare [le tematiche rom] in prima linea e nascondere le altre urgenze della
città".
Řápková ha rifiutato queste proteste, notando che molti dei residenti
che saranno mandati nei container hanno causato molestie domestiche ed hanno, in
qualche caso, danneggiato altre proprietà immobiliari cittadine.
"Questa diventerà, naturalmente, una sistemazione di base, e non augurerei a
nessuno di viverci", ha detto Řápková. "Non ci siamo preoccupati del colore
della pelle, ma se qualsiasi persona pagasse l'affitto e se disturbasse qualcuno
nei paraggi. Le stesse politiche saranno applicate a normali famiglie che
lavorano e che possono aver contratto debiti".
Šipoš ha detto che la città dovrebbe assumere un approccio più individuale
nell'affrontare i debitori che dovrebbe includere il regolare pagamento delle
bollette, ed ha detto che la sua organizzazione ha suggerito di sviluppare una
politica cittadina che dovrebbe permettere a chi riceve previdenza per
estinguere i debiti tramite programmi di servizio comunitario, che prevedano un
graduale rientro.
"Come fornitore di servizi sociali, posso dirvi che queste persone di solito
non vedono i debiti nella stessa maniera degli altri cittadini", dice. "Non
penso che siano state esplorate tutte le opzioni... Questi debiti avrebbero
dovuto essere risolti prima, invece di permettere il loro accumulo e poi di
portare via tutto a questa gente".
- Naďa Černá contributed to this report.
The writers can be reached at
news@praguepost.com
Di Fabrizio (del 18/03/2009 @ 09:00:41, in Italia, visitato 1496 volte)
INT. Cesare Alzati - sabato 14 marzo 2009
Quali sono, a suo avviso, le principali cause della difficile integrazione
dei rumeni in Italia?
Non credo sia corretto parlare di “difficile integrazione”. È significativo il
caso di Romeni che, dopo aver conosciuto situazioni di vita dura in Italia,
avendo trovato sistemazione in altri Paesi europei, intervistati, hanno
dichiarato che l’ambiente in cui meglio si erano sentiti era comunque l’Italia.
Nei mesi scorsi ho incontrato un imprenditore romeno, stabilitosi e operante da
tempo nel nostro Paese, che pubblicamente ha testimoniato di non essersi mai
sentito discriminato per la sua origine. Quando si parla di cittadini romeni
presenti in Italia, non si può non considerare il fatto che tra loro vi sono
appartenenti al popolo romeno e appartenenti ai gruppi Rom (ossia, Zigani; in
lingua italiana: Zingari). Il problema dell’integrazione e della marginalità nei
due casi si pone ovviamente in termini diversi. Se già esistono problemi di
integrazione e di tutela nei confronti degli Zingari italiani, è oltremodo
comprensibile che tali problemi si presentino in forma esasperata per gli
Zingari non italiani, tra i quali non pochi sono i romeni. Ma in questo caso
la questione non è legata alla cittadinanza (romena), ma alle consuetudini e
alle forme di vita (zingaresche), sicché non è questione specifica ‘romena’.
Merita comunque ricordare che nel ‘Vecchio Regno’, ossia nei territori romeni
rimasti vassalli del Sultano – almeno formalmente – fino al 1878, gli Zingari
erano schiavi, con relativo mercato, e sono stati emancipati nel 1855. Vi è
dunque in questo gruppo etnico una sedimentazione di esperienze storiche, che ne
rende il processo d’integrazione oltremodo complesso. Discorso profondamente
diverso s’impone per quanti, appartenenti al popolo romeno, sono oggi presenti
in Italia. E non sono soltanto cittadini romeni, ma anche Romeni con
cittadinanza ucraina e – in misura assai più ridotta – moldovena. Tra costoro vi
sono anche persone con elevati titoli di studio e ottima qualificazione
professionale; vi sono validi studiosi perfettamente inseriti in organismi di
ricerca, vi sono imprenditori e, naturalmente, come tutti sappiamo, ottimi
manovali, infermiere e collaboratrici domestiche, talvolta con titoli di studio
di alto livello. Nel contesto di una migrazione selvaggia, quale si è avuta, vi
sono anche disperati, con precedenti penali e condanne nel loro Paese, che –
venendo clandestinamente in Italia – vi portano la loro disperazione e la loro
marginalità. Per renderci conto del fenomeno si pensi alla migrazione dalla
Sicilia negli Stati Uniti all’inizio del Novecento e all’esportazione della
delinquenza organizzata, che allora si determinò. Fu quello certamente un
fenomeno legato all’immigrazione italiana, ma non sarebbe legittimo identificare
l’Italia con quel fenomeno. L’equiparazione ‘Italiano-mafioso’ non è soltanto
sgradevole a udirsi, soprattutto non è, e non era, rispondente alla realtà.
Non conosciamo quasi nulla della cultura romena, che pure anche
linguisticamente è vicina alla nostra. Come mai? Come valuta la situazione
culturale di quel paese, che ha vissuto un regime comunista particolarmente
feroce ed è infine approdato nell’Unione Europea?
Sembra che la moltiplicazione smisurata degli strumenti di comunicazione
paradossalmente ci renda in ugual misura ignoranti delle realtà con cui veniamo
in contatto. L’intensità degli scambi culturali che si ebbe tra i due Paesi nel
periodo interbellico è ben attestata dallo splendido edificio dell’Accademia di
Romania in Roma a Valle Giulia. Nei manuali di Storia lo spazio romeno è
peraltro quasi ignorato: colpevolmente, trattandosi di uno spazio cerniera, dove
si è realizzato un interessantissimo interscambio tra le grandi tradizioni
culturali, religiose, istituzionali dell’Europa. Questa ricca vicenda storica è
ben espressa dall’Università di Cluj, in Transilvania. Le sue radici affondano
nel Collegio gesuitico creato nel 1581, che nel secolo XVII divenne una
prestigiosa Scuola superiore protestante (unitariana), nella seconda metà del
Settecento conobbe la propria rifondazione quale Università tedesca e, un secolo
più tardi, nel quadro del Regno d’Ungheria, fu trasformata in Università
ungherese, per divenire infine, dopo la formazione del Regno della Grande
Romania nel 1918, importante ateneo del sistema universitario romeno. Tale
Università ha attualmente tre linee d’insegnamento: romena, ungherese e tedesca;
ha quattro Facoltà teologiche: Ortodossa, Greco-Cattolica, Riformata,
Romano-Cattolica; ha una Facoltà di Economia caratterizzata da linee di
formazione specializzate per le diverse aree economiche europee, con corsi
interamente in lingua inglese, tedesca, francese (è in fase progettuale anche
una linea italiana); ha istituito con la collaborazione di Università
dell’Unione Europea una dinamica Facoltà di Studi Europei ed è impegnata in una
fitta rete di scambi internazionali. Chi visiti quell’Università non può
sottrarsi all’impressione di un Paese che ha seriamente investito sulla
formazione e sulla cultura, e che sta preparando con impegno il suo futuro, dopo
la devastazione e il più che quarantennale isolamento imposto dal regime
ideocratico e totalitario comunista. Siffatta impressione trova conferma nelle
borse di studio che annualmente il Governo romeno pone a disposizione di propri
giovani laureati in discipline umanistiche per soggiorni biennali di studio e di
specializzazione in Italia, presso l’Accademia di Romania in Roma e a Venezia
presso l’Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica.
Qual è la situazione religiosa della Romania?
La storia religiosa dello spazio romeno è la più marcatamente europea
dell’intero continente! Ciò che altrove è polarizzazione dialettica (Ortodossia
/ Protestantesimo; Atene / Ginevra) qui, e segnatamente in Transilvania, è
compresenza storica e complementarietà vissuta: nella stessa località chiesa
protestante e chiesa ortodossa si trovano l’una presso l’altra. Ma anche in
rapporto alla tradizione ortodossa, non si deve dimenticare che questo popolo,
che ha sempre parlato lingua (neo)latina, ha utilizzato per secoli quale lingua
di culto e di cultura la lingua slavona, sostituita nel Sei-Settecento dal
greco, soprattutto in Valacchia e Moldavia (presso le Corti, nelle sedi
episcopali e nei grandi monasteri). In tal modo anche quella che nell’ambito
ortodosso può considerarsi una polarizzazione non priva di tensioni tra Slavia
ed Ellenismo romeo (ossia, tra Mosca e Costantinopoli) nello spazio romeno è
divenuto patrimonio analogamente compartecipato e armonicamente metabolizzato.
Inoltre nella Transilvania, se il popolo romeno era di tradizione ortodossa, le
egemoni componenti ungheresi e tedesche (Sassoni), di tradizione cattolica, col
secolo XVI divennero protestanti: luterani i Sassoni, riformati gli ungheresi,
in notevole misura acquisiti nel Seicento alla Chiesa unitariana
(antitrinitaria). Solo a partire dalla fine del Seicento, con l’inserimento del
Principato nel sistema imperiale asburgico, fu possibile un parziale recupero
delle popolazioni ungheresi alla fede cattolica. Quanto ai Romeni negli anni
1697-1701 la loro Chiesa, pur conservando la tradizione ecclesiastica ortodossa,
si dichiarò Unita con Roma. L’inserimento alla metà del Settecento di missionari
confessionali serbi provocò la frattura all’interno di tale Chiesa col formarsi
di una comunità ortodossa ‘non unita’ divenuta rapidamente maggioritaria.
All’avvento del regime comunista la Chiesa Unita (o greco-cattolica, secondo il
lessico cancelleresco asburgico) era comunità ancora molto consistente (oltre
1.500.000 fedeli) e caratterizzava centri urbani, come la stessa Cluj. Il 1°
Dicembre 1948 tale Chiesa è stata dichiarata non più esistente dal potere ateo:
tutti i suoi vescovi e un gran numero di suoi preti e laici sono stati posti in
carcere (dove molti hanno trovato la morte) e i suoi luoghi di culto sono stati
dati alla Chiesa ortodossa. Questo ha voluto dire nei villaggi cancellare
totalmente la Chiesa unita, nelle città determinare nelle chiese
cattolico-romane ungheresi una frequentazione da parte di fedeli romeni uniti,
che vi cercavano ospitalità per confermare la propria fedeltà alla comunione con
Roma. Uno dei primi atti istituzionali della Romania libera, dopo la caduta del
regime, è stata la restituzione della legittimità legale alla Chiesa Unita, cui
peraltro la Chiesa ortodossa non ha voluto restituire gli edifici di culto a lei
conferiti dal passato potere (con l’unica eccezione dell’Arcidiocesi di
Timisoara, retta dal metropolita del Banato Nicolae Corneanu, che al riguardo ha
offerto e sta offrendo una straordinaria, coraggiosa e sofferta testimonianza di
fraternità cristiana). Mentre in tutto il Paese vengono resi agli antichi
proprietari i beni confiscati dalla collettivizzazione comunista, un recente
disegno di legge intende escludere da tale restituzione unicamente la Chiesa
Unita, assegnando gli edifici di culto (e non solo) a lei appartenuti, non in
base al titolo di proprietà originario, ma in base alla maggioranza numerica dei
fedeli: sicché, dopo la decimazione prodotta dalla persecuzione, la Chiesa Unita
sarebbe privata di ogni suo legittimo bene proprio perché decimata. La
situazione, paradossale, non può non creare tensioni: assolutamente assurde in
un tempo come l’attuale, in cui le Chiese hanno problemi fondamentali con cui
confrontarsi e sui quali offrire una concorde testimonianza. Per arricchire
ulteriormente il quadro religioso di questo spazio va altresì ricordato che,
segnatamente in Moldavia, fin dall’inizio del secolo XV anche gli Armeni ebbero
una propria sede episcopale e che nell’Ottocento qui si insediarono pure i
vecchio ritualisti russi. In età moderna e fino all’ultima guerra grande rilievo
ebbe anche la comunità ebraica. Dal punto di vista religioso, dunque, lo spazio
romeno, confessionalmente a prevalenza ortodossa, si presenta quale spazio
eminentemente europeo, ed anche per questo aspetto trova nella Unione Europea la
sua collocazione più consona e il contesto nel quale far crescere i germi di
‘unità nella diversità’ in esso presenti: sono germi profondamente in sintonia
con il principio ideale ispiratore dell’Unione (in varietate concordia),
dall’Unione stessa additato quale criterio istituzionale ai propri popoli e
offerto quale messaggio al mondo.
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