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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:26:37, in Italia, visitato 2695 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

INAUGURAZIONE UFFICIALE PROGETTO DADO auto-recupero e inclusione sociale

Lunedì 23 marzo
Settimo Torinese - Sala consigliare in Piazza Vittorio Veneto n.4

Affrontare il problema abitativo con la popolazione rom, soprattutto in questo momento politico-sociale è di estrema delicatezza. Lo status medio delle famiglie italiane si sta abbassando e spinge sempre più nuclei a scegliere di vivere in periferia, quindi ai margini delle città, laddove si incontrano quelle storie di storica emarginazione e dove si collocano gli insediamenti rom, in particolare quelli spontanei/abusivi.

La straordinarietà del progetto Dado è racchiusa in una considerazione fondamentale che potremmo chiamare “welfare alternativo”, nel senso che oggi, in un momento in cui la disoccupazione è una delle maggiori preoccupazioni per milioni di famiglie e la casa popolare un miraggio per tantissime altre, non è pensabile innescare meccanismi di conflitto tra gli ultimi e i penultimi della nostra società, scatenando sempre più odio.

In questo senso l’auto-recupero permette di non intaccare le già scarse risorse esistenti per le persone in difficoltà, ma apre canali nuovi per ottimizzare risorse che altrimenti verrebbero sprecate, come, in questo caso, uno stabile da ristrutturare, in cui vivevano precedentemente alcuni soggetti fuori dal controllo delle forze giudiziarie. Il progetto, che riceve un finanziamento relativamente basso, rimette così a nuovo degli spazi che ritorneranno anche alla cittadinanza, ma soprattutto permette un bassissimo impatto nei confronti delle fasce deboli, evitando l’acuirsi dei conflitti.

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

ore 8.45 registrazione partecipanti
ore 9.00 inizio lavori
ore 11.15- 11.30 coffee break
ore 13.00 termine dei lavori
ore 13.30 visita della struttura il Dado e pranzo a buffet

“SOCIAL HOUSING, INCLUSIONE SOCIALE, LOTTA AL PREGIUDIZIO”
“il DADO: una soluzione possibile” in differita su canale satellitare RAI News 24

Conduce il dibattito: Corradino Minneo giornalista Rai Tre

Interverranno:

Michele Curto Presidente Terra del Fuoco
Fredo Olivero Ufficio Pastorale Migranti
Aldo Corgiat Sindaco di Settimo T.se
Don Luigi Ciotti Presidente di Libera e Gruppo Abele
Salvatore Rao Assessore alle politiche sociali della Provincia di Torino
Matteo Manzonetto Rappresentante ERIO (European Roma Information Office)
Ostalinda Maya Ovalle Rappresentante ERRC, European Roma Rights Centre di Budapest.

È gradita la conferma della partecipazione all’evento con una mail a priscilla.guidolin@terradelfuoco.org oppure mari.rizzo@terradelfuoco.org entro il 17/03/2009.

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Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:45:42, in Italia, visitato 2140 volte)

Da NO[b]LOGO (ne approfitto per ricordare l'appuntamento di oggi a Napoli)

Teverola è un piccolo centro al margine dell'interland Napoletano.
E' il primo comune della provincia di Caserta ma gravità su Aversa(NA), quasi un quartiere di questa città antica e nobile, ed oggi disastrata.
Teverola era un centro agricolo diventato negli anni 60/70 un polo industriale, la Texas, l'Indesit.
Ora resta ben poco dell'industria e della stessa agricoltura.
A Teverola sono arrivati alla fine degli anni 70, in case popolari, i napoletani dopo il terremoto e i puteolani dopo il bradisismo.
Teverola è la frontiera di quell'interland divorato fatto di case, villette, centri commerciali, residui di frutteti, discariche, un tessuto ormai urbano degradato e difficile.
Non lontana dai poli camorristici di San Cipriano e Casal di Principe. A Teverola passa l'alta velocità deviata da Caserta sul percorso Mondragone/Aversa.

Bene tra le tante cose a Teverola c'è un campo Rom, che la mia amica Nadia Marino, presidente dell'Opera Nomadi di Caserta descrive così:

L’Opera Nomadi dopo un recente censimento ha potuto constatare che .. ... sono 200 rom circa (il doppio di quelli censiti ad ottobre) a permanere nella zona e non 500-600 come paventato.
Una metà in fitto (non abusivi) su terreno privato, molti con permesso di soggiorno e in Italia da una ventina di anni
.

Per queste persone, con molti bambini si profila uno sgombero senza una prospettiva di una nuova localizzazione, l'Opera Nomadi cerca di salvaguardare quanto meno le esigenze dei bambini.
Al link trovate la lettera aperta indirizzata al prefetto ed al vicario ... mi associo ... ben sapendo che non sono certo le 200 persone in emergenza .... l'emergenza per Teverola e per l'Aversano, e che al contrario iniziare senza un progetto il solito gioco degli sgomberi può essere solo un fattore di ulteriore disaggio oltre che una crudeltà per i bambini e gli adulti della piccola comunità.

Tarantolati Sud Magazine » Blog Archive » Opera Nomadi Caserta: “No allo sgombero della comunità rom di Teverola”

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Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:51:54, in Italia, visitato 1656 volte)

18 marzo 2009, ore 9.30 Università Roma Tre, Facoltà di Scienze della formazione, Aula Conferenze (ex Aula "I. Ambrogio"), IV piano, via del Castro Pretorio 20

Intervengono:

  • Francesco Susi, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione;
  • Francesco Pompeo, Coordinatore Osservatorio "M. G. Favara", I territori della trasformazione tra accoglienza e rifiuto;
  • Nunzia Marciano, Dirigente scolastico Istituto Carlo Pisacane, Un'esperienza scolastica di frontiera;

Presentazione rapporti di ricerca:

  • Ginevra De Maio, Capo redattore Osservatorio romano sulle migrazioni, V Rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni;
  • Ulderico Daniele, Osservatorio "M. G. Favara", Dossier Emergenza "zingari" e censimenti dei "nomadi";
  • Nazzareno Guarnieri, Presidente Federazione Rom e Sinti Insieme;
  • Andrea Priori, Osservatorio "M. G. Favara", Monitoraggio delle aggressioni ai danni di cittadini del Bangladesh nella città di Roma;
  • Mukul Liaquat Ali Khan, Presidente Associazione "Mymensingh" - Bangladesh;
  • Vittorio Cotesta, Direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca Educativa e Sociale, Riflessioni conclusive.

Nel corso della mattinata sarà inoltre presentato e distribuito il report della ricerca realizzata dall'Osservatorio sul razzismo e le diversità "M. G. Favara" nel Municipio VI del Comune di Roma: "Territorio, diritti, partecipazione".
Info: oss.razzismo@uniroma3.it

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Di Fabrizio (del 16/03/2009 @ 09:53:35, in media, visitato 1587 volte)

Da LaStampa.it di BARBARA SPINELLI

E' davvero singolare che chi s'indigna per la messa a nudo dei politici attraverso le intercettazioni, e addirittura parla di complicità dei giornali in turpi linciaggi, non trovi le parole per protestare contro l'uso che viene fatto dei volti di due romeni, Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz, arrestati il 17 febbraio per lo stupro di una minorenne nel parco della Caffarella. Quei volti ci si accampano davanti a ogni telegiornale, e hanno qualcosa di cocciuto, invasivo, conturbante: da ormai un mese ci fissano incessanti, nonostante il Tribunale del Riesame abbia invalidato l'accusa dal 10 marzo, e le analisi del Dna abbiano scagionato i loro proprietari già il 5 marzo. Se ne son viste tante, di gogne: questa è gogna di due scagionati.

Parliamo di proprietari di due volti perché la faccia ci appartiene, è parte del nostro corpo inalienabile. Così come esiste dal Medioevo un habeas corpus, che è il divieto di sequestrare il corpo in assenza di imputazioni chiare, esiste in molti codici quello che potremmo chiamare l'habeas vultus, l'habeas facies: il diritto alla tua immagine anche se sei indagato (articolo 10, codice civile). L'abuso in genere non avviene per gli italiani sospetti di violenza sessuale. Per i romeni è diventata norma, anche se non ce ne accorgiamo più.

Il loro viso è sequestrato, strappato con violenza inaudita, e consegnato senza pudore ai circhi che amano le messe a morte del reietto.

Habeas facies è un diritto che non ha statuto ma è in fondo anteriore all'habeas corpus. In alcune religioni (ebraismo, islam) il volto è sacro al punto da non dover essere ritratto. Vale per esso, ancor più, quello che Giorgio Agamben scrisse anni fa sulle impronte digitali: "Ciò che qui è in questione è la nuova relazione biopolitica "normale" fra i cittadini e lo Stato. Questa non riguarda più la partecipazione libera e attiva alla dimensione pubblica, ma l'iscrizione e la schedatura dell'elemento più privato e incomunicabile: la vita biologica dei corpi. Ai dispositivi mediatici che controllano e manipolano la parola pubblica, corrispondono i dispositivi tecnologici che iscrivono e identificano la nuda vita: tra questi due estremi - una parola senza corpo e un corpo senza parola - lo spazio di quella che un tempo si chiamava politica è sempre più esiguo e ristretto" (Repubblica, 8 gennaio 2004). Agamben aggiunge: "L'esperienza insegna che pratiche riservate inizialmente agli stranieri vengono poi estese a tutti".

Il pericolo dunque riguarda tutti. Quando si comincia a denudare lo straniero, ricorrendo al verbo o all'occhio del video, è il cruento rito del linciaggio che s'installa, si banalizza, e l'abitudine inevitabilmente colpirà ciascuno di noi. Lo ha scritto Riccardo Barenghi il 3 marzo su questo giornale ("Alla fine, quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?") quasi parafrasando le parole del pastore antinazista Martin Niemöller: "Prima di tutto vennero a prendere gli zingari - e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici \. Poi un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare".

Il linciaggio ha inizio con una svolta linguistica, cui ci si abbandona non senza voluttà perché il linciaggio presuppone la muta ardente e la muta non parla ma scaraventa slogan, non dà nomi all'uomo ma lo copre con sopra-nomi, epiteti che per sempre inchiodano l'individuo a quel che esso ha presumibilmente compiuto di mirabile o criminoso. Racz diventa "faccia da pugile". Isztoika riceve un diminutivo - "biondino" - che s'accosta, feroce, al diminutivo che assillante evoca le vittime (i "Fidanzatini"). Sono predati non solo i volti e i nomi ma quel che i sospetti, ignorando telecamere, dicono in commissariato. Bruno Vespa sostiene che le intercettazioni "sono una schifezza" e rovinano la persona, ma non esita a esibire una, due, tre volte il video dell'interrogatorio in cui il romeno confessa quel che ritratterà, trasformando la stanza del commissariato in sacrificale teatro circense come per inoculare nello spettatore la domanda: possibile mai che Isztoika sia innocente? Lo stesso fa l'Ansa, che più di altri dovrebbe dominarsi e tuttavia magnifica gli investigatori perché hanno condotto "un'indagine all'antica: decine di interrogatori di persone che corrispondevano alle caratteristiche fisiche delle belve" (il corsivo è mio).

Avvenuta la svolta linguistica il danno è fatto, quale che sia il risultato delle indagini, e i sospettati girano con quel bagaglio di nomignoli, slogan. Rita Bernardini, deputato radicale del Pd, evoca il bieco caso di Gino Girolimoni, il fotografo che negli Anni 20 fu accusato di omicidi di bambine e poi scagionato ("Il fascismo dell'epoca trovò il capro espiatorio per rasserenare la cittadinanza di allora e dimostrare che lo Stato era più che efficiente e presente"). Ancor oggi, c'è chi associa Girolimoni all'epiteto di mostro. Damiano Damiani nel '72 ne fece un film, Girolimoni - Il mostro di Roma, con Nino Manfredi nella parte della belva. Non riuscendo più trovare un posto, Girolimoni perse il patrimonio che aveva e cercò di sopravvivere aggiustando scarpe e biciclette a San Lorenzo e al Testaccio. Morì nel '61, poverissimo. Ai funerali, nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura, vennero rari amici. Tra questi il commissario Giuseppe Dosi, che aveva smontato le prove contro l'accusato: azione avversata da tutti i colleghi, e che Dosi pagò con la reclusione a Regina Coeli e l'internamento per 17 mesi in manicomio criminale. Fu reintegrato nella polizia solo dopo la caduta del fascismo.

Anche se scagionata, infatti, la belva resta tale: più che mai impura, impaura. La sua vita è spezzata. Così come spezzati sono tanti romeni immigrati che l'evento contamina. Guido Ruotolo, su questo quotidiano, fa parlare la giornalista Alina Harhya, che lavora per Realitatea Tv: "Ma da voi non vale la presunzione d'innocenza? Le forze di polizia non dovrebbero garantire il diritto? E invece viene organizzata una conferenza stampa in questura e si distribuiscono le foto, i dati personali, dei presunti colpevoli. Non ce l'ho con la stampa italiana, sia chiaro. Però questo è un fatto. Qui da voi si fa la rivoluzione se un politico viene ripreso in manette e invece nessuno protesta quando si sbatte il mostro romeno in prima pagina" (La Stampa, 3 marzo). Ancora non sappiamo di cosa siano responsabili Isztoika e Racz, ma i motivi per cui restano in carcere appaiono oggi insussistenti e, se i romeni saranno scagionati del tutto, le loro sciagure s'estenderanno ulteriormente: proprio come accadde a Girolimoni, mai risarcito dallo Stato che l'aveva devastato.

La polizia di Stato può sbagliare: è umano. Ma se sbagliando demolisce una vita e un volto, non bastano le parole. Se la comunità intera s'assiepa affamata attorno al capro espiatorio, occorre risarcire molto concretamente. Iniziative cittadine dovrebbero reclamare che i falsi colpevoli non siano scaricati come spazzatura per strada. Nessun privato darà loro un lavoro: solo l'amministrazione pubblica può. Occorre che sia lei a riparare il danno che gli organi dello Stato hanno arrecato.

Se non si fa qualcosa per riparare avrà ragione Niemöller: non avendo difeso romeni e zingari, verrà il nostro turno. Tutti ci tramuteremo in ronde - politici, giornalisti, cittadini comuni - per infine soccombere noi stessi. Le trasmissioni di Vespa sono già una prova di ronda. Le parole di Alessandra Mussolini (deputato Pdl) già nobilitano e banalizzano slogan razzisti ("Certo, non è che possono andare in galera se non sono stati loro, ma non cambia niente: i veri colpevoli sono sempre romeni"). Saremo stati falsamente vigili sulla sicurezza: perché vigilare è il contrario dell'indifferenza, del sospetto, e dei pogrom.

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Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 08:30:54, in Italia, visitato 2247 volte)

Ivana K Roman su Facebook mi ha rimproverato per questo articolo sulla Serbia, scrivendomi che l'Italia ha molto da imparare da quel paese sulla tutela dei Rom... Probabilmente ha ragione, ecco che proprio la Milano dell'Expo è finita sotto le critiche di Amnesty International (file PDF). Per il momento sta circolando in inglese, provo a tradurlo

Le autorità di Milano stanno preparandosi a sgomberare di forza una comunità di circa 150 Rom che vivono sotto un cavalcavia a nord nella città. Secondo i giornali locali, hanno annunciato che lo sgombero avverrà tra il 13 e il 30 marzo.

Per la legge italiana, le autorità pertinenti dovrebbero notificare ad ogni individuo, o pubblicare nei modi previsti dalla legge un ordine o un avviso ma, secondo le informazioni disponibili ad Amnesty International, non l'hanno fatto. Dato che l'ordine non è stato formalizzato, la comunità non può ricorrere attraverso i tribunali e fermare o posporre lo sgombero.

Non ci sono state consultazioni con la comunità sul minacciato sgombero, o alcun tentativo di identificare assieme qualsiasi alternativa attuabile. Appare che le autorità non hanno preparato nessun piano per un'adeguata sistemazione alternativa o ne hanno discusso con i diretti interessati. L'atteggiamento della municipalità nelle occasioni precedenti è stato di offrire qualche forma di riparo nel breve termine (settimane o pochi mesi), e soltanto per le donne e i bambini piccoli, nei dormitori per senzatetto. In alcuni casi sembra che neanche questa offerta sia stata fatta. Attualmente la comunità sta vivendo in tende e baracche autoprodotte sotto il ponte di Bacula, senza acqua corrente, fognature o elettricità. Senza una sistemazione alternativa, le famiglie dovranno spostarsi in un altro accampamento improvvisato o restare senza riparo.

La maggior parte dei Rom che vivono nel campo di Bacula hanno precedentemente sperimentato almeno uno sgombero forzato. Si ritiene che circa 110 di loro siano stati sgomberati nell'aprile 2008 da un altro campo non autorizzato, in via Bovisasca. Di questi 110, almeno 100 sono stati sgomberati nell'ottobre 2007, dallo stesso campo Bacula dove stanno vivendo adesso. Diversi degli sgomberi precedenti sono degenerati in distruzioni di proprietà, inclusi i ripari, vestiti, materassi ed, in qualche caso, medicine e documenti. Si ritiene che tutti questi sgomberi siano stati portati avanti senza le procedure di salvaguardia richieste dagli standard dei diritti umani regionali ed internazionali, incluso un tempo di preavviso adeguato e ragionevole, un'opportunità di un'autentica consultazione, fornitura di rimedi legali incluso se necessario l'aiuto legale, soluzioni abitative alternative adeguate e compensazione per tutte le perdite. L'Italia è anche sotto l'obbligo di assicurare che gli sgomberi non rendano gli individui senza riparo o vulnerabili alla violazione degli altri diritti umani.

Almeno in 35 a rischio di sgombero hanno meno di 18 anni, e 15 meno di 5. Dieci bambini frequentano la scuola vicino al campo Bacula, nonostante le condizioni di vita davvero difficili; le minacce di sgombero di interrompere la loro scolarizzazione e disturbare seriamente la loro istruzione.

Se la comunità di Bacula fosse sgomberata a forza, sarebbero a rischio di vivere in condizioni considerevolmente peggiori di quelle che affrontano oggi, che sono già estremamente difficili, senza un semplice riparo vivrebbero all'aperto esposti alle intemperie. L'interruzione renderebbe difficile per gli adulti, di cui almeno 14 si ritiene abbiano un impiego regolare, di andare a lavoro.

Per la legge internazionale gli sgomberi forzati - cioè sgomberi portati avanti senza appropriate garanzie procedurali, inclusa la possibilità di indennizzo giudiziario e senza assicurazione di sistemazione alternativa adeguata - sono una grande violazione di diversi diritti umani, incluso il diritto ad un alloggio adeguato. Lo sgombero può avvenire soltanto come ultima possibilità, una volta che tutte le possibili alternative siano state esplorate e soltanto con tutte le adeguate protezioni procedurali, in accordo con gli standard internazionali e regionali dei diritti umani. L'Italia è stata sottoposta a severe critiche dalle associazioni dei diritti umani internazionali e locali, incluso il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, che hanno trovato l'Italia in violazione della Carta Sociale Europea. Tuttavia l'Italia ha mancato di implementare queste raccomandazioni ed al contrario ha continuato ed in determinati casi aumentato gli sgomberi forzati di comunità rom.

INFORMAZIONI DI SFONDO

Per almeno gli ultimi10 anni, sono stati compiuti in Italia numerosi sgomberi forzati di comunità rom. Gli sgomberi sono diventati più frequenti dopo che il 18 maggio 2007 sono stati firmati accordi speciali (i Patti per la Sicurezza) tra il governo nazionale e le autorità locali, inclusa quella di Milano. Con questi accordi alcuni poteri sono stati trasferiti dal Ministero degli Interni alle autorità locali, allo scopo di indirizzare le minacce percepite alla sicurezza, incluse quelle che si suppone siano poste dalla presenza di comunità rom in queste città. Nel maggio 2008, un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DCPM 21 maggio 2008) ha conferito poteri emergenziali ai Prefetti (i rappresentanti permanenti del governo nazionale sul territorio) per un anno, perché risolvessero "l'emergenza nomade" adoperando una legge del 1992 emanata per fornire poteri d'emergenza in caso di disastri naturali. Il decreto da potere ai Prefetti di derogare da un numero di leggi, compreso quelli che conferiscono diritti a tutta la gente rispetto ai poteri delle autorità. Il potere può essere esercitato contro chi di qualsiasi nazionalità sia ritenuto "nomade". Sembra riguarda sproporzionatamente i Rom.

AZIONI RACCOMANDATE (questa è la parte più importante ndr): Vi preghiamo di inviare appelli che arrivino il prima possibile, in italiano, inglese o nella vostra lingua:

  • per far pressione alle autorità che non sgomberino forzatamente le famiglie rom che vivono sotto il cavalcavia Bacula;
  • che ricordino alle autorità che gli sgomberi forzati, portati avanti senza protezioni legali, sono proibiti dalla legge internazionale e una grande violazione di diversi diritti umani; in particolare quello ad una sistemazione adeguata;
  • per fare pressione che gli sgomberi avvengano solo come ultima possibilità, e soltanto in piena conformità con le garanzie richieste dagli standard locali ed internazionali dei diritti umani, incluso attraverso una reale consultazione coi residenti interessati dell'area e per esplorare le possibili alternative; fornire loro una notifica adeguata e ragionevole; garantire il diritto al risarcimento legale, inclusa la possibilità di ricorrere in tribunale e di avere aiuto legale, fornire una sistemazione alternativa adeguata e una compensazione per tutte le perdite ed assicurare nessun maltrattamento ai Rom.

APPELLI DA INVIARE A:

Prefetto di Milano:
Dott. Valerio Lombardi, Prefetto di Milano, Palazzo Diotti - Corso Monforte, 31 - 20122 Milano, ITALY Email prefettura.milano@interno.it
Fax: +39 02775 84170 Saluto: Egregio sig. Prefetto

Sindaco di Milano:
Sindaco Letizia Moratti, Comune di Milano, Palazzo Marino, Piazza della Scala 2, 20121 Milano, ITALY Saluto: Egregio Sindaco

Vice Sindaco:
Vice Sindaco Riccardo De Corato, Piazza Scala, 2 – 20121, Milano, Italy
Fax: +3902884 50059 Email: vicesindaco.decorato@comune.milano.it 
Saluto: Egregio Vicesindaco

Assessore alle Politiche Sociali:
Assessore Politiche Sociali Mariolina Moioli, Largo Treves, 1 – 20121
Fax: +3902884 53391 Email: assessore.moioli@comune.milano.it Saluto: Egregio Assessore

INVIATELE IMMEDIATAMENTE. Controllate con il Segretariato Internazionale, o l'ufficio della vostra sezione, se inviare gli appelli dopo il 1 aprile 2009.

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Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 08:53:49, in Kumpanija, visitato 1372 volte)

Da Roma_Daily_News

9 marzo 2009

Un'associazione romanì di Didim ha lanciato una nuova campagna per reclutare membri tra la sua comunità forte di 1.000 componenti, e promuovere la propria cultura al più vasto pubblico.

L'Associazione, lanciata lo scorso settembre, ha già reclutato 60 membri, ma alcuni all'interno della stessa comunità sono contrari a dichiarare pubblicamente la loro identità, a causa delle ingiustizie percepite da parte del pubblico più vasto.

Il presidente dell'associazione, Metin Çakir, ha detto di comprendere la loro reazione, dato che molti hanno incontrato difficoltà nel lavoro, nella scuola e per strada dichiarando la propria appartenenza romanì.

Come parte delle iniziative dell'associazione, per richiamare Rom e pubblico, i suoi componenti hanno tenuto uno spettacolo di balli popolari il 28 febbraio.

Si stimano 1.000 zingari che vivono a Didim e dintorni, ci sono 221 associazioni zingare in Turchia - con circa 167 nella Regione Egea. La sola Smirne ha 18 associazioni e due federazioni.

Çakir ha detto che stanno provando a spiegare l'importanza di essere organizzati alla comunità di Didim, ma ancora esistono difficoltà all'interno.

Mentre la maggior parte dei membri è giovane, inclusi i non-zingari, alcuni degli anziani della comunità romanì si sono espressi contro l'associazione.

Ha detto Çakir: "Sfortunatamente alcuni sono timidi nel dichiarare la loro identità. Tuttavia, una volta che hanno assistito alla riunione della federazione a Smirne, hanno avuto testimonianza dell'interesse delle autorità dell'Unione Europea.

Sono interessati nel perpetuare la loro identità culturale in Turchia, nella loro istruzione e negli standard di vita. La UE offre borse di studio ad alcuni degli zingari che studiano all'università.

"Ora stiamo provando ad avere studenti delle superiori per beneficiare anche della loro preparazione. Se possiamo unirci a Didim, allora possiamo beneficiare di questi diritti."

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Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:11:27, in Italia, visitato 1499 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Il Manifesto, 14 marzo 2009 - Politica e società di Cinzia Gubbini

Sta bene, sta imparando a leggere e scrivere e ormai parla un buon italiano. Angelica V. compirà 17 anni a novembre, e da più di un anno ormai è rinchiusa nel carcere minorile di Nisida, Napoli: è lei la prima rom ad essere stata condannata in Italia per aver tentato di rapire un bambino, il pregiudizio che da sempre insegue i rom in tutto il mondo. E' dal suo caso - che secondo il suo avvocato difensore, secondo le associazioni che hanno seguito il processo di primo grado, è ancora tutto da chiarire - che partirono i pogrom di Ponticelli, capaci di far sparire in un paio di giorni i rom da quell'area, come da anni i comitati cittadini tentavano di fare.

Angelica è rimasta sullo sfondo di una storia molto più grande e complicata, che mette insieme razzismo, camorra, politica. A lei sono rimasti tre anni e otto mesi di carcere da scontare, secondo la sentenza del Tribunale dei minori del 13 gennaio scorso. Ieri è andata a trovarla un'attivista dell'associazione Everyone, Giancarlo Ranaldi: "Angelica è tranquilla, e finalmente è riuscita a tornare in contatto con un membro della sua famiglia, così può informarsi sulla sua bambina". Perché anche Angelica è mamma. Sua figlia ha un anno e mezzo e vive in Romania con i nonni, in una cittadina vicino Bistrita, nel nord-ovest del paese. Anche Angelica viveva lì fino ad aprile, quando è venuta in Italia con il marito e altri due parenti e si è stabilita a Ponticelli. Viveva di elemosina, ma anche di furti. Giusto due giorni prima del presunto tentativo di rapimento aveva già rischiato di essere linciata da un gruppo di abitanti, perché era stata sorpresa in un appartamento. L'aveva salvata una pattuglia della polizia. "Possibile che dopo due giorni da quell'episodio si sia andata a ficcare in una situazione tanto pericolosa come il tentativo di rapire un bambino?", si chiede Giancarlo. Lui che ci ha parlato ha avuto l'impressione che sia una ragazzina come tante, allegra ieri perché era venerdì, il giorno della telefonata. "Mi ha detto che vive aspettando il venerdì, quando può chiamare a casa. Ma è ancora molto spaventata e mi ha detto di soffrire molto per la lontananza di sua figlia e di suo marito". Giancarlo le ha anche chiesto se le servissero soldi "ma mi ha risposto di no - racconta - perché in carcere le hanno dato un lavoro e riceve una piccola paga. Me lo ha detto con orgoglio".

Il 7 maggio l'appello. L'avvocato Chirsitian Valle aveva denunciato la parzialità del processo di primo grado. "Stiamo seguendo da vicino il caso - dice Roberto Malini di Everyone - e anche il presidente dell'Union Romanì, Juan De Dios Ramirez Heredia, che è avvocato, e potrebbe indossare di nuovo la toga per difenderla".

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Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:26:30, in Italia, visitato 2203 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Liceo Scientifico St. “M. Malpighi”
Via Silvestri, 301, Roma

Progetto Intercultura / Diritti umani
CORSO DI AGGIORNAMENTO SULLE CULTURE ROM-SINTI
Con il patrocinio della Provincia di Roma

L'estrema tensione che si riscontra attualmente nel nostro Paese in merito alla convivenza con le comunità Rom-Sinti richiede innanzi tutto l'avvio di un percorso di conoscenza di quella realtà. Il nostro Liceo, che ha come linee portanti del POF l'educazione all'intercultura, al rispetto dei diritti e alla convivenza civile, basata sul reciproco rispetto e sulla solidarietà, si fa promotore di una qualificata occasione di studio.

Il corso è rivolto non solo ai docenti interni, ma anche ai docenti delle scuole di zona e in generale al territorio, perché in questa fase potrebbe risultare interessante anche per altri operatori o semplicemente come momento di approfondimento culturale su un tema molto caldo e sul quale l'informazione è assolutamente carente.

Il corso si articolerà su tre incontri pomeridiani di tre ore ciascuno (dalle 15.00 alle 18.30), articolati su moduli tematici e un pomeriggio finale dedicato alla presentazione di espressioni artistiche, inteso come iniziativa aperta al territorio.

Sarà possibile frequentare anche soltanto uno o due moduli.

Sarà disponibile la bibliografia raccolta dal Progetto Intercultura e a tutti i partecipanti verranno distribuiti alcuni materiali di base.

Coordinatori del Corso:
Francesca Ferrari (Referente Progetto Intecultura/Diritti umani Liceo Sc. St. Malpighi)
Cristina Mattiello (Liceo Sc. St. M. Malpighi)

Per informazioni e iscrizioni: cristinam@mclink.it

Programma

I giornata: tra storia e immaginario
Giovedì 19 marzo, ore 15.00-18.30
1 Quadro storico di base (con un'attenzione specifica allo sterminio nei lager nazisti e alla creazione dei “campi nomadi”): Prof. Luca Bravi (Univ. di Firenze)
2 La costruzione dello stereotipo: Pino Petruzzelli (regista, attore, autore di “Non chiamarmi zingaro”)
3 L'immagine dello zingaro in letteratura: Cinzia Di Cicco (Liceo Sc. Malpighi)

II giornata: la scuola
Venerdì 17 aprile, ore 15.00-18.30

1 Problematiche della scolarizzazione: linee teoriche: Prof. Marco Brazzoduro (Docente di Politiche Sociali e Sanitarie, Università "La Sapienza", Roma “)
2 Tavola rotonda. Gli operatori: Rocco Mangiavillani (Comunità di Capodarco), Sabina Milani (Arci), un operatore di Sant'Egidio, un operatore dell'Opera Nomadi
3 Interventi di insegnanti delle scuole elementari e medie limitrofe con presenza di bambini Rom e di una maestra della Sc. Element. Iqbal Masih.

III giornata: la situazione attuale (diritti, cultura, interventi possibili)
Lunedì 11 maggio, ore 15.00-18.30
Laboratorio a cura di Eva Rizzin (sinta, Dottorato di ricerca in Geopolitica, Istituto di cultura sinta, ricercatrice ed esperta per il Parlamento europeo);
presentazione di filmati e materiali vari sulle problematiche giuridiche e la situazione politica e sociale in Italia e in Europa.

IV giornata: cultura e arte. Pomeriggio aperto al territorio
Venerdì 15 maggio


1 Quadro culturale generale: Cristina Formica, operatrice sociale, redattrice di Carta
2 Gli zingari e il cinema: Cristina Formica
3 Musica dal vivo: un musicista Rom; Lucilla Galeazzi (cantante di fama internazionale nel campo della musica popolare)

Verranno proposti assaggi di cucina Rom.

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Di Fabrizio (del 17/03/2009 @ 09:28:22, in casa, visitato 2151 volte)

Da Czech_Roma

The Prague Post, 12 marzo 2009

Foto Michael Heitmann: La madre single Helena Koňová attende la rilocazione forzata verso quelle che chiama unità "sporche ed in rovina" come parte della proposta di Chomutov.

By Curtis M. Wong and Sarah Borufka, Staff Writers
Chomutov, North Bohemia

Situata in una delle aree più indigenti del paese, la città di Chomutov trasuda un'aria di profondo sfinimento. Appartamenti sbriciolati si allineano ciascuno sulle vie principali, e persone dall'aria poco rassicurante bighellonano fuori da trasandati bar con slot-machine e take-away asiatici.

Le industrie locali hanno lasciato i residenti senza lavoro, ed il municipio di Chomutov spera di riaccendere la propria immagine con una complessa proposta che ha avuto effetto a febbraio. Chiamato "Záchranný kruh" (Salvavita), il piano ha lo scopo di rimuovere quelli a cui la sindaca Ivana Řápková si riferisce come "gente che crea confusione" - incluse prostitute e percettori di previdenza che non pagano l'affitto - dalle aree centrali e dai quartieri residenziali lì attorno.

"Il nostro scopo è aiutare i cittadini decenti", ha detto Řápková. "Per la prima volta nella storia della nostra città, tutti i dipartimenti municipali stanno lavorando assieme... E' un sistema complesso di misure che si indirizza a tutta la gente inadattabile di Chomutov".

Le statistiche di Řápková sono sconcertanti. Le registrazioni del municipio di Chomutov indicano che gli sono dovuti un totale di 240 Kč di affitti arretrati, come pure dalle susseguenti multe, soprattutto da parte di percettori di previdenza. La popolazione di Chomutov attualmente si aggira sui 50.000 abitanti, e si stimano in 8.000 quanti attualmente ricevono sussidi statali, di cui circa l'80% secondo quanto riferito è di origine Rom.

Nonostante la lodi del Ministro degli Interni Ivan Langer e dei residenti dell'area (in oltre 10.000 hanno firmato una petizione online di appoggio alla nuova legislazione in un periodo di otto giorni), l'iniziativa è stata largamente bocciata a livello nazionale, sollevando le critiche dei locali gruppi umanitari e anche di Michael Kocáb, Ministro per i Diritti Umani e le Minoranze. Tra le molte preoccupazioni c'è la nuova procedura che permette agli incaricati comunali di pubblicare i permessi di chi riceve la previdenza, come pure il piano di rilocazione, che trasferisce chi non ha pagato l'affitto dagli appartamenti comunali a blocchi di container in un'area periferica di Chomutov che la città ha comprato quattro anni fa.

Foto Michael Heitmann: I gruppi dei diritti umani considerano l'alloggio in container un piano inadeguato e populista.

Gli incaricati comunali dicono che il 60% degli avvisi di sgombero saranno consegnati entro le prossime due settimane a chi non ha pagato l'affitto. Poco dopo, i primi residenti si sposteranno nei container, poveramente isolati. Precedentemente usati come magazzini, alcuni di questi attualmente mancano di adeguato riscaldamento ed impianto elettrico, ed i residenti avranno l'accesso solo alle docce ed ai ricoveri comunali. Una volta lì, i residenti dovranno pagare 400 Kč ($18) al mese più i servizi.

"Il piano di Řápková è completamente demagogico", ha detto Jarmila Kuchárová, assistente sociale presso il ramo di Chomutov di Člověk v tísni (Gente in Difficoltà), una OnG. "Semplicemente non sono politiche sociali appropriate quelle di rimuovere i residenti dalla loro casa e mandarli in appartamento -di rimpiazzo- che sono così inadeguati."

Tra quanti stanno aspettando la rilocazione c'è Helena Koňová, madre single di tre figli, che attualmente vive provvisoriamente in un appartamento lungo il blocco dove sono situati i container. "Voglio solo vivere come chiunque altro, in un appartamento con l'acqua calda ed il riscaldamento centralizzato," ha detto Koňová, il cui marito è attualmente in prigione. "Non penso che sia troppo chiederlo per una madre con tre figli. Quelli nuovi sono sporchi ed in rovina."

I gruppi umanitari locali hanno fatto un paragone tra le proposte di Řápková e l'altrettanto criticata operazione dell'ex Ministro allo Sviluppo Regionale, Jiří Čunek. Nel 2006, Čunek, che era allora sindaco di Vsetín, Moravia orientale, spostò diverse famiglie rom dai quartieri centrali in case scadenti ai margini della città.

"Politicamente favorevole"

A differenza di Čunek, che espressamente rivendicava che lo scopo del suo piano era di "allontanare il pus dalla ferita", Řápková non fa riferimento esplicito ai cittadini rom nel descrivere la sua proposta ma, dato che la maggior parte di chi riceve assistenza sociale è di origine rom, i gruppi umanitari locali dicono che sono certi la cosa sia implicita.

"E' ovvio che la gente dovrebbe essere obbligata a pagare i propri debiti, indipendentemente dalla sua razza", dice Jan Šipoš, altro assistente sociale di Gente in Difficoltà. "Spostare i residenti in questi blocchi non è differente dal creare un altro ghetto... E' un modo di raggruppare gente di razza simile e creare uno stigma che rimarrà con loro per il resto della vita".

Continua suggerendo che il piano municipale sia ampliamente motivato politicamente. "E' un periodo politicamente favorevole a Řápková per portare [le tematiche rom] in prima linea e nascondere le altre urgenze della città".

Řápková ha rifiutato queste proteste, notando che molti dei residenti che saranno mandati nei container hanno causato molestie domestiche ed hanno, in qualche caso, danneggiato altre proprietà immobiliari cittadine.

"Questa diventerà, naturalmente, una sistemazione di base, e non augurerei a nessuno di viverci", ha detto Řápková. "Non ci siamo preoccupati del colore della pelle, ma se qualsiasi persona pagasse l'affitto e se disturbasse qualcuno nei paraggi. Le stesse politiche saranno applicate a normali famiglie che lavorano e che possono aver contratto debiti".

Šipoš ha detto che la città dovrebbe assumere un approccio più individuale nell'affrontare i debitori che dovrebbe includere il regolare pagamento delle bollette, ed ha detto che la sua organizzazione ha suggerito di sviluppare una politica cittadina che dovrebbe permettere a chi riceve previdenza per estinguere i debiti tramite programmi di servizio comunitario, che prevedano un graduale rientro.

"Come fornitore di servizi sociali, posso dirvi che queste persone di solito non vedono i debiti nella stessa maniera degli altri cittadini", dice. "Non penso che siano state esplorate tutte le opzioni... Questi debiti avrebbero dovuto essere risolti prima, invece di permettere il loro accumulo e poi di portare via tutto a questa gente".

- Naďa Černá contributed to this report.

The writers can be reached at news@praguepost.com

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Di Fabrizio (del 18/03/2009 @ 09:00:41, in Italia, visitato 1496 volte)

INT. Cesare Alzati - sabato 14 marzo 2009

Quali sono, a suo avviso, le principali cause della difficile integrazione dei rumeni in Italia?

Non credo sia corretto parlare di “difficile integrazione”. È significativo il caso di Romeni che, dopo aver conosciuto situazioni di vita dura in Italia, avendo trovato sistemazione in altri Paesi europei, intervistati, hanno dichiarato che l’ambiente in cui meglio si erano sentiti era comunque l’Italia. Nei mesi scorsi ho incontrato un imprenditore romeno, stabilitosi e operante da tempo nel nostro Paese, che pubblicamente ha testimoniato di non essersi mai sentito discriminato per la sua origine. Quando si parla di cittadini romeni presenti in Italia, non si può non considerare il fatto che tra loro vi sono appartenenti al popolo romeno e appartenenti ai gruppi Rom (ossia, Zigani; in lingua italiana: Zingari). Il problema dell’integrazione e della marginalità nei due casi si pone ovviamente in termini diversi. Se già esistono problemi di integrazione e di tutela nei confronti degli Zingari italiani, è oltremodo comprensibile che tali problemi si presentino in forma esasperata per gli Zingari non italiani, tra i quali non pochi sono i romeni. Ma in questo caso la questione non è legata alla cittadinanza (romena), ma alle consuetudini e alle forme di vita (zingaresche), sicché non è questione specifica ‘romena’. Merita comunque ricordare che nel ‘Vecchio Regno’, ossia nei territori romeni rimasti vassalli del Sultano – almeno formalmente – fino al 1878, gli Zingari erano schiavi, con relativo mercato, e sono stati emancipati nel 1855. Vi è dunque in questo gruppo etnico una sedimentazione di esperienze storiche, che ne rende il processo d’integrazione oltremodo complesso. Discorso profondamente diverso s’impone per quanti, appartenenti al popolo romeno, sono oggi presenti in Italia. E non sono soltanto cittadini romeni, ma anche Romeni con cittadinanza ucraina e – in misura assai più ridotta – moldovena. Tra costoro vi sono anche persone con elevati titoli di studio e ottima qualificazione professionale; vi sono validi studiosi perfettamente inseriti in organismi di ricerca, vi sono imprenditori e, naturalmente, come tutti sappiamo, ottimi manovali, infermiere e collaboratrici domestiche, talvolta con titoli di studio di alto livello. Nel contesto di una migrazione selvaggia, quale si è avuta, vi sono anche disperati, con precedenti penali e condanne nel loro Paese, che – venendo clandestinamente in Italia – vi portano la loro disperazione e la loro marginalità. Per renderci conto del fenomeno si pensi alla migrazione dalla Sicilia negli Stati Uniti all’inizio del Novecento e all’esportazione della delinquenza organizzata, che allora si determinò. Fu quello certamente un fenomeno legato all’immigrazione italiana, ma non sarebbe legittimo identificare l’Italia con quel fenomeno. L’equiparazione ‘Italiano-mafioso’ non è soltanto sgradevole a udirsi, soprattutto non è, e non era, rispondente alla realtà.

Non conosciamo quasi nulla della cultura romena, che pure anche linguisticamente è vicina alla nostra. Come mai? Come valuta la situazione culturale di quel paese, che ha vissuto un regime comunista particolarmente feroce ed è infine approdato nell’Unione Europea?

Sembra che la moltiplicazione smisurata degli strumenti di comunicazione paradossalmente ci renda in ugual misura ignoranti delle realtà con cui veniamo in contatto. L’intensità degli scambi culturali che si ebbe tra i due Paesi nel periodo interbellico è ben attestata dallo splendido edificio dell’Accademia di Romania in Roma a Valle Giulia. Nei manuali di Storia lo spazio romeno è peraltro quasi ignorato: colpevolmente, trattandosi di uno spazio cerniera, dove si è realizzato un interessantissimo interscambio tra le grandi tradizioni culturali, religiose, istituzionali dell’Europa. Questa ricca vicenda storica è ben espressa dall’Università di Cluj, in Transilvania. Le sue radici affondano nel Collegio gesuitico creato nel 1581, che nel secolo XVII divenne una prestigiosa Scuola superiore protestante (unitariana), nella seconda metà del Settecento conobbe la propria rifondazione quale Università tedesca e, un secolo più tardi, nel quadro del Regno d’Ungheria, fu trasformata in Università ungherese, per divenire infine, dopo la formazione del Regno della Grande Romania nel 1918, importante ateneo del sistema universitario romeno. Tale Università ha attualmente tre linee d’insegnamento: romena, ungherese e tedesca; ha quattro Facoltà teologiche: Ortodossa, Greco-Cattolica, Riformata, Romano-Cattolica; ha una Facoltà di Economia caratterizzata da linee di formazione specializzate per le diverse aree economiche europee, con corsi interamente in lingua inglese, tedesca, francese (è in fase progettuale anche una linea italiana); ha istituito con la collaborazione di Università dell’Unione Europea una dinamica Facoltà di Studi Europei ed è impegnata in una fitta rete di scambi internazionali. Chi visiti quell’Università non può sottrarsi all’impressione di un Paese che ha seriamente investito sulla formazione e sulla cultura, e che sta preparando con impegno il suo futuro, dopo la devastazione e il più che quarantennale isolamento imposto dal regime ideocratico e totalitario comunista. Siffatta impressione trova conferma nelle borse di studio che annualmente il Governo romeno pone a disposizione di propri giovani laureati in discipline umanistiche per soggiorni biennali di studio e di specializzazione in Italia, presso l’Accademia di Romania in Roma e a Venezia presso l’Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica.

Qual è la situazione religiosa della Romania?

La storia religiosa dello spazio romeno è la più marcatamente europea dell’intero continente! Ciò che altrove è polarizzazione dialettica (Ortodossia / Protestantesimo; Atene / Ginevra) qui, e segnatamente in Transilvania, è compresenza storica e complementarietà vissuta: nella stessa località chiesa protestante e chiesa ortodossa si trovano l’una presso l’altra. Ma anche in rapporto alla tradizione ortodossa, non si deve dimenticare che questo popolo, che ha sempre parlato lingua (neo)latina, ha utilizzato per secoli quale lingua di culto e di cultura la lingua slavona, sostituita nel Sei-Settecento dal greco, soprattutto in Valacchia e Moldavia (presso le Corti, nelle sedi episcopali e nei grandi monasteri). In tal modo anche quella che nell’ambito ortodosso può considerarsi una polarizzazione non priva di tensioni tra Slavia ed Ellenismo romeo (ossia, tra Mosca e Costantinopoli) nello spazio romeno è divenuto patrimonio analogamente compartecipato e armonicamente metabolizzato. Inoltre nella Transilvania, se il popolo romeno era di tradizione ortodossa, le egemoni componenti ungheresi e tedesche (Sassoni), di tradizione cattolica, col secolo XVI divennero protestanti: luterani i Sassoni, riformati gli ungheresi, in notevole misura acquisiti nel Seicento alla Chiesa unitariana (antitrinitaria). Solo a partire dalla fine del Seicento, con l’inserimento del Principato nel sistema imperiale asburgico, fu possibile un parziale recupero delle popolazioni ungheresi alla fede cattolica. Quanto ai Romeni negli anni 1697-1701 la loro Chiesa, pur conservando la tradizione ecclesiastica ortodossa, si dichiarò Unita con Roma. L’inserimento alla metà del Settecento di missionari confessionali serbi provocò la frattura all’interno di tale Chiesa col formarsi di una comunità ortodossa ‘non unita’ divenuta rapidamente maggioritaria. All’avvento del regime comunista la Chiesa Unita (o greco-cattolica, secondo il lessico cancelleresco asburgico) era comunità ancora molto consistente (oltre 1.500.000 fedeli) e caratterizzava centri urbani, come la stessa Cluj. Il 1° Dicembre 1948 tale Chiesa è stata dichiarata non più esistente dal potere ateo: tutti i suoi vescovi e un gran numero di suoi preti e laici sono stati posti in carcere (dove molti hanno trovato la morte) e i suoi luoghi di culto sono stati dati alla Chiesa ortodossa. Questo ha voluto dire nei villaggi cancellare totalmente la Chiesa unita, nelle città determinare nelle chiese cattolico-romane ungheresi una frequentazione da parte di fedeli romeni uniti, che vi cercavano ospitalità per confermare la propria fedeltà alla comunione con Roma. Uno dei primi atti istituzionali della Romania libera, dopo la caduta del regime, è stata la restituzione della legittimità legale alla Chiesa Unita, cui peraltro la Chiesa ortodossa non ha voluto restituire gli edifici di culto a lei conferiti dal passato potere (con l’unica eccezione dell’Arcidiocesi di Timisoara, retta dal metropolita del Banato Nicolae Corneanu, che al riguardo ha offerto e sta offrendo una straordinaria, coraggiosa e sofferta testimonianza di fraternità cristiana). Mentre in tutto il Paese vengono resi agli antichi proprietari i beni confiscati dalla collettivizzazione comunista, un recente disegno di legge intende escludere da tale restituzione unicamente la Chiesa Unita, assegnando gli edifici di culto (e non solo) a lei appartenuti, non in base al titolo di proprietà originario, ma in base alla maggioranza numerica dei fedeli: sicché, dopo la decimazione prodotta dalla persecuzione, la Chiesa Unita sarebbe privata di ogni suo legittimo bene proprio perché decimata. La situazione, paradossale, non può non creare tensioni: assolutamente assurde in un tempo come l’attuale, in cui le Chiese hanno problemi fondamentali con cui confrontarsi e sui quali offrire una concorde testimonianza. Per arricchire ulteriormente il quadro religioso di questo spazio va altresì ricordato che, segnatamente in Moldavia, fin dall’inizio del secolo XV anche gli Armeni ebbero una propria sede episcopale e che nell’Ottocento qui si insediarono pure i vecchio ritualisti russi. In età moderna e fino all’ultima guerra grande rilievo ebbe anche la comunità ebraica. Dal punto di vista religioso, dunque, lo spazio romeno, confessionalmente a prevalenza ortodossa, si presenta quale spazio eminentemente europeo, ed anche per questo aspetto trova nella Unione Europea la sua collocazione più consona e il contesto nel quale far crescere i germi di ‘unità nella diversità’ in esso presenti: sono germi profondamente in sintonia con il principio ideale ispiratore dell’Unione (in varietate concordia), dall’Unione stessa additato quale criterio istituzionale ai propri popoli e offerto quale messaggio al mondo.

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