LaGazette.frAssetto del territorio - 11/06/2009 par Ulivo
Berthelin
La Commissione nazionale consultiva della gens du voyage, dopo un decreto
del 6 giugno scorso, è passata sotto il taglio del ministero degli affari
sociali.
"Continueremo a lavorare perché la gens du voyage possa disporre degli
stessi diritti degli altri cittadini, in particolare per quanto riguarda il
diritto di voto e le assicurazioni" dichiara il senatore Pierre Hérisson,
ricondotto dal Primo Ministro alla testa di questa commissione i cui membri
saranno nominati nel corso dell'estate.
"Dobbiamo tenere conto delle evoluzioni della società e tenderci sulla
questione dei terreni familiari di proprietà di viaggianti che corrispondono ad
una vera necessità di sedentarizzazione o di semi sedentarizzazione",
precisa ricordando che la legge su alloggio permette d'ora in poi di
sviluppare i lotti attigui ai banchi comunali.
"I sindaci non possono rifiutare né l'elettricità quando contratti sono
passati con gli operatori, né l'acqua ed il risanamento quando le reti passano
vicino al lotto. Occorre per quanto possibile trattare da un lato questi terreni
familiari e le superfici d'accoglienza permanenti per le famiglie che circolano
sole, come nel quadro dell'alloggio e d'altra parte il grande passaggio che
costituisce un fenomeno a parte legato a manifestazioni economiche culturali e
religiose" insiste il senatore, molto sensibile a queste questioni d'urbanesimo
poiché incaricato di questo dossier nell'ambito dell'Associazione dei sindaci
della Francia (AMF).
Due terreni per dipartimento Preconizza la realizzazione di due terreni di grande passaggio per
dipartimento e d'altra parte la prosecuzione degli sforzi che riguardano le aree
d'accoglienza permanenti. "La metà delle posizioni sono in cantiere. I comuni
devono realizzare i 20.000 posti che ancora mancano, con l'aiuto dello Stato per
quelle che sono stati ritardati contro la volontà degli eletti, col denaro
proprio per quelli che non hanno alcuna scusa" martella, ricordando la legge
prevede che soltanto il prefetto possa sostituirsi al sindaco e realizzare la
superficie d'accoglienza a spese dei municipi refrattari.
I Rom nuovamente minacciati - La giustizia si pronuncia oggi sull'avvenire
del campo di Médecin du monde a Saint-Denis
La fuga in avanti continua. Evacuate da un capannone di Bobigny il 23 maggio
dopo un incendio che ha ucciso un bambino di 10 anni, brevemente alloggiate e
quindi espulse da un asilo del comune, sloggiate in seguito d' un capannone
abbandonato di Gennevilliers, le famiglie rom, un centinaio di persone, dovranno
presto lasciare il campo stabilito un mese fa sul marciapiede di Saint-Ouen in
mancanza di un rialloggiamento.
Il tribunale delle grandi istanze deve pronunciarsi oggi sull'assegnazione a
Médecin du monde, che ha installato tende, della prefettura di Seine-Saint-Denis.
Quest'ultimo rimprovera "l'occupazione di un terreno di proprietà dello Stato".
L'accampamento attuale, installato al piede dell'A86 utilizza lo stesso
dispositivo dei campi profughi nel mondo, con l' aiuto alimentare del Soccorso
cattolico.
Il seguito impossibile " Chiediamo da tempo una tavola rotonda che riunisce lo
Stato, la Regione, le collettività e le associazioni perché non ci siano espulsioni senza soluzione di rialloggiamento duraturo, spiega il
dottor
Olivier Bernard, presidente di Médecin du monde. Ci sono soluzioni, come i
villaggi d' inserimento installati a Montreuil e ad Aubervilliers. Ma la sola
risposta, per il momento, è questa chiamata a giudizio".
Secondo l'esperto, "i gruppi non possono più lavorare: i Rom sono
incessantemente in movimento a causa delle espulsioni. Ciò impedisce il seguito
delle gravidanze, dei lattanti e l'istruzione dei bambini, che sono attualmente
in una scuola di Bobigny". Il campo di sette tende accoglie 120 Rom originari
dalla Romania, tra cui quattro donne incinte e quindici bambini con meno di 2
anni. "Viviamo a dieci o venti nelle tende," racconta Palos Constantine, un
padre di famiglia rom del campo.
"Quel che spero, è non essere più obbligati ad errare cercando un terreno. Il
problema, è che quando ci propongono un alloggio in albergo, non supera tre
notti". Segno, forse, di un'evoluzione sull'argomento: una riunione deve
svolgersi il 10 luglio tra il prefetto del dipartimento, gli eletti e diverse
associazioni.
Di Fabrizio (del 10/07/2009 @ 09:12:28, in casa, visitato 1337 volte)
Segnalazione di Betti dalla Provincia Pavese (pagina 14 -
cronaca) Se ne è parlato
QUI
La proposta della facoltà di Ingegneria-architettura
PAVIA. [...] Trenta studenti della facoltà di ingegneria edile architettura,
esperti di progettazione urbanistico-sociale sotto la guida del sociologo Andrea
Membretti, hanno studiato gli insediamenti di sinti nella nostra città e cercato
soluzioni abitative che vadano oltre l'idea del campo nomadi isolato e precario,
spesso culla di marginalità.
Stasera sarà presentato alla città e alle comunità sinte il lavoro svolto e
poi ci sarà modo di fare festa con musica e balli. All'ingresso saranno raccolte
offerte che le comunità sinte di Pavia invieranno ai terremotati abruzzesi e
ci sarà un servizio bar.
Il progetto è stato portato avanti dal dipartimento diretto da Angelo
Bugatti, settore servizi sociali del comune di Pavia, consiglio territoriale per
l'immigrazione della prefettura, associazione sinti italiani di Pavia e
cooperativa L'architettura delle convivenze. Cosa è emerso? "A Pavia risiedono
attualmente 135 nuclei familiari, per un totale di 395 persone appartenenti alla
popolazione Sinta che vivono in tre comunità differenti: piazzale Europa lato
fiume, Piazzale Europa ex piscina e via Bramante. Ci sono 150 minori, 100 dei
quali inseriti nelle strutture scolastiche fino alla scuola secondaria",
racconta Membretti. I sinti residenti sono cresciuti fino al 2006, quando hanno
raggiunto il picco di 750, mentre negli ultimi due anni si vede una inversione
di tendenza.
Ma se formalmente sono organizzati in nuclei familiari di piccole dimensioni
(da 1 a 3 individui), nei fatti prevalgono famiglie allargate di 10-15 persone,
a loro volta aggregate in clan che arrivano a comprendere fino a 150 soggetti.
I nuclei familiari ristretti sono poi spesso di tipo informale, ovvero non
registrati come tali all'anagrafe. "I rapporti di parentela e le gerarchie
informali sono fattori da considerare in fase di progettazione dei nuovi
insediamenti per evitare conflittualità e favorire la cooperazione sociale"
scrivono nella relazione finale, senza dimenticare le funzioni di controllo di
questa organizzazione. Gli studenti, ascoltando i diretti interessati e
studiando le soluzioni già realizzate con i famosi fondi europei dedicati che
l'Italia ancora non sfrutta, hanno formulato possibili soluzioni abitative per i
sinti pavesi in vista della loro ricollocazione.
Quale potrebbe essere la soluzione? "Un villaggio auto-costruito di piccole
unità abitative in legno con spazi comuni, oppure un nuovo quartiere centrato su
edilizia comunitaria (housing sociale e co-housing) in muratura e su moduli
abitativi transitori. Entrambe le soluzioni dovrebbero essere aperte ai pavesi
Per evitare altri isolamenti" conclude Membretti.
Di Fabrizio (del 21/07/2009 @ 09:24:29, in casa, visitato 2057 volte)
Un articolo su una situazione "esplosiva" a Caserta. In calce
riporto qualche osservazione di
Nadia Marino, dell'Opera Nomadi, che vive da
quelle parti
Campi profughi, gli extracomunitari dovranno 'sloggiare' Lapidario l'annuncio dell'assessore all'Ambiente Marco Ricci. Il campo
giace in pessime condizioni igienico-sanitarie 18/07/2009 - 14:47 Enza Passaro in Attualita'
Capua - "Gli extracomunitari e gli zingari dovranno trovare altri alloggi".
Lapidario l'annuncio di Marco Ricci, assessore all'ambiente sulla questione del
campo profughi di Capua. Il campo, infatti, giace in condizioni pessime, ove
mancano le più elementari attenzioni all'ambito igienico sanitario. Purtroppo,
dopo l'arrivo dei zingari, sia di etnia rom che italiani stessi provenienti per
lo più dalla Sicilia, le condizioni del campo sono peggiorate. Finestre dai
vetri rotti, piastrelle staccate dai muri, tubi sradicati dalle pareti e sistemi
elettrici smembrati completamente. Dell'aiuola che sorgeva originariamente
all'esterno dei grandi palazzi non resta che una discarica a cielo aperto, dove
è possibile trovare dalle automobili dimesse a mobili rotti a spazzatura di ogni
tipo. E proprio da questa situazione generale si innalza la protesta dei
residenti del rione circostante. I cittadini, infatti, chiedono maggiore
sicurezza, ronde e un servizio di vigilanza che tuteli le proprie abitazioni. I
residenti, infatti, lamentato l'aumentarsi di piccoli furtarelli ad opera dei zingarelli che periodicamente si accampano presso il campo profughi.
"Si
intrufolano nelle nostre abitazioni senza che nessuno si accorga di nulla.
Quando siamo in giardino siamo costretti a tenere le porte e le finestre della
casa sbarrati perché rischiamo di trovare all'interno qualche male
intenzionato", annuncia un residente stesso. Inoltre si innalza anche la
polemica sulla questione dell'eternit, un materiale altamente cancerogeno che si
trova all'interno di alcune lamiere di cui è composto la maggior parte del
campo. Secondo le testimonianze dei residenti, infatti, i piccoli nomadi, per
passare il tempo, si divertono a smembrare queste lamiere, originando in tal
modo la fuoriuscita di tali particelle nocive per la salute dell'uomo. "Nonostante le nostre continue segnalazioni al Comune, l'unica risposta che ne
proviene è che non si può fare nulla poiché il campo è di proprietà della
provincia", afferma un altro residente.
Purtroppo, allo stato attuale non si conosce molto dell'evoluzione delle
pratiche di acquisizione dello spazio poiché le farraginose tempistiche della
burocrazia stanno rallentando notevolmente la conclusione del patto tra il
Comune di Capua e la Provincia di Caserta.
Il campo profughi di Capua (foto interno18.it)
Commento di Nadia Marino: Sono tutte menzogne (come al solito la colpa è
dei rom e dei sinti). I sinti stanno nella parte in cui ci sono solo i terreni e non sono responsabili del
degrado che esiste da una decina di anni. I rom sono pochissimi e sono lì da
pochi mesi. I rumeni hanno ristrutturato le palazzine a spese loro e realizzato
un bel giardino con le agavi. Piuttosto il Comune vuole vendere ai palazzinari e
quindi lucrare sugli ettari, come mi ha detto lo
stesso sindaco. Inoltre ha incaricato una ditta di potare gli alberi e questa
impresa ha tagliato a zero degli alberi secolari lucrando sulla vendita del
legno. I palazzi stanno così da dieci anni e l'immondizia non viene prelevata.
Insomma sembra la solita storia di speculazione edilizia, vi terrò informati se ci sono novità.
Nell'insediamento di Sulukule a Istanbul, dopo pesanti pressioni
pubbliche, sembra che il dipartimento amministrativo responsabile degli alloggi
(TOKI) ora dia ai gruppi di solidarietà la possibilità di proporre un piano di
ricostruzione.
Abbiamo bisogno urgente di supporto internazionale in questo momento molto
importante. Sotto, riportiamo un appello e una lettera di esempio (la
lettera è mantenuta in inglese ndr).
Come forse sapete, nel processo di rinnovamento della Penisola Storica di
Istanbul, la comunità rom che ha vissuto nel quartiere di Sulukule per oltre 500
anni, è stata obbligata ad andarsene. Il quartiere è stato quasi interamente
demolito dalla Municipalità Distrettuale di Fatih, per permettere a TOKI
(l'Istituzione Piani Casa in Turchia) di iniziare a costruire. Circa il 10%
delle unità abitative esistenti è ancora a rischio di demolizione e la decisione
del Comitato di Rinnovamento come pure la sentenza finale del caso in tribunale
sono attese nei prossimi mesi.
Un piano alternativo
Per opporsi agli sgomberi forzati, demolizioni e vendite a terzi sotto la
pressione della legge 5366, è stato preparato un progetto alternativo, STOP, da
un gruppo di volontari nel settembre 2008 con la decisione della Piattaforma
Sulukule. Il progetto STOP è stato sviluppato in considerazione del modo di vita
e delle esigenze della comunità locale. E' stata basata sul convincimento che
ogni intervento nell'area non debba limitarsi al rinnovamento fisico ma debba
essere sviluppato sulla base del rilancio economico e sociale della
sostenibilità locale e culturale della comunità romanì.
Gli esperti ed i civili coinvolti, che hanno sviluppato il progetto STOP,
hanno fatto in maniera di presentare il loro progetto alternativo alla
Municipalità Distrettuale di Fatih ed al Comitato di Rinnovamento di Istanbul,
tuttavia i negoziati non sono durati a lungo. Nondimeno, la Piattaforma Sulukule
non ha cessato i suoi sforzi di comunicare ai media e alle istituzioni locali ed
internazionali, insistendo che il piano della municipalità era una violazione
del diritto di abitazione e in particolare, quello della vulnerabile comunità
romanì.
Una speranza per Sulukule
Le pressioni dei media e delle istituzioni locali ed internazionali, incluse
la minaccia dell'UNESCO di depennare Istanbul dalla Lista del Patrimonio
Mondiale per le sue violazioni delle convenzioni, hanno fatto crescere
l'interesse negli sforzi alternativi dei volontari del progetto STOP. A giugno
2009, il presidente di TOKI ha invitato i volontari di STOP ad Ankara a
presentare il progetto. In seguito alla richiesta i rappresentanti dei volontari
ebbero un incontro con TOKI ad Ankara e spiegarono lo scopo principale del
progetto. TOKI chiese ai volontari di rivedere il progetto entro un mese secondo
l'attuale situazione del quartiere, che nel frattempo era stato quasi
interamente demolito. Dopo l'incontro, ha iniziato a lavorare al progetto
alternativo un nuovo laboratorio (StudioSulukule), che inizialmente consisteva
nella Piattaforma Sulukule l'Atelier Solidarietà - ma aperto ad ogni
partecipazione ed appoggio. Al momento, questo laboratorio è in pieno progresso
per un piano alternativo il cui scopo è riottenere il diritto d'alloggio dei
residenti di Sulukule e minimizzare i danni sinora causati. Le decisioni
iniziali sono state poi condivise con un pubblico più vasto e con i media in due
incontri, ottenendo un grandissimo appoggio.
Come volontari del progetto alternativo, vorremmo rivolgere un appello
urgente alle istituzioni coinvolte perché diano il loro appoggio in questo
periodo critico, per incoraggiare TOKI a considerare seriamente il progetto
alternativo. Abbiamo preparato una lettera campione per le istituzioni da
mandare via fax a Erdoğan Bayraktar, presidente di TOKI, al (0090) 312 266 77
48. D'altra parte, vorremmo sottolineare che apprezzeremmo se le istituzioni
preparassero una propria versione della lettera.
Vi pregheremmo inoltre di mandare una copia del fax alla mail indicata di
seguito.
I / We have been informed that TOKI, the Mass Housing Administration of
the Republic of Turkey is considering a re-evaluation of the urban
renewal process for the Sulukule neighborhood in the historical
peninsula of Istanbul. I / We appreciate this intention, as I / we have
been following the process in Sulukule since 2006 with great concern. Up
to now I / We observed the process as evictions and demolitions, in
addition to sales to the third parties under the pressure of Law 5366
that I / we do not approve at all. I / We understand this as a violation
of housing rights, in particular of vulnerable groups.
I / We have been informed that upon TOKI’s intention to revise the
process, a new workshop (Sulukule Atölye) was initiated by concerned
citizens and experts to prepare an alternative plan which aims to regain
the housing rights of Sulukule residents and minimize the damage that
has been caused so far. I am / We are happy to learn that the workshop
process and its initial outcomes are being discussed with academic,
civic and official institutions and until now enjoyed a very high degree
of support, participation and enthusiasm.
I / we strongly support TOKI in its intention to reconsider the process
in collaboration with the representatives of the SULUKULE ATÖLYE. We
also expect TOKI to continue and strengthen the dialogue with them. I /
We will continue to follow the process and look forward to the
implementation of the alternative plan that resettles the Sulukule
community into its neighborhood.
I / We hope to see these public-private partnerships that promise
participatory processes in the following TOKI projects, too.
Diana e Arthur Hughes, nonni e Rom, per quattro volte non sono riusciti
ad ottenere i permessi per la loro casa, ogni volta che hanno fatto appello è
stato rigettato. Il motivo risiede nella mancanza di valutazione del rischio di
inondazione da cui il rifiuto da parte del consiglio, anche se non risulta che
l'area sia mai stata inondata. Alcuni dei loro nipoti frequentano la scuola
primaria a Tintinhull e a Stanchester, il più giovane ha 3 settimane, e il
più grande 21 anni ma è mentalmente handicappato, avendo l'età mentale di 4 anni
e necessitando di assistenza costante. Alla famiglia è stato comunicato che gli
Hughes potrebbero andare in prigione se non obbedissero all'ingiunzione
dell'Alta corte. I bambini hanno bisogno di istruzione se vogliono avere una
possibilità di avere lavoro quando saranno più grandi. Diana e Arthur Hughes si
rendono conto dell'importanza di stabilità e della scolarizzazione per i loro 10
nipoti.
Di Fabrizio (del 29/08/2009 @ 09:29:02, in casa, visitato 2123 volte)
Elisabetta segnala tre articoli sulla situazione a Pavia. Mi
rimane la curiosità di sentire il parere di Rom e Sinti
Il secolo dei "campi" è finito Pavia è città dell'eterno ritorno, dell'eterno errore. Essendo un meccanismo
archetipico non conosce colore politico. Siamo ancora qui a discutere di "campo
nomadi", di ghetti progettati congiuntamente e
con il consenso dei ghettizzati a spese di tutti i cittadini. Nella città dei
Saperi non si riesce a concepire altro che lo stereotipo, il ritorno ossessivo
degli stessi concetti, degli stessi errori. La giunta (Pdl) lo vuole fare, ma
non sa dove; le voci citano qualche quartiere e questi per voce di esponenti del
Pd fanno sapere che "no pasaran". Lo spettacolo è deprimente, i pensieri tristi,
lo spettacolo di infima qualità. Eppure basterebbe ragionare sulle parole e
conferire ai Sinti e Rom lo status di cittadini, come si fa per qualsiasi altro
cittadino. Ma parlare di "nomadi" è troppo attraente, fa sentire tutti
competenti: tu sei nomade e io ho invece le radici. E' differenza che di per sé
basta a marcare un abisso e la costrizione in un ruolo blindato di centinaia di
concittadini. Nel febbraio scorso ho scritto una lettera al quotidiano locale;
ho espresso ciò che penso: nomadi non ce ne sono. Mi sembra che nulla sia
cambiato da allora; gli stessi equivoci, le stesse misere parole, la stessa
politica che non sa essere altro che il portavoce della medietà senza coscienza,
senza preparazione e senza linguaggio significativo e aderente alla storia e
alla memoria. Una medietà antropologica più che politica: questa dimensione
sembra perduta (per sempre?). In questa città non ci devono essere nemici (che
devi farti amico) - o nodi d'incaglio - che non siano i "nomadi" (anche se
nomadi non sono), i quali, servendo perfettamente l'incapacità della politica
d'essere protagonista e illuminata, devono persistere ad essere artatamente
tali. Di seguito è l'articolo che "La Provincia pavese" dedica oggi, 27 agosto
2009, al tema "campo nomadi") e a seguire il mio intervento del
28 febbraio 2009. Irene Campari
Il Pd: «No i nomadi al Vallone» PAVIA. Da un lato il vicesindaco Gian Mario Centinaio - Lega - ha ribadito
che una soluzione per i 450 sinti bisogna trovarla, «perché comunque sono
cittadini pavesi anche loro». Dall'altro lato Tullio Baruffi, presidente del
circolo di Pavia nord est del Partito Democratico è pronto a dare voce ai
residente del Vallone che non vogliono il campo vicino sotto casa.
Prima lettura: Sinistra e Destra, nell'eterna divisione pro-stranieri una, contro-stranieri l'altra, si stanno
scambiando i ruoli.
Seconda lettura: nella più recente divisione tra il
partito radicato sul territorio - la Lega - e quello assente - la generica
Sinistra, inizia a farsi sentire chi non vuole essere etichettato come assente,
perché la voce dei cittadini è pronto ad ascoltarla.
E poi c'è la terza
lettura, che in fondo mette d'accordo tutti: prima di prendere qualsiasi
decisione in merito al campo nomadi servirà il confronto con la città.
Tullio
Baruffi ha raccolto il malumore del Vallone. «C'è chi sottolinea che il valore
degli immobili crollerà - spiega Baruffi - chi ha paura. Il fatto è che non si
può mandare tutto al Vallone. Hanno detto che li metteranno o al Carrefour o al
Bivio Vela, ma comunque graviteranno dalle nostre parti. Hanno detto che si
rivolgeranno ai quartieri - continua Baruffi - ma se non ci sono più con chi
parleranno? Prima di prendere decisioni chiediamo che vengano a parlare con la
gente. Se un 'assemblea non la faranno loro, la faremo noi». Quel «loro» si
riferisce a maggioranza e opposizione.
«E' una questione delicata quella del
campo nomadi - sottolinea Matteo Mognaschi, consigliere della Lega Nord - su
cui dobbiamo ancora parlare al nostro interno. E' un problema che l'amministrazione di centro sinistra non ha affrontato per anni». E la posizione
del circolo Pd del Vallone? «E' strano che il Pd sia così vicino alle esigenze
del territorio - dice Mognaschi - è una posizione singolare. Ma sicuramente
serve un confronto con i cittadini». Ed è quello che dice anche Antonio Maria
Ricci, segretario cittadino del Pd. «Una sistemazione per il campo nomadi deve
essere trovata - sottolinea - tanto è vero che è nel programma che abbiamo
presentato per sostenere Albergati. Indipendentemente dal colore politico,
bisogna parlare con i cittadini della zona dove lo si vuole insediare. Come i
nomadi hanno la necessità di trovare una collocazione adeguata, i cittadini dei
quartiere devono essere incontrati. Bisognerebbe aprire un tavolo con queste
comunità, associazioni, amministratori e le forze politiche - aggiunge Ricci -
per evitare di creare divisioni». Marianna Bruschi , "La Provincia pavese", 27
agosto 2009
Nomadi o no? Decidiamo sui Sinti di Irene Campari Il tema del
campo nomadi sarebbe stato argomento da affrontare nel passato entro i termini
di un contesto civile che si propone una reale integrazione di gruppi solo
apparentemente "diversi" da quelli radicati. Le direttive europee prevedono
l'accoglimento di comunità di passaggio in luoghi attrezzati con servizi
adeguati per la tutela della salute e dei diritti fondamentali. Tuttavia, le
amministrazioni civiche dovrebbero decidere come considerare le comunità Sinti:
sono "nomadi" o non lo sono? Quali stili di vita definiscono i cittadini "nomadi"? E' sufficiente un'autocertificazione? Il rispetto delle consuetudini
delle culture e gli atteggiamenti antidiscriminatori passano tramite la
chiarezza su quel punto, che deve darsi senza infingimenti o opportunismi. Una
comunità che risiede in città da più di quarant'anni non può plausibilmente
dirsi "nomade". Basta voler vivere in roulotte per confermarsi tali? Non mi
pare altrettanto plausibile. Negli ultimi anni ho osservato piuttosto un gioco
delle parti tra istituzioni locali e comunità Sinti tendente a dar per scontato
quel carattere accettando la soluzione del "campo" come scontata e senza
alternative. E' probabile che ci fosse una reciprocità conveniente, che però
non ha fatto altro che alimentare sentimenti negativi dei cittadini pavesi "stanziali" nei confronti dei cittadini pavesi
"nomadi". Da sempre presentati
così, hanno attirato su di sé il pregiudizio della diversità antelitteram,
quella fondata sulla proprietà della terra. Per chi è stanziale questa
struttura l'habitus; chi è nomade apparterrebbe invece ad una cultura altra e
sfuggente, che appare nell'immaginario antropologico come quella che minaccia i
"radicati" proprietari in virtù della propria libertà dai vincoli del bene
fondiario. Sarebbe ora di affrontare fino in fondo questo nodo. L'Amministrazione comunale uscente aveva stanziato 90 mila euro per un progetto
di nuovo campo per i Sinti. Non ha mai specificato dove l'avrebbe collocato.
Tantomeno lo faranno in campagna elettorale; è tema che toglie consenso. Ma
rimane lì come idea territorialmente vaga, per accontentare da una parte i
Sinti e dall'altra non inibirsi il favore dell'elettorato. Circa 35 mila euro
sarebbero andati ad associazioni per "mediare" e fare accettare la comunità
Sinti "nomade" da quella radicata. E' un circolo vizioso da interrompere. Se
risiedono a Pavia da tanti anni, i figli hanno studiato qui, lavorano qui, qual
è la necessità che spinge a dichiararne il "nomadismo"? I diritti sono diritti,
e si realizzano anche nello spazio. I campi hanno da sempre richiamato qualche
tratto più o meno marcato di "extraterritorialità", o, nei peggiori contesti, i
"ghetti". Ritengo che a Pavia non si debbano più sperimentare né i primi né i
secondi, come all'ex Snia. Se bisogno ci sarà di accogliere comunità indigenti
di cittadini europei, saranno necessarie aree attrezzate e regolamentate per
una sosta breve in attesa di soluzioni a lungo termine, per evitare che le aree
dismesse diventino specchio della nostra vergogna ed incapacità di gestire l'umanità, e ciò valga anche per i rapporti tra cittadini Sinti e cittadini Rom.
Per le comunità residenti finora nei campi cittadini vedo la proposta del
Prefetto Buffoni - distribuire gli insediamenti in piccole e distribuite aree -
come temporanea. I cittadini europei di origine Sinti dovrebbero accedere ad
abitazioni reperibili sul libero mercato. Il "nomadismo" autentico temo che si
esprima con altre modalità da quelle fin qui mostrate dai nostri concittadini
europei di origine Sinti. Una posizione come quella espressa disinnescherebbe
anche l'uso strumentale che dei campi per le comunità Sinti potrebbe essere
agevolmente fatto nell'imminente campagna elettorale. Irene Campari, Circolo
Pasolini Pavia
"La Provincia pavese", 28 febbraio 2009
RICHIESTA DI INTERVENTO AL PREFETTO DI ANCONA: LA FRETTA E LA PROPAGANDA DEL
SINDACO BRANDONI SUL CAMPO NOMADI RISCHIANO DI CREARE SERI PROBLEMI ALLE
FAMIGLIE E AI QUARTIERI
Le Associazioni di quartiere Comitato Fiumesino e Comitato Villanova,
l’Associazione L.H.A.S.A., i Rappresentanti delle Famiglie ROM residenti
nell’area sosta di Falconara Marittima, hanno inviato una nota ed una
richiesta di intervento al Prefetto di Ancona in cui esprimono forte
preoccupazione per le reiterate esternazioni del Sindaco di Falconara Marittima
volte alla messa in atto della affrettata decisione della chiusura del
cosiddetto “campo nomadi” senza aver prima individuato alloggi dove sistemare i
suoi occupanti e senza preoccuparsi di evitare concentrazioni ghettizzanti le
quali creerebbero situazioni deleterie e di disagio in determinate zone del
territorio comunale.
Nella nota inviata al Prefetto le Associazioni e i Rappresentanti della comunità
ROM residente hanno congiuntamente ribadito al Prefetto di Ancona:
- DI NON VOLERE LA PERPETUAZIONE DELLA PRECARIETÀ DEL “CAMPO NOMADI”;
- DI VOLER EVITARE DI GETTARE NELLA STRADA NUCLEI FAMILIARI CHE RIMARREBBERO
SENZA UNA ABITAZIONE;
- DI VOLER EVITARE DI RICREARE NEGLI ALLOGGI DI EMERGENZA DEL COMUNE UNA
SITUAZIONE CONCENTRAZIONARIA SIMILE A QUELLA DEL CAMPO NOMADI;
- DI VOLER EVITARE LA CREAZIONE DI COSIDDETTI “QUARTIERI GHETTO” A CAUSA DELLE
MIOPI POLITICHE DELLE AMMINISTRAZIONI COMUNALI DI ACQUISTO ED AFFITTO DI ALLOGGI
IN EMERGENZA NEI SUDDETTI QUARTIERI DI FIUMESINO E VILLANOVA DI FALCONARA M.MA.
Questo comune sentire degli scriventi è frutto del desiderio di favorire
l’inserimento di ogni famiglia, di qualsiasi provenienza geografica e culturale,
nel tessuto sociale della città di Falconara, nel rispetto delle Leggi vigenti e
dei Regolamenti comunali che riguardano anche gli “alloggi destinati a
situazioni di emergenza sociale”.
Le Associazioni hanno evidenziato nella nota che la improvvida determinazione
del Sindaco di Falconara Marittima si inserisce in una assoluta, odierna
confusione per ciò che riguarda gli “alloggi destinati a situazioni di emergenza
sociale” e pertanto, qualsiasi decisione affrettata e propagandistica
dell’Amministrazione comunale risulterebbe deleteria per tutti: per i residenti
dei quartieri e per i residenti che oggi dimorano nel campo nomadi.
31 agosto 2009 - Source: B92Smantellato l'insediamento rom nel
centro di Belgrado
Le famiglie rom che vivevano in uno sgangherato insediamento sotto un
ponte di Belgrado sono state rilocate questo lunedì.
Hanno lasciato i resti di un deposito che si stava accatastando vicino
all'insediamento, denominato come "anti-igienico", che ora i servizi cittadini
stanno cercando di bonificare.
114 famiglie che erano registrate a Belgrado e che sinora avevano vissuto nei
pressi del ponte Gazela sul fiume Sava, sono state spostate in 13 municipalità
di Belgrado.
Ad ogni famiglia è stato fornito un container ammobiliato, collegato alle
infrastrutture sanitarie.
I bambini dell'insediamento che non andavano a scuola non dovranno
frequentare le classi, e la città aveva precedentemente promesso di fornire loro
libri di testo e trasporto gratuiti.
Nel contempo, 53 famiglie rom che vivevano a Gazela ma erano registrate in
otto municipalità della Serbia meridionale, sono ritornate nelle loro città.
E' stato fatto un accordo con gli auto-governi locali per quanti non avevano
nessun posto dove andare, per provvedere loro con alloggi temporanei sino ad una
soluzione permanente.
Il trasferimento di lunedì è avvenuto senza incidenti.
Stamattina, Osman Balić, coordinatore del Decennio Rom, ha detto che dev'essere
posta particolare attenzione proprio a quanti non erano registrati a Belgrado,
ma ha detto a B92 di essere soddisfatto perché verrà risolto il problema di
diverse centinaia di persone.
La mossa delle autorità cittadine arriva perché la ricostruzione del ponte
non potrà avvenire finché l'insediamento non sarà smantellato.
Per questa ragione i lavori erano già stati rimandati diverse volte.
La Banca d'Investimento Europeo ha detto che una delle condizioni per i suoi
prestiti, fondi per la ricostruzione, fosse che "il lavoro fosse svolto
adeguatamente", informano i rapporti.
Cari amici
L'Opera Nomadi ha denunciato [...] che un intero comparto di alloggi popolari
nel quartiere di Arghillà a Reggio Calabria molto probabilmente è stato
costruito su una falda acquifera. Queste costruzioni non sono stabili inoltre
come se non bastasse questi stessi alloggi hanno una serie di problemi
strutturali.
Giacomo Marino presidente Opera Nomadi di Reggio Calabria
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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