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\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 06/06/2013 @ 09:08:30, in conflitti, visitato 1639 volte)

La foto non viene da Istanbul, ma da Milano, c'è il parco e anche le baracche... la continuità è data dal braccio della ruspa

Sto scrivendo domenica 2 giugno, e come molti di voi seguo, praticamente in tempo reale, quanto sta succedendo in Turchia: Gezi.

Un anticipo di quanto sta succedendo ORA (ma non fu per niente in tempo reale) ci fu nel 2010, anche se la lotta iniziò almeno 5 anni prima: SULUKULE (forse qualche lettore se ne ricorda). Ora i turchi lottano per mantenere un parco; nel caso di Sulukule, si trattava di un quartiere millenario, dove i primi Rom si insediarono alla venuta in Europa. Ora, cacciati in altri quartieri dove non possono più svolgere le loro attività (che erano anche fonte di entrata per il turismo locale), non possono più permettersi di pagare gli alti affitti a cui sono sottoposti. Dopo un millennio di stanzialità, sono tornati ad accamparsi COME NOMADI sulle rovine delle loro ex case.

    ATTENZIONE, è da parecchio che tocca ripeterlo: le politiche che i popoli romanì sperimentano, altro non sono che un laboratorio di ciò che poi toccherà anche ad altri. L'abbiamo voluto, l'abbiamo permesso, lo pagheremo.

Per chi volesse, QUI potete trovare una completa ricostruzione della vertenza di Sulukule. Altrimenti di seguito ho preparato un riassunto, con alcuni dei momenti principali.


Il quartiere di Sulukule ad Istanbul esiste[va] da mille anni, ed ospitava il più antico insediamento Rom del mondo. Dichiarato patrimonio dell'Unesco, oggi è stato quasi totalmente abbattuto nel piano di un rinnovamento urbano, ed i suoi residenti spostati in un altro quartiere lontano dal centro, con affitti che non sono in grado di pagare. La lettera è del 2006

Lettera aperta di Sukru Punduk, nato il 1/1/1968 a Sulukule, residente in Edirnekapi Kaleboyu Cad. Zuhuri Sok. No: 5.
Gli abitanti del quartiere iniziarono a stabilirvisi attorno al 1504, del calendario bizantino. Dopo l'arrivo degli Ottomani nel 1453, la comunità Rom rimase lì e molti Rom fecero di Sulukule il punto di partenza per arrivare in Europa. Il quartiere sorge accanto alle mura storiche del distretto di Fatih. Vi abitano circa 3.500 Rom, che erano circa 10.000 i residenti prima che iniziasse lo sgombero della municipalità di Fatih nel 1992. D'improvviso la municipalità chiuse i locali musicali e d'intrattenimento, con la scusa che non pagavano le tasse e quindi non potevano esercitare nel quartiere. Tuttavia, si può pensare che noi siamo dei "campioni" del pagamento delle tasse, pagando tasse sull'intrattenimento, senza mai ricevere dall'autorità riscontro delle somme pagate. Il provvedimento di sgombero non causò soltanto la diminuzione degli abitanti, ma anche disoccupazione per quanti rimasero, incapaci di pagare elettricità, acqua e riscaldamento. Ora, sempre la municipalità di Fatih è determinata ad abbattere le nostre case,  nonostante noi siamo in possesso dei documenti ricevuti nel 1983/84, quando le abitazioni provvisorie vennero legalizzate da un'amnistia e registrate. L'insieme di questi eventi, vanno considerati parte di un premeditato processo di rimozione della comunità romani dal centro città. Noi, il popolo Rom di Sulukule, soffriamo la mancanza dei nostri diritti basici come il diritto di proprietà, quello di avere un lavoro decente, quello dell'accesso all'acqua potabile e all'elettricità.
Il numero delle case che andranno demolite è di circa 571, per un totale di 8.000 mq. Siamo venuti a conoscenza dai giornali e dalla TV che il comune ha un piano di sviluppo e rivalutazione del quartiere. Richiediamo quindi un incontro col sindaco, Mustafa Demir. Ci fu un incontro a novembre 2005, a cui presero parte 17 di noi. Allora erano proprietari in 251 e 320 gli inquilini. Il sindaco disse che le case del quartiere sarebbero state demolite e che l'area era stata definito di rinnovo urbano. Offrì nuovi alloggi agli inquilini, senza però andare oltre la solita "lotteria" delle abitazioni pubbliche in Turchia. Gli alloggi erano situati a Tasoluk, a circa 2 ore e mezza dalla città più vicina, Gaziosmanpasa. Le case sarebbero state costruite dall'Assessorato alle Case Popolari, meglio noto come TOKI. D'altra parte, non v'è certezza su quale sarà il costo delle nuove case e di conseguenza, se saremo in grado di pagare l'affitto. Ed ancora, i lavori che svolgevano gli abitanti di Sulukule non si potranno più  svolgere nelle nuove case aumentando il rischio di pagamenti insoluti. Il sindaco ha offerto due opzioni:
1. comperare il loro terreno con un ammontare incerto per metro quadro;
2. che le case siano pagate in 15 anni, deducendone il valore del terreno.
Il nostro problema è l'incertezza della situazione.  Non esiste un progetto concreto sulle somme che ci verranno offerte per le nostre terre, e quindi non siamo in grado di decidere. Abbiamo perciò chiesto al sindaco di costruire noi le nostre case e di disegnare un progetto comune, ma la nostra proposta è stata rifiutata..

In seguito il comune a luglio 2006 mandò inviti individuali per illustrare la situazione di cui ho accennato sopra. I loro argomenti si basano sulla decisione del Consiglio dei Ministri, che chiede di determinare le aree soggette a rinnovamento urbano, con la legge 5366. Hanno dichiarato che entro la fine di agosto 2006 riceveremo le ordinanze di abbattimento. Finora, a nessuno nel quartiere è giunto niente, e tutti sono preoccupati perchè non ci sono proposte concrete di rilocazione, e nel contempo a Istambul ci sono state demolizioni nei quartieri rom di  Kucukbakkalkoy e Yahya Kemal. Anche lì le case demolite erano registrate a norma e non sono state offerte soluzioni di rilocazione degli abitanti.
Noi, abitanti Rom di Sulukule, non vogliamo lasciare le nostre case. Nel 1960 alcuni abitanti di Sulukule furono obbligati a trasferirsi a Gaziosmanpasa, dove c'è oggi una comunità Rom minacciata a sua volta di sgombero e demolizione da parte del comune. Perciò la migrazione forzata non è la soluzione per i progetti di rinnovamento urbano. Non vogliamo essere evacuati in nuovi appartamenti, ma continuare a vivere con i nostri strumenti, danze, musiche, dove i nostri antenati  si stabilirono un migliaio di anni fa. Non vogliamo essere esclusi dalla comunità cittadina, né essere obbligati a migrare dalle nostre terre. Richiediamo aiuto alle associazioni e ai singoli perché appoggino la nostra lotta contro la migrazione forzata. Invitiamo perciò avvocati e giornalisti a venire a Sulukule e rendersi conto di come viviamo.
Saremo grati alle organizzazioni europee o di altri paesi che chiedano informazioni sulla situazione di Sulukule alle ambasciate e ai consolati turchi. Apprezzeremo le vostre lettere di appoggio alla nostra comunità, per non farci sentire soli.

Sulukule Romani Culture Solidarity and Development Association
President
Sukru Punduk

9 giugno 2008 By PELIN TURGUT - Time.com
All'ombra dei merli bizantini, un gruppo di ragazze ridenti va avanti e indietro fra le case cadenti, smettendo occasionalmente di vibrare le loro anche e di roteare i loro polsi. Sono inseguite da diversi ragazzi urlanti, che le afferrano e le spingono "in prigione" verso un angolo. I bambini del quartiere impoverito di Sulukule a Istanbul - patria della più antica comunità rom del mondo - chiamano questo gioco Poliziotti e Ballerine, versione locale di Guardie e Ladri emendata per riflettere sulla loro esperienza di essere nati in una vita di danza e caccia dalla polizia.
E' giovedì pomeriggio presto e i bambini giocano per strada invece di essere a scuola. La ragione della loro assenza ingiustificata, d'altra parte, è la paura. "I bambini sono spaventati," dice Dilek Turan,  uno studente di psicologia volontario a Sulukule. "Non vogliono andare a scuola perché sono preoccupati di tornare a casa e non trovarla più." C'è una ragione: il piano cittadino di demolire le loro case parte di un controverso progetto di rinnovamento urbano in vista di Istanbul Capitale Culturale Europea nel 2010.
Fu in era bizantina che gli antenati dei bambini rom di Sulukule si accamparono per la prima volta su questo particolare pezzo di terra, accanto al Corno d'Oro e appena fuori dalle mura del V secolo della vecchia Costantinopoli. La prima registrazione della comunità, circa nel 1050, si riferisce ad un gruppo di persone, che si riteneva provenissero dall'India (dove, per la verità, molti storici credono siano originari i Rom), accampati in tende nere fuori dalle mura cittadine. Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, alla comunità fu garantito il permesso ufficiale del sultano Sultan Mehmet II di avere dimora in quello che ora è Sulukule.
Per secoli la comunità rom si è guadagnata da vivere come indovini e ballerini per la corte ottomana, e più tardi per i Turchi - una tradizione portata sullo schermo nel film di James Bond Dalla Russia con Amore. Le loro fortune ebbero una svolta negativa negli anni '90, quando le loro "case d'intrattenimento" - abitazioni private dove le famiglie zingare cucinavano e ballavano per i loro concittadini benestanti - furono chiuse con l'accusa di gioco d'azzardo e prostituzione.
I Rom di Istanbul sono molto poveri, guadagnano in media circa $250 al mese, ma la terra che abitano, una volta periferica e senza importanza, è ora un bene immobiliare molto apprezzato a pochi minuti dal centro città. Se gli appaltatori ed il comune locale hanno il loro senso, l'intero quartiere di Sulukule  - che ha 3.500 residenti - verrà raso al suolo entro la fine dell'anno per far posto a 620 case signorili in stile neo-ottomano.
"Ogni giorno, ci domandiamo quale casa verrà demolita," dice Nese Ozan, volontario della Piattaforma Sulukule, una coalizione di architetti, attivisti e lavoratori sociali contro la demolizione. Ogni tre o quattro case derelitte di un blocco, una è stata ridotta ad un mucchio di residui e di metallo ritorto. Una X rossa segna le prossime, quelle in prima linea per le squadre di demolizione.
Mustafa Demir, sindaco della municipalità conservatrice di Fatih che sponsorizza il programma di demolizione, dice che c'è bisogno di un progetto di rinnovamento sociale "per rimpiazzare i tuguri". Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha chiamato Sulukule "terribile" ed espresso stupore per le proteste anti-demolizione. Che il quartiere abbia un disperato bisogno di risanamento è chiaro, ma i critici accusano le autorità di aver mancato di includere una delle più antiche comunità nei piani per lo sviluppo. Invece, ai Rom sono state offerte due opzioni: possono vendere le loro proprietà a basso prezzo (o doversi trovare di fronte all'esproprio), o traslocare nel quartiere popolare di Tasoluk, a circa 25 miglia dalla città, e pagare un'ipoteca di oltre 15 anni che pochi possono permettersi.
"La municipalità non capisce che se intende rinnovare quest'area, c'è bisogno di fare in maniera che permetta alla comunità di continuare a vivere qui," dice Ozan. "Non possono limitarsi a sgomberare tutti, radere l'area la suolo e costruire un sobborgo. Questa è una comunità storica."
Il ricercatore rom britannico Adrian Marsh vede un programma più scuro al lavoro. "Quello che abbiamo è la municipalità più religiosa del paese che si confronta con quello che ritiene storicamente il gruppo più irreligioso ed immorale," dice. "Se rigenerassero la comunità in maniera inclusiva, avrebbero 3.000 voti extra, ma non stanno agendo così. Perché? Perché considerano la comunità di Sulukule irrecuperabile." Soluzioni a lungo termine come permettere ai Rom di impiantare music halls legali ed ottenere un guadagno, non sono gradite alle autorità locali dominate dagli islamisti, perché non intendono promuovere questo tipo di intrattenimento, ragiona Marsh.
Questo è molto più certo: disperdere la comunità rom di Sulukule distruggerà la loro cultura, che è legata alla vita comunale. Famiglie estese condividono case e forme musicali, usando le strade come estensione delle loro stanze. "Sulukule presenta un modo di vita unico," ha concluso un gruppo di ricerca sul design urbano dell'University College di Londra. "Questo dev'essere tenuto in conto e preservato quando viene introdotto un nuovo sviluppo per l'area."
La Piattaforma Sulukule ha richiesto un'ingiunzione del tribunale contro la demolizione ed il parlamento ha ha nominato un comitato di studio. Ma i bulldozer non aspettano. Il gioco di Poliziotti e Ballerine non sta andando bene per lo spettacolo.

Sabato, 21 giugno 2008 - ISTANBUL – Turkish Daily News
Operai della municipalità di Fatih-Istanbul giovedì hanno distrutto una casa nel quartiere di Sulukule, anche se dentro c'era ancora gente, così si è lamentato un portavoce di un'organizzazione che combatte la trasformazione urbana dell'area. La municipalità ha rifiutato le accuse.
Sulukule è sotto esame da quando un progetto di trasformazione urbano è cominciato nell'area, il cui progetto vorrebbe eliminare lo spazio vitale e minacciare la cultura del popolo Rom, che hanno vissuto nel quartiere da secoli.. Ciononostante, la municipalità ha iniziato le demolizioni a febbraio.
La casa al numero 15 di via Neslişah Camii è stata distrutta anche se non era tra gli edifici indicati da distruggere come parte del progetto, ha reclamato Hacer Foggo, rappresentante della Piattaforma Sulukule. "Gli abitanti hanno pensato che fosse un terremoto. Nella casa c'erano due sorelle. Nessuno è stato ferito nella demolizione, ma la casa è inabitabile," ha detto. Foggo ha anche lamentato che, testimoniano i residenti del quartiere, la squadra di demolizione ha detto "Abbiamo distrutto la casa per errore" e sono andati.
Mustafa Çiftçi, consigliere comunale per le aree rinnovabili, ha rigettato le lamentele, dicendo che non c'è stata alcuna demolizione di un edificio che non fosse vuoto. "Prendiamo rapporti per impedire situazioni come queste. Distruggiamo edifici che siano assolutamente vuoti," ha detto Çiftçi.

Non c'è solo Sulukule. Radikal, 11/02/2010
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro quartiere è stato attaccato e dato alle fiamme sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo stato aveva promesso loro assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi, soltanto poche famiglie possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni temporanee. Qualcuno può scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da bruciare e di acqua calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case hanno acqua corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono i Rom, "nel passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono fogli di plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i miglioramenti di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è accatastato lì vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime di discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A Capodanno ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom, anche se il proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava fumando nel locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di fumare sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di ciò, iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di pietre contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della locale Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di Gordes. La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per giorni dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio". Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18 famiglie stanno vivendo nella miseria...

Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies
adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918


NOTA: Quanto sopra fa parte di un rapporto che scrissi a maggio 2010 per alcuni amici di Amnesty International Italia, riguardo la situazione abitativa dei Rom in Europa. Chi fosse interessato, può richiedermene una copia via mail (file .pdf, 36 pagine, 378 KB)

 
Di Fabrizio (del 28/06/2013 @ 09:05:41, in conflitti, visitato 1769 volte)

2013: Ritorno a Lety by Paul Polansky - su Roma.Idebate.org (su Lety, vedi precedenti in Mahalla)

"I Cechi non discriminano", affermava il mio amico qualche settimana fa, tra le pivo (birre, in originale nel testo ndr.) di un pub di Praga. "Ora stiamo dando la medesima considerazione al memoriale rom di Lety, come alla tragedia di Lidice della II guerra mondiale."

Avevo sentito dei miglioramenti al campo di sterminio di Lety, ma dovevo ancora vederli. Così il giorno dopo ho guidato sino a Lety con quattro amici cechi, per scoprire cosa fosse successo dopo che la Lidice Memorial Association aveva assunto la gestione del memoriale di Lety.

Oltre alla non rimozione dell'allevamento di suini costruito sopra il campo originale, in spregio agli accordi di Helsinki, la mia più grande lamentela è sempre stata la mancanza di indicazioni stradali per il memoriale di Lety, o un accesso adeguato dall'autostrada 19, la via più vicina. Ma arrivando all'intersezione tra il villaggio di Lety e l'autostrada Praga-Pisek, fui contento di vedere un grande cartello marrone indicante Lety Pamatnik (Memoriale di Lety). A poche centinaia di metri, un secondo cartello indica la strada.

Non è più stato necessario fermarsi e chiedere ai passanti dove fosse il memoriale Rom. Lungo tutto il percorso c'erano segnali stradali ben disposti che ci hanno portato al nuovo accesso asfaltato dall'autostrada 19.

Nel 1995, durante la conferenza stampa del primo memoriale di Lety, avevo chiesto all'allora ministroin carica, Igor Nemec, perché non ci fossero segnali stradali o accesso ai veicoli per il memoriale di Lety. Nemec aveva replicato sarcasticamente che il governo ceco aveva già pagato abbastanza per il memoriale zingaro. Se gli zingari volevano segnali stradali e un accesso adeguato, dovevano pagarli di tasca loro.

Così, 18 anni dopo, è stato un vero progresso. Ma i segnali stradali e un accesso adeguato non sono stati i soli miglioramenti. Raggiunto il sito, abbiamo trovato un parcheggio asfaltato, servizi igienici pubblici, un centro informazioni e due piccole cabine di legno, che presumibilmente dovevano rappresentare le baracche in cui gli zingari erano detenuti.

Anche se non c'era presente nessuno a fornirci informazioni, ho capito che eravamo agli inizi di maggio e che con la susseguente "stagione turistica" ci sarebbe stato del personale ad accogliere e informare i visitatori, come indicato dai cartelloni.

Non posso essere soddisfatto, però, nel vedere le piccole casette che si suppone replichino le baracche dove erano confinati i Rom. Le cabine erano grandi appena per contenere due letti a castello e un lavabo. Secondo le oltre 100 storie orali che ho raccolto tra il 1995 e il 1996 dai sopravvissuti di Lety, ogni baracca conteneva tra i 50 e i 60 prigionieri. Secondo le cronache su Lety tenute dal municipio, la storia ufficiale nota che il campo venne costruito per ospitare 80 prigionieri d'inverno e 240 d'estate. Ufficialmente, ne ospitava 600 all'anno anche se, secondo i sopravvissuti, nel campo c'erano sempre diverse migliaia di Rom. Se quelle cabine replicavano la realtà, avrebbero dovuto essercene centinaia, coprendo un'area diverse volte più grande dell'attuale allevamento di suini.

L'altro "miglioramento" che abbiamo incontrato è stato un grazioso sentiero di ghiaia che porta ad alcune gradinate costruite prima dell'ingresso al memoriale. Lì accanto c'è il laghetto Schwarzenberg, dove molti sopravvissuti sostengono che le guardie del campo affogassero i bambini romanì, le nuove gradinate si affacciano sul memoriale come in attesa dell'inizio di un concerto.

Nel 1995 il piccolo cippo in onore di quanti morirono a Lety, fu collocato vicino le tacche di diverse tombe. Quando le trovai nel 1994, non c'era altro che un campo circondato dalle foreste di Schwarzenberg, dove molti dei detenuti lavoravano come schiavi. Oggi il sito è coperto da un prato ben tenuto simile al terreno per un pic nic; non esattamente quel che si intendeva negli accordi di Helsinki siglati dal governo ceco... ma questa "valorizzazione" è piaciuta ai miei amici cechi, che hanno continuato a sottolineare la somma di soldi spesi, perché quanto a cura Lety assomigliasse in tutto a Lidice.

Sfortunatamente, la scheda d'informazioni in tre lingue (ceco, romanés e inglese) all'ingresso non è stata migliorata. La breve storia dichiara che solo i Tedeschi furono responsabili per Lety. Nessuna menzione alo fatto che il campo fosse amministrato dai Cechi e che tutte le guardie fossero Ceche, cosa riconosciuta persino dal presidente Havel nel suo discorso a maggio 1995, quando presenziò alla prima commemorazione del memoriale.

Un'altra questione da risolvere è la puzza di letame-ammoniaca proveniente dall'allevamento di maiali. A seconda della direzione del vento, sono ancora necessarie delle maschere a gas se si vuole passare più di qualche minuto in visita al memoriale. Comunque, ora sono stati degli alberi tra il memoriale (oltre le innumerevoli altre tombe) e l'allevamento, così da nasconderne la vista.

I miei amici cechi non erano mai stati prima a Lety, ma erano orgogliosi che il loro paese finalmente stesse promuovendo e mantenendo Lety attraverso un alto standard. Non potevano capire perché sentivo ancora che il governo ceco non stesse rispettando glii accordi di Helsinki a mantenere e preservare questo sito sull'Olocausto. Tutto ciò che potei fare, fu suggerire di visitare la nuova "Lety Exhibition", ora ospitata nello stesso edificio dell'unico pub in città.

Se ero stato deluso per come il campo originale di Lety fosse stato trasformato in un terreno da picnic, lo fui ancora di più dall'unica stanza della Lety Exhibition. Praticamente consiste in due pareti coperte dal pavimento sino al soffitto dalla storia fotografica delle guardie di Lety e di come avessero sfidato gli ordini di maltrattare i prigionieri zingari.

Per non mettere in imbarazzo i miei amici cechi, non ho riso a quel tentativo di mostrare alcune guardie del campo di sterminio come se fossero state dei veri eroi. Questo nuovo eroe nazionale, Frantisek Kansky, secondo i documenti del tribunale del 1946 era stato effettivamente chiamato come testimone a difesa dell'accusato Vaclav Hejduk, la più famigerata guardia di Lety che, secondo molti sopravvissuti, spesso si aggirava nel campo in cerca di giovani ragazzi e ragazze, da portare nella sua stanza dove poterne abusare sessualmente o picchiarli a morte. Già nel 1947 Hajduck venne assolto, perché il giudice non credeva ai testimoni "zingari".

Per quanto questa esposizione potesse essere scorretta, non ero preparato a ciò che avrebbero trovato nella stessa stanza i miei amici. Mi chiamarono per dare uno sguardo a cosa avevano scoperto, scritto di recente sul libro a disposizione dei visitatori. Sulle prime, non compresi ciò che mi stavano indicando. Anche se era proprio al centro della pagina, la mia mente non registrò le parole in ceco, fin quando uno dei miei amici le tradusse: "Zingari nelle camere a gas".

Avrei voluto afferrare il libro dei visitatori e marciare sino al piano superiore (il municipio e l'ufficio del sindaco si trovano al secondo piano del pub). Invece mi sono limitato a prendere una foto e lasciare il libro agli altri, perché possano vedere cosa alcuni Cechi pensino dei Rom, ora come allora.

Se fosse vero quello che ha detto il mio amico di fronte alle nostre birre a Praga, che i Cechi non discriminano, immagino che presto vedremo scritto sul libro dei visitatori a Lidice che i Tedeschi avrebbero dovuto macellare più Cechi. E che ora si dovrebbe impiantare un allevamento di maiali sul Lidice Memorial, così da dare lavoro a cinque abitanti del posto, come a Lety.

    Paul Polansky sta attualmente preparando la pubblicazione di un libro di memorie sui rapporti e le interviste con testimoni locali dal campo di Lety, raccolte tra il 1992 e il 1995, e il successivo insabbiamento da parte del governo ceco.
 
Di Fabrizio (del 20/07/2013 @ 09:09:55, in conflitti, visitato 1494 volte)

Lettera aperta da ROMEA ai manifestanti non-estremisti anti-romanì nella Repubblica Ceca
Prague, 9.7.2013 21:51, (ROMEA) fk, translated by Gwendolyn Albert

I lavoratori dell'associazione civica ROMEA hanno deciso di tendere la mano a quanti hanno partecipato alle recenti manifestazioni anti-rom e che non siano estremisti. L'associazione spera di iniziare un dialogo con almeno qualcuno di voi, che potrebbe portare a proposte specifiche per le soluzioni e quindi ad una maggiore tranquillità nella nostra convivenza.

ROMEA renderà pubbliche le idee e proposte che giungeranno in risposta a questa lettera aperta, e poi le girerà ai politici al massimo livello, chiedendo loro di farci sapere se intendono utilizzare le vostre idee al momento di predisporre decreti, legislazioni ed altri regolamenti, o se vogliono beneficiare in altro modo  di questo miglioramento di relazioni. L'associazione ROMEA ringrazia tutti in anticipo per i vostri commenti e risposte costruttive.

L'associazione ROMEA ringrazia anche ognuno per la pazienza dato che non sarà possibile rispondere immediatamente a tutte le lettere ricevute. Naturalmente, non risponderemo a quelle lettere che non saranno costruttive o rispettose.

Lettera aperta ai manifestanti non-estremisti anti-romnella Repubblica Ceca

A quanti interessati:

Ci rivolgiamo a voi con domande a cui neanche noi sappiamo rispondere. Speriamo di esse3re capaci di rifletterci assieme a voi, senza recriminazioni reciproche e in maniera costruttiva, se possibile, nell'interesse del mutuo intendimento e di aiutare a risolvere questi problemi se malignità reciproche.

Nelle discussioni portate a commento dei nostri articoli, riguardo le manifestazioni anti-romanì a Rumburk e a Varnsdorf alla fine del 2011, come pure riguardo i nostri articoli di quest'anno su Cheské Budzejovice e Duchcov, è stata espressa l'opinione che l'agenzia telematica Romea.cz tratta i manifestanti anti-rom dipingendoli indistintamente come razzisti o neonazisti.  Questa è, ovviamente, un'impressione sbagliata. Non crediamo una cosa simile e siamo sempre stati attenti a distinguere nelle nostre cronache i vari tipi di persone che andavano manifestando.

Condanniamo le generalizzazioni che sono fatte su Romanì da ogni angolo della società, ed è per questo che facciamo del nostro meglio per evitare noi stessi di generalizzare. Ciò non significa che ci riesca sempre, almeno dalla prospettiva altrui, ma su questo stiamo discutendo nell'associazione ROMEA e cercando, realmente, onestamente di fare del nostro meglio.

Abbiamo parlato con molti di voi, che avete manifestato contro i Romanì in diverse città del paese, ed abbiamo imparato che tra di voi c'è gente che ha (alcuni) amici Rom nella vita di ogni giorno. Abbiamo anche imparato che alcuni di voi sono frustrati per la situazione di deterioramento sociale del paese - ad esempio, anche voi potreste essere da tempo senza lavoro. Ovviamente, ci siamo imbattuti anche nei razzisti e gli xenofobi che hanno guidato queste proteste di odio contro l'etnia rom nel suo complesso.

C' una differenza tra come le persone si comportano nella vita quotidiana e come si comportano durante queste manifestazioni. A Breclav, Cheské Budzejovice, Duchcov, Krupka, Novy Bydzhov, Rumburk e Varnsdorf (o almeno durante quelle manifestazioni), alcuni di voi hanno marciato fianco a fianco con estremisti - nazionalisti sciovinisti, nazIsti, razzisti e xenofobi.

A Varnsdorf, avete marciato verso lo Sport residential hotel, dove gli estremisti hanno dato inizio a scontri per strada, ritirandosi in seguito e lasciandovi preda dell'intervento della polizia. Forse avete imparato qualcosa e rifiutato di accogliere estremisti sul palco nelle vostre proteste successive.

Da altre parti, ovviamente, è stato differente - non soltanto non vi siete vergognati di partecipare ad un'azione assieme agli estremisti, qualcuno di voi li ha anche ospitati, che ne fosse cosciente o meno. E' gente conosciuta per le motivazioni ideologiche del loro comportamento e della loro violenza primitive, e molti sono recidivi (e non solo per questo tipo di reato).

Un gran numero di questi estremisti non lavora, spesso sono meno istruiti,  il loro comportamento mostra segni di aggressività e tendenze sociopatologiche. Criticano le minoranze e i romanì per quello che sono loro stessi, in gran parte: problematici, ignoranti e disoccupati.

Questa gente vi sta sfruttando per i suoi propri scopi e finalità. Stanno manipolando la vostra disaffezione per quanto succede nel nostro paese. Vi stanno manipolando anche perché ogni cosa che abbia a che fare con la coesistenza - ghetti, edilizia sociale, disoccupazione, ecc. - da tempo è irrisolto.

Gli estremisti non offrono soluzioni. Offrono conflitti, odio che porta a brutali aggressioni contro chiunque (ad es. contro gli agenti di polizia).

In ultima analisi, gli interventi della polizia in queste situazioni costano una somma enorme di denaro, che si potrebbe usare per tenere i cittadini sicuri con un servizio di pattuglie quotidiane. I comuni potrebbero usare quei soldi per finanziare piattaforme dove tutti i cittadini potrebbero incontrarsi, al di là delle rispettive differenze, per parlarsi e condividere esperienze. Forse avete la sensazione che solo gli estremisti abbiano interesse nei vostri problemi, ma vi rendete conto di dove potrebbe portare tutto ciò?

A Rumburk e da altre parti, avete urlato slogan razzisti assieme agli estremisti, e li avete uditi chiamare alla violenza contro l'altra gente. La stessa cosa è successa a Duchkov, dove due neonazisti hanno organizzato un'azione anti-romanì che in seguito lodava l'uccisione dei Rom.

A Cheské Budzejovice, in piazza avete intonato il grido razzista di "porci neri" contro i Romanì. Poi avete marciato con i neonazisti mentre facevano il saluto a mano tesa (gridando "Heil Hitler") gridando altri slogan razzisti.

In ognuno di questi casi, la situazione ha rischiato di degenerare in violenza fisica contro i Romanì. Era rivolta a tutta i Romanì, perché la colpa collettiva che voi ascrivete loro, combinata alla psicosi della folla, comanda di non fare distinzione tra i destinatari.

Vogliamo porvi le seguenti domande e cercare con voi un dialogo costruttivo. Vi saremo molto grati per le vostre risposte:

  1. Comprendiamo che abbia dei problemi con alcune persone, alcune delle quali romanì. Cosa possiamo fare assieme nel chiedere ai responsabili di affrontare il problema reale?
  2. Esattamente, cosa vi disturba, e dove, nello specifico? Vi preghiamo di descrivere i vostri problemi specifici - non andremo da nessuna parte con le generalizzazioni e con quelle non faremo altro che il gioco degli estremisti.
  3. Credete sia possibile impedire agli individui - qualsiasi individuo, sia della società maggioritaria o di una minoranza - di commettere violenze contro gli altri? Può un uomo, il presidente della Repubblica - per esempio, impedire che un altro uomo picchi brutalmente e violenti una donna? Può una donna, madre Teresa - per esempio, impedire che una donna uccida il suo proprio figlio? La maggior parte dei Romanì non approvano le azioni ingiuste di individui specifici, di cui condividono l'etnia, ma non sono in grado di fermarli.
  4. Possiamo disquisire sul se e il perché i Romanì provenienti dai ghetti siano, in misura maggiore di quanto è consuetudine altrove, non istruiti, disoccupati e non qualificati. Possiamo anche discutere su come questa gente debba affrontare i problemi causati da una cultura della povertà. Possiamo cercare assieme soluzioni, ma che non siano l'odio o la vendetta contro un'intera minoranza.
  5. Stiamo dimenticando la nostra storia. Cosa significano oggigiorno per voi gli orrori del nazismo e della II guerra mondiale, scatenata dai nazisti?
  6. Questi "problemi con i Rom" che vi portano a manifestare, sono per voi meno accettabili dei metodi che una volta usavano i nazisti contro i membri della società ceca?
  7. Qualcuno di voi dice di avere avuto brutte esperienze personali con i Romanì. Queste brutte esperienze riguardano tutti i Romanì, o solo qualcuno di loro? Davvero state protestando sulla base di vostre esperienze? Nella vostra decisione che ruolo giocano le manipolazioni, le bugie, gli stereotipi su internet?
  8. Non sarebbe più ragionevole fare del vostro meglio per risolvere questi problemi con la coesistenza pacifica, per esempio, negoziando con pazienza con le autorità romanì locali, attraverso il lavoro di comunità, contribuendo alla formazione infantile, ecc.?
  9. Secondo voi, è meglio risolvere i problemi di coesistenza attraverso le proteste di piazza? Che risultato vi aspettate? Credete che i Romanì faranno i bagagli e se ne andranno? Se approvate questo modo di espellere la gente, lo chiamate un metodo per "risolvere i problemi"?Come altrimenti queste proteste di piazza contribuiranno a risolvere effettivamente i problemi di coesistenza, sapreste descriverlo?
  10. Avete intenzione di usare violenza contro i vostri vicini romanì? Vi chiediamo di immaginare la seguente situazione: voi assieme a qualche estremista fate irruzione nell'appartamento del vostro vicino e spaventate tutta la famiglia che si accuccia in un angolo. Cosa farete, parteciperete nel maltrattare quelle persone?
  11. Non credete che gli estremisti avrebbero attaccato recentemente alcune persone romanì, anche se le polizia non avesse bloccato i loro cortei? Non credete che i Rom avrebbero tentato di difendere le loro famiglie da questi attacchi?
  12. Vi rendete conto che fu proclamando il principio di colpa collettiva che i nazisti diedero inizio de facto all'Olocausto?
  13. Voi marciate con gli estremisti, e molto spesso gridate slogan razzisti assieme a loro. [...] Non vi importa se stanno facendo appello alla violenza, commettono violenza contro gli agenti di polizia, o la violenza che può risultarne contro i Romanì. Non siete infastiditi dai saluti nazisti o da altre manifestazioni di estremismo... O lo siete? Perché non avete preso le distanze dagli estremisti?
  14. Voi non siete estremisti, ma avete pensato a cosa state avallando e cosa realmente volete, in questo contesto? Potete raggiungerlo marciando con gli estremisti?

Siamo interessati nelle vostre proposte costruttive, per risolvere questa situazione. Proveremo a rivederle e trovare una risposta o un partnernella vostra area particolare per discuterne assieme a voi.

Frantishek Kostlàn
Jarmila Balàzhovà
Zdenehk Ryshavý
Frantishek Bikàr
Renàta Berkyovà
Jitka Votavovà
Jana Baudyshovà
Petra Zahradníkovà

the ROMEA civic association

 
Di Fabrizio (del 24/07/2013 @ 09:03:45, in conflitti, visitato 1978 volte)

Amo i francesi perché dietro la loro boria e sciovinismo, si cela la coscienza di essere popolo. E popolo, significa far parte di una comunità, a cui vengono riconosciuti diritti, e non gentili concessioni. Dove il diritto non ha bisogno di essere declinato con l'aggettivo "civile", ma è quasi un comandamento religioso. Ovvio, anche lì i diritti vengono bellamente infranti, ma la cosa difficilmente passa sotto silenzio.

Accade nella terra delle baguettes che un deputato si lasci andare a commenti poco corretti. In Italia la notizia viene ripresa dal Corriere della Sera. Poteva succedere dovunque, ma in quattro e quattr'otto il francese è stato costretto a dimettersi. QUESTA LA DIFFERENZA FONDAMENTALE.

    NOTE A MARGINE

Indignez-vous nasce 3 anni fa come libriccino che presto spopola in Francia. L'autore è un autore tedesco che ne ha viste di tutti di colori.
Il libro vende bene anche da noi, ma rimane il problema di mettere assieme il nostro tradizionale menefreghismo con i valori dell'indignarsi. Paese il nostro di guelfi e ghibellini, metà della popolazione lo ignora, l'altra metà scopre lo slogan INDIGNATEVI, evidentemente lo trova di suo gusto, e da quel momento nessuno ha più avuto scampo: ci si indigna nella chiacchiere da bar, su FB, i siti di petizioni fanno affari, per non parlare dello spam... tanto, tutto resta come prima, visto che i nostri colpevoli hanno pelle (e lacrime) da coccodrilli. MODA. Innocua (e funzionale) che può adattarsi all'antirazzista da tastiera, al legaiolo, alla grande firma da giornale, al grillino che sino a due anni fa era un servetto compiacente, al sinistro che invidia la destra.

Indignarsi: Ingenuamente mi chiedo cosa possa aver detto quel deputato francese di così scandaloso. Niente di differente da quel che pensa (di nascosto) buona parte della popolazione che i Rom li conosce solo attraverso i mezzi di informazione (buoni quelli! Prima istigano e poi scrivono articoli indignati contro il razzismo).
Ci indigniamo perché NON E' BELLO prendersela con degli sfigati a vita (poveriiiini)? O ancora perché NON STA BENE tirare nuovamente in ballo zio Adolfo? O perché "PRIMA VENNERO A PRENDERE GLI ZINGARI..."?

A tutto c'è rimedio, m'hanno sempre insegnato i Rom, vediamo però di capirci:

  1. SFIGATI: Ricordavo all'inizio che neanche la Francia è il paradiso, anzi quanto a razzismo neanche lì si scherza. Come da noi, le radici del razzismo stanno nella legge e nella sua interpretazione. Ad esempio, la legge obbliga i comuni francesi sopra i 5.000 abitanti a predisporre aree attrezzate per accoglienza delle popolazioni vacanti. Buona parte dei comuni interessati preferisce pagare multe salate (siamo in Francia!) piuttosto che rispettare la legge ma inimicarsi i votanti. Ai Rom, alla gens de voyage, non resta quindi che sistemarsi dove e come possibile, preda delle stigmatizzazioni del deputato di turno (di solito MP o FN, ma qualche volta si intrufolano anche i socialisti).
  2. ZIO ADOLFO: Rileggevo una recente lettera aperta dalla Repubblica Ceca. Se lo zietto non è riuscito lui, con tutto l'apparato che aveva a disposizione, a sterminare I ZINGARI, pensate che qualcun altro possa farcela? E come, di grazia? I Francesi, come gli Italiani del resto, l'hanno provato il tallone nazista, e non è che quell'ideologia si è fermata a Rom, Ebrei, oppositori politici o religiosi... Iniziato con qualcuno (l'appetito vien mangiando), ha proseguito fino a volersi pappare l'Europa intera. Secondo voi, è possibile un nazismo democratico e selettivo, che se la prenda con I ZINGARI ma che non tocchi il buon padre di famiglia, timorato di dio e della polizia? Forse dobbiamo ripartire dagli anni '40?
    Altrimenti, da dove si riparte? Vi propongo un esame: in quella frase su Hitler che non sterminò abbastanza zingari, cosa avete inteso? Cosa sareste disposti a tollerare? Cioè: i nazisti avrebbero dovuto sterminare l'etnia (che vivesse in casa o nei carri) e/o chi viveva in determinate condizioni (cioè, indipendentemente dall'etnia, fuori dai nostri canoni)? Capiremmo meglio 1) sin dove saremmo in grado di tollerare (quanto il nazismo può essere accettabile) 2) ci daremmo nel contempo una definizione, magari approssimativa, di cosa NOI intendiamo per zingaro (cosa noi ne conosciamo), senza la quale brancoleremo nella pura accademia, 3) definiti i punti 1 e 2 e NON PRIMA, potremmo forse dedicarci alle possibili soluzioni.
  3. POI VENNERO A PRENDERE...: Non si tratta di difendere (a prescindere) gli insediamenti abusivi, altrimenti la situazione diverrà comunque invivibile per tutti. Ma di riconoscere a chi vi abita gli stessi diritti e lo stesso rispetto di qualsiasi altro cittadino. Perché i diritti (ed il rispetto) o sono di tutti, oppure sono privilegi. E poi per una ragione molto più egoistica: le botte di Genova alla caserma di Bolzaneto, certe cariche di polizia, per non parlare dell'imbarbarimento del linguaggio politico, lo squilibrio dell'informazione sulla Val di Susa, sono anche il risultato di quel "nazismo democratico e selettivo" applicato lontano dai riflettori e dai registratori, in quella terra di nessuno che sono i campi rom. Dato che la sperimentazione ha dato buoni frutti, se non altro a livello di reazione di massa, ecco che la stessa peste può dilagare. SIETE AVVERTITI.
    NOTE FINALI

Martedì scorso a Milano è stato sgomberato il cinema occupato Maestoso.

  1. Non mi interessano tanto le ragioni di quest'operazione, giusta o sbagliata che sia, ma vorrei sapere se le modalità di questo sgombero non debbano preoccupare (stavo per scrivere INDIGNARE) di più un LIBERALE (ammesso che esistano ancora) piuttosto che uno STALINISTA (ammesso che esistano ancora).
  2. Sono solo io a notare che tra uno sgombero "civile" e quello di un campo, non ci sono solo affinità nei metodi, nella "marginalità" dei soggetti coinvolti, ma anche sulle aree coinvolte? Terreni, edifici, abbandonati e tolti al bene comune, di cui qualcuno d'improvviso si riappropria in modalità più o meno ufficiali, più o meno d'emergenza, per ritornare NON LUOGHI a sgombero avvenuto. Sapendo, che ad ogni sgombero segue una nuova occupazione.
 
Di Fabrizio (del 03/08/2013 @ 09:09:46, in conflitti, visitato 1366 volte)

Da Roma_Daily_News

30/07/2013 - Con l'emozione di chi da bambino subì i blitz su Londra, durante cui perirono 40.000 civili sotto i bombardamenti, aerei teleguidati e i primi attacchi balistici di missili, desidero esprimere a voi riuniti a Hiroshima la nostra sincera solidarietà, nella comune posizione che ci unisce contro la guerra e ogni tipo di stragi e genocidi.

I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki furono un crimine contro tutta l'umanità e mai devono essere dimenticati e ripetersi.

Come risultato dell'ascesa del nazismo in Germania nel 1933, i Rom ebbero oltre 500.000 morti sino al 1945. Quanto vediamo e temiamo oggi è un ritorno dello stesso insensato razzismo, intolleranza, la medesima denigrazione nei media, l'adozione di politiche di espulsioni, sgomberi e deportazioni che caratterizzarono il cosiddetto "Nuovo Ordine" in Europa sotto il fascismo. Se questa buia tendenza non viene fermata, può solo portare a un secondo Porajmos, un secondo genocidio.

Siamo quindi orgogliosi di essere associati con voi tutti in Giappone, oggi che lottate per la pace, tolleranza e armonia tra i popoli del mondo. Anche sapendo che questa sia una meta lontana, è nostro desiderio che, collegati per la prima volta con voi, ora possiamo andare avanti assieme, facendoci coraggio e compagnia in solidarietà, amando la strada che abbiamo scelto con fermezza, e che mai abbandoneremo.

Grattan Puxon
8 April Movement
Presidium member
International Romani Union


Vorremmo dedicare le nostre sincere condoglianze a tutte le vittime di guerre brutali, e mandare il nostro messaggio di solidarietà a tutti quanti sono convenuti a Londra per ricordare le vittime sinte e rom dell'Olocausto.

Il 6 agosto 1945, la bomba atomica fu sganciata su Hiroshima e uccise in un colpo solo 200.000 persone. Hiroshima osserva ora il 68° anniversario di quella giornata. In quella stessa Hiroshima stiamo tenendo la manifestazione in memoria delle vittime dell'Olocausto, assieme alle organizzazioni partner: il Movimento Internazionale Contro Tutte le Forme di Discriminazione e il Racism--Japan Committtee (IMADR-JC).

Oggi in Giappone alcuni politici e gruppi di destra propagandano più apertamente le loro teorie negazioniste sui fatti del massacro di Nanchino o giustificano il sistema delle "schiavi del sesso per i militari", opera entrambe dell'esercito giapponese durante la II guerra mondiale.

Tutti noi sappiamo che ogni tentativo di negare i fatti storici o di cancellare la memoria, riporterebbero il mondo e l'umanità ad una situazione critica e pericolosa. E' giunto per noi il momento di entrare in azione perché non scoppino più guerre e per sradicare tutte le forme di discriminazione, inclusa il peggioramento della situazione discriminante per i Rom in Europa. Ognuno di noi in quanto singola persona è piccola, ma non impotente. Facciamo uno sforzo per realizzare un mondo che rispetti la dignità umana per tutti.

2 agosto, 2013
Kazufumi Oki
Chairperson
Hiroshima Organizing Committee for the Realization of the UDHR
(Universal Declaration of Human Rights)

Kinhide Mushakoji
President
IMADR

 
Di Sucar Drom (del 19/08/2013 @ 09:07:13, in conflitti, visitato 1426 volte)

Omicidi a sfondo razziale son un comune problema europeo - Martedì scorso in Ungheria sono stati condannati quattro militanti di estrema destra per omicidi compiuti da loro per motivi razziali. Il politologo Peter Kreko di Political Capital ha raccontato a La Voce della Russia del significato che ha questa condanna e anche di possibili paralleli con il processo riguardante l'organizzazione NSU in Germania.

    - Un paio d'anni fa i quattro tagliagole hanno intenzionalmente compiuto aggressioni contro comunità zingare. Non conoscevano personalmente le vittime e, di conseguenza, gli omicidi non sono stati compiuti per motivi personali ma, evidentemente per motivi etnici. I criminali sono stati catturati nel 2009. Dopo quattro anni di udienze in tribunale il tribunale di primo grado ha emesso una dura condanna. Tre degli omicidi sono stati condannati all'ergastolo senza il diritto di scarcerazione anticipata. Penso che la corte d'appello emetta una condanna analoga.

- Come è stata possibile una serie di questi omicidi a sfondo razziale nel cuore d'Europa? Si può spiegarla con una specificità ungherese?
- Non considero questo caso unico nel suo genere: nell'Europa Orientale ci sono molti paesi con grandi diaspore zingare dove sono capitati simili aggressioni o, almeno, ci sono state violenze contro zingari. Ciò deve servire da campanello d'allarme che indica che all'interno delle società di molti paesi dell'est europeo esistono simili pregiudizi capaci di giustificare moralmente i criminali che compiono queste aggressioni. Per quanto riguarda il contesto politico ungherese qui può giocare il suo ruolo il fatto che il partito di estrema destra "Per una migliore Ungheria" dal 2006 si distingue per una retorica violenta e aggressiva e, tuttavia, non è un fenomeno specificamente ungherese. Questa retorica evidentemente influenza l'opinione pubblica, già molto ostile verso zingari.
Il partito "Per una migliore Ungheria" non è direttamente legato agli aggressori, ma io penso che l'ambiente politico svolge sempre un ruolo e che all'interno di esso alcune minoranze sono percepite come "nemici" e bersagli per attacchi. In Ungheria, anche se lo considero un particolare che accomuna l'Europa Orientale. pregiudizio contro zingari manifesta un carattere molto più pericoloso rispetto, ad esempio, al pregiudizio contro ebrei. Antisemitismo tende a crescere in molti paesi, compresa l'Ungheria. Tuttavia ciò non significa che l'antisemitismo debba generare atti di violenza. Per quanto riguarda l'atteggiamento ostile verso gli zingari ciò avviene molto più spesso. Inoltre la posizione sociale degli zingari non è tale da permettere loro di difendersi dagli atti d'aggressione rivolti contro di loro.

- Come valuta il significato di questo processo?
- La condanna è molto importante perché dà un chiaro segnale all'ambiente esterno che le autorità ungheresi sono fermamente decise di punire severamente simili delitti. Un altro fattore importante è che, secondo la nostra valutazione, il partito "Per una migliore Ungheria" ha perso il controllo sui gruppi militanti propensi all'aggressione legati ad esso. Il peso politico di questi gruppi è in calo, ma i loro membri, qualche migliaio, anche in futuro saranno capaci di compiere azioni violente.

- In Germania da maggio è in corso un processo molto importante a carico dei terroristi di estrema destra appartenenti a NSU (cellula neonazista clandestina). Vede l'affinità tra una serie di omicidi e i due processi giudiziari in Germania e in Ungheria?
- Penso che il paragone sia giustificato. Violenti, etnicamente motivati atti di intimidazione compiuti da gruppi di estrema destra rappresentano un grande problema non solo nell'Europa Orientale, ma anche in quella Occidentale. E' un comune problema europeo. Da un lato l'opinione pubblica deve imparare che sia le autorità sia i politici giudicano queste azioni come deplorevoli. Dall'altro lato è anche importante - ed è un dato di fatto che c'è una somiglianza evidente tra i casi avvenuti in Germania e in Ungheria, - affinché gli organismi giudiziari responsabili per la repressione e la prevenzione della criminalità traggano le debite conclusioni. In Ungheria, come in Germania, la vicenda presentava dei seri errori compiuti dall'Ufficio per la difesa della Costituzione perché molti dei criminali in passato hanno attirato l'attenzione.
Significa che in presenza di un flusso d'informazioni più efficiente si sarebbe potuti prevenire questi omicidi. Perciò è molto importante l'autocritica, le autorità ungheresi devono analizzare quali errori sono stati commessi e, rispettivamente, cambiare i propri metodi di lavoro. Ciò che in Ungheria per ora manca è il ripensamento politico di questo caso, cioè la presa di coscienza che non solo ci sono state manchevolezze da parte della autorità, ma che si tratta di un problema sociale. L'ostilità verso gli zingari in Ungheria è molto diffusa. Ciò non significa che tutti coloro che disprezzano gli zingari compiono atti di violenza, ma il problema che richiede l'attenzione e i politici devono adottare le misure per distruggere questo pregiudizio, e non per rafforzarlo.

 
Di Fabrizio (del 29/08/2013 @ 09:09:32, in conflitti, visitato 2151 volte)

Non che si stia bene, ma anche con l'affitto da pagare e il conto in rosso, si può vivere una tranquilla e calma ignoranza. Forse, anche se non hai una casa e non hai un conto. Poi, ti svegli una mattina e, vedi una tromba d'aria che si avvicina, è la GUERRA che torna. A dire il vero, la guerra c'è da un po' di tempo: è come quei fulmini improvvisi con cui il tornado ti dice: "Eccomi, sono QUA." (ma, mi chiedo, se non mobilitavano gli USA si continuava a dormire?)

Scrivo di questa impotenza da osservatore. Perché una volta, tanti e tanti anni fa, le comunicazioni non erano istantanee come oggi, e il quadro di Guernica sollevava ancora scandalo e indignazioni REALI. Oggi, io posso solo immaginare che i bambini gasati nelle foto che stanno circolando, siano REALI (e la cosa dovrebbe farmi orrore), ma non ne ho alcuna certezza, né tantomeno ho la certezza di chi possa aver compiuto una strage simile (so solo che non è la prima strage e non sarà l'ultima), So che se potessi, in certi momenti vorrei cancellarmi la memoria, perché l'orrore dell'oggi e del domani non si sommi a quello che sono riuscito ad anestetizzare negli anni scorsi.

Ottant'anni dopo Guernica, scrivo, al computer, collegato in tempo REALE a ogni fonte possibile di informazione, della mia IGNORANZA. Ignoranza, ...disperata, perché non solo non ho i mezzi per capire, ma se anche ne fossi in grado (o volessi cullarmi in qualche certezza) questo mondo e questa informazione (reale?) mi/ci hanno tolto qualsiasi capacità di reagire.

Condivido una riflessione di Tahar Lamri:

    Guardo i notiziari della televisione siriana e vedo che l'esercito siriano avanza e vince sulle orde di jihadisti e takfiristi venuti da ogni dove. Vince su queste orde che comunque hanno sconfitto l'Unione Sovietica in Afganistan e gli Stati Uniti in Iraq. L'esercito siriano opera lontano dai titoloni dei giornali e dalle esperterie degli esperti. Forse fra qualche ora, forse qualche giorno, questo esercito sarà polverizzato dalla potenza dei potenti. Forse non ci sarà più - il difficilmente difendibile - Bashar Al-Assad. Forse, come sappiamo da altrove, allora si aprirà in Siria la guerra dei "tawaif", cioè le varie comunità che compongono il popolo siriano: sunniti, alawiti, sciiti, drusi, ismaeliti, ortodossi, melchiti, armeni, cattolici, maroniti, caldei, assiri, curdi... e che, da sempre, convivono su quella terra condividendo i loro 32 antipasti, bevendo il maté o qualche Barada fresca sotto i gelsomini. Si sa, la convivenza non è necessaria né possibile sotto la democrazia delle bombe. Noi, avremo, come sempre, quel senso di impotenza che ci accompagnerà per un po'. Poi dimenticheremo.

Sunniti, alawiti, sciiti... Succede con tutti gli stati, non solo in Medio Oriente. A guardarli da vicino sono entità geografiche tracciate coi righelli, e dentro ci trovi di tutto, popoli i più diversi, arrivati chi prima e chi dopo. Perché i confini sono statici, i popoli no. Cosa ne sappiamo di loro?

Apro una parentesi a tal proposito: già in Italia si sa poco del popolo rom, che pure è un ingrediente fondamentale di ogni stato-macedonia. Figuriamoci se si sa qualcosa dei Dom, o Domari. Sono il corrispondente mediorientale del popolo rom, e sono lì presenti, ed ignorati, da circa un millennio. Sono pochi, pochissimi, ignorati e discriminati come da noi. Al di là della conoscenza accademica, venni a contatto con la loro esistenza FISICA, una decina d'anni fa, in occasione di un'altra guerra scatenata da (una scusa? una certezza? difficile da dire...). Erano sempre gli USA che stavano regolando i conti col loro ex alleato Iraq.

I Dom, in Iraq, c'erano come tutti gli altri popoli e, per quanto Saddam Hussein non fosse l'esempio del padrone di casa che ognuno vorrebbe, avevano trovato il modo di conviverci. Furono le bombe USA, fu l'arrivo al potere degli sciiti (cioè, quelli che gli USA temevano), che fecero terra bruciata attorno a loro. E dieci anni fa, con ritardo di mesi, mi arrivavano le notizie del loro nuovo migrare in cerca di lidi tranquilli. Cioè: SIRIA, Aleppo.

Credo che la sfiga sia un tratto genetico inscritto in questa gente condannata ad un continuo migrare: stanno scappando nuovamente, chi in Libano e chi in Turchia, nei campi profughi o all'addiaccio. REALI, loro, forse più dei dispacci d'agenzia o delle dichiarazioni dei politici. REALI, perché il migrare sotto le bombe o inseguiti dalla cavalleria, è nel loro DNA, ma anche nella nostra memoria (con l'affitto da pagare e il conto in rosso).

 
Di Fabrizio (del 10/09/2013 @ 09:02:50, in conflitti, visitato 1723 volte)

Il villaggio rom lungo il fiume Crati Il quotidiano della Calabria

Lettera dei rom ai cosentini dopo i raid punitivi su cui indaga la procura Botte, insulti e addirittura un'incursione in auto con un uomo investito: dopo l'escalation di violenza in città è stata aperta un'inchiesta affidata alla polizia. Ma intanto gli abitanti del villaggio sulla riva del fiume Crati scrivono alla città: "Vi è mai successo di essere massacrati di botte mentre andate al supermercato?"

COSENZA - "Vi è mai successo di essere massacrati di botte mentre andate al supermercato a comprare il pane per i vostri figli? Siete mai stati accusati di una cosa che non avete fatto? A noi tutto questo succede da ormai un mese". La comunità rom che vive nel villaggio di Vaglio Lise, alle porte di Cosenza, ha deciso di rivolgersi alla città con una lettera aperta, dopo l'escalation di violenza subita nei giorni scorsi. La procura, nei giorni scorsi, ha deciso di fare luce sulla vicenda e ha affidato alla polizia un'indagine sui pestaggi.

"Ogni volta che usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa, su via Popilia veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono di volersi vendicare per aver subito dei furti" scrivono ora i rom nella loro lettera che, sottolineano, è rivolta a chi ce l'ha con loro, "più che al resto della cittadinanza ed a quanti nel quartiere ci hanno sempre dato affetto e ospitalità": "Chiediamo a questi giovani se secondo loro è giusto che a pagare debbano essere padri di famiglia innocenti, uomini che si alzano all'alba ogni giorno per andare a vendere aquiloni e collanine sulle spiagge. Ai giovani che si aggirano intorno alle nostre baracche, armati di pistole, benzina e mazze da baseball vorremmo chiedere se a loro sia mai capitato di essere picchiati, perseguitati, incarcerati ingiustamente". E aggiungono: "Ogni giorno viviamo nel terrore. E di notte non dormiamo, perché temiamo che qualcuno possa incendiare le nostre baracche, far del male ai nostri bambini".

Raccontano anche che una settimana fa, mentre passava davanti ad una chiesa, un abitante del campo rom, un uomo che vive a Cosenza da quasi dieci anni e mai si è macchiato del minimo reato, è stato investito da una macchina. Dalla macchina sono scesi due giovani che, invece di soccorrerlo, si sono accaniti su di lui a colpi di mazze, spaccandogli la testa. "Alle istituzioni chiediamo sicurezza - è l'appello dei rom -. Ai parenti ed agli amici di questi giovani che fanno le ronde, chiediamo di parlare con loro, spiegare che l'uso della violenza è sempre sbagliato, e che attaccare gli innocenti solo in base alle loro origini etniche, è un crimine contro l'umanità".

Le indagini intanto proseguono e intenzione della Procura di Cosenza è dare un nome agli aggressori. Impresa non tanto facile e per questo ci si avvarrà anche della visione di alcuni video ripresi dalle telecamere di sicurezza posizionate lungo le strade dove si sono materializzati alcuni dei pestaggi. Ritorna alla ribalta, però, il problema dell'integrazione in città: nei giorni scorsi era montata una protesta dei cittadini di Casali, che chiedono l'allontanamento delle famiglie rom dal palazzetto dello sport, nel quale il Comune di Cosenza le ha sistemate da quattordici mesi, dopo un incendio che distrusse molte baracche a Vaglio Lise. Doveva essere un alloggio temporaneo, ma i rom sono ancora lì, con la struttura sportiva (un tempo molto frequentata) diventata un grande stanzone, che ospita quindici nuclei familiari. In teoria dovrebbero abbandonare la struttura, in quanto l'emergenza è di fatto scaduta.

 
Di Fabrizio (del 26/09/2013 @ 09:03:43, in conflitti, visitato 1832 volte)

Un mese fa, da Czech_Roma

Conkova (seconda da destra) al Roma street party (Photo: Martin Nejezchleba) - Street party versus odio: i Rom cechi sotto minaccia - Deutsche Welle

    Durante le proteste nelle città ceche, i neonazisti hanno gridato slogan per diffondere la paura tra la popolazione rom. Sembrano pronti ad usare la violenza. Ma i Rom della città di Duchkov hanno risposto con misure pacifiche.

Little Robert e i suoi amici hanno la strada tutta per loro, al momento. Sette anni, siede sul nero asfalto, mentre sua sorella traccia il contorno del corpo con un gesso. Aggiungono uno smiley alla figura.

Due ragazzi più grandi scarabocchiano in fretta delle bandiere rom sulla strada - blu e verdi con la chakra rossa in mezzo - e scrivono accanto "Siamo anche qua". Così, quei bambini cercano in qualche modo di esorcizzare l'incombenti calamità.

Quattro marce in tre mesi

Appena un'ora e mezza dopo, una cinquantina di neonazisti e 250 residenti di Duchkov marciano sulla figura disegnata col gesso. I loro slogan risuonano tra le facciate fatiscenti degli edifici di questo quartiere dove vivono molte famiglie rom. "Questa è casa nostra" e "Boemia ai Cechi" i canti neonazisti.

Little Robert (non è il nome vero) sulla marcia è furioso. Vorrebbe fare qualcosa di più del disegnare figure di gesso sull'asfalto. "Almeno gettare a terra uno skinhead e tirargli dei calci," dice. Davvero? "No, mettergli le manette, almeno non può muoversi." Questa è già la quarta marcia anti-rom nel suo quartiere a cui deve assistere negli ultimi tre mesi.

"Siamo anche qua" hanno scritto (Photo: Martin Nejezchleba)

Le proteste a Duchcov sono state innescate da un'aggressione nel quartiere rom verso la metà di maggio, quando alcuni ubriachi picchiarono un uomo e una donna. Il sito neonazista ceco Free Resistance adoperò le registrazioni della telecamera di sicurezza sull'aggressione, per alimentare il sentimento anti-rom e chiamare ad una protesta a livello nazionale.

La criminalità nelle aree povere è qualcosa che preoccupa molti Cechi, ed i Rom ne sono il capro espiatorio collettivo. "Continueremo a guardare soltanto?" era la domanda retorica posta nel video online dell'estrema destra.

La persecuzione sta diventando un luogo comune

Hanno risposto all'appello circa 2.500 persone in otto città, marciando fianco a fianco ai neonazisti. Lo slogan spregiativo: "Assieme contro il terrore zingaro". Nella città industriale di Ostrava, nell'est del paese, i manifestanti si sono scontrati per le strade con la polizia. La polizia ha usato gas lacrimogeni e manganelli per impedire l'entrata degli estremisti in buona parte del quartiere rom.

Street party per contrastare l'atmosfera da pogrom: rifocalizzando l'attenzione sul positivo

A Duchcov si sono uniti circa 60 tra residenti e volontari, per opporsi alla marcia neonazista. E' stato eretto di fronte all'ingresso di una casa un palco improvvisato, costruito con pallet. Accanto, è appeso uno striscione, con la dicitura "Neri, bianchi, uniamo le forze".

La performer Ivana Conkova sta anche cercando di calmare l'atmosfera di persecuzione. La ventottenne lavora a fianco di pochi altri volontari dell'iniziativa civica Konexe, organizzando azioni ogni fine settimana per contrastare le proteste anti-rom. Lo scopo è anche di distrarre iRom, aiutandoli a mantenere la compostezza ed evitando che si nascondano in casa.

Mentre il corteo canta "Andiamo a prenderli", Conkova suona, canta e balla con i residenti - perlomeno, è quello che cercano di fare. Conkova chiama questo piccolo street festival "un'oasi di pace". I suo occhi castani hanno uno sguardo stanco: porta avanti la sua lotta contro il razzismo - senza alcun supporto finanziario - quasi ogni fine settimana.

La polizia in tenuta antisommossa presidia per mantenere l'ordine e tenere lontani i manifestanti (Photo: Martin Nejezchleba)

"Vogliamo offrire ai bambini un'esperienza differente e positiva," dice Conkova. Visibilmente scossi, gli adulti si agitano su sedili di plastica bianca, bevendo caffè turco. Una giovane trucca le facce dei bambini. Non sembra che abbiano voglia di cantare e ballare. Violino, violoncello e chitarra sono ben presto sopraffatti dal ronzio di un elicottero.

La marcia di protesta è a solo qualche centinaio di metri di distanza. Un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa è lì per impedire alla protesta di raggiungere i Rom. La voce roca di Conkova non basta a scacciare la paura e la rabbia dei Rom.

Tempo di attesa, cucinando zuppa di patate

Jitka Bartova non sta passando niente di tutto ciò. Questo sabato la sindaca di Duchcov è a casa, cucinando zuppa di patate. Ma questa signora di mezza età, con capelli rossi e sparsi, dice di poter comprendere perché i cittadini sono arrabbiati, e perché hanno deciso di unirsi agli skinhead nel circondare il quartiere rom.

"In molti sta crescendo la frustrazione," dice dalla sua terrazza soleggiata, a pochi isolati di distanza dalle manifestazioni. Sottolinea che la difficile situazione economia e l''alta disoccupazione, significano che sempre più "bianchi" sono in difficoltà finanziarie.

"E poi vedono un Rom sorridente con un assistente sociale che compila un modulo per loro. E' un sentimento che cresce tra gente di cui nessuno si occupa." dice la sindaca di Duchcov. Descrive il Rom street party come una provocazione.

La sindaca Bartova ha espresso comprensione per le frustrazioni dei cittadini verso i Rom (Photo: Martin Nejezchleba)

Alla prima protesta anti-rom di maggio, Bartova tenne un discorso in cui sembrava esprimere pubblicamente simpatia per i manifestanti. Qualche settimana fa, l'agenzia d'investigazione pubblica ha valutato il fenomeno che sempre più Cechi rispondano agli appelli alla mobilitazione da parte dei neonazisti, come una grave minaccia alla sicurezza pubblica e alla democrazia della repubblica.

Breakdance al posto della battaglia

Le organizzazioni ceche dei diritti umani per anni hanno evidenziato le discriminazioni sui Rom a scuola, o nel mercato del lavoro e dell'alloggio. Sono discriminazioni profondamente radicate nel sistema. La città di Duchcov, ad esempio, ha venduto a compagnie immobiliari private, gli edifici parzialmente fatiscenti in cui i rom si rifugiavano la notte. Gran parte degli assegni sociali che i Rom ricevono, finiscono direttamente nelle tasche degli squali immobiliari, attraverso affitti gonfiati.

Anche cittadini "regolari" stanno partecipando alle proteste anti-rom (Photo: Martin Nejezchleba)

Tornando allo street party, poco prima delle 16.00, succede qualcosa che Conkova dice succede sempre quando i cori anti-rom diventano troppo opprimenti. I presenti si allontanano dal podio per vedere chi vuole seguirli.

"la pressione sta montando," dice uno. "E' ora di prendere la cosa nelle nostre mani." Anche Conkova, prova a fermare la folla. "I Rom devono uscire dal ruolo di vittime," dice.

Ma alla fine  i Rom decidono contro il conflitto aperto. Non vogliamo provocarli, dicono; dobbiamo proteggere i nostri bambini. Siamo qui per festeggiare.

I bambini lo prendono alla lettera, tornando di corsa sul palco. Assordanti esplosioni pop si diffondono dagli altoparlanti. Robert è i suoi amici trovano finalmente uno sfogo alla loro rabbia: breakdance.

 
Di Sucar Drom (del 18/10/2013 @ 09:07:12, in conflitti, visitato 1771 volte)

MEMORS- Francesco Brajdic from Luca Bravi on Vimeo.

nome: Francesco Brajdic
data di nascita: Lubiana, 1939
luogo di nascita:
posizione attuale: Udine
campo:

Francesco Brajdic ricorda il proprio internamento insieme alla madre Maria e ai suoi sette fratelli (tra cui Stanka Brajdic) a Gonars. Racconta infine del successivo trasporto di sua madre verso Buchenwald e Ravensbrück.

 
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