Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 12/07/2007 @ 09:30:23, in media, visitato 1691 volte)
Immagini di Rom al di là dei soliti stereotipi (cliccare sull'immagine per
accedere al portfolio).
Un'intervista
(in inglese) ad Andrew Miksys, autore delle foto.
Di Fabrizio (del 22/07/2007 @ 09:31:43, in media, visitato 1922 volte)
"Chachipe" è un
contest fotografico nell'ambito della Decade del Popolo Rom.
Chi vuole (sia fotografo professionista o no) può iscriversi entro il 15
agosto e caricare le sue immagini sul sito in quattro categorie. Il concorso è
aperto a tutti, di ogni cittadinanza, residenza e affiliazione etnica,
ovviamente è incoraggiata la partecipazione di chi abbia origini Rom.
E' poi possibile esprimere il proprio voto sulle foto già esposte nel
sito.
Le foto che riceveranno più apprezzamenti saranno esposte alla Galeria
Centralis di Budapest, dal 25 ottobre 2007.
Di Fabrizio (del 26/07/2007 @ 09:48:21, in media, visitato 2859 volte)
“Immaginare il futuro tra memoria e presente” : questo il titolo del DVD
che contiene due cortometraggi e una pubblicazione cartacea sul popolo rom
“Immaginare il futuro tra memoria e presente” è il DVD realizzato dal Progetto
Rom Toscana dell’Arci Toscana, che sarà presentato oggi durante la XIII edizione
del Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina.
Il DVD, che sarà distribuito gratuitamente, è un interessante lavoro di
documentazione sul tema dei rom ed è diviso in tre parti:
- la pubblicazione cartacea interna al cofanetto che conterrà vari scritti
di operatori, politici ed esperti del settore;
- un DVD-rom che sarà la parte interattiva con testi, collegamenti
ipertestuali, video e gallerie fotografiche;
- il DVD che contiene due cortometraggi, le gallerie fotografiche e i
crediti.
Il Progetto Rom Toscana proporrà la presentazione di questo lavoro nei
territori, nelle scuole e ovunque sia richiesto, ma soprattutto dove si voglia
iniziare a contrastare la disinformazione e il pregiudizio nei confronti del
popolo rom e a proporre un percorso comune e serio di cittadinanza.
Di seguito un breve estratto dell'introduzione al DVD
A partire dalla fine degli anni '80 l’ARCI Toscana e l’ARCI Territoriale di
Firenze hanno costruito, attraverso un lungo e arduo percorso politico, i
presupposti di un modello regionale condiviso per l'accoglienza degli immigrati,
dei richiedenti asilo e delle minoranze, in particolare quella costituita dalla
comunità Rom. Questo è stato possibile grazie alla coesione del movimento
antirazzista, alla importante partecipazione di associazioni costituite da rom e
alle Istituzioni che hanno accolto tali istanze.
In quegli anni l'emergenza era costituita dalla necessità di contrastare il
mezzo violento dello sgombero forzato dei campi abitati da rom, come approccio
risolutivo alle complesse problematiche relative all'alloggio e all'inserimento
sociale. L'ideologia condivisa dei “campi nomadi, luoghi dell'apartheid,
dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, si è snodata attraverso
l'approvazione di leggi regionali che in buona fede tentavano di tutelare il
popolo rom e sinti (legge 17/88).
Con la legge regionale 73/95 si ottiene il superamento della definizione “campo
nomadi” e inizia a svilupparsi la possibilità di soluzioni alloggiative
differenziate sul territorio, che prevedono l'autocostruzione di strutture da
parte delle stesse famiglie, il recupero di alloggi, l'edilizia popolare e,
soprattutto, dimostrano la falsità della percezione sociale del rom come “nomade
a tutti costi”, immagine pregiudiziale e in molti casi più che fantasiosa. La
legge 2 del 2000 evidenzia finalmente la necessità di individuare in questo set
di possibili soluzioni la scelta di interventi diversificati, che vadano cioè
nella direzione più adeguata in base ai casi, alle risorse e alle opportunità di
accesso ai vari servizi territoriali. Un grande passo in avanti è rappresentato
dall’elaborazione dei due Protocolli Regionali che vedono finalmente superata
l’idea di una legislazione ad hoc per il popolo rom e sinti garantendo, da un
lato, la solidarietà e il sostegno nei confronti dei Comuni di accoglienza e di
inserimento abitativo di nuclei rom e, dall’altro, introducendo l’importante
tassello del Progetto Rom Toscana.
Il Progetto Rom presto diventa un modello metodologico di inserimento abitativo,
di accompagnamento all'autonomia e di mediazione con le amministrazioni locali e
il territorio, senza precedenti.
A questo punto del cammino, sarebbe bello pensare ad una Toscana che - avendo
già rifiutato i CPT sul proprio territorio - si impegni a superare
definitivamente il concetto dei “campi nomadi” nella pratica, nelle idee e nel
linguaggio, non essendo altro che “spazi riconosciuti dell'emarginazione”.
(www.accoglienzatoscana.it)
25.07.2007
Di Fabrizio (del 03/08/2007 @ 08:54:31, in media, visitato 1896 volte)
L'avremmo giurato: il caso della «zingara che ha rubato un bambino» non è mai
esistito, se non nella mente della madre del bimbo (e per lei abbiamo qualche
sentimento di pietà) e nei resoconti di certi giornali e certe televisioni, che
meritano invece tutta la nostra indignazione. A cominciare, va da sé, da quel
moltiplicatore di tutti gli istinti bassi che agitano il ventre della società
italiana che è La Padania. La quale, dopo aver insinuato dubbi sulla
mamma-testimone, che - scrive - «stranamente ritratta», continuava ancora ieri a
seminare e a inseguire paure sugli “zingari” con un titolone a nove colonne:
«Allarme: in azione bambini ladri». Che grande novità, eh?
Certo: i rom e altri nomadi rubano spesso, per necessità e per antica abitudine,
e i bambini rubano più ancora degli adulti. È un problema che riguarda tutte le
nostre città, anzi tutte le metropoli, che genera insicurezza e che va
affrontato e risolto. Ma i rom, le donne rom, non “rubano” i bambini. Che lo
facciano è un'antica convinzione basata soltanto sul pregiudizio verso le
evidenti diversità di costumi e di vita dei nomadi. Semmai, in passato, è
avvenuto il contrario: e cioè che dei bimbi nomadi siano stati rapiti “a fin di
bene”, per essere convertiti ed educati secondo i “veri valori” dei paesi che
ospitavano le loro comunità. L'idea che i nomadi rapiscano i bambini, pratica
oltretutto insensata per comunità con altissimi tassi di natalità, ha lo stesso
fondamento che ebbe quella secondo la quale gli ebrei uccidevano a scopo rituale
i bambini cristiani. La differenza è che se oggi un giornale si azzardasse a
sostenere che ciò avviene realmente sarebbe, giustamente, affogato nelle
critiche e nel disprezzo di tutte le persone di buon senso. Con gli “zingari”,
invece, non solo non accade, ma si trova anche qualche imbecille pronto a
commentare e a raccontare che sì, certo, come no, ci sono molti casi...
Ma quali casi, quando, dove? Ogni allarme che è stato diffuso in passato si è
dimostrato infondato. Ha portato soltanto nuove paure e nuovi pregiudizi. Ha
confermato soltanto che questo timore ancestrale, retaggio di tempi lontani e
assai diversi dai nostri, è ancora vivo non solo fra la gente semplice, non solo
fra i genitori (ai quali un eccesso di ansia di protezione verso i propri figli
può essere pure perdonato), ma anche tra persone che, per il mestiere che fanno,
dovrebbero avere una certa cultura e farsi governare da un certo senso di
responsabilità: cronisti di giornali e tv, commentatori strapazzoni, persino
qualche “esperto” di dubbissima fama.
Alla povera Maria Ferau, che ha pagato con l'arresto un gesto che probabilmente
era solo una carezza, andrebbero le scuse di molte persone, oggi. E invece avrà,
probabilmente, solo silenzio e nuovi insulti dalla Padania. Che tristezza.
Di Fabrizio (del 04/08/2007 @ 09:31:14, in media, visitato 1826 volte)
Su segnalazione di
Daniele Mezzana, consiglio a lettura di un
articolo di Uzodinma Iweala, sugli aiuti occidentali all'Africa.
Nel testo si fa riferimento all'"umanitarismo sexy" delle star della pop
music o del cinema, ma anche al pericolo di neo-colonialismo che si cela dietro
tante altre iniziative umanitarie. Anche per Rom e Sinti, vale lo stesso
paragone?
Quanto sappiamo di loro attraverso un'informazione mediata, e quanto sappiamo
per testimonianza diretta degli interessati?
Cosa sappiamo del reale utilizzo delle somme stanziate? E per finire, cosa
fanno e come si danno una rappresentanza i Rom e Sinti stessi? Buona lettura.
Di Fabrizio (del 10/08/2007 @ 09:26:02, in media, visitato 1825 volte)
Emergenza Rom
Roma, 17 luglio 2007. I rappresentanti delle comunità Rom della capitale raccontano in prima persona la vita da zingaro. E spiegano cosa sono i Patti della legalità voluti dalla giunta Veltroni Realizzato da Arcoiris Roma (clicca per accedere alla pagina e visualizzare il filmato) Riprese:Paolo Dimalio Interviste: Francesca Chippari Montaggio: Paolo Dimalio
lunghezza: 36,19 min.
Di Fabrizio (del 19/08/2007 @ 09:05:53, in media, visitato 1842 volte)
Parla molto di noi la questione "zingara"
Alberto Burgio
Ciclicamente, come le polemiche sui morti della strada o i roghi estivi (esempio
non casuale), riesplode la questione dei campi nomadi. Che ci sia di mezzo il
morto (i morti, come i bimbi arsi vivi a Livorno in quello che pare un ennesimo
atto criminale) o le gesta squadriste dei padani (come l'anno scorso a Opera),
cambia poco. Sta di fatto che di questa questione è impossibile liberarsi. Per
nostra fortuna.
Perché? Perché la questione degli «zingari» parla di noi. Qualche giorno fa sul
manifesto Enzo Mazzi diceva degli intrecci tra la loro e la nostra cultura.
Si potrebbe scavare ancora e scoprire che c'è un legame profondo tra
l'esperienza (e il disagio) della stanzialità e l'esperienza (lo stereotipo) del
nomadismo. Che diventa un'icona del rimosso e catalizza (qui c'è una convergenza
con l'antisemitismo) i furori razzisti della civitas christiana.
Ma non parla di noi solo per questo, la questione «zingara». È parte integrante
della nostra storia politica. Di noi italiani (italiani come e non più delle
decine di migliaia di rom e sinti cittadini di questa Repubblica), di noi
europei (come altre decine di migliaia di rom e sinti e camminanti che vivono
nelle nostre città). Faremmo bene a ricordarcene, e invece ce ne dimentichiamo.
Perché si tratta di pagine cupe e pesanti come pietre.
La prima riguarda le guerre «umanitarie» nei Balcani. I rom di origine jugoslava
(bosniaca e kosovara) sono profughi di quelle guerre di cui l'Italia fu
sciagurata protagonista. Sono sfuggiti a vendette e «pulizie etniche» che hanno
via via assunto le proporzioni di un pogrom. Si imporrebbe quindi, per
cominciare, un bilancio serio dei conflitti che insanguinarono la Jugoslavia
lungo gli anni Novanta. Un bilancio che non rimuova la destabilizzazione che li
preparò con l'intervento di formazioni terroristiche sotto copertura
occidentale.
La seconda pagina del nostro album riguarda le sistematiche persecuzioni
inflitte a sinti e rom dopo l'89 in tutte le loro terre d'origine, dalla
Slovacchia alla Boemia, dalla Moldavia alla Cechia, all'Ungheria, alla Romania.
Nell'indifferenza generale della civile Europa.
La terza (sfondo alle altre) concerne lo sterminio nazista, cui il nostro paese
partecipò con leggi e deportazioni. Si diceva delle convergenze con
l'antisemitismo. Nel 1936 il Reich equiparò gli «zingari» - emblema di
«asocialità» - agli ebrei. Lo sfondamento della Wehrmacht a est fu l'inizio di
un calvario che mise capo allo sterminio di mezzo milione di sinti e rom. Ma
anche l'Italia fece la sua parte. La persecuzione dei rom prese avvio qui, nei
primi anni del fascismo. E le leggi del '38 riguardarono anche gli «zingari»,
non solo gli israeliti.
Storia? Non soltanto. Alla base di queste nefandezze operarono stereotipi che
ancora impregnano le nostre discussioni. Di questo popolo si dipinge un ritratto
che non è il suo. I rom jugoslavi avevano le loro case prima che esse venissero
sottratte loro a forza. E all'est vivevano sì in condizioni disagiate, ma con un
grado di integrazione che noi neppure immaginiamo.
Ma a chi interessa capire se urge giudicare? Si dice del degrado dei campi nelle
nostre periferie. Quei campi che tanto spiacciono al cattolico onorevole Casini,
ansioso per il decoro delle nostre «grandi città». Quei campi per i quali il
democratico sindaco di Torino (come tanti altri dell'Unione, da Roma a Pavia)
invoca «poteri straordinari» per i prefetti e interventi «anche oltre le regole
pubbliche», pur di «ridurre il numero di rom». Allora bisogna dirlo chiaro: i
campi come li conosciamo in Italia non si trovano in altri paesi europei perché
altrove i rom vivono in comuni abitazioni grazie a un efficace sistema di
sostegno, nel pieno rispetto delle regole.
Dopodiché siamo d'accordo: le prediche non bastano e nemmeno basta la memoria
(che pure è un dovere politico, oltre che morale). Dunque che fare? Non si può
scantonare da alcuni punti fermi. I rom rumeni non sono extracomunitari, sono
europei come tutti gli altri. I rom italiani (70 mila) sono cittadini italiani,
come tutti gli altri. A qualcuno potrà spiacere, ma è così. Quindi nessun
diritto speciale, nessun trattamento ad hoc. Quanto agli apolidi, essi sono
profughi, protetti dalla Costituzione, che riconosce loro (ancora) il diritto
d'asilo. Piuttosto chiediamoci: quale risarcimento pensiamo si debba ai rom
immigrati nel nostro paese l'Italia, oggi accusata dalla Ue di non applicare la
direttiva «contro la discriminazione basata sulla razza e le origini etniche»,
ieri in prima linea nelle guerre balcaniche?
Veniamo al Kosovo. In questi anni, pur controllando militarmente parte del
territorio, l'Italia non è stata in grado (per responsabilità bipartisan) di
tutelare la presenza dei rom nella regione. Nel Kosovo di oggi, protettorato
militare e luogo di loschi incontrastati traffici, le minoranze (i rom, ma anche
la piccola comunità ebraica) non hanno possibilità di sopravvivenza e sono
costrette a esodi di massa, che riversano centinaia di migliaia di persone nel
resto dell'Europa e in particolare in Italia. Domanda: dopo aver bombardato
case, ospedali e infrastrutture civili, dopo aver consegnato il territorio alla
mafia kosovara (per tacere dello scandalo degli aiuti umanitari, delle
tonnellate di beni di vario genere destinati alle popolazioni balcaniche e
rimasti a Bari, dei legami con la malavita meridionale), quali programmi sociali
ci impegniamo a sostenere? Quale tutela dei tesori storici e artistici, quale
difesa delle minoranze, della vita e della cultura di ognuno?
Le forze di occupazione in Kosovo (di questo ormai si tratta) preferiscono
assecondare l'irredentismo schipetaro-albanese e gli appetiti degli americani
(che intanto hanno installato, in funzione antirussa, la più grande base
militare della regione). In questo quadro si gioca la partita dell'indipendenza
formale del Kosovo albanesizzato, per la quale anche il nostro governo pare
propendere.
Non si finga di non sapere che, ove venisse concessa, l'«indipendenza»
cancellerebbe qualsiasi possibilità di convivenza democratica e paritaria tra le
popolazioni della regione. E negherebbe ai rom ogni speranza di fare ritorno
nella propria terra.
Non si faccia il solito doppio gioco di causare disastri e poi lanciare accuse
per le loro conseguenze.
Di Fabrizio (del 23/08/2007 @ 09:39:11, in media, visitato 2407 volte)
Nuovi media Rom stanno prendendo le misure per educare il pubblico alle
tematiche Rom
Uno dei ruoli dei media è educare la popolazione. La gente ottiene una gran
mole di informazioni attraverso i media. Si possono imparare lingue, le ricette
dei grandi cuochi, fitness dalle celebrità. Si può imparare tanto sugli altri
popoli - come si comportano, come vivono. Il pericolo nel maneggiare così tante
informazioni è di essere presi nelle rappresentazioni stereotipati su alcuni
gruppi di persone.
I componenti delle OnG Rom sono coscienti del ruolo che i media possono
avere. Per contrastare i pregiudizi prevalenti provano a spingere informazioni
sulla cultura rom, nei programmi radio e TV e sui giornali. [...]
"I media dovrebbero trasferire informazioni complete. Ma per i media è più
attraente scrivere di ciò che è negativo. Cosa scriveranno i media? Di una
ragazza Rom che ha vinto il Campionato Mondiale di Taekwondo o dei Rom a Vsetín
che hanno danneggiato una casa? Secondo la mia opinione dovrebbero scrivere di
entrambe," dice Zdenk Horváth, direttore esecutivo di Athinganoi, una OnG
rom che tenta di aiutare il suo popolo negli studi.
Io penso che il 90% dei Cechi si crea la propria opinione sul mondo, secondo
come i media coprono gli eventi. Così mi chiedo se il mio lavoro è davvero
importante. Potrò realizzare quattro buoni programmi che aiuteranno 100 persone,
ma poi torno a casa e vedo i Rom presentati come cattiva gente," aggiunge
Horváth.
Tutte le fonti Rom come Romano voďi o Romea TV pongono enfasi sul loro ruolo
educazionale. Informano il pubblico sui Rom famosi, sia storici che
contemporanei. Introducono i lettori alla cultura rom e lo fanno anche i romanes
per favorire il suo uso.
E' importante avere giornalisti Rom nei media nazionali, e devo essere ben
professionalizzati. E' per questo che OnG come Dženo o Eomea organizzano corsi
speciali per giovani Rom che vogliono diventare giornalisti. "Il prodotto" di
questo è Richard Samko, il secondo Rom che è diventato presentatore alla TV ceca
e anche giornalista del settimanale "O Roma Vakeren" che è trasmesso su Radio 1.
By Alice Tejkalová - University of Montana School of Journalism
Di Fabrizio (del 17/09/2007 @ 10:09:38, in media, visitato 2228 volte)
Ricevo da Claudio Bernieri
Nell'ambito della festa “SCOPRENDO COREA”, organizzata dalla Circoscrizione 1
del Comune di Livorno assieme alle realtà territoriali e che si terrà
nell'omonimo quartiere di Livorno nei giorni 20/21/22 settembre (piazza Saragat,
accanto al Pam), l’Associazione don Nesi/Corea promuove una iniziativa dedicata
al popolo rom.
L’Associazione, da sempre attenta e sensibile alle problematiche e alle realtà
che caratterizzano il popolo rom, intende così portare il proprio contributo ad
una riflessione che possa coinvolgere tutti, cittadini ed istituzioni, anche in
seguito alla tragedia dell’11 agosto dove quattro bambini persero la vita
nel rogo a poca distanza dal quartiere Corea.
La sera del 22 settembre - alle 20,45 – sarà proiettato, gratuitamente, in
piazza Pam nel quartiere Corea, il film-documentario “MIRACOLO ALLA SCALA”,
scritto, girato e diretto da Claudio Bernieri.
Il film racconta la vita dei musicisti rom che
suonano sui mezzi di trasporto milanesi. Ed è la
storia di una piccola musicista rom che sogna di
diventare una ballerina.
Il film è interpretato dal musicista rom
“Director” Marian Badeanu e dai suoi figli
Loredana e Ciprian, con la partecipazione di
decine di suonatori provenienti dal campo nomadi
di via Barzaghi –Triboniano a Milano, una vera
favela.
A metà strada tra il reportage e un remake di
“Miracolo a Milano” di De Sica e Zavattini, il
film è uno spaccato neorealista tra integrazione
e marginalità sociale.
La proiezione sarà preceduta dalla presentazione
del regista Claudio Bernieri e l’intera serata
sarà dedicata a Lenuca, Danchiu, Dengi e Eva, i
quattro bambini morti che ancora a lungo ci
ricorderanno quanto siano in agguato i veleni di
una antropologia del disprezzo e il rischio di
una disumanizzazione di massa nei confronti
dell’altro.
Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare.
Ufficio stampa Stefano Romboli tel. 349 8123460
tel. 0586 424637
e.mail: fondazione@fondazionenesi.org
Stefano
e.mail: kubrick2000@libero.it
Di Fabrizio (del 27/09/2007 @ 09:38:29, in media, visitato 2586 volte)
In allegato trovate alcune pagine del messaggero pubblicate
sabato 22 settembre riguardante notizie sui rom. Xoraxai
di ELENA PANARELLA
e RAFFAELLA TROILI
ROMA - Un filo sottile segna il confine tra esasperazione e intolleranza. I
cittadini di Ponte Mammolo l’hanno attraversato. Quelli che avant’ieri si sono
fatti giustizia da soli, e tutti gli altri, il benzinaio, il panettiere,
l’operaio, il barista. Sono stanchi. «Basta - ripetono - Sono anni che andiamo
avanti così, tendopoli, baracche, case lungo il fiume. Siamo invasi da questi
insediamenti che hanno portato all’aumento di furti, delinquenza, degrado. E non
serve a niente sgomberarli, tanto ritornano».
Ponte Mammolo, il giorno dopo. La rabbia è rientrata, l’esasperazione no. Anche
se i sentimenti sono contraddittori, anche se il buonsenso è tornato ma il cuore
pulsa ancora troppo forte, il colpo di coda del quartiere è ancora nell’aria.
«Il Comune invece dov’é?», grida da dietro il bancone Anna, «la verità è che ci
hanno lasciati soli». Siamo nel V Municipio, e gli stranieri sono numerosi e
integrati. Gli zingari, i baraccati, quelli no, quelli sembrano creare solo
problemi. «Non andiamo più al parco per timore d’incontrarli, sono entrati nei
box, nelle case, hanno rubato i motorini. E le donne hanno paura a uscire la
sera».
Esasperati i cittadini. Esasperato chi ogni giorno aiuta, quantomeno cerca un
contatto, tende una mano al popolo rom. Gli operatori sociali, le parrocchie, i
volontari anche loro si dicono abbandonati. «Dove sono le istituzioni?». Chi
scende nei “campi”, come loro, ha il diritto di lamentarsi. Chi conta i posti
vuoti sul pulmino che dovrebbe portare i piccoli rom a scuola; chi incontra le
sue alunne in centro a caccia di borsette mentre i maschietti sono ai semafori,
a elemosinare. Le associazioni seguono passo dopo passo il loro percorso
formativo, «ma anche se tanto è stato fatto, molti bambini - segnala Paolo
Perrini dell’Arci solidarietà - restano ancora nei campi. Il nostro lavoro è
fondamentale per l’iscrizione, ma non può essere lasciato a sè. Va accompagnato
da politiche di inclusione sociale per le famiglie». Come a dire: se le
condizioni di vita rasentano l’estrema precarietà, se i rom che sono a Roma
dall’80 ancora vivono nelle baracche, quale integrazione si possono aspettare
questi bimbi nati a Roma, figli di una generazione anch’essa nata a Roma? «Il
loro primo problema non è la scuola, ma la sopravvivenza».
Nuovi baraccati e vecchi insediamenti. «E’ una realtà che va affrontata a
livello nazionale», aggiunge Salvo Di Maggio della comunità Capodarco. I
piccolini cominciano bene, frequentano la materna, i primi anni delle
elementari. Poi il contatto si perde, vengono risucchiati dalla loro cultura, le
femmine si sposano, anche a forza. «A un certo punto il loro mondo si fa troppo
diverso da quello degli altri coetanei. C’è un bimbo che non è venuto a scuola
per un anno perché non poteva passare in una certa zona del campo», ricordano le
maestre dell’Istituto Dalla Chiesa. «C’è chi arriva tutti giorni da lontano, da
Castel Romano, dove neanche hanno l’acqua, i servizi, ci mettono amore e buona
volontà. Altri sono solo nomi sui registri...». Crescono e si sentono
inadeguati, «vanno a rubare Nike e tute per vestirsi come i loro compagni»,
ancora Perrini. Alla fine, si arrendono...
Sono circa duemila i bambini rom iscritti alle scuole della
Capitale provenienti dagli oltre 25 insediamenti sparsi per il territorio. La
frequenza si attesta sul 70%, con picchi dell'85% dove i campi sono più
attrezzati, e minimi del 30% dove le condizioni di degrado non permettono una
costanza negli studi. Di media, quindi, vanno regolarmente a scuola solo il 50%
dei bambini rom. Le bambine frequentano di più fino alle elementari rispetto ai
maschi, poi molte di loro, verso i 13 anni cominciano ad allentare perché le
famiglie le vogliono vicine per i lavori quotidiani o magari sono costrette a
sposarsi. La scolarizzazione è affidata ad associazioni che seguono passo passo
il percorso formativo dei bambini dalla materna, alle medie e per qualcuno di
loro anche alle superiori e nei corsi di formazione che quest'anno hanno
raggiunto l'apice di circa settanta iscritti. «Per capire come è cambiata la
condizione di questi ragazzi - spiega Salvo Di Maggio, responsabile della
Comunità di Capodarco - basta pensare che tra il 1990 e il ’91 a Roma si
registravano 180 bambini iscritti con una frequenza molto bassa. Oggi parliamo
di circa 2000 ragazzi di cui circa 1400 vanno regolarmente a scuola. Si può dire
che il passaggio è stato compiuto». La comunità di Capodarco controlla 11
insediamenti a sud est della città: da quello di via di Salone a quello
dell'Arco di Travertino passando per via della Martora e via dei Gordiani.
Insieme alla Onlus Arci Solidarietà Lazio, che segue, tra le altre, le comunità
di Castel Romano, Tor de’ Cenci e Tor di Quinto, coprono gran parte del
territorio capitolino per un totale di circa 1800 ragazzi. Ogni mattina vengono
portati nelle rispettive scuole (dal centro alla periferia) grazie a pullman
messi a disposizione dal Comune. Quelli più grandi, che hanno le strutture
vicino ai campi, le raggiungono a piedi. Alcuni vengono accompagnati dai
genitori, mentre la maggior parte ogni giorno è costretta a tragitti spesso
snervanti: «Complessivamente noi seguiamo circa 850 ragazzi (Capodarco un
centinaio in più) tra materna, elementari e medie - spiega Paolo Perrini,
responsabile dell'Arci Solidarietà Lazio - Purtroppo, come ad esempio per gli
iscritti del campo di Castel Romano (280 con frequenza del 50% circa), spesso i
bambini devono affrontare lunghi tragitti per raggiungere la Garbatella o altre
zone limitrofe, tutto a discapito dell'attività didattica perché arrivano in
classe più tardi rispetto agli altri».
G. M.
di GIOVANNI MANFRONI
Sonita ha 16 anni, tanta voglia di studiare e divertirsi e un grave ritardo
mentale che non le permette di stare alla pari con gli altri bambini. Ma Sonita
è più forte della sua malattia. Ogni mattina, con il sorriso sulle labbra, mano
nella mano con la mamma, sale sul pullman che l'aspetta davanti all'entrata del
campo rom di Tor de’ Cenci. «Frequenta assiduamente la scuola - assicura Marco
Birnozzi, coordinatore dell'Arci Solidarietà Lazio - Sonita fa la prima media ed
è seguita da vicino da insegnati ed operatori. Quest'estate non vedeva l'ora che
ricominciasse la scuola. E' sempre un gioia vederla arrivare e leggere nei suoi
occhi la felicità e la spensieratezza che stona rispetto al contesto in cui
vive».
Ma spesso per i ragazzi rom non accettano regole. Quasi sempre sono i genitori a
impedirglielo. È il caso di Stepe, che ha ha sempre amato la scuola. «Le
elemenatri le ha finite a tempo di record - precisa un operatore - Poi, una
volta, finite le medie, i genitori le hanno messo i bastoni tra le ruote». Prima
hanno cominciato a farle saltare qualche lezione, poi, quando ha compiuto 13
anni, hanno deciso che si doveva sposare. «Si è battuta perché questo non
accadesse, tanto che ha provato a denunciare la famiglia ed è stata affidata ai
servizi sociali, pur rimanendo a vivere nel campo di Lombroso». Sembrava averla
spuntata, invece finite le medie la famiglia l’ha costretta a partire per
Milano, dove l'aspettava il futuro marito. I genitori hanno ottenuto quello che
volevano. «Faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità per riportarla a
scuola - conclude l’operatore - La famiglia ormai non ci vede di buon occhio, ma
non ci arrendiamo».
Alessandro, invece, del campo di Tor de’ Cenci, è stato più fortunato, se così
si può dire. Fin da piccolo ha coltivato la passione per i computer. «E’ sempre
stato fissato», dice sorridendo Marco. Ha concluso regolarmente le elementari e
le medie, studiare gli piaceva tantissimo, già prima di diventare il primo
ragazzo del campo a prendere l'attestato di scuola superiore. La sua passione
l'ha portato a terminare un corso di formazione della Regione per operatore
informatico, uno di quei corsi che ti apre la strada alla vita lavorativa.
«L'abbiamo seguito fin dalla scuola materna - fanno sapere dalla Onlus - è
sempre stato un bambino bravissimo e con tanta voglia di riscatto».
Riscatto che ancora non è arrivato. Una volta terminati gli studi tutte le porte
si sono chiuse. Per 5 anni ha fatto colloqui di ogni genere senza mai ottenere
risposte positive. Oggi Alessandro a 19 anni e un futuro che non c'è. «Si parla
tanto di integrazione - accusa Birnozzi - e poi quando una ragazzo fa tanti
sforzi per lasciarsi alle spalle una condizione di degrado non si fa nulla per
aiutarlo». Per 4 anni ha lavorato come segretario nella Onlus, «abbiamo preso a
cuore la sua storia, ma poi se ne è voluto andare perché ci ha detto che gli
sembrava un'elemosina». Si è rimboccato di nuovo le maniche ed è tornato a
bussare alle porte girando tutte le agenzie interinali sparse per il territorio.
Non si riesce a dare una spiegazione al fatto che il futuro che gli avevano
promesso in realtà è fatto di «le faremo sapere» e «in questo momento non
cerchiamo». Ma non si rassegna e a chi gli chiede che cosa si aspetta dal domani
lui risponde deciso: «Ho studiato tanto per ottenere questi risultati e ora è
giusto che qualcuno mi dia la possibilità di lavorare».
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