Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Aiutare i soggetti più deboli a mettere a fuoco - e poi nero su bianco - i
propri punti di forza professionali. Succede nel capoluogo siciliano. Un'idea da
esportare.
Il bilancio di competenze - lo spieghiamo per chi non ne avesse sentito parlare
- è uno strumento finalizzato a mettere a fuoco le capacità e le risorse della
singola persona, in modo da facilitarne l'inserimento nel mondo del lavoro o la
crescita professionale. In genere viene “somministrato” a manager,
professionisti e a giovani in cerca della prima occupazione.
Come mai, vi domanderete, ne stiamo parlando su Corriere Immigrazione? Perché da
circa un mese, a Palermo, il
Fo.rom sta provando a utilizzare questo strumento a
vantaggio della locale comunità romanì. Si tratta, in prevalenza, di kosovari e
serbi. La maggior parte di loro vive all'interno del campo rom, ai margini del
parco della
Favorita, nelle vicinanze dello stadio di calcio. Altri invece sono
dislocati nel centro storico della città. Pochi hanno una casa vera e quasi
tutti vivono in condizioni precarie.
Mentre scriviamo ci risultano portati a compimento trenta bilanci. Altri
quarantacinque saranno stilati nelle prossime settimane. Attraverso un
questionario semi-strutturato, si prova a tirar fuori tutto quello che può
valorizzare le esperienze maturate negli anni. Capita spesso che le persone
sappiano fare delle cose particolari e/o utili (a livello artigianale, per
esempio), ma non si rendano pienamente conto del valore del proprio know how.
Tirare fuori certe informazioni, esplicitarle e metterle nero su bianco è molto
utile per darsi un nuovo punto di partenza e una speranza di riscatto. E
sortisce effetti positivi anche dal punto di vista psicologico. Ogni bilancio,
infatti, è una storia, e rispettandola e portandola alla luce, le si dà il
valore e il riconoscimento che merita. Chi fa i bilanci, certamente, deve
possedere una reale capacità d'ascolto, che è qualcosa che va oltre la tecnica
dell'intervista aperta: è un'arte della relazione, un incontro tra due persone e
un percorso a ritroso nel tempo, a volte doloroso, che traccia storie e profili
di immenso valore.
A circa un mese dall'avvio del progetto, si cominciano a vedere i primi
risultati: due ragazze, per esempio, sono state inserite all'interno di un corso
base di taglio e cucito organizzato da una sartoria sociale di Palermo,
organizzata sotto il segno del riciclo e del riuso. Ma altri (buoni risultati)
non mancheranno. È solo questione di tempo e di bilancio.
Da diversi anni si assiste ad un interesse per la musica e la cultura Rom,
prevalentemente d'origine balcanica, senza che si vada oltre le musiche di Goran
Bregovic o i film di Emir Kusturica, trascurando quindi le radici della storia
dei Rom e, soprattutto, ignorando le attuali condizioni di vita in cui si
trovano.
Nel contesto cittadino romano, in zone decentrate e relativamente isolate dai
centri abitati, esistono diversi campi rom nei quali convivono varie etnie
provenienti da alcuni Paesi dell'ex Jugoslavia e dalla Romania. Nella mia
esperienza professionale, ho avuto l'opportunità di avvicinarmi alla realtà dei
campi attrezzati della Capitale, autorizzati dal Comune e gestiti da varie
associazioni italiane. Ho conosciuto diverse persone che ci abitano e ho
ascoltato i loro racconti che vanno oltre ogni demagogia e retorica politica. La
realtà dei campi è fatta di problemi oggettivi legati alla convivenza più o meno
coatta in condizioni non idonee, dato che spesso la capienza del campo è
inferiore al numero di persone ospitate, per lo più minori. Per non parlare del
posizionamento di questi insediamenti, periferici e lontani dai centri abitati e
dai servizi. Molti Rom non hanno mai conosciuto la vita di campo dato che nei
loro Paesi di origine hanno vissuto una vita da sedentari. In Italia si ignora
questo aspetto e si continua a considerarli nomadi.
Un testimone privilegiato di questa realtà è l'artista Antun Blazevic, in arte
Tonizingaro che abbiamo interpellato per avere una opinione da parte di chi
l'esperienza del campo l'ha vissuta in prima persona. Autore e interprete
protagonista dei suoi spettacoli teatrali, Toni ha svolto anche il ruolo di
mediatore culturale all'interno dei campi rom della Capitale dove è vissuto per
circa 15 anni. Dall'inizio dell'intervista, Toni dimostra la sua natura
anticonformista e irriverente, rispondendo con una battuta spiritosa, nonostante
le tematiche affrontate. Alla domanda se vivesse ancora nel campo, ha esordito
rispondendo: "No, grazie".
Toni, hai svolto il ruolo di mediatore culturale anche nei campi rom, quelli che
sono erroneamente chiamati "campi nomadi". Secondo te, perché si continua a
parlare dei rom come popolo nomade, nonostante siano stanziali?
Secondo me, si continua a parlarne di nomadismo per ignoranza, ancora non hanno
capito cosa vuol dire nomadismo e non sanno che finì 200 anni fa. Ormai, per
trovare dei nomadi rom, dovresti andare a cercarli in Mongolia.
Tu hai lavorato in uno dei campi rom della Capitale dove convivono insieme rom
romeni, bosniaci e serbi, anche se divisi da un recinto "simbolico". Esistono
dei contrasti tra varie etnie?
Io ho lavorato sia nel servizio H24, controllando chi entrava e chi usciva dal
campo, che nel servizio di accompagnamento dei bambini a scuola. Non parlerei di
conflitto tra le etnie. Secondo me, si tratta più di un desiderio di proteggere
le proprie tradizioni che variano da un gruppo etnico all'altro. E' più una
questione legata al senso di appartenenza. Per quanto riguarda la divisione del
campo, si tratta, a mio avviso, di un problema di organizzazione. Le
associazioni che gestiscono i campi dovrebbero risolvere e prevenire dall'inizio
queste situazioni.
E' noto che molti bambini rom accumulano tante assenze a scuola e per quanto
riguarda le cause, le opinioni sono diverse. Secondo la tua esperienza, cosa si
potrebbe fare per risolvere questo problema?
Le responsabilità stanno da entrambe le parti. I motivi oggettivi non mancano: i
campi si trovano in zone molto periferiche; le scuole che non accettano più di
un certo numero di bambini rom sono distanti tra di loro; la mattina c'è tanto
traffico; non ci sono soste adatte per gli scuola-bus e si deve cercare un
parcheggio, far accompagnare ogni bambino a scuola, ripartire e ripetere la
stessa prassi per tutti i bambini, che ovviamente arrivano quasi sempre in
ritardo a scuola. Le associazioni che gestiscono i campi hanno problemi di
organizzazione. Quando ho lavorato come accompagnatore per i bambini, avevo
proposto di fare qualche cambiamento (partire presto, andare prima alla scuola
più lontana per poi tornare verso quelle più vicine ecc.), ma non se ne è fatto
niente. Dall'altra parte, ci sono le responsabilità dei rom che non sempre
preparano in tempo i bambini e quindi molte volte si parte in ritardo per questo
motivo.
Secondo te quali sono le cause che hanno portato i rom a essere così passivi?
Come dichiarai tempo fa in una trasmissione di RAI 3, il male assoluto che colpì
i rom in Italia fu l'assistenzialismo. Queste politiche hanno permesso alle
associazioni che gestiscono i campi di sostituirsi ai genitori e alle famiglie e
quindi hanno abituato i rom ad aspettarsi che gli altri risolvano i loro
problemi. I rom, al loro arrivo, pensavano da soli a se stessi ma queste
politiche assistenzialiste li hanno portati a pensare di avere dei diritti senza
considerare gli obblighi. Come dicevo prima, la responsabilità è sempre delle
associazioni perché dovrebbero prendere dei provvedimenti e cercare di cambiare
la situazione. Credo che si è ancora in tempo per cambiare l'andamento delle
cose.
Nei campi ci sono anche dei rom italiani?
Qualcuno c'è, ma la maggioranza vive nelle case, sono inseriti nella società
come i Sinti abruzzesi e i Camminanti siciliani che sono tutti stanziali.
Si sente spesso dire che i rom sono abituati a vivere così e che quindi sono
loro stessi a volere i campi. Come sono nati i campi rom a Roma?
Sono nati negli anni '70 con le baraccopoli dei migranti dell'Italia meridionale
che, nel momento in cui si sono trasferiti nelle case popolari, hanno affittato
le baracche ai rom. Sono nati così i campi rom a Roma.
I campi rom sono un prodotto dell'emergenza abitativa della Capitale?
A Roma, il costo elevato degli affitti e la scarsità di case popolari sono una
realtà. Molti appartamenti sono disabitati, altri sono proprietà della Chiesa e
non vengono affittati. Inoltre, non è da sottovalutare la diffidenza verso i rom.
I Rom sono spesso presentati attraverso gli stereotipi e i pregiudizi. Nella mia
vita da pendolare, mi è capitato spesso di sentire che il ritardo del treno
fosse dovuto al furto di rame. Anche se negli annunci non si specifica chi siano
gli autori, non manca chi fa commenti riferiti ai rom.
Sai, i rom sono utili per tante cose. Ai bambini non rom si insegna
l'educazione, usando come minaccia gli "zingari"; sono attuali gli stereotipi
che vedono gli zingari che rapiscono i bambini, che rubano e che sono sporchi.
Mi ricordo un episodio a cui assistetti anni fa a Milano. Tornavo col tram da
uno studio televisivo dove ero stato invitato e vicino a me sentii due signore
italiane sulla settantina che parlavano della donna rom salita con un bambino in
braccio e un altro che si reggeva alla gonna e che, secondo loro, puzzava.
Quando la donna rom andò a timbrare il biglietto, le signore insinuarono che
l'avesse rubato. Un'altra volta, a Roma, salii su un autobus e una signora,
vedendomi, strinse subito la sua borsa al petto. La tranquillizzai dicendogli di
non preoccuparsi perché quel giorno non stavo "lavorando".
Per quanto riguarda i ritardi dei treni, visto che ci sono sempre e su tutti le
linee, se la colpa fosse dei rom, significherebbe che essi lavorano 24 ore su
24. Tu conosci dei rom che lavorano ininterrottamente 24 ore al giorno?
Qual è secondo te, se c'è, l'elemento che contraddistingue il popolo rom?
Se me lo avessi chiesto 20 anni fa, avrei saputo risponderti. Adesso non lo so
perché negli ultimi tempi, con questa integrazione, ormai, non esistono più
delle differenze. Quando si parla di integrazione, si intende assimilazione.
Questo purtroppo riguarda tutti i migranti, non solo i rom.
L'assimilazione rappresenta un impoverimento reciproco. Ci viene chiesto di
lasciare la nostra cultura e adottare la loro per entrare a pieno titolo nella
società. Si parla spesso del fatto che i rom non vogliano lavorare, ma non è
tanto vero. Nei convegni o in altre occasioni, chiedo sempre alle persone che
hanno questa opinione se prenderebbero preso come assistente famigliare o
domestica una rom. Succede ancora oggi che appena si scopre che un dipendente
sia rom, venga licenziato. Oltre la discriminazione c'è anche la crisi e la
mancanza del lavoro per tutti, la concorrenza è tanta e i rom non sono neanche
tanto qualificati e molti di loro non hanno neanche studiato. In compenso, le
nuove generazioni hanno iniziato a specializzarsi di più e a studiare.
Sostieni che ormai non ci sia più alcun tratto caratteristico dei rom, eppure,
secondo me, esiste una peculiarità del popolo rom che è il "pacifismo". In tutta
la storia dell'umanità, il popolo rom non ha mai dichiarato una guerra o
rivendicato terre.
Non ha mai fatto la guerra perché non esiste un paese per cui combattere.
Neanche gli ebrei hanno fatto le guerre finché non hanno avuto uno stato. Se non
hai un territorio da difendere o un paese di appartenenza, non ha senso fare le
guerre.
Inno del popolo Rom "Jelem Jelem" (Camminando, camminando), eseguito
dall'Orchestra Europea per la Pace e l'Alexian Group insieme a Miriam Meghnagi
Di Fabrizio (del 11/06/2013 @ 09:01:04, in Europa, visitato 3720 volte)
Pagine 124 formato A4 Formato del file: PDF Dimensioni del file:
1.25 MB Software
necessario: Tutti i lettori PDF, Apple Preview Prezzo di lancio: 2,00 euro
Succede anche nelle migliori famiglie: ho iniziato la primavera scorsa
scrivendo un libro su
Milano, a dicembre già l'argomento era diventato l'Italia
e adesso, tocca all'Europa.
Di che si scrive? Vediamo cosa recita l'introduzione:
Sempre più spesso sento ripetere che quello contro i Romanì è rimasto
l'unico razzismo che l'Europa ancora si permette. Il quadro che ne deriva è
abbastanza schizofrenico, quella che chiamiamo popolazione maggioritaria, li
vede:
o come criminali e asociali irrecuperabili, da rinchiudere in riserve (salvo poi
lamentarsi se queste riserve diventano discariche invivibili);
oppure come vittime della società (però vorrebbero "integrarsi" nella stessa
società di cui sono vittime).
Il quadro, desolatamente, è simile in tutta Europa. A fatica, Romanì e società
maggioritaria trovano modi di interagire, ma i risultati riguardano frazioni
minoritarie delle due popolazioni, e dopo secoli di convivenza ogni tentativo,
presente e passato, appare fragile e temporaneo.
Questo non toglie che dopo secoli di presenza nel nostro continente, anche la
galassia romanì abbia potuto
esprimere le proprie eccellenze in diverse campi.
Ma, anche se il contributo all'umanità tutta di queste personalità è stato
notevole, rimane la sensazione di casi isolati.
L'ispirazione delle pagine che seguono mi viene da un libro di Stefania Ragusa:
"AFRICA QUI storie che non ci raccontano". Nell'introduzione scrive l'autrice:
Questo libro nasce dalla domanda che, qualche anno fa, mi ha fatto Sara, una mia
giovane amica italianissima ma dalla pelle d'ebano. Era appena rientrata da una
breve vacanza a Londra, la prima fatta all'estero e da sola. [...] Sara mi
diceva che a Londra aveva visto neri che lavoravano in banca, negli ospedali,
all'università, negli studi legali, a dare notizie in tv, a dirigere il
traffico... Perché, si chiedeva, in Italia i neri, quando riescono a lavorare,
fanno solo mestieri umili? Ho risposto che tutto questo era dovuto al fatto che
l'immigrazione, africana e non, in Italia è un fenomeno recente. Perché per
iella o per fortuna non siamo riusciti a essere una potenza coloniale e perché,
fino all'altro ieri, eravamo noi costretti a emigrare. Ma ho risposto anche che
non tutti i neri, in Italia, facevano lavori umili. Che quella del "povero
negro" era in buona parte un luogo comune. Lei mi ha rivolto uno sguardo
perplesso e di sfida e ha detto: non ti credo, dimostramelo. Non era un ordine
ma l'indicazione di un bisogno, profondissimo e non ancora dichiarato. [...]
Per i Romanì in tutta Europa, non nella sola Italia, la situazione è simile,
anzi peggiore. E, mettiamoci la mano sulla coscienza, come reagiremmo NOI se
incrociassimo un medico, un vigile, un ortolano Rom o Sinto? Questo tipo di
persone esistono, le ho anche incontrate, ma la paura dello "stigma" spesso è
più forte della voglia di dichiararsi. Ricordo nel libro "Non chiamarmi zingaro"
di Pino Petruzzelli, il racconto di una dottoressa in Italia che nasconde
persino a suo marito il suo essere rom.
Se con sguardo distaccato osserviamo la situazione dei Romanì in Europa, quello
che notiamo non è tanto che nei secoli possano esserci state figure prominenti,
ma l'assenza di quella borghesia (non necessariamente che sia anche classe
dirigente), che ha accompagnato lo sviluppo di altri popoli. Questo significa
che quasi dappertutto in Europa i Romanì vivono una situazione di continuo
dopoguerra, non solo economico, ma anche sociale e politico.
Il dottore, l'avvocato, il giornalista romanì esistono, a volte superano anche
la paura di dichiararsi. Per anni ho raccolto frammenti di queste storie,
riportati da varie testate o direttamente dalla loro voce.
Riprendere qui le loro testimonianze può servirci:
ad avere un quadro meno stereotipato della più grande minoranza etnica in
Europa;
nel contempo, a comprendere quanto la forte spinta ad emanciparsi, si leghi
all'attaccamento e all'interazione con la comunità d'origine, come pure al
mantenimento della propria identità;
infine, la speranza è la stessa del libro AFRICA QUI, che le testimonianze
raccolte possano incoraggiare le giovani generazioni romanì a trovare un posto
dignitoso tra i popoli di un'Europa di cui fanno parte a pieno titolo.
Un ulteriore motivo di approfondimento, deriva dagli argomenti trattati nelle
interviste o nei ritratti che verranno presentati: da questioni quotidiane a
tematiche più propriamente politiche. Per politica, non intendo soltanto i
cosiddetti "temi classici": razzismo, integrazione, convivenze... ma anche
questioni di base che riguardano il futuro del nostro continente, trattate da
questa futura classe intellettuale. Ancora una volta, il gioco di vederci allo
specchio, e di saper cogliere i contributi ideali che possono arrivarci.
In appendice ho aggiunto tre contributi: un mio saggio su come anche le novità
della tecnologia non siano estranee alla galassia romanì, la recensione di una
serie televisiva di qualche anno fa - che descriveva in modo atipico la vita di
una famiglia rom in Slovacchia, e un raccontino finale, che spero possa essere
di buon auspicio.
Indice:
L'Europa che c'è - Pag. 2
Introduzione: - Pag. 3
Autore: - Pag. 5
Paesi, competenze e professioni: - Pag. 8
FRANCIA - L'attivista atipico - Pag. 8
SPAGNA - Un'antropologa - Pag. 10
La situazione delle donne rom in Europa - Pag. 11
SERBIA - Comunità ed emancipazione - Pag. 15
EUROPA - Biglietti da visita - Pag. 17
ROMANIA - e l'identità - Pag. 19
REPUBBLICA CECA - Professionisti di confine - Pag. 21
GRAN BRETAGNA - Un giornalista "globale" - Pag. 23
SLOVACCHIA - La preside - Pag. 26
UNGHERIA - Dalla scuola alla società e viceversa - Pag. 32
GRECIA - Il dottore - Pag. 35
SLOVACCHIA - Una dottoressa tra tradizione e cambiamento -
Pag. 37
REPUBBLICA CECA - Il frigorifero come questione culturale -
Pag. 42
AUSTRALIA - La scrittrice - Pag. 44
ISRAELE - Nomade e digitale - Pag. 47
GRAN BRETAGNA - I ricordi di una scrittrice - Pag. 49
Il Tribunale civile accoglie la causa di Elviz Salkanovic, cittadino italiano ma
di etnia rom che era stato identificato e fotografato durante il censimento di
tre anni fa. Riconosciuto "il carattere discriminatorio della procedura e
violata la dignità con l'effetto di creare un clima ostile". Lo riferisce
l'associazione 21 luglio. Tutti i dati sensibili dovranno essere eliminati dalla
Presidenza del Consiglio
Mercoledì, 5 giugno 2013 -
Fra il Tar e il Tribunale Civile non c'è giorno in cui la comunità rom di Roma
non porti a casa una strepitosa vittoria contro il tentativo di dare una
soluzione ad una vertenza che sembra non averne. E se poi c'è la campagna
elettorale, la condanna con relativo risarcimento che mr. Elviz Salkanovic, ha
portato a casa assume i connotati di una sconfitta istituzionale. A dare la notizia, tanto per cambiare, è l'associazione 21 luglio, da sempre al
fianco e dei rom e ormai vero baluardo contro ogni tentativo comunale di attuare
il "Piano nomadi".
Ecco la storia. "Tre anni fa, insieme ad altri migliaia di rom residenti nella
Capitale, era stato oggetto del censimento nell'ambito della cosiddetta
'emergenza nomadi'. Nei giorni scorsi, con una storica sentenza, il Tribunale
Civile di Roma ha riconosciuto a un cittadino rom di essere stato vittima di una
discriminazione su base etnica e ha ordinato al Ministero dell'Interno di
distruggere tutti i documenti che contengono i dati sensibili dell'uomo raccolti
durante il fotosegnalamento".
Continua l'associazione 21 Luglio: ""Accogliendo il ricorso di Elviz Salkanovic,
cittadino italiano di etnia rom con regolare documento d'identità - prosegue il
comunicato - l'autorità giudiziaria ha di fatto riconosciuto il carattere
discriminatorio della procedura di foto segnalamento in quanto l'uomo è stato
coinvolto in un'operazione i cui destinatari erano esclusivamente persone
appartenenti alla comunità rom. La misura, secondo la sentenza del Tribunale
Civile di Roma, ha provocato l'effetto sia di violare la dignità del rom sia di
creare un clima ostile da parte dell'opinione pubblica. Oltre all'eliminazione
di tutti i dati sensibili del cittadino rom, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e lo stesso Ministero dell'Interno sono stati condannati al pagamento
di 8 mila euro in qualità di risarcimento morale".
Di Fabrizio (del 13/06/2013 @ 09:00:01, in media, visitato 2094 volte)
Rileggevo quanto diceva un Romanichal (uno che non conviene
contraddire): "Sono irlandese d'origine, nato a Manchester, ma non sono
Irlandese o Inglese, sono uno zingaro. Vi dirò cosa rende Traveller: è come
nascere neri. Per me è irrilevante dove vivere: in una casa, un caravan o una
tenda."
Settimana scorsa ero ad una performance artistico-letteraria-teatrale: esecuzioni di brani di Charlie Mingus alternati
alla recitazione della sua biografia, o meglio la ricostruzione cronachistica di
momenti comuni della sua vita privata e d'artista. Spettacolo potente: mentre
sentivo la musica, in testa mi si accavallavano gli accordi del contrabbasso
(che comunque non so suonare!), e la recitazione dava un senso tra disperazione
e grandezza: lacrime, gloria e vanagloria, polvere e ricerca di un dio.
Mingus: un grosso borghese, simile "dentro" a tanti giovani neri
senza arte né parte, magari magri e col berrettino da basket. Quando la tua
voglia di mondo, il suo contemporaneo rifiuto, la fame e l'insoddisfazione
diventano un tratto comune che lega il benestante Mingus al giovane
sottoproletario, forse quella è la cultura.
Parlerò di cultura (FORSE, dipende da qual è il nostro vocabolario mentale):
cosa lega l'artista nero, il cameriere sotto casa mia, quella ragazzina con la
minigonna, il rom che non sa più a quale mondo appartiene? E cos'è
quell'insicurezza che leggi tanto negli occhi di un professionista magari ebreo,
come in quelli di un teppistello da strada, se non il ricordo di un isolamento che
ti porta COMUNQUE, a prescindere, a diffidare?
Cultura che nasce dalla pelle, dallo schiavismo, dal ghetto... Tutte cose che
porti fuori anche quando nel ghetto non ci abiti più e puoi concederti due
settimane all'anno di vacanza come il bianco che ti sei sempre immaginato (che
molti bianchi ormai le vacanze se le sognano, è un particolare irrilevante).
I ghetti fanno pensare ai modi di vivere (la cui immagine speculare sono le
ricorrenti rivolte urbane), tipici degli USA e dei paesi anglosassoni: c'è
posto per tutti, ma per favore ognuno stia per conto suo e si risolva le sue
beghe per conto suo (gli altri, non devono sapere, non devono interessarsene).
Ma i ghetti sono un'invenzione nostra: la testimonianza
più antica resiste a Venezia, col ghetto ebraico. Gli ebrei, da anni ne hanno
valicato i confini, ma i ghetti sono proliferati lo stesso: cosa sono altrimenti
i campi nomadi, o certi quartieri di periferia lasciati da decenni a se stessi?
Non importa che nel nostro immaginario il ghetto debba essere un posto schifoso
(come è in effetti la maggior parte delle volte), o che invece possa "anche"
essere un posto con una sua dignità, con modi di vivere che non trovi altrove.
Il ghetto è comunque il frutto di un isolamento, imposto con le buone o con le
cattive.
Cioè: nel ghetto puoi finirci perché ti viene imposto (i nativi americani), o
puoi capitarci a tua insaputa: ad esempio andando ad abitare in un quartiere di
"bianchi" o inizialmente misto, ma poi i bianchi per varie ragioni, si
trasferiscono altrove e lo spopolano. Allora, per tornare all'attualità NOSTRA,
richiedere case per Rom e Sinti non basta a superare il ghetto, gli esempi sono
GIA' sotto gli occhi.
Però, perché durante quello spettacolo vedevo davanti a me le facce di Mingus e
del resto dello zoo, le note mi risuonavano in mente, riconoscevo una scala
musicale nell'alternarsi di preghiere, bestemmie, bisogni espressi o meno, modi
di dire? E perché, quando sono in un campo nomadi, dovunque sia,
mi sento a
casa?
Ecco: tu (scusa se passo al TU così diretto) il ghetto da fuori lo vedi popolato
da facce preoccupanti, oppure preoccupate (a seconda della tua sensibilità),
comunque conciate male. Messi assieme, non li valuteresti 10 euro... Però, se
provi a considerarle PERSONE, trovi che persino quella vecchia semianalfabeta,
lurida e cenciosa, potrebbe stare ore o ore a raccontarti la storia del mondo,
MA NON VUOLE! Che persino quel ragazzino più bravo col coltello che con la
matita, sa ripeterti ad orecchio tanto Mozart che Puf Daddy, MA NON VUOLE! Tu,
proprio tu così civile ed istruito, vieni escluso da questa cultura!
Il ghetto, non è solo cultura (minoritaria), ma è soprattutto la sua
condivisione, il codice per trasmetterla ai propri simili. La capacità di
"esportarla" o di "preservarla". Vedi (scusa se continuo con il TU), creare
ghetti e confini comporta un gioco strano: alla fine ci si ritrova tutti, anche
noi, in un ghetto; ma se il gioco diventa quello di "escludere il diverso", alla
fine il risultato che non c'è più nessuno con cui comunicare, e anche la più
centenaria della culture, se diventa solo una caratteristica identitaria, è
destinata a sparire.
Difatti noi, i bianchi, finiamo a vivere in ghetti che ci autoimponiamo, ma non
siamo in grado di riprodurne la cultura. Le nostre pulsioni, i nostri bisogni,
non ci appartengono, al limite appartengono ai media, che oscillano nello strano
equilibrio tra una perduta identità e mode che assumono dai ghetti altrui.
Se continuiamo ad essere vincenti, è solo perché siamo in tanti, e perché
(questo devo ancora capirlo bene) abbiamo la proprietà dei mezzi d'informazione
- o forse sono loro che ci posseggono.
Di Fabrizio (del 14/06/2013 @ 08:50:56, in Regole, visitato 3362 volte)
Ricevo da Stefania Benedetti:
Milano: 13 giugno 2013 - Oggi ero da Marina ad aiutare le figlie con i compiti per le vacanze quando sono
arrivate Nadia, Tora, Katiuscia con il piccolo Louis e Michelle sconvolte e
agitate per avere subito un episodio di puro razzismo... chi le conosce sa come
sono, donne per bene , vestite alla moda come noi gagè per cui fa ancora più
impressione per come sono state trattate... Mi sale la rabbia e vado con Nadia e Tora
nel luogo dove è accaduto il fatto per chiedere spiegazioni...
Poi mi faccio raccontare tutto per filo e segno quello che è successo dalle mie
amiche e ve lo scrivo con la preghiera di diffondere il racconto alla stampa...
Alle 18,00/18,30 circa 4 donne (e un bambino piccolo in braccio alla sua mamma)
si recano nel centro commerciale situato tra via Derna e via Palmanova
[vedi piantina sopra, ndr].
Entrano nel negozio di scarpe Pittarello. Stanno facendo un giro per il negozio
quando improvvisamente vengono affiancate da due poliziotti che gli intimano di
uscire perché: - Persone come voi non sono gradite - Le donne
allibite chiedono il motivo anzi una di loro si rivolge alla commessa che era lì
di fianco e le chiede :- Ho fatto qualcosa?- risponde la commessa:
- No! un'altra dice a un
poliziotto: - Chiami il Direttore perché mi conosce bene, vengo spesso qui a
comprare le scarpe - il poliziotto - Non c'è! E comunque ripeto qui non vi
vogliono - I clienti del negozio si girano e le guardano. La donna che ha in
braccio il figlio di pochi mesi esclama: - Ci fate fare brutta figura e ci fate
vergognare davanti alla gente - Il poliziotto risponde:- Proprio te parli di
vergogna andiamo a vedere la tua fedina penale! -
- Se vuole andiamo - Ribatte quest'ultima . - Non fare la gradassa perché hai il
bambino in braccio! Vi consiglio di andare via. Se volete rientrare sono fatti
vostri! - Le donne escono dicendo : - Noi non rubiamo perche lavoriamo, io
- dice
una delle 4 - lavoro da 20 anni nella scuola di via Russo -
Allora uno dei due poliziotti è rimasto zitto mentre l'altro ha continuato ad
inveire...
Alle 19 vado nel negozio a chiedere spiegazioni e dicendo ai commessi che
finiranno sul giornale per il loro comportamento, una commessa si affretta a
scusarsi con le mie amiche per l'increscioso incidente (perché non l'ha fatto
prima con i poliziotti?) dicendo che la Polizia non l'hanno chiamata per loro ma
per dei ladri che poco prima erano entrati in negozio per rubare ed erano
scappati ( ma che c'entra!!!) Stefania
Nota dalla redazione
Lo confesso, prima di adesso ignoravo persino di cosa si occupasse
Pittarello.
Quando l'ho scoperto, mi sono un po' preoccupato:
,
"Questione di cuore" recita il claim. In realtà, si tratta di scarpe. E
loro, col cuore, ci tengono al cliente, e pure all'immagine.
Sono su
Facebook,su Twitter
e anche su
Google +. In parole povere, sono in mezzo a noi, ad un clic di distanza.
Cioè, PENSATE CHE BELLO: se chi ha letto questa notizia vuol protestare, e lo
vuol fare anche chi la diffonde, ci vuole poche ad inondare le loro bacheche.
VOGLIAMO FARLO? METTIAMOCI D'ACCORDO.
E facciamoglielo capire, col cuore - naturalmente, dove loro sono più
interessati:
in un simile periodo di crisi ci vuol poco a rivolgersi ad altri "brand"
per scarpe, stivali e calzature varie.
Visto che questi non sono piccoli
artigiani, facciamo lavorare i loro esperti di marketing su quanti potenziali
clienti hanno perso.
Di Sucar Drom (del 15/06/2013 @ 09:08:35, in blog, visitato 1586 volte)
Roma, le mani delle donne
La Cooperativa Zajedno e l'Associazione Libra 2.0 organizzano a Roma l'8 e il 9
Giugno 2013 una festa dedicata all'arte e all'artigianato femminile presso il
Centro G. Ferri, sito in via Largo Beltramelli - Angolo Via...
Bolzano, Arte e Diritti
L’associazione Nevo Drom organizza tre giornate di eventi culturali, a partire
dal 12 giugno a Bolzano. La particolarità di questi appuntamenti è la
partecipazione e il coinvolgimento attivo di sinti e rom...
Francia, Hollande non mantiene le promesse e sgombera i rom
In Francia continuano gli sgomberi senza alternative e le espulsioni.
L'offensiva del Governo Hollande e in particolare del Ministro dell'Interno
Manuel Valls, in spregio alle promesse fatte in campagna elettorale, non sembra
fermarsi. Al contrario, Manuel Valls pochi...
Rom e Sinti, rappresentazione tra stampa e politica
Il 9 e il 10 giugno Roma dovrà eleggere il suo nuovo sindaco e anche quest’anno,
come già cinque anni fa, il dibattito politico si è concentrato sul tema di Rom
e Sinti, un...
Ferrara, l’internamento di sinti e rom a Berra, Cento e in Italia
Sabato 8 giugno 2013 alle ore 10, presso l’Archivio di Stato di Ferrara in Corso
Giovecca 146, si terrà la conferenza “Porrajmos. L’internamento di sinti, rom e
gitani a Berra, Cento e in Italia”. Il Porrajmos (l...
Bolzano, Sinti und Roma, kunst und rechte
L’associazione culturale di promozione sociale Nevo Drom organizza la
manifestazione SINTI E ROM: ARTE E DIRITTI, due giornate di eventi culturali e
un dibattito politico nei giorni 12-13-14 giugno. La particolarità di questi
appuntamenti è la partecipazione e il coinvolgimento attivo di Sinti e Rom, per
una volta protagonisti come promotori, art...
BABEL FILM FESTIVAL 2013, il bando è online
E' online il bando della terza edizione del BABEL FILM FESTIVAL 2013, il primo
concorso cinematografico che intende valorizzare e promuovere il cinema delle
minoranze linguistiche, dando voce alle loro storie, alla l...
Cagliari, rom in corteo: dosta!
"Abbiamo voluto questa manifestazione per dire no al razzismo e chiedere diritti
uguali. A coloro che si presentano come “buoni” chiediamo: parlate tanto di
inclusione sociale ma perché non ci rendete parteci...
Pugilato, Di Rocco sul trono d'Europa saluta tutti i rom e sinti d'Italia
Il titolo europeo di pugilato dei pesi superleggeri va all'Italia, a
conquistarlo è il pugile Michele Di Rocco. Battuto con verdetto unanime il
co-sfidante Lenny Daws, 35 anni, di Londra. Michele Di Rocco al termine
dell'incontro grida: "Saluto tutti i gitani d'Italia"...
La primavera degli sgomberi, Nizza si prepara per la stagione turistica
In questo primo anno della nuova gestione socialista di François Hollande, la
Francia si è distinta almeno per tre elementi: per alcune controverse misure di
politica economica atte a far fronte alla crisi incombente, per un lacera...
VICE-betaBy Alon Aviram - Artur Conka fotografa i Rom poveri che ha lasciato
Artur Conka è uno dei
pochi Rom che ha documentato la propria comunità da dietro l'obiettivo.
Originario di Lunik IX (vedi
qui, ndr), una delle più grandi e povere comunità della Slovacchia,
la sua famiglia ha viaggiato attraverso l'Europa, prima di stabilirsi infine in
Bretagna, quando Artur aveva otto anni. Anni dopo, fornito di una laurea in
fotografia, Artur ha rivisitato la sua vecchia casa, per vedere com'era cambiata
la vita di chi era rimasto.
Molte cose si sono rilevate cambiate. Al posto del luogo gioioso che aveva fatto
da sfondo ai suoi anni d'infanzia, Artur ha tyrovato una comunità di 10.000
persone segregate razzialmente, che soffre al 99% di disoccupazione, disagio
diffuso e abuso pervasivo di droghe. Una volta lì, ha girato un
breve
documentario sulla vita quotidiana a Lunik IX, che andrebbe visto.
L'ho chiamato per una chiacchierata.
Ciao, Artur. Dimmi un po' di te.
Sono nato a Lunik IX in Slovacchia, ma la mia famiglia se n'è andata quando
avevo due o tre anni. Abbiamo viaggiato in tutta Europa per un po' e alla fine
siamo arrivati in Inghilterra che avevo otto anni. Anche se ero molto giovane,
ricordo molto di dove son nato. Penso che ciò mi abbia permesso di vedere
chiaramente il modo in cui è cambiato, quando ci sono tornato la prima volta nel
2009.
E cosa è cambiato?
Molto. Mi ricordo che c'era molta tensione razziale, ma al tempo in cui ce ne
andammo - all'inizio degli anni '90 - c'era ancora una specie di integrazione a
Lunik IX tra Rom e Slovacchi. Ora gli Slovacchi se ne sono andati da Lunik IX e
la situazione tra la comunità rom e le altre minoranze è lentamente deteriorata.
Questo a causa della crisi economica, la caduta del comunismo, e la rivoluzione
di velluto che ha avuto luogo dopo la scissione della Cecoslovacchia.
La segregazione sembra aver spinto i Rom in una situazione dove non possono
permettersi il cibo, l'alloggio e altre necessità di base. E' ciò che succede
quando si stigmatizza un popolo, quando lo si taglia dalla società. Senza
un'adeguata istruzione e le altre necessità, la gente non sviluppa le competenze
di cui ha bisogno per sopravvivere nel mondo d'oggi, e tutto ciò alimenta il
pregiudizio e l'odio razziale tra gli Slovacchi. Tornare è stato sicuramente uno
schock.
Il tuo caso è unico, sei uno dei pochi fotografi rom che si impegna nel
suo lavoro con la propria comunità. Questo progetto cambia in qualche modo la
tua prospettiva sui Rom?
Sì, sicuramente. Crescere in un determinato sistema d'istruzione, lavorando in
un altro paese - non importa se è quello da cui provieni - inavvertitamente
cambia il tuo punto di vista. Cambia tutto guardando da dietro l'obiettivo.
Qualcuno guarderà al mio lavoro dicendo che è molto di parte, propagandistico, o
troppo empatico verso la comunità rom. Ma quella per me è la realtà - non puoi
nasconderla o spingerla sotto il tappeto.
Nel tuo documentario hai catturato alcuni
simpatici momenti abbastanza intimi. Come hanno reagito i
residenti di Lunik IX quando li riprendevi?
Quando sono arrivato la prima volta è stato difficile, perché la gente non mi
riconosceva. Quando ho accennato con chi ero imparentato, mi hanno mostrato
rispetto, specialmente perché ero nato lì. E la generazione più vecchia
conosceva mia madre e mio padre. Il film comprende anche alcuni membri della mia
famiglia. Posso garantire che se fossi stato un non-Rom non avrei ottenuto la
stessa apertura. Credo che sarei stato cacciato dalla comunità.
Per te, com'era una tipica giornata a Lunik IX?
Ci arrivai a marzo e si congelava. A Lunik IX non esiste gas o riscaldamento
centralizzato, e l'acqua viene fornita solo due volte al giorno. Questo
significa che la mattina devi prendere dei contenitori per l'acqua da un amico
che ha lavorato nell'idraulica. Poi si esce in cerca di legna o qualsiasi altra
cosa che bruci, da usare come riscaldamento. La legna si usa anche per cucinare.
[...] La gente cerca di trovare un lavoro, ma la segregazione rende la cosa
difficile.
Se vai nella città più vicina, Kosice (la seconda città della Slovacchia)
troverai negozi esclusivi. Poi prendi l'autobus per Lunik IX ed in 20 minuti sei
in un mondo differente. L'odore di fogna e dei rifiuti ti colpisce
immediatamente.
E riguardo alle disposizioni statali, cosa si può fare?
Difficile da dire. Le famiglie ottengono sovvenzioni, come il sostegno al
reddito. D'altra parte, a causa dell'economia e della recessione, i prezzi sono
lievitati. E' dura per una famiglia con quattro bambini sopravvivere per un mese
di soli sussidi, perché il cibo costa molto caro. L'istruzione, le scuole sono
segregate. Slovacchi e Rom non vogliono condividere le stesse classi o i parchi
giochi. E'come tornare ai tempi della segregazione razziale in America. I
non-Rom sono cresciuti con questa paura e l'idea che i Rom siano esseri umani
orribili, e viceversa.
Quindi, data l'enorme quantità di disoccupazione nella comunità ed il
fatto che le sovvenzioni statali non bastano, come sopravvive la gente?
La gente guadagna con la vendita di rottami metallici, furto ed elemosine. O
prendono benefici dal governo. Si vive col minimo indispensabile.
Ci sono problemi di droga?
Sì. C'è un grande problema con la droga. Vivere in condizioni così orribile può
solo portare alle droghe come un tentativo di soluzione. Molti acquirenti sono
bambini - letteralmente di cinque o sei anni. Ho visto bambini e adulti
ubriacarsi assieme.
Immagino che condizioni simili portino anche molte tensioni domestiche.
L'abuso domestico è una questione importante?
Sì, lo è. Stavo filmando in questa casa e il marito della donna è tornato
veramente ubriaco e ha cominciato un diverbio. Ha iniziato a colpirla e
schiaffeggiarla di fronte a me. Inoltre, sembra ci sia parecchio traffico del
sesso in tutta la Slovacchia e in particolare a Lunik IX.
Vengono trafficanti del sesso a Lunik IX?
Sì. E alcuni di loro persuadono le giovani rom ad andare all'estero, con
l'illusione che la vita sarà migliore, così finiscono in schiavitù.
Cosa speri di ottenere con questo progetto?
Devo ritornare qualcosa ed è per questo che ci sto dando da lavorando. Il fatto
è che quando finisci in povertà, pensi che la vita sia così. Non ti rendi conto
che fuori c'è una classe media in espansione. Ho alcuni ricordi molto felici
della mia infanzia, ma ricordo anche le cose brutte. Ricordo mia madre assalita
per motivi razziali. Ricordo che una volta non ci servirono al ristorante, a
causa del colore della pelle. Per queste esperienze sento di dover dare una voce
ai Rom. E per me l'unica via è attraverso la fotografia ed il cinema.
Di Fabrizio (del 17/06/2013 @ 09:04:36, in Italia, visitato 1296 volte)
Nuovo sgombero
14/06/2013 - Ieri mattina circa 60 cittadini rom sono stati sgomberati da via
Grassi.
"Abbiamo assistito ad un ennesimo sgombero di cittadini rom nella nostra
città sempre con le stesse modalità: nessuna alternativa abitativa con una
progettualità definitiva , e con un preavviso di qualche ora." Dichiarano i
volontari del servizio di medicina di strada del Naga.
"Ovviamente anche le conseguenze sono le stesse: dispersione dei cittadini
rom nel tessuto urbano; difficoltà nel mantenere situazioni lavorative stabili;
abbandono scolastico frequente" proseguono i volontari del servizio del
Naga, "Ci chiediamo infine a quanto ammonti il costo in termini economici e di
impegno di questa tipologia di interventi."
Il Naga continuerà a monitorare la situazione e a denunciare la politica
comunale ancora una volta guidata dalla gestione dell'emergenza e senza
prospettare soluzioni alternative percorribili e stabili.
Alcuni attivisti definiscono i tavoli migranti "inutili e non
rappresentativi". Ma cosa sono e come funzionano questi organismi di
partecipazione?
"Inutili, non funzionali e non rappresentativi". E anche "autoreferenziali",
incapaci di "intercettare le istanze e le aspettative" delle comunità migranti.
Così
Yalla Italia, definisce i "tavoli" sull'immigrazione creati dai Comuni,
dalle Province e dagli enti locali in genere. Un giudizio senza appello, che si
conclude con una proposta altrettanto lapidaria: meglio chiudere quei tavoli. E
una volta chiusi, meglio non riaprirli.
Tutto nasce dalla vicenda di Parma, che ha sollevato un vespaio di polemiche,
sia locali che nazionali. Riassumiamo ad uso dei distratti: nella città
emiliana, l'amministrazione Vignali decide di dar vita, nel 2010, al "Tavolo
immigrazione e cittadinanza", di cui fanno parte sei rappresentanti di
altrettante "comunità" straniere. Poi arrivano i Cinque Stelle e il nuovo
sindaco Federico Pizzarotti: per Parma si annuncia un'era nuova, gli
amministratori hanno volti giovani e riscuotono diffuse simpatie.
I sei membri del Tavolo sono fiduciosi, e chiedono subito un incontro al primo
cittadino: vogliono che il "nuovo corso" si apra all'insegna della
partecipazione dei migranti. Pizzarotti però prende tempo, dice che prima di
incontrarli preferisce aspettare la nomina dell'assessore al welfare. Quando
finalmente arriva l'assessore, i sei rappresentanti si fanno di nuovo vivi ma
nessuno risponde. E il silenzio dura un anno: quanto basta per far capire le
reali intenzioni della Giunta.
Così, Cleophas Adrien Dioma - presidente del fatidico "tavolo" - rassegna le sue
dimissioni. E siccome anche gli altri componenti fanno la stessa cosa, il Tavolo
viene sciolto dai suoi stessi membri: che anzi, in segno di protesta, decidono
di restituire al Sindaco le chiavi della loro sede.
Fin qui, la vicenda di Parma. Ma cosa succede altrove, in altre città? I
"tavoli" sono davvero, e ovunque, luoghi "inutili, non funzionali e non
rappresentativi"? Proviamo a dare un'occhiata.
Tavoli, consulte, consigli e consiglieri Quelli che Yalla Italia definisce
"tavoli" si chiamano, tecnicamente, "organismi di partecipazione". Il Testo
Unico degli Enti Locali, cioè la legge che regola la vita di Comuni, Province e
Comunità Montane, prevede all'art. 8 l'obbligo di istituire "organismi di
partecipazione popolare" (comma 1), nonché "forme di partecipazione dei
cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti"
(comma 5). La norma, come si vede, è abbastanza generica: non dice come devono
funzionare questi organismi, chi deve farne parte, come devono essere scelti i
membri, quanto durano in carica, se e come decadono. I Comuni (e le Province)
hanno ampi margini di autonomia. E così, ognuno finisce per sperimentare formule
diverse.
Le più diffuse sono quelle a carattere elettivo, chiamate - a seconda dei casi -
"consulta degli immigrati", "consiglio degli stranieri", con infinite variazioni
sul tema. Il corpo elettorale di questi organismi non è sempre lo stesso: a
volte si chiamano alle urne tutti i cittadini stranieri, altre volte ci si
limita ai soli non comunitari (come è accaduto a Modena, Bolzano, Perugia); in
molti Comuni emiliani si escludono gli immigrati con doppia cittadinanza
(italiana e straniera), mentre nell'area milanese i naturalizzati possono
tranquillamente votare ed essere eletti. Poi ci sono i cosiddetti "consiglieri
aggiunti", sperimentati per la prima volta a Nonantola, in provincia di Modena,
negli anni Novanta. Anche in questo caso, i cittadini stranieri sono chiamati
alle urne, ma non eleggono "consigli" e "consulte": devono scegliere, invece, un
rappresentante che siederà in consiglio comunale, con diritto di parola ma senza
diritto di voto. Una specie di "consigliere di serie B", in attesa che anche ai
migranti venga riconosciuto (chissà quando) un diritto di voto vero e proprio.
Quante sono le consulte, quanti sono i consigli, quanti i consiglieri aggiunti?
Quanto sono diffuse queste forme di partecipazione? Può sembrare bizzarro, ma la
risposta non c'è. Le uniche "mappature" in circolazione sono ben fatte,
ragionate e dettagliate, ma un po' vecchiotte: ne esistono due - una della
Caritas e l'altra dell'Asgi - che risalgono al lontano 2005. Per avere dati
aggiornati, bisogna fare riferimento alla rilevazione condotta dal portale
Integrazione Migranti (curato dal Governo italiano): è una ricerca ancora in
corso, quindi nulla di definitivo.
Secondo il portale, dunque, esisterebbero 14 Consulte regionali, 48 a livello
comunale e 19 su scala provinciale. I consiglieri aggiunti sarebbero in tutto
29. Non sono esattamente cifre da capogiro, se si pensa che l'Italia è famosa
per i suoi "ottomila comuni": certo, nessuno si aspettava ottomila consulte o
consigli, ma trovarne appena 48 non fa un bell'effetto.
Chi partecipa Ancora più disarmanti sono i dati sull'affluenza alle urne. Nel
novembre scorso, per dirne una, le elezioni a Cagliari sono state salutate come
un trionfo della partecipazione, un vero e proprio record: sono andati a votare
il 31% degli aventi diritto. Un anno prima, si era votato per la Consulta del
Comune di Padova, e la percentuale dei votanti si era fermata al 21,5%. Secondo
Marco Zurru, un sociologo cagliaritano che di queste cose se ne intende, "in
quasi tutte le esperienze, la prima volta che gli stranieri si sono recati alle
urne hanno dimostrato una partecipazione che oscilla tra un 30-34%, per poi
declinare a percentuali molto più modeste (intorno al 15%) nelle successive
tornate". Detta brutalmente, "consulte", "consigli" e "consiglieri"
rappresentano un quinto, un quarto o - quando va di lusso - un terzo del loro
elettorato potenziale. Un po' poco per parlare di rappresentanza.
Immigrati "qualunquisti"? Bisognerebbe interrogarsi sui motivi di questa
disaffezione al voto: certo, siamo in un periodo in cui l'astensionismo "tira"
anche tra gli italiani, ma le cifre (almeno per ora) non sono paragonabili.
L'impressione è che questi organismi siano percepiti più come una palestra per
aspiranti (e inutili) leader, che come reali strumenti di partecipazione. Anche
perché i loro poteri reali sono pressoché nulli: si tratta, ricordiamolo, di
organi "consultivi". Una conferma indiretta di questa sensazione ci viene da una
recente ricerca Parsec, condotta su un campione di associazioni di stranieri in
tre regioni italiane (Lazio, Calabria e Emilia Romagna: qui
il testo integrale).
Le associazioni censite sono circa 400: nel 36% dei casi si tratta di gruppi mononazionali (le cosiddette "comunità"), il 24% è plurinazionale e il 39% è
indicato come "interculturale" (cioè con la presenza di attivisti italiani).
I tempi dell'associazionismo "separato" stanno forse tramontando, e per i
migranti è arrivato il momento di una partecipazione piena e intera. C'è
bisogno, in altre parole, del diritto di voto, del coinvolgimento attivo nella
vita politica, non di una partecipazione "in tono minore", in organismi separati
e consultivi. Ed è ancora la ricerca Parsec a dirci che "in molti casi le
associazioni che partecipano a coordinamenti locali non prendono invece parte
alle consulte". Come dire che esiste un mondo di attivismo migrante che non si
riconosce negli "organismi di rappresentanza". Ed è anche da questo mondo, dalle
sue istanze e dai suoi bisogni, che nasce la provocazione di Yalla Italia:
rovesciamo i "tavoli", chiudiamoli. Voltiamo pagina. Facciamo due passi avanti.
È arrivato il momento.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: