Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1683 volte)
La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi
di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
This article was also published by news server
Denìkreferendum.cz.
-
Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert
Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se
non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del
news server Denìk referendum.
La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto
l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente
elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite
probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se
l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.
Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i
piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono
andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o
cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su
quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo.
Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di
proteggere la proprietà dai furti di metalli.
Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in
fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine:
"C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non
c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui.
Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare
lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una
vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."
Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme
su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una
settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla
poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da
Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e
impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che
qualcuno fosse venuto a giocare con loro.
Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella
palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a
sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché
aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti
sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai
giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio
assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in
televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."
E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era
crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e
la nipote della signora
Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice,
ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse
a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in
altri edifici della zona.
Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti
erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini
avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati
sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella
palestra.
Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni
selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno
ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la
situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.
La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari
abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi
edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono
chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.
Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie
era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più
lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due
gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.
Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della
Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le
privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare
contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.
Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che
vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI).
Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare.
Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.
Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì,
ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del
quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei
telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della
strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al
cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del
posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare
soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in
modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può
più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i
proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."
Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano
in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera
simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario -
ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un
importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che
di solito non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una
somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo
del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma
del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha
un valore parecchio inferiore alla somma erogata.
Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una
tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle
parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un
nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano
portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone
[99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai
truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo
punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata
e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."
Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini,
perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino
porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò
fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli
infissi.
Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di
guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco
con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della
zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una
villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.
Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per
renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto
il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono
deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva
notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per
riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.
Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione
Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di
speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché
negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di
housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le
conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli
residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."
Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il
comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di
recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di
niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."
"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso
proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli.
Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città
dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si
preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.
Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo
demolirei. Non c'è altra soluzione."
Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in
un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto
che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi
scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.
Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo
andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li
togliessero."
Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono
immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di
residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli,
premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora
risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti
avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a
perdere la speranza.
Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie
dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per
svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il
momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la
gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.
E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere
collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana
Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People
in Need.
Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10
anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10'
come un castello di carte."
All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli
altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui
problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero
potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il
problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.
Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad
essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni;
sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi
clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi
gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"
Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia
deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia
accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di
integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.
Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera
and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la
catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella
precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da
Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su
base individuale.
Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi
inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si
possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per
mantenere la riconciliazione sociale."
Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed
impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da
tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato
applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo
scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà
(Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi
indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo
dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.
Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano
di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo
su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta
stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è
parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è
impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."
Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami,
ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse.
"Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."
Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo
una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani."
Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente,
erano inutilizzabili perché troppo vaghe.
L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è
durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli
interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie
ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.
Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti
ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni
di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla
situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato
come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che
li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio
della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.
"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un
consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity).
"La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai
contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione
simile, nessuno se ne sarebbe curato.
"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi
improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati.
L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il
municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario
della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue
proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si
occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."
Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno
Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una
manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.
L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti
dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.
Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica.
Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo
ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare
l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.
Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la
"Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua
testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare
gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà,
presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione
per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e
degli affari sociali.
Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare
condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei
propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la
responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno
dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda
primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute,
trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei
figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."
Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom
Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la
polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli
assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì
arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano
concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le
famiglie allargate fossero state divise.
Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in
un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non
aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti
troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un
malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".
A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente
svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza
cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli
affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.
La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano
nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le
percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano
parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o
che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano
parecchio stressati. Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che
accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove
vivere!"
Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia,
erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva
intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli
occupanti avrebbero potuto trasferirsi.
All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente
l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato
stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove
appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il
comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed
il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.
Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà.
Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì
mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro
una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di
appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.
"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione,
trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà
aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con
l'inizio del fine settimana.
I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno
ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di
cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso
(in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.
La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI
scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a
recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione
che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse
prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di
Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione
sembrava disperata.
Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del
centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il
direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie
all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno
spazio agli occupanti.
Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova
residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa
con sentimenti contrastanti.
"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare
loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni
riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che
non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva
fare.
Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica
esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno.
Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non
portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste
situazioni," conclude.
Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle
organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per
risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non
era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da
fare e chi sfruttava il lavoro altrui.
La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi
attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti.
Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato
alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:
"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero,
dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné
Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in
fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per
i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo
tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo
vigili."
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:10:14, in media, visitato 2217 volte)
Lunedì 25 febbraio, ore 18.00
Biblioteca Crescenzago via don Orione 19 - 20132 Milano
Introduce e modera: Paolo Melissi (associazione Pluriversi)
Fabrizio Casavola (autore di Vicini Distanti) con alcuni abitanti del campo
rom comunale di via Idro, tutti nei panni degli imputati, risponderanno alle
vostre domande su perché gli zingari siano colpevoli di ogni malefatta. Se
avanza tempo, si racconterà anche come si vive e cosa si fa in un campo rom, e
sul rapporto che si è creato col mondo intorno.
Vicini Distanti (edizioni Ligera - 2012) è la cronaca di 20 anni di vita di una
comunità rom da sempre presente a Milano. Attraverso interventi di mediatrici
culturali, insegnati, giornalisti, dei Rom stessi, scorrono i vari aspetti della
loro vita: infanzia, scuola, lavoro... con gli innumerevoli tentativi, alcuni
riusciti e altri meno, di instaurare un dialogo e un modo di convivere con la
città attorno.
Dello stesso autore:
-
Luoghi comuni, guida turistica semiseria ai segreti, le
bellezze, i monumenti del campo rom comunale di via Idro.
-
Cocci: viaggio nell'Italia del 2012
PluriVersi è una associazione di promozione sociale che dedica le sue attività
al benessere psicofisico delle persone, e alla qualità dell'abitare e del
fruire di un luogo. Si occupa di promozione della culture e di valorizzazione
del patrimonio, ma anche di servizi per il benessere della persona, organizzando
servizi di supporto. L'associazione opera utilizzando un approccio
pluridisciplinare e pluriculturale.
Di Fabrizio (del 19/02/2013 @ 09:07:44, in media, visitato 1395 volte)
La rabbia civile di Danis Tanovic' di
Nicola Falcinella | Berlino 15 febbraio 2013 -
Osservatorio Balcani & Caucaso
Un'immagine tratta dall'ultimo film di Danis Tanovic'
Si chiude domani la 63esima Berlinale. E tra i premiati potrebbe esserci il
bosniaco Danis Tanovic', con una storia che racconta il dramma di una famiglia
rom bosniaca. Lo abbiamo incontrato a Berlino
Tanovic' perché ha scelto di fare un film su questa storia?
Ero arrabbiato. E la rabbia mi ha fatto tornare a quando facevo i documentari
durante la guerra. Come può succedere che in un Paese dove durante la guerra si
rischiava la vita per salvare degli estranei, una donna rischi di morire e
nessuno la aiuta? Sono padre e marito e mi chiedo come possa succedere. Che
siano rom è casuale. Ci sono tante famiglie così in Bosnia. Là tanti sono
discriminati. Io non lo sono e sono fortunato. Ma in Bosnia non si può fare
niente, non ci sono strategie, non si pensa al futuro, non c'è un sistema
sanitario.
Come ha girato?
Ho avuto la folle idea di far recitare loro due. Avevo 10.000 euro e mi sono
detto: con un budget così piccolo, se funziona bene, se no pazienza. Ero
totalmente libero, non avevo produzione o limiti. Ho chiamato il mio direttore
della fotografia Erol Zubcevic', il suo assistente e pochi altri. Filmavo la
loro vita, li seguivo mentre mangiavano, gli dicevo di fare quel che dovevano
senza fare caso a me. Non c'è stata quasi messa in scena, quando dovevano
ricostruire l'episodio accaduto lo giravamo una o due volte, perché alla terza
avrebbero iniziato a recitare. Per il resto non c'erano luci, non c'era trucco,
non c'era catering: sul set solo con il direttore della fotografia e il fonico.
Il resto della piccola troupe stava in una stanza di fianco al freddo o fuori.
Purtroppo anche nel fare un film sono sempre i soldi a fare la differenza. Non
volevo aspettare due anni per mettere insieme una produzione, volevo girare
subito, così ho scelto questa soluzione. Ho fatto un film da boy-scout, il primo
sorpreso di essere in concorso a Berlino sono io. Zubcevic' [direttore della
fotografia di "Snijeg" e "Buon ano Sarajevo" e a Berlino anche con "A Stranger"
di Bobo Jelchic'] quando ha saputo che era presidente di giuria Wong Kar-Wai si
è arrabbiato perché lo ama e non voleva fargli vedere questo film.
I protagonisti del film sono tutti quelli reali?
Tutti tranne i dottori, per ovvi motivi, che ho preso tra i miei amici. Non ci
sono effetti, non c'è nulla, è tutto reale. Nazif aveva davvero fatto a pezzi la
sua auto per vendere i rottami così abbiamo dovuto comprare un'auto molto simile
per smontarla. Sono rimasto sbalordito quando l'ho visto. Non avevo mai assisto
alla scena di uno che taglia la sua auto con l'accetta.
Com'è lo stato d'animo dei bosniaci ora secondo lei? C'è ancora l'energia del
dopoguerra?
Il mood è sul depressivo, ma anche altrove non è che ci sia allegria. Però c'è
ancora una grande vitalità nella gente. Nazif mi piace perché combatte: i
protagonisti non sono per niente patetici perché lottano, ed è il motivo che me
li fa amare. Penso di essere una persona aperta, sono di sinistra, ma il mio
contatto con i rom era limitato agli incontri per strada quando mi lavavano il
vetro dell'auto o mi chiedevano soldi. Sono grato a questa famiglia per avermi
fatto entrare nel loro mondo: sono persone orgogliose, buone. Da noi le persone
sopravvivono perché si aiutano, ci sono ancora le relazioni familiari e di
vicinato. Un po' come accadeva in Italia prima che diventaste ricchi. Ma ora
state tornando indietro.
Aveva qualche modello di altri film mentre girava?
I miei film preferiti sono italiani, quelli vecchi, i classici. In questo caso
ho pensato a "Ladri di biciclette". Piango ogni volta che lo rivedo.
Il film uscirà in sala?
È difficile distribuirlo, ne sono consapevole. Il pubblico chiede
intrattenimento, non vuole andare al cinema per vedere la vita reale, purtroppo.
Quanto aiuta vincere l'Oscar?
Aiuta molto se sei a Hollywood. A me al massimo danno un posto migliore in
aereo. Sono uno straniero, sono un regista bosniaco, uno si aspetta che sia
milionario e faccia film che costano milioni. Invece ogni volta è difficile e
bisogna ricominciare.
Su cosa sarà il prossimo film?
Non dico nulla, se non che sarà diverso. Già venerdì (oggi, ndr) inizio a girare
qui a Berlino per qualche giorno. È una città molto affascinante, per me è come
New York, è bella, ha un'atmosfera impressionante, soprattutto la notte. È
l'unico posto in cui mi sento a casa già prima di essere sceso dall'aereo.
E il suo impegno politico? Continuerà con il suo partito?
Mi sono dimesso dal Parlamento un mese fa perché dovevo fare il film. La
politica prende tempo, è un impegno grosso, richiede energie e io sono un
filmmaker. Ma la Bosnia è piccola, si è tutti vicini, per me la politica è
essere cittadino, far parte della comunità. E i miei amici e compagni di partito
continuano a lavorare per cambiare il paese, per estendere i diritti, anche ai
rom. Oggi se non sei musulmano o serbo o croato non hai rappresentanza e
dobbiamo cambiare.
Si sente ottimista o pessimista sulla Bosnia?
Sono profondamente ottimista e profondamente pessimista. Ho una relazione di
amore e odio con il mio paese, ci sono tornato a vivere da cinque anni, ho i
miei genitori, i miei amici. Anche i caffè sono importanti, a volte parliamo,
altre volte stiamo in silenzio e ciascuno legge il giornale per conto suo. Sono
un modo per stare insieme. Mia moglie è francese e si sorprende, ma noi stiamo
zitti senza che sia un problema puoi rimanere in silenzio solo con la gente con
cui stai bene.
Il festival e Tanovic
Danis Tanovic'
Una storia realmente accaduta, interpretata dagli stessi protagonisti della
vicenda reale. È la soluzione adottata dal bosniaco Danis Tanovic' per
raccontare il dramma vissuto da una famiglia rom bosniaca. "Epizoda u dzivotu
beracha dzeljeza - An Episode in the Life of an Iron Picker" è il quinto
lungometraggio del regista di "No Man's Land" e "Cirkus Columbia" ed è in
concorso alle 63 Berlinale che si conclude domani sera. Al fianco di quello
Tanovic' vi è un altro film dei Balcani, il romeno "Poziţia Copilului - Child's
Pose" di Cialin Peter Netzer. Entrambe pellicole che hanno chance di premio, il
romeno soprattutto per l'interpretazione di Luminita Gheorghiu madre assillante
di un trentenne che ha causato un incidente stradale.
Tanovic' racconta invece di Senada e Nazif, che vivono con due figli piccoli nel
remoto villaggio di Polijce. È inverno, fa freddo, c'è un po' di neve. In casa i
bambini guardano la televisione ma non c'è legna per la stufa. Il padre, che
lavora raccogliendo rottami di ferro con un parente, va nel bosco, taglia un
albero, lo fa a pezzi e ne porta alcuni per riscaldare la piccola abitazione.
Una scena semplice che dichiara tutto: la famiglia vive di pochissimo, non ha
nulla da parte, non può programmare, la coppia deve continuamente risolvere i
problemi quotidiani man mano che si presentano. Senada da parte sua prepara da
mangiare, accudisce i bambini, lava a mano i vestiti. Mentre stende il bucato,
la donna si sente male, cade, si rialza, è sola, raggiunge il divano e si mette
a riposo. A quel punto lo spettatore scopre che Senada è incinta per la terza
volta. I dolori non passano, il marito rientra, si interessa a lei, che resiste
stoicamente. Solo quando è troppo tardi salgono tutti sull'auto scassata per
raggiungere Tuzla.
Dall'ambulatorio la mandano all'ospedale, il bambino è perso, ma è necessario un
intervento chirurgico. Per chi non è coperto da assicurazione sanitaria
l'operazione costa 980 marchi (490 euro) e va pagata in anticipo. I medici sono
impermeabili alle richieste e alle preghiere dell'uomo, preoccupato per la
moglie. Ai due non resta che tornare mestamente a casa tra mille sofferenze di
lei. Nazif si mette a raccogliere ferro più che può, ma recupera pochi marchi.
Fanno un secondo tentativo in città ma va a vuoto, neppure l'intervento
dell'associazione che aiuta i rom può nulla. Non resta che chiedere a una
parente che ha la polizza e tentare all'ospedale di Doboj.
È un film molto bello, molto intenso, che fa sentire allo spettatore,
fisicamente, la dedizione e l'affetto di lui, vero protagonista, e la sofferenza
di lei. Un film minimale e aderente ai personaggi, uno stile che sembra
documentaristico ma non lo è, Tanovic' si discosta molto dai precedenti per
cercare l'essenziale, il nocciolo del rapporto tra i due, fatto di piccoli
gesti, intese tacite, una relazione rafforzata dalla condivisione delle
sofferenze. E in più le discriminazioni e soprattutto l'esclusione sociale: i
soldi salvano la vita.
Un film che ha qualcosa del Vittorio De Sica di "Ladri di biciclette" e "Umberto
D", che ricorda "La morte del signor Lazarescu" di Cristi Puiu per l'odissea
sanitaria, il cinema del pedinamento dei fratelli Dardenne e la testardaggine
dei ragazzini dei film iraniani anni '90 di Abbas Kiarostami o Jafar Panahi.
Nazif chiede aiuto ma non pietà, ha una grande dignità, una caparbietà senza
pari. E il regista lo mostra tal quale, nella sua vita reale, senza orpelli e
senza ricatti morali. Non c'è commiserazione ma c'è compassione, nel senso che
l'ora e 20 scarsa di film è di sofferenze insieme ai protagonisti. E il finale è
un ricominciare nella sopravvivenza.
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:04:12, in Italia, visitato 1305 volte)
Corriere Immigrazione - di Sergio Bontempelli
Allarmi strategici, politiche securitarie ed esclusione dei migranti: una
ricerca sul caso di Pisa, ex città rossa molto tentata ormai dal rosa cipria.
Corriere Immigrazione si
è già occupato del "caso pisano". Piccola città
dell'Italia centrale, roccaforte dell'elettorato "rosso" e con una robusta
tradizione di sinistra, a suo tempo "patria" del Sessantotto e dei movimenti
studenteschi, negli ultimi anni Pisa è divenuta l'epicentro delle "politiche di
sicurezza": Marco Filippeschi, Sindaco Pd eletto nel 2008, ha dichiarato guerra
a rom e venditori ambulanti senegalesi, facendo delle "politiche securitarie" la
cifra del suo agire amministrativo.
In un bel libro uscito da pochi giorni (Xenofobia, sicurezza, resistenze.
L'ordine pubblico in una città "rossa", edizioni Mimesis), il giovane
ricercatore Tindaro Bellinvia ha fatto di Pisa un vero e proprio "case study":
ricostruendo non solo gli eventi - ordinanze, campagne di stampa, sgomberi e
"retate" di polizia - ma anche il loro significato più ampio.
La volpe e il porcospino: due modelli di città
"Ci sono società urbane più simili alla volpe e altre che assomigliano al
porcospino: le prime favoriscono la varietà, la coltivano e la incrementano; le
seconde investono in una sola direzione, verso cui orientano il loro sviluppo".
Così l'antropologo Ulf Hannerz, citando un verso dell'antico poeta greco
Archiloco, identifica due modelli possibili di governo del territorio.
Secondo Bellinvia, le politiche locali a Pisa hanno guardato al modello del
"porcospino": hanno costruito cioè "un'economia tutta incentrata
sull'accoglienza dei turisti e delle élite in cerca di luoghi raffinati e
rassicuranti". Dismessa ogni vocazione industriale (Pisa è stata per decenni una
"città operaia" sede di importanti fabbriche), le politiche urbane si sono
rivolte al turismo, e ai connessi investimenti immobiliari: alberghi, ville,
residenze di lusso, persino un porto per gli yacht sul litorale tirrenico...
Il "marchio" della città e la sicurezza-spettacolo
In questo modello di governo locale, diventa decisivo il "marchio" della città.
O, per usare le parole di Bellinvia, il suo "rating". Si deve cioè diffondere la
fama di una sede tranquilla, immune da conflitti: un luogo ideale dove
un'azienda possa effettuare un investimento, una famiglia benestante trasferire
la propria residenza. L'"immagine" della città diventa un tassello decisivo per
il suo sviluppo.
In una logica di "marketing", bisogna quindi promuovere il "decoro", la
"rispettabilità". Le classi pericolose - i poveri, i migranti, i "marginali"
-
devono essere nascoste, come si nasconde la polvere sotto il tappeto:
allontanate dal centro, ammassate nei piccoli comuni del circondario, a loro
volta trasformati in "luoghi dell'eccedente umano".
Soprattutto, si dovranno mettere al bando le attività che compromettono
l'"immagine pubblica" di Pisa: l'elemosina, la vendita ambulante, i senza fissa
dimora che dormono alla Stazione, i rom che si "accampano" in periferia, i
poveri che fanno la fila alle mense della Caritas. E si dovranno compiere gesta
spettacolari: esibite al mondo, come si esibisce il "marchio" di un prodotto da
vendere.
Di qui la logica delle "ordinanze", finalizzate non al governo di fenomeni
sociali ma, appunto, all'esibizione spettacolare. Le "gesta"
dell'amministrazione comunale hanno un carattere provocatorio, a tratti persino
ridicolo (perché anche il ridicolo serve a far parlare di sé...). Per
allontanare i venditori ambulanti si emette l'ordinanza "antiborsoni", con
severissime sanzioni per chi si aggiri nel centro storico munito di grosse borse
(!); per cacciare i senza dimora si multa la suora che porta da mangiare ai
poveri della Stazione; per sbarazzarsi dei rom si fanno sgomberi in stile
militare; e per le prostitute si punisce l'abbigliamento femminile che "offenda
la pubblica decenza e il decoro".
"Volpi" pisane: c'è chi dice no
In questo modo Pisa - ma lo stesso fenomeno ha riguardato molte altre città - ha
perso una caratteristica fondamentale dell'"Italia di mezzo", cioè dei territori
"rossi" della Toscana e dell'Emilia: quella di "di far convivere diverse
tipologie di attività economiche e culturali". Per usare le parole di Hannerz,
Pisa diventa "porcospino" e dismette la sua storica identità di "volpe".
Ma le "volpi" continuano a esistere. Le politiche del Sindaco Filippeschi,
infatti, sono state fortemente contestate da un ventaglio molto ampio di
"cittadini attivi": studenti, professionisti ed esperti di urbanistica, docenti
universitari e intellettuali, organizzazioni di volontariato e comunità
migranti.
Il vero e proprio cuore pulsante di questa "resistenza" è stato, secondo
l'autore del volume, il Progetto Rebeldia: un network di trenta associazioni,
che fino al 2010 ha avuto sede nel quartiere della Stazione (molto frequentato
dai migranti e per questo "epicentro" degli interventi repressivi del Comune).
Le associazioni di Rebeldia hanno organizzato non solo un'opposizione radicale
alle politiche securitarie - avviando tra l'altro azioni legali contro le
ordinanze di Filippeschi - ma anche forme di socialità e di cultura alternative:
nel quartiere della Stazione, Rebeldia ha rappresentato un luogo di incontro tra
migranti e "nativi", concretizzatosi in momenti conviviali, feste, cene popolari
e competizioni sportive.
Una "guerra di simboli"
Rebeldia ha dunque mantenuto in vita l'idea di una città "volpe". Ma ha
soprattutto avviato quella che Anna Maria Rivera chiamerebbe una "guerra dei
simboli": ed è qui che l'analisi di Bellinvia si rivela particolarmente
originale e feconda. Per l'autore del volume, la "sicurezza" è un insieme di
discorsi e di significati socialmente costruiti. Solo per fare un esempio, non è
affatto naturale che un senza fissa dimora sia percepito come un problema di
"sicurezza", come una minaccia all'incolumità dei "cittadini": perché questo
avvenga, occorre che si diffonda un senso comune che associa la povertà alla
pericolosità. E proprio associazioni mentali di questo genere sono diffuse da
giornali e televisioni, così come da Sindaci e politici.
In altre parole, la "sicurezza" è un "codice simbolico": non un dato di fatto ma
una percezione, alimentata dalla comunicazione pubblica e dai mass-media. Per
contrastarla, dice Bellinvia, occorre "dotarsi di un codice simbolico
alternativo". E proprio questo hanno fatto le "volpi" che si sono opposte alle
politiche del Sindaco.
Per il momento, la guerra è stata vinta dai "porcospini", cioè
dall'amministrazione comunale. Ma Bellinvia dubita che si tratti di una vittoria
definitiva: "non crediamo", scrive, che "perseguitare sbandati e persone
sospette diminuirà l'insicurezza. Pensiamo piuttosto che questa ossessione per
il controllo porterà nuove paure e nuovi timori". La volpe, qui, sembra
destinata ad essere come la talpa di cui parlava Marx: avanza silenziosamente,
sembra sparita... e poi salta fuori quando meno te l'aspetti!
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:08:18, in Regole, visitato 2058 volte)
Stranieriinitalia.it - Avv. Mascia Salvatore
Non è un opinione, è un crimine punito dalla legge. Ecco come riconoscerlo e
combatterlo
11 febbraio 2013 - Il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la
religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di individui o gruppi, è un pregiudizio, una forma
irrazionale di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla
legge italiana.
La costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3
recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E per cittadini si
intendono anche quelli stranieri che si trovano nel nostro Paese.
Infatti, in base all'art. 2 del T.U. n. 286 del 1998, ai cittadini extraue
"comunque presenti sul territorio", lo Stato deve garantire il rispetto dei
diritti inviolabili dell'uomo, che rientrano nella categoria dei diritti civili.
L'uguaglianza tra le persone è alla base di ogni società democratica la quale
deve, quindi, provvedere attraverso le proprie istituzioni a prevenire e
tutelare l'intera collettività da atti o comportamenti discriminatori.
Espressione di questa esigenza sono le innumerevoli leggi a livello nazionale,
comunitario e internazionale, che nel corso degli anni hanno gettato le basi per
contrastare sempre più il razzismo (L. 654/1975; D. Lgs. 215/2003 e D. Lgs.
216/2003 attuativi di direttive comunitarie; D. Lgs. 198/2006).
Considerata la gravità di tale fenomeno, sono previste delle pene molto dure per
i colpevoli.
Secondo la legge n.654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa
fino a 6.000 euro.Mentre chiunque commette o istiga a commettere atti di
violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Riconoscere le discriminazioni
Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge
italiana discriminatorio (art.43 del d.lgs. 286/98).
Possono essere considerati fattori di discriminazione anche i motivi linguistici
o di provenienza geografica.
Si tratta di un comportamento illegittimo anche se non è intenzionale, perché
comunque distrugge o compromette il riconoscimento, il godimento o l'esercizio
dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Spesso è difficile valutare ciò che è considerata discriminazione e quindi
razzismo. Per questa ragione la legge si è preoccupata di definire meglio questo
concetto oltre che di fornire una tutela specifica per quelle discriminazioni
che si verificano nei luoghi di lavoro e nei rapporti con le pubbliche
amministrazioni o con esercenti commerciali.
Compie un atto di discriminazione:
1) il pubblico ufficiale che nell'esercizio delle sue funzioni compia o ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
2) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o
servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenenza ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità (prezzi differenziati al bar);
3) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di
fornire l'accesso al lavoro, all'abitazione, all'istruzione, alla formazione e
ai servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia , soltanto in ragione della sua condizione di straniero o
di appartenente ad un determinata razza, religione, etnia o nazionalità
(locazione di immobili);
4) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali compiano qualsiasi atto o
comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche
indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad
un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una
cittadinanza.
Cosa fare quando si subisce una discriminazione
Azione Civile
Chi è stato vittima di un atto discriminatorio da parte di un privato o di un
ufficio pubblico può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare
la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti
della discriminazione.
A tal fine la vittima della discriminazione può presentare, personalmente o
avvalendosi di un Avvocato o di un associazione, un ricorso presso la
cancelleria del Tribunale Civile della città in cui dimora A supporto delle
prove fondamento del ricorso possono essere forniti anche elementi desunti da
dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti,
patti o comportamenti discriminatori (es. assunzioni, regimi contributivi,
assegnazione delle mansioni e qualifiche, trasferimenti, licenziamenti, ecc.
dell'azienda interessata).Spetta poi al convenuto (colui che ha commesso l'atto
discriminatorio) provare l'insussistenza della discriminazione. Il giudice, una
volta accertato che c'è stato un atto discriminatorio, accoglie il ricorso
ordinando che si ponga fine al comportamento discriminatorio e che ne vengano
rimossi gli effetti. Potrà inoltre condannare il colpevole a risarcire i danni
eventualmente subiti, anche non patrimoniali Il giudice può, inoltre, ordinare
la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto,
su un quotidiano di tiratura nazionale. In caso di condanne a carico di datori
di lavoro che abbiano avuto dei benefici monetari sia statali che regionali, o
che abbiano contratti di appalto per l'esecuzione di opere pubbliche, servizi o
forniture, il giudice comunica i provvedimenti alle amministrazioni che hanno
disposto la concessione del beneficio o l'appalto. Il beneficio può, quindi,
essere revocato e, nei casi più gravi di discriminazione, può essere disposta
l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni (finanziarie o creditizie) o da qualsiasi appalto.
Se l'ordinanza del giudice non viene appellata entro 30 giorni, diviene
definitiva a tutti gli effetti.
Azione Penale
Insieme al diritto di chiedere la cessazione del comportamento, è prevista la
possibilità di presentare una denuncia/querela al Tribunale Penale del luogo in
cui si è verificato l'evento oggetto del reato con cui chiedere l'arresto di chi
commette una discriminazione.
Anche in questo caso il giudice, dopo aver accertato la responsabilità di chi ha
commesso il reato, può disporre il risarcimento dei danni materiali e morali a
favore della vittima del reato che si sia costituito parte civile nel processo.
Inoltre il giudice può disporre, ulteriormente alla pena, sanzioni accessorie
che prevedono obblighi particolari per il colpevole.
Questi potrà essere obbligato a prestare attività non retribuita a favore della
collettività per finalità di pubblica utilità; potrà prevedersi la sospensione
della patente di guida, del passaporto e di documenti validi per l'espatrio per
un periodo non superiore ad un anno; potrà disporsi il divieto di partecipare ad
attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative.
Con questa traduzione, anche Barbara Breyhan inizia la
collaborazione con Mahalla. Benvenuta!
DORTMUND - Lavoratori ridotti in miseria - di Sibylle Fuchs, 5 febbraio 2013
Due settimane fa il programma televisivo ARD_Monitor ha trasmesso un
servizio sconvolgente,
che ha mostrato con quale freddezza sociale e con quale disprezzo la città di
Dortmund e le istituzioni ecclesiastiche in questa città, rispondano
all'indigenza dei lavoratori emarginati dell'Europa sudorientale.
L'estrema povertà dei paesi, da cui questi lavoratori cercano di
fuggire, è stata consapevolmente provocata dall'Unione Europea. La povertà serve
da leva affinché anche in paesi ancora benestanti, come Germania o Francia, il
tenore di vita della classe operaia si abbassi in maniera significativa.
I reporter Isabel Schayani ed Esat Mogul sono stati per una giornata insieme ad
Ercan, un Rom della città bulgara di Plovdiv, che ha inutilmente tentato di
trovare un lavoro malpagato tra quelli che vengono offerti nel cosiddetto "Arbeiterstrich"
nella Mallincksrodttrasse della città di Dortmund
("Arbeiterstrich" viene chiamato in tedesco un incrocio stradale nel quale
braccianti dell'Europa sudorientale ciondolano durante la giornata, aspettando
che qualcuno passi e offra loro un lavoro, quasi sempre sottopagato, ndr).
Da quando Ercan è arrivato, una settimana fa, è riuscito a trovare lavoro
soltanto un'unica volta. Con i soldi che ha guadagnato per un trasloco è
riuscito appena a ripagare i debiti contratti per il viaggio in autobus dalla
sua città d'origine fino in Germania.
Da quando i loro paesi di provenienza sono paesi membri dell'UE, i lavoratori
bulgari e rumeni che aspettano un lavoro sull'Arbeiterstrich soggiornano in
maniera regolare in Germania, ma finora è loro impedito un altrettanto regolare
lavoro. Nonostante ciò, soltanto nel 2011 sono arrivati in Germania 200.000 tra
bulgari e rumeni per prestare servizio come lavoratori a giornata.
Dall'entrata di bulgari e rumeni nell'UE nel 2007, anche a Dortmund ne sono
arrivati a migliaia. Giorno dopo giorno si mettono per strada e sperano che un
automobilista si fermi e li prenda con sé. Nei loro paesi di origine hanno perso
il lavoro con la liquidazione delle imprese statali ed hanno perso qualsiasi
speranza di lavoro. Se sono fortunati, sull'Arbeiterstrich viene offerto loro un
lavoro pesante per una paga misera. Questo estremo sfruttamento dei lavoratori
rom fa parte dell'intensificazione sistematica dello sfruttamento della classe
operaia in tutta l'Unione Europea.
Molti rom o non hanno un alloggio o sono costretti a vegetare in alloggi indegni
in abitazioni malandate, note a Dortmund come "Ekelhäuser" (case che fanno
ribrezzo, ndr.). O si tratta di abitazioni occupate, dalle quali possono essere
cacciati in qualsiasi momento, oppure sono costretti a pagare 30 euro a notte ai
proprietari di casa per un posto-letto, spesso solo dei lager con dei materassi
in appartamenti sovraffollati. Gli impianti sanitari e le cucine o sono guasti o
del tutto insufficienti per la moltitudine di persone stipate nelle case.
Il sovraffollamento delle abitazioni porta in breve tempo a sporcizia e
condizioni igieniche insostenibili. Di regola i proprietari di casa ordinano dei
contenitori per rifiuti troppo piccoli per l'immondizia creata dal gran numero
di inquilini. Si dice che in una casa fosse presente soltanto un servizio
igienico per 19 appartamenti e che fosse privo di acqua corrente.
Ercan ha lavorato per 22 anni come scaricatore in un'azienda, ma poi, come accade
per la maggior parte dei rom, è stato licenziato.
Ercan è a Dortmund da una settimana. Non ha nemmeno i soldi per telefonare a sua
moglie. Quando è arrivato qua, ha trovato un posto letto in una casa. Un rumeno
gli disse di essere il portiere e che avrebbe potuto pernottare nella casa per
quattro o cinque giorni. Ma quando la sera è rientrato per pernottare, ha
trovato porta e finestre sbarrate. Le sue cose sono rimaste dentro. Adesso gli
sono rimasti soltanto gli abiti che porta addosso.
Per via delle temperature sottozero ha bisogno di un posto dove farsi la doccia
e dove stare al caldo. La troupe televisiva lo accompagna, con telecamera
nascosta, alla Diaconia, l'ente assistenziale della chiesa evangelica. Viene
respinto. Un uomo gli mostra un foglio con scritto: "I bulgari qui non possono
farsi la doccia".
"Ma loro lo sanno benissimo", dice l'uomo, "ma ritornano sempre! E a me tocca
sempre mostrare di nuovo questo foglio! Sanno leggere? E' la loro lingua! Niente
doccia!".
Reporter: "Niente doccia. Allora, qui bulgari e rumeni non possono farsi la
doccia. Tutti gli altri sì?". Uomo: "Sì".
Da una responsabile dell'Diakonischen Werks Dortmund und Lünen i reporter hanno
ricevuto la spiegazione che, in effetti, esisterebbe presso il pronto soccorso
un servizio apposito per le emergenze per chi ha bisogno di farsi la doccia, ma
che al momento la Diaconia sarebbe equipaggiata in maniera molto ristretta per
quanto riguarda la disponibilità delle docce.
La troupe televisiva ed Ercan vengono quindi semplicemente rimandati all'ufficio
Consulenza Migrazione, aperto al pubblico alle ore 13:00 per un'ora. Alla
domanda della reporter sul perché Ercan non possa farsi la doccia si ha il
seguente dialogo.
Uomo: "Infatti, farsi la doccia assolutamente no". Reporter: "Perché no? Allora
chi può farsi la doccia?". Uomo: "Soltanto tedeschi, gli immigrati no".
Ci sarebbe un posto in cui anche agli immigrati è permesso farsi la doccia, ma
soltanto tre volte la settimana.
Mentre fuori ci sono temperature gelide, Ercan incontra gli stessi problemi per
il pernottamento. Accompagnato dai reporter, tenta di chiedere la possibilità di
pernottamento presso gli alloggi di fortuna dell'ufficio dell'assistenza sociale
per uomini. Anche qui è ospite indesiderato.
Uomo: "Bulgaro? Rumeno?". Ercan: "Bulgaro". Uomo: "Oh! No sleep here! Solo
Dortmund, only Germany". Reporter: "Perché?". Uomo: "E' solo per tedeschi, solo
per abitanti di Dortmund. Non per bulgari o rumeni. Purtroppo è così: non
possiamo permetterlo". Reporter: "Per questo esiste una spiegazione?". Uomo: "E'
così purtroppo. Queste sono le regole che ci arrivano dall'ufficio
dell'assistenza sociale della città di Dortmund".
L'unica cosa che l'uomo propone ad Ercan è di tornare alle ore 23:30: "A
quell'ora il collegio ed io decideremo se potremo lasciarlo dormire qui. A quel
punto, però, rappresenterebbe un'eccezione per questo singolo caso, se proprio
fuori dovesse fare troppo freddo. Okay? Di più non posso fare".
Ercan passa la notte in un internet café. La mattina seguente decide di
ritornare nel suo paese di origine. I reporter gli hanno dato il denaro
sufficiente.
Questo non è stato il primo servizio televisivo sulla condizione dei rom a
Dortmund. Due anni fa un altro caso ricevette l'attenzione della stampa. Una
giovane rom, che voleva provvedere al mantenimento della sua famiglia con il suo
lavoro di prostituta,venne lanciata fuori falla finestra da un suo brutale
cliente. Sopravvisse, ma restò invalida. Il corrispondente televisivo prese il
suo caso come occasione per richiamare l'attenzione sulle orribili condizioni di
vita dei rom. Mostrò anche la loro disperata situazione nei paesi di origine.
Molti dei rom arrivati a Dortmund con gli autobus provengono dal quartiere
Stolipinovo di Plovdiv. E' uno dei più grandi ghetti rom dei Balcani. Vi abitano
45.000 rom - che parlano soprattutto turco - in edifici prefabbricati senza
corrente elettrica né acqua.
Le loro condizioni di vita sono notevolmente peggiorate dal crollo dei regimi
stalinisti nell'Europa dell'Est, perché essi, per prima cosa, hanno perso il
lavoro.
Per poter restare in Germania per più di tre mesi, un bulgaro o un rumeno deve
poter presentare un contratto d'affitto, il permesso di soggiorno per cittadini
comunitari e un'assicurazione sanitaria. La maggior parte di coloro che arrivano
qua non hanno la più pallida idea di come ottenerli. Per i cittadini di questi
paesi, la totale libertà di circolazione e la garanzia legale di poter trovare
un lavoro varranno soltanto a partire dal 2014. Per ora possono trovare lavoro
soltanto in proprio. Alcuni tentano di lavorare come commercianti di rottami
metallici, ricavati da autovetture o vecchie pattumiere. Altri non trovano di
meglio che chiedere l'elemosina o essere introdotti nella criminalità.
Addirittura alle mense la maggior parte di loro non può ricevere niente, in
quanto va esibita una tessera con cui dimostrano di ricevere contributi sociali.
Molte donne hanno trovato di che vivere lavorando come prostitute. In passato
più di 700 donne avevano denunciato la loro attività lavorativa come prostitute;
nel Strassenstrich ("marciapiede", "quartiere a luci rosse" - in cui, in
Germania, è consentito esercitare la prostituzione, ndr.) della Ravensbergersrasse,
pensato originariamente per 50 donne, arrivavano a lavorare contemporaneamente
fino a 120 prostitute. Con i soldi guadagnati erano in grado di assicurare
un'esistenza dignitosa alle loro famiglie in Romania o Bulgaria.
Lo Strassenstrich è stato tuttavia chiuso nel 2011 e la prostituzione è stata
vietata su tutto il territorio della città di Dortmund. Il provvedimento avrebbe
dovuto scoraggiare un afflusso più ampio di immigrati dalla Bulgaria. Il
prefetto di Dortmund, Ingo Moldenhauer, spiegava: "Deve arrivare fino in
Bulgaria il segnale che qui non si può più guadagnarsi da vivere con la
prostituzione".
Adesso la prostituzione viene esercitata illegalmente in case-bordello. Le
assistenti sociali, che prima si occupavano delle prostitute aiutandole ad
ottenere mezzi contraccettivi o organizzando corsi di lingua tedesca, ora non
hanno più alcuna possibilità di aiutarle. Nel frattempo adesso si rincorrono
voci che potrebbe essere di nuovo autorizzato lo Strassenstrich.
Le terribili condizioni abitative negli "Ekelhäuser" hanno fornito un pretesto
per politici populisti e di destra per campagne sobillatrici contro immigrati
sia sulla stampa locale che sul web, campagne che nella terminologia ricordano
la propaganda nazionalsocialista.
Il telegiornale del 2 aprile 2011, in un servizio, così descriveva un gruppo di
inquilini rom: "Rubano, irrompono nelle case, lasciano danni da riparare e
confermano concretamente i pregiudizi esistenti su di loro." Hubert Scheuer, ex
sindacalista, è dell'opinione che chi non si difende, soccombe.
Invece di chiedere ai proprietari delle case di assumersi le proprie
responsabilità e di combattere contro lo strozzinaggio degli affitti
esorbitanti, si preferisce insultare i rom che vivono in condizioni disumane.
Alcuni rom che abitavano nelle "case problematiche" sono stati nel frattempo
sfrattati tramite le forze dell'ordine. L'impresa comunale della città di
Dortmund, la DOGEWO, ha comprato 7 case e sta risanando 65 alloggi. Ne
seguiranno altri. I rom senzatetto dell'Arbeiterstrich non saranno in grado di
pagare i prezzi d'affitto di questi alloggi.
Dortmund non è un caso unico. In molte grandi città della Germania accade la
stessa cosa. Nelle stesse condizioni vivono anche i rom a Duisburg, dall'altro
lato del territorio della Ruhr: più di 6000 rom, provenienti dalla Bulgaria e
dalla Romania, nelle stesse condizioni disumane.
I politici borghesi e i mezzi d'informazione rappresentano come responsabile
essa stessa, per la propria grave situazione, questa parte più povera della
popolazione che lavora e ne promuovono la deportazione. La campagna sobillatrice
razzista contro i rom viene fomentata consapevolmente dalla borghesia allo scopo
di dividere la classe operaia e di ostacolare la solidarietà di classe. I
lavoratori europei non lo devono permettere. Solo una difesa anche delle parti
più oppresse della classe operaia può impedire che questi attacchi non vengano
poi estesi a tutti gli altri e diano spazio a forze di destra e fasciste.
Di Fabrizio (del 22/02/2013 @ 09:09:21, in Europa, visitato 1696 volte)
Il consiglio che spese 7 milioni di sterline per sgomberare i traveller
da Dale Farm, vorrebbe costruire il nuovo campo a meno di 800 metri - By JAMES RUSH
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PUBLISHED: 15:22 GMT, 11 February 2013
- Il consiglio di Basildon diceva di non voler premiare le
azioni illegali
- Dal 2001 le autorità sono state coinvolte in 10 anni di
battaglie legali
- A ottobre 2011 spesi 7 milioni di sterline per
sgomberare il sito di Dale Farm
Il consiglio che ha speso oltre 7 milioni di sterline per sgomberare il campo
traveller di Dale Farm, finisce nel mirino per aver dato via libera ad un nuovo
sito posto sul lato opposto della strada.
Il consiglio di Basildon si è trovato coinvolto in una battaglia legale
decennale dal 2001, dopo che ai traveller venne consentito di espandersi
illegalmente in un ex discarica a Crays Hill,
Essex.
(Oltre alle spese per lo sgombero, la battaglia legale su Dale Farm è
costata alla comunità di Basildon ben 18 milioni di sterline, lievitati ad oltre
20 dopo lo sgombero di ottobre. Sulle tante questioni legali del terreno
occupato e della sua destinazione d'uso, vedi questi articoli precedenti:
Uno,
Due,
Tre,
Quattro,
Cinque,
Sei. ndr.)
Ma dopo aver speso milioni in un durissimo sgombero ad ottobre 2011, i
consiglieri hanno ora approvato un nuovo sito di sosta, situato a neanche 800
metri di distanza.
Progetto: il consiglio di Basildon Council ha approvato un nuovo sito per
travweller (cerchiato in rosso) ad appena 800 metri da Dale Farm
(perimetrato in blu)
Sfrattati: I traveller continuano a vivere in un viottolo che conduce ai sei
acri del sito di Dale Farm, a oltre 15 mesi dallo sgombero
Scontri hanno infiammato gli animi durante lo sgombero di ottobre 2011
Le autorità hanno difeso la loro azione odierna, negando che i traveller siano
stati premiati per la loro illegalità.
Len Gridley, 53 anni - da oltre dieci vive accanto a Dale Farm, è sbottato:
"I conti non tornano! Si parla di costruire un mini-sito, quando tutti sanno che
ci sono oltre 20 carovane sistemate sulla strada che porta a Dale Farm o da
quelle parti. Il consiglio sta spostando il problema senza volerlo risolvere.
Non accettano di aver affrontato in maniera pessima il problema con lo sgombero,
ed ora stanno nascondendo i loro risultati sotto il tappeto."
Costoso: Lo sgombero di ottobre 2011 è costato al consiglio di Basildon 7
milioni di sterline
Violenze: lo sgombero ha visto oltre 300 poliziotti in tenuta antisommossa e
centinaia di ufficiali giudiziari impegnati nell'ex discarica in un operazione
di prima mattina, che ha portato a scontri sanguinosi e violenti
Revisione: E' atteso per fine mese un rapporto dell'Agenzia per l'Ambiente
sui contaminanti pericolosi a Dale Farm
"Dale Farm è in condizioni peggiori di quando ci vivevano illegalmente i
traveller."
I traveller continuano a vivere illegalmente in una strada chiusa accanto a Dale
Farm, ad oltre 15 mesi dallo sgombero.
Nei prossimi mesi è atteso un rapporto dell'Agenzia per l'Ambiente sui
contaminanti pericolosi - inclusi amianti e olii industriali.
Vista aerea del sito di Dale Farm, prima dello sgombero di ottobre 2011.
L'area illegale abbandonata è marcata in rosso
I progetti approvati per il nuovo sito includono 15 piazzole per carovane
doppie, in una proprietà governativa su terreno incolto ad appena mezzo miglio
di distanza, a Gardiners Lane South, Basildon.
Il piano, approvato giovedì dalla maggioranza del consiglio, potrebbe ospitare
non oltre 80 traveller, che attualmente vivono in carovane all'ingresso del sito
illegale.
Vista aerea di Dale Farm, per cui il consiglio di Basildon ha spento 7
milioni di sterline per sgomberare i traveller ad ottobre 2011
Toni Ball, leader del consiglio di Basildon, ha detto:
"Vorrei ripetere che
questo sito non è una soluzione alla questione di Oak Lane, dove i traveller
stanno tuttora vivendo illegalmente, mentre i posti verranno assegnati in base
alle esigenze locali. Non siamo qui a premiare chi si è comportato illegalmente.
Da sempre siamo impegnati a lavorare con le comunità zingare e traveller, per
trovare luoghi adatti dove possano vivere, come ogni altro settore della
comunità. E' importante aver lavorato in accordo con la Home and Communities
Agency (HCA) e gli sviluppatori, per essere sicuri che questo sito sia avviato
correttamente e che le piazzole siano assegnate sulla base delle necessità.
Vogliamo prendere il terreno in affitto dalla HCA e subaffittarla poi alla Home Space
Sustainable Accommodation (HSSA), per mantenere il controllo del sito."
Il piano approvato include 15 piazzole per due carovane ognuna, su un
terreno governativo incolto
U Velto (foto da
La Gazzetta di Mantova)
Respingo
le accuse strumentali dell'assessore provinciale Elena Magri e la invito a
leggersi le relazioni inviate annualmente. Per l'annualità 2012 è stato chiesto
all'associazione Sucar Drom di prolungare l'annualità 2012 fino al mese di
febbraio 2013, noi eravamo contrari perchè tale scelta ci ha esposto
finanziariamente in maniera evidente per mantenere i servizi richiesti dai
territori. Nel mese di marzo sarà inviata la rendicontazione. Inoltre,
sottolineo che non è mai giunta all'associazione, dall'Assessore Elena Magri,
nessuna richiesta di spiegare come è condotta la mediazione culturale. Ricordo
però all'assessore che la stessa Provincia di Mantova ha pubblicato il libro “la
mediazione culturale: una scelta, un diritto” dove è spiegato come
l'associazione conduce la mediazione culturale.
Ritengo scorretto spostare l'attenzione pubblica su qualcosa di inesistente per
coprire la propria ostilità all'unica proposta seria e concreta su come offrire
un habitat diverso da un ghetto a famiglie mantovane.
L'assessore Elena Magri non è riuscita a formulare in due anni una proposta: ne
per la chiusura del cosiddetto “campo nomadi”, ne per implementare la
scolarizzazione, ne per tutelare le culture sinte e rom e neppure per aiutare le
famiglie sul tema fondamentale del lavoro. Dopo un primo incontro con le donne
sinte l'assessore è sparita, ma può incontrare le mantovane e i mantovani
appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e rom, quando vuole. Certo, c'è
almeno da convocare le persone e quindi un piccolo sforzo è da fare; come quello
di mandare una comunicazione ufficiale della avvenuta stipula di un protocollo
d'intesa agli Uffici competenti ed è ridicolo pensare che l'Ente Provincia di
Mantova non sia in grado di mandare una semplice comunicazione. Io penso che non
l'abbia voluto fare.
Al contrario l'unica proposta che ho sentito dall'Assessore Magri è quella di
non chiudere il cosiddetto “campo nomadi”. Proposta fatta al Tavolo “Men Sinti”
alla presenza di tutti i partner che si sono guardati negli occhi stupiti e
scioccati perchè eravamo in procinto di firmare il protocollo d'intesa con
l'obiettivo di smantellare l'area di viale Learco Guerra. Ogni commento è
superfluo.
L'assessore Elena Magri spieghi ai mantovani, in particolare ai sinti, cosa
intende fare sui temi della scuola, dell'abitare, del lavoro, della cultura, ma
lasci all'associazione Sucar Drom il diritto di indire manifestazioni dove e
come lo ritiene opportuno nel rispetto della legge. Io non ricatto nessuno e
quindi respingo al mittente tale accusa. L'associazione Sucar Drom ha fatto in
questi anni decine di manifestazioni per mettere in evidenza le mancanze di
Assessori di tutti i colori politici, ma per l'assessore Elena Magri il dissenso
verso le sue mancanze sono da bollare come ricatti. La stessa identica tesi
ideologica delle frange più xenofobe mantovane.
L'associazione Sucar Drom non svolge solo attività di mediazione culturale, ma
svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo lo rivendico con forza e decisione
perchè è chiaro a tutti che senza tale ruolo la situazione a Mantova non sarebbe
diversa da quella di altre città lombarde. E' chiaro che anche dentro alla
sinistra i bisogni espressi dai cittadini italiani, appartenenti alle minoranze
sinte e rom, non sono bisogni legittimi. Gli stereotipi e i pregiudizi che
pervadono la società italiana non vedono le persone che si professano di
sinistra immuni. A peggiorare le cose c'è un'idea che le questioni debbano
essere affrontate sull'onda delle emozioni e poi abbandonate al loro destino. Il
lavoro quotidiano di condivisione e di cammino anche nei momenti più difficili è
un concetto che non appartiene a molti perchè è più semplice fare il solito
progettino dove le questioni sono affrontate in maniera superficiale. Io le
affronto in tutta la loro complessità con passione e serietà e non solo un
pomeriggio alla settimana per un paio di mesi. Se non fosse così l'associazione
che ho formato, insieme a tanti altri mantovani appartenenti alla minoranza
sinta, non avrebbe la credibilità che invece ha a Mantova e non solo.
di Carlo Berini, vice presidente dell'associazione Sucar Drom
CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Domenica 3 marzo
2013. h. 16.30
Nella splendida cornice della Sala Verdi del Conservatorio di Milano, Claudio
Bisio, insieme a un ensemble urbano-sinfonico-multiculturale e ai colori di
bellissimi acquarelli, ci racconta le avventure di Pierino, di un bruco e di
come, insieme, diventano farfalla contro la prepotenza e contro ogni forma di
pregiudizio e di solitudine.
Una prima esecuzione, un evento unico, organizzato in collaborazione con il
Conservatorio di Milano e i cui proventi saranno devoluti alla ONLUS Soleterre,
organizzazione umanitaria che da 10 anni si occupa di diritti umani, con una
particolare attenzione a bambini e ragazzi.
Pierino e il bruco è una storia contro il bullismo che valorizza la ricchezza
della diversità, in tutte le sue forme. Una storia per grandi e piccini. Una
storia in cui, chi ha trascorso del tempo guardando le nuvole, non può non
ritrovare anche se stesso nelle vicende del nostro protagonista.
L'autore delle musiche è Stefano Corradi, il cui percorso artistico va dalla
musica classica al jazz con un grande amore per la "musica del mondo". Questa
varietà è il frutto di intense collaborazioni con diversi gruppi multiculturali
come la StageOrchestra di Moni Ovadia, l'Orchestra di Via Padova e la Bantu
Band, collaborazioni di cui ha voluto portare testimonianza nello spettacolo di
Pierino e il bruco coinvolgendone alcuni musicisti.
Sul palcoscenico ci saranno quindi artisti di diverse provenienze, sia culturali
che geografiche. I grandi solisti jazz Tino Tracanna, Giovanni Falzone e Bebo
Ferra affiancati dal fisarmonicista rom Albert Mihai, dagli studenti del
Conservatorio fino al percussionista ivoriano Pegas Ekamba, formeranno
un'orchestra di circa 30 musicisti che accompagneranno Pierino in un viaggio
variegato ed emozionante, dove sono i piccoli gesti a costruire le singole
esistenze e salvare il mondo.
La storia è stata scritta da Laura Rossi, la cui esperienza attinge al mondo del
teatro e dei ragazzi. E' passata per il Piccolo Teatro di Milano, frequentando
l"Officina degli scrittori" e il Masterclass diretto da Luca Ronconi, per il
teatro Franco Parenti e la StageOrchestra di Moni Ovadia come assistente alla
regia. Ha condotto per diversi anni laboratori teatrali per studenti delle
scuole medie e superiori. E' autrice del libro "L'identità e la maschera", un
confronto tra le figure femminili in Ibsen e Pirandello.
I "colori" delle musiche sono anche i colori delle scenografie, realizzati da
Jacopo Ziliotto, illustratore, visualizer, autore di fumetti, creativo.
Apertura porte h. 15,30
Inizio spettacolo h.16,30
Biglietto: 15,00 euro intero; 10,00 euro ridotto per ragazzi fino a 16 anni.
Prevendite, dal 12/2/2013 on-line su:
VivaTicket
CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Per Informazioni e prenotazioni:
lun-ven h 13,00 – 14,00 / sabato 10,00-13,00 - tel 3343149628
E-mail : info@lagrandejatte.it
www.pierinoeilbruco.it
www.soleterre.org/it/
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