Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 12/04/2012 @ 09:50:50, in Regole, visitato 1505 volte)
Da
Roma_Daily_News
L'articolo completo è su
Migrationonline.cz
Ai Rom cittadini comunitari è vietato chiedere asilo in un altro stato
membro, ma questo potrebbe cambiare in futuro. Per dimostrare che i Rom
dovrebbero essere trattati in modo più equo, l'articolo sottolinea il fatto che,
secondo una recente decisione della Corte irlandese, negare l'istruzione ad
un bambino rom, per la Convenzione di Ginevra è una forma di persecuzione (vedi
QUI ndr)), cosa che potrebbe portare ad un interessante precedente.
I Rom in quanti cittadini provenienti da stati membri UE sono esclusi dalla
possibilità di richiedere asilo in un altro stato membro. Il sistema di asilo UE
su procedure, condizioni di accoglienza e direttiva sulle qualifiche che si
applicano esclusivamente a paesi terzi. La logica alla base di ciò sarebbe che
tutti gli stati membri seguono gli standard internazionali sui diritti umani e
la non-discriminazione. Presunzione, però, che è andata distrutta in diversi
contesti dal caso MSS (e confermato dal caso NS e ME, presentato alla Corte
Europea di Giustizia), secondo cui i paesi membri UE non possono automaticamente
presumere che gli standard dei diritti umani siano rispettati negli altri stati
membri, quando si tratta di rimpatri, secondo il Regolamento di Dublino.
Argomenti simili potranno ora essere usati dai Rom richiedenti asilo nella UE.
Inoltre, un recente caso irlandese avrebbe confermato che la negazione
dell'istruzione primaria, secondo la Convenzione di Ginevra comporterebbe
persecuzione. Situazioni simili possono ritrovarsi nella Repubblica Ceca,
Slovacchia ed Ungheria.
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La Stampa Quattro mesi fa l'assalto alle baracche della Continassa. Le prime
foto la ritraevano in lacrime. Ora lavora con i bimbi
09/04/2012 - MARIA TERESA MARTINENGO - TORINO
Andriana, al centro Vides Main delle Vallette, i bambini ormai la chiamano
«maestra». Ogni pomeriggio pulisce, mette in ordine, fa giocare i piccoli mentre
i fratelli grandi fanno i compiti e le madri chiacchierano nel salone. È una
«maestra» con le trecce lunghe, la gonna colorata fino ai piedi. E la pazienza
di chi di bimbi ne ha cresciuti parecchi e sa che cosa li fa divertire o
annoiare. Andriana Tudor è la giovane mamma rom che la sera del rogo della
Continassa, e nella desolazione dei giorni seguenti, è stata fotografata con la
sua bellissima Maria tra le braccia davanti alle rovine dell'accampamento
abitato da una cinquantina di persone.
Quando l'odio razzista è esploso come a Torino non era mai successo, Andriana si
è nascosta dietro ad un cespuglio di rovi ed è rimasta lì per un tempo
incalcolabile, con la mano premuta sulla bocca di Maria perché non piangesse.
Perché gli esaltati che stavano appiccando il fuoco ad ogni baracca
apparentemente abitata, non sentissero la loro presenza. In quel momento, la
paura di Andriana era doppia: delle fiamme e di soffocare la sua bambina.
L'incubo che ritorna
«Uscite che vi bruciamo», sono le parole che le rimbombano nella testa. Quattro
mesi dopo, questa donna di 29 anni sta entrando - assistita da uno psicologo -
in un nuovo capitolo della sua vita. Attraverso la rete di solidarietà che si è
creata intorno agli abitanti del campo, l'associazione Idea Rom e la Comunità di
Sant'Egidio sono riusciti a darle la speranza di una svolta con un lavoro e una
casa. «Ho sempre desiderato lavorare, uscire dal campo, dare una prospettiva di
vita diversa ai miei figli. Ma non sapevo come fare, a chi rivolgermi», spiega
Andriana nel salone delle Figlie di Maria Ausiliatrice, frequentato ogni
pomeriggio da oltre cento bambini e ragazzi italiani e si origine straniera
assistiti nello studio da educatori e volontari.
La solidarietà
«Paradossalmente, da un grande male è nato per qualcuno un po' di bene», dice
Vesna Vuletic, presidente di Idea Rom, la mediatrice culturale che ha conosciuto
Andriana subito dopo il rogo e non l'ha più abbandonata. La sera del 10 dicembre
e nei giorni seguenti le famiglie della Continassa avevano ricevuto molta
solidarietà espressa con numerose visite: il ministro Riccardi, l'arcivescovo,
don Ciotti e don Fredo Olivero, padre Lucian Rosu, il rabbino capo, volontari di
tante associazioni. La Comunità di Sant'Egidio è rimasta, insieme ad altre e ad
alcuni singoli. «La Compagnia di San Paolo aveva dato immediatamente un
contributo di cinquemila euro - ricorda Vesna Vuletic -: con la sottoscrizione
pubblica curata e vigilata dal Centro Sereno Regis sono arrivati alla fine poco
meno di novemila euro. Con questo denaro sono state assistite sette persone con
contributi mensili, sono stati rifatti all'estero documenti andati distrutti, si
è avviato l'inserimento lavorativo di Andriana». Ancora: «È stata la Comunità di
Sant'Egidio a trovare, sul mercato, il monolocale dove Andriana spera di
accogliere anche il più piccolo degli altri quattro figli che vivono in Romania.
Nei prossimi giorni, poi, un'altra donna della Continassa dovrebbe entrare in
una casa».
Diversi ma uguali
«Al lavoro - dice Andriana tutti mi trattano bene, nessuno fa caso ai miei
vestiti. Sento che qui le persone mi accettano per quello che sono, per quello
che posso dare». Nel salone dove i bambini mangiano le fette di pane e
marmellata preparate da nonna Lucia, aggiunge: «Purtroppo tanta gente non si
fida dei rom. Eppure, chi ci dà lavoro sa tutto di noi, ha i nostri documenti.
Perché dovremmo tradire la sua fiducia, mettendoci nei guai da soli? Tanti
giovani, vogliono fare una vita diversa da quella dei nostri genitori, sperano
davvero di lavorare. A me piacciono i bambini, credo che sarei una brava baby
sitter».
Ogni pomeriggio suor Carmela apre il centro che si popola via via di bambini che
escono da scuola. Prima del loro arrivo, Andriana riordina. «I bambini la
chiamano "maestra" - dice suor Carmela - ed è normale... Nessuno sottolinea le
differenze: le Vallette sono cambiate da quando, vent'anni fa, noi suore siamo
arrivate. Ora sono il mondo».
Il monolocale azzurro
Finito il lavoro, Andriana fa salire Maria sul passeggino e dopo un lungo
viaggio in autobus, mamma e figlia ritornano nel minuscolo appartamento azzurro
che la Comunità di Sant'Egidio ha trovato. «Per me è un po' strano vivere sola,
ma col tempo, se potrò avere qui anche un altro dei miei figli, mi abituerò».
«Noi di Sant'Egidio - racconta Daniela Sironi - siamo andati alla Continassa
dopo aver appreso la notizia dell'incendio. Andriana era l'unica con una bambina
così piccola. Occuparci di lei ci sembra una restituzione, saldare un debito che
la città ha. Cerchiamo di farla uscire dalla marginalità: ce la può fare, ha
volontà e intelligenza. La accompagneremo per il tempo necessario, il salto che
deve fare è grande».
Trovare soluzioni
Giulio Taurisano di Idea Rom: «Anche altri possono sperare in una vita meno
misera, sono tantissime le persone che chiedono di uscire dai campi. Eliminare i
campi vorrebbe anche dire attenuare l'esasperazione dei residenti, perché è
innegabile che un campo porti dei problemi. Oggi alla Continassa sono rimaste 19
persone, 19 che hanno rischiato di morire. Per loro non solo la società civile,
ma anche il governo del territorio dovrebbe trovare soluzioni».
Di Fabrizio (del 14/04/2012 @ 09:15:49, in Italia, visitato 1295 volte)
CivitaNews - di dr. Nazzareno Guarnieri
Nell'anno 2003 con altri amici abbiamo avviato il "progetto federazione" al
quale abbiamo dedicato tempo e risorse personali per promuovere il suo sviluppo.
Con le iniziative del progetto federazione sono emerse con chiarezza le
motivazioni che impediscono il perseguimento di obiettivi utili alla causa romanì italiana, e le difficoltà per una
"riforma morale, intellettuale e
politica" essenziale allo sviluppo della cultura romanì e alla partecipazione
attiva e qualificata di rom e sinti.
Motivazioni e difficoltà anche per la partecipazione attiva di rom e sinti, in
questi anni pessimamente interpretata e realizzata, ponendola al rischio di
delegittimazione.
Motivazioni e difficoltà che mi hanno convinto alle dimissioni da presidente
della Federazione romanì e ad abbandonare la stessa associazione per progettare,
con alcuni amici, una radicale evoluzione del progetto federazione con la
costituzione di una fondazione, denominata Fondazione romanì Italia con sede
legale a Roma in Via Z. Fontana n. 220, per sostenere e/o realizzare azioni di
sistema visibili ed utili alla causa romanì.
Una fondazione aperta, con le modalità previste dallo statuto, a tutti coloro
che condividono le finalità e lo scopo.
Il materiale di comunicazione della fondazione è stato progettato da un'agenzia
di comunicazione gestita da un giovane rom, ed è in corso di realizzazione.
Il 03 Maggio 2012 è stata programmata, a Roma, la presentazione pubblica della
fondazione.
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Sarajevo il 2 aprile, visto attraverso il foro di uno shrapnel di 20 anni fa
The New York Times Sarajevo delle tensioni permanenti -
by EMMA DALY*
SARAJEVO, Bosnia and Herzegovina - Visitare un insediamento rom a nord di
Sarajevo settimana scorsa è stato come tornare al tempo di guerra - cinque
persone in piccola stanza, la legna accatastata in un angolo, la stufa in un
altro, un consunto divano che serve da letto.
Elettricità fornita da un sistema improvvisato, una "finestra" di teli di
plastica col logo dell'ONU e l'acqua fredda che scorre in un bagno comune.
Ovviamente, niente armi e nessuna esplosione, ma una familiare litania di
lamentele: "Non abbiamo cibo, lavoro, niente di niente."
La guerra che rese popolare il termine "pulizia etnica" iniziò 20 anni fa,
quando i cecchini serbi spararono contro pacifici manifestanti a Sarajevo.
In poche settimane, la città fu assediata e le immagini televisive di europei
che morivano scioccarono l'occidente - anche se non abbastanza da agire prima
che fossero passati quasi quattro anni e decine di migliaia fossero i morti.
Ma nel 1995, ii leader delle fazioni in guerra si riunirono nella base
militare USA di Dayton, Ohio, per concordare un accordo di pace che ponesse fine
ai combattimenti - e condannando la Bosnia ad un futuro basato su politiche
etniche.
Gran parte della città è stata ricostruita, anche se i segni dei proiettili e
degli incendi ancora marcano come cicatrici strade ed edifici, come i parchi
dove furono seppelliti i morti parlano del costo umano.
Nonostante la pace, la Bosnia Erzegovina rimane un paese profondamente diviso
lungo linee etniche, basate non solo su dispute preesistenti, ma anche sulla
separazione per etnie nella vita pubblica e politica. Secondo la costituzione
del dopoguerra, i cittadini "costituenti" sono identificati in Bosgnacchi
(conosciuti come Bosniaci musulmani durante la guerra), Croati e Serbi. Non c'è
spazio per le minoranze di Bosnia.
Ho passato due anni a Sarajevo per trasmettere la guerra, e sono tornata
settimana scorsa per il XX anniversario e lanciare il rapporto Human Rights Watch,
"Cittadini di seconda classe" che precisa la discriminazione contro le minoranze
nazionali, o "altri". Si pensa rappresentino sino al 5% dei 4 milioni di
abitanti di Bosnia - soprattutto Rom, ma anche Ebrei, Ucraini ed altri originari
dai paesi dell'est e sud-est Europa.
Molta di questa discriminazione deriva dalla costituzione del 1995, redatta
in inglese dai negoziatori di pace americani, che ha istituito un sistema di
governo basato sull'appartenenza etnica e che esclude questi gruppi dalle alte
cariche politiche.
I Rom, che sono di gran misura la più grande minoranza nazionale in Bosnia
Erzegovina, soffrono sproporzionalmente questa discriminazione etnica. La
discriminazione diretta contro i Rom presente nella struttura politica, rafforza
la discriminazione indiretta cui spesso si trovano di fronte nell'accesso a
sevizi come alloggio, cure sanitarie, istruzione ed impiego.
"Durante la guerra era dura per tutti," dice Muljo Fafulic, che gestisce
un'organizzazione rom. "Nessuno aveva cibo o elettricità, si viveva nella paura,
eravamo tutti nello stesso fango. Oggi non è così, ma per i Rom le condizioni
rimangono davvero difficili."
Di certo non sono solo le minoranze a vivere ancora come rifugiati - circa
5.600 degli oltre 100.000 rimanenti sfollati rimangono in centri collettivi
squallidi ed angusti, assistiti dall'ONU. In un quartiere periferico di
Sarajevo, tenuto dai Serbi durante la guerra ed ora parte dell'entità
"Repubblica Serba" all'interno della Bosnia, incontriamo dei Serbi di Sarajevo
che ancora non sono tornati nelle loro case d'anteguerra, ad un paio di
chilometri di distanza.
Una donna che vive in una stanza con i suoi genitori e i due bambini, sarebbe
felice di andare nel settore bosniaco-croato, se trovasse un appartamento e un
lavoro, cosa non facile quando il tasso nazionale di disoccupazione viaggia sul
40%.
"Non avrei problemi a vivere in un quartiere misto - sono nata a Sarajevo e
prima della guerra non sapevamo chi fosse cosa," dice. "Questa è la Bosnia
Erzegovina, un unico paese."
Secondo la costituzione, non ci sono "Bosniaci". Ma provate a dirlo a chi
proviene da matrimoni misti o non vuole essere etichettato come Bosgnacco,
Croato o Serbo, perché non crede nelle politiche etniche.
Jakob Finci, Ebreo, e Dervo Sejdic, Rom, (vedi
QUI ndr)
hanno provato a candidarsi alle alte cariche, ma sono stati rigettati su base
etnica ed hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il
tribunale ha riconosciuto che l'esclusione politica delle minoranze nazionali
costituisce un'illegittima discriminazione etnica. Nonostante questa sentenza
del 2009, la costituzione non è stata cambiata.
Sarajevo appare certamente come una moderna città europea, nuove torri di
vetro, ingorghi e luccicanti centri commerciali si mischiano con le strade
acciottolate dei vecchi quartieri ottomani e lo splendore austro-ungarico. C'e
persino un evento del tipo
Occupy Sarajevo, una manciata di tende piantate di fronte all'edificio del
parlamento, dove furono sparati i primo colpi della guerra 20 anni fa.
E' un raduno dei veterani di tutte e tre le fazioni combattenti, alcuni
ancora in uniforme, uniti in una protesta comune per chiedere le pensioni che
furono loro promesse per il loro servizio in tempo di guerra. Un segno di
speranza, è uno dei pochi luoghi in Bosnia dove tutte le parti lavorano assieme.
Ma finché la Bosnia non riscriverà la sua costituzione per togliersi le
etichette etniche, sarà dura vedere come si riunirà il resto del paese.
Emma Daly is communications director at Human Rights Watch. She covered the war
in Sarajevo for the Independent.
La provincia pavese - Casteggio, sinti da tutto il Nord Italia per i
funerali del leader di Piazzale Europa di Anna Ghezzi
CASTEGGIO. Sinti ce n'erano almeno ottocento a riempire la piazza della chiesa
di Casteggio, ma tra loro anche i pavesi - e non solo - che con Paolo Casagrande
hanno lavorato, condiviso un pezzo di strada, progettato nuove sfide per far
vivere il campo di piazzale Europa e l'integrazione con la città. Le serate di
conoscenza, i progetti per i più piccoli, lui era il contatto con istituzioni e
le associazioni.
Settanta corone di fiori rossi, bianchi, gialli, viola, arancio da cui, nel
corteo lunghissimo, verso il cimitero, sono stati tolti i fiori, e gettati per
terra, secondo la tradizione. Cappelli tradizionali,secchi di petali che le
ragazze gettavano in terra al passaggio del feretro di paolo Casagrande, 52
anni, diretto successore della regina Mafalda e leader del campo nomadi di
piazzale Europa. È morto potando un albero pericolante sopra la roulotte della
suocera, lasciando nello sconforto tutta la comunità.
La chiesa piena, i bambini del campo vestiti da chierichetti sull'altare a
cantare sulle note della chitarra dell'amico Davide Gabrieli di Trento.
Sull'altare c'era don Vittorio Pisotti, parroco del Sacro Cuore: «È il nostro
parroco - spiega Aurora Casagrande, la decana della famiglia, sorella di Paolo -
ci vuole bene. Ha celebrato tutti i nostri funerali». Da lui un saluto commosso:
«Era una persona così attenta, così piena di fede. Lascia un ricordo speciale,
era sempre disponibile ad aiutare prima di tutto la sua comunità, ma non solo».
A fianco di fra Franco Marocchi di Canepanova anche padre Rafaelangel Radice:
«Con Paolo, chiunque arrivasse al campo era accolto come un fratello», ricorda
il frate, che ora è a Busto Arsizio ma spesso tornava a Pavia. C'era anche don
Massimo Mostioli, una figura di riferimento: «È uno di noi, parla la nostra
lingua», raccontano amici e parenti. All'uscita dalla chiesta un corteo di fiori
e canti, la musica della banda di Noceto (Parma) che scandiva il ritmo con
canzoni funebri alternati a canti popolari come "Rose rosse per te". Fino al
cimitero: davanti alla bara la foto di Paolo con Papa Benedetto XVI, la lettera
di saluto inviata al campo dopo l'incontro a Roma. E poi la corona di rose
screziate con il nome con cui lo conoscevano tutti i sinti: Zito.
Di Fabrizio (del 16/04/2012 @ 09:53:19, in sport, visitato 1300 volte)
Da
Roma_Daily_News
Today's Zaman Non ci sono diritti umani per i Rom - by
ORHAN KEMAL CENGİZ
Sono molto bravo a calcio balilla. L'ultima partita è stata negli USA durante un
viaggio. I miei concorrenti furono davvero sorpresi per il mio talento. Che ci
crediate o no, da giovane ero ancora meglio.
Quando andavo alle superiore, nella nostra scuola c'era uno studente rom.
All'inizio del corso, capii che nessuno voleva sedersi vicino ad Hasan. Ero
l'unico a condividere con lui una panca o un tavolo. Con gli anni diventammo
buoni amici. Suo padre aveva un negozio di biliardini e dopo un po' di tempo
iniziammo ad andare in negozio tutti i giorni. In quanto amico di Hasan, per me
giocare era gratis. Fu così che diventai un campione. In quell'anno, non solo
imparai a giocare a calcio balilla, ma divenni anche cosciente di ogni tipo di
vergognoso pregiudizio verso i Rom. Gli altri alunni mi sussurravano alle
orecchie ogni tipo di pregiudizio sui Rom, per disturbare la mia amicizia con
Hasan.
Mi sono ricordato di tutto ciò mentre leggevo l'eccellente rapporto di Thomas Hammarberg,
commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa (CoE), "Diritti umani di
Rom e Viaggianti in Europa", appena pubblicato. Quando l'ho letto, ho capito che
non è cambiato quasi niente dalla mia infanzia, riguardo ai pregiudizi sui Rom.
Come sottolinea Hammarberg nel suo rapporto, non ci sono miglioramenti nella
situazione complessiva in Europa, in cui "le discriminazioni e gli altri abusi
nei diritti umani contro i Rom... si sono aggravati e nessun governo europeo può
vantare risultati di successo..."
Vorrei anche condividere con voi alcune parti che sottolineerei nel rapporto di Hammarberg:
"I Rom sono stati collettivamente stigmatizzati come criminali, in dichiarazioni
sorprendentemente ampie, anche nei tempi recenti. Un esempio è la Francia, dove
il governo ha deciso di deportare i migranti rom..."
Richiama l'attenzione sui collegamenti tra dichiarazioni xenofobe ed attacchi
contro i Rom in Europa: "La disgraziata retorica di alcuni candidati nel corso
delle elezioni 2008 in Italia, è stata seguita da brutti incidenti di
violenza..." E naturalmente anche i media: "Anche gli stereotipi antizigani
continuano ad essere diffusi e perpetuati dai media di tutta Europa. Numerosi
giornali e media radiotelevisivi riportano dei Rom... soltanto in contesto di
problemi sociali e crimini."
Le discriminazioni nell'istruzione, nell'alloggio, nell'impiego e nella vita
quotidiana sollevano tutte grande preoccupazione: "Diverse migliaia di Rom in
tutta Europa non sono stati scolarizzati, in toto o in parte... politiche che
separano a scuola i bambini rom dagli altri in diversi stati membri del
Consiglio d'Europa (...) Discriminazioni nell'accesso all'alloggio riportate in
diversi stati membri, spesso prendendo forme come il diniego dell'accesso
all'affitto pubblico e privato su piani di parità, o persino il rifugio di
vendere case ai Rom (...) La discriminazione endemica combinata con l'istruzione
di bassa qualità, sembra vanificare gli effetti delle emergenti politiche
d'impiego rivolte ai Rom (...) Vengono segnalate discriminazioni nell'accesso ad
alberghi, discoteche, ristoranti, bar, piscine pubbliche ed altre strutture
ricreative..."
In questo rapporto, non solo
Hammarberg ci illustra i problemi dei Rom, ma sviluppa anche alcuni consigli
utili se non provocatori. Come questo: "Dovrebbero stabilirsi delle commissioni
inquirenti in diversi paesi europei, per stabilire la verità sulle atrocità di
massa contro i Rom. Idealmente, questo dovrebbe essere un impegno pan-europeo.
Un resoconto completo ed il riconoscimento di questi reati, potrebbero in
qualche modo ripristinare la fiducia dei Rom verso la società maggioritaria."
Raccomando a tutti i miei lettori di leggere e riflettere su questo rapporto.
Di Fabrizio (del 17/04/2012 @ 09:17:57, in Italia, visitato 2071 volte)
Domenica sera è tornato il fuoco, a distanza di 10 giorni, a riprendersi ciò che
era rimasto dell'insediamento
di via Sacile, che ora non esiste più. Il racconto di chi c'era:
Milanoinmovimento
Di
nuovo a fuoco il campo rom di Via Bonfadini! Aggiornamenti in diretta e foto.
a cura di Karma Mara
23.30 Una cinquantina di persone accetta una sistemazione provvisoria di una
notte presso la Caritas.
23.00 Una parte degli abitanti del campo si rifiuta di accettare la soluzione
che li vedrebbe per una notte presso la Caritas (che offrirebbe loro un tetto ma
non posti letto): la loro preoccupazione è quella di trovare una nuova area e
non una sistemazione temporanea per la notte. Chiedono alle autorità la
possibilità di accamparsi presso il Parco Lambro o di restare nell'area
bruciata.
L'amministrazione rimane ferma sulle sue proposte invitando le famiglie ad
accettarle, pena lo sgombero.
La protezione civile porta tea e biscotti, ma nessuna tenda. Gli assessori
Granelli e Majorino contatteranno domani mattina le associazioni per cercare di
gestire l'emergenza.
22.30 L'amministrazione propone di suddividere gli abitanti del campo in tre
grandi gruppi, senza separare le famiglie da sistemare rispettivamente pquesta
notte alla Caritas, alla Ceas e dai Francescani di via Saponara. Ancora da
capire quale sarà la soluzione per i giorni a venire soprattutto dal momento che
l'area non è più considerata agibile ed è stata sigillata.
22.09 Si susseguono le testimonianze, sembra proprio che il tempo intercorso tra
le chiamate d'emergenza e l'arrivo dei soccorsi sia stato particolarmente lungo
e soprattutto che all'inizio i vigili del fuoco erano in numero e con mezzi
palesemente al di sotto delle necessità…come dire: hanno voluto che il campo
finisse di bruciare del tutto? Questa la domanda pesantissima che ci si sta
ponendo.
21.45 Gli Assessori Comunali, in accordo con gli abitanti del campo, stanno
procedendo ad un censimento delle persone per capire quante siano. Si parla di
trovare una soluzione per stanotte anche se ancora nessuno dice quale potrebbe
essere. Nel frattempo alcune donne del campo contiguo hanno detto agli Assessori
che le prime fiamme sono state viste alle 20.00 e la prima telefonata ai vigili
del fuoco è stata fatta alle 20.05. Chiedono quindi come mai i primi soccorsi
siano arrivati solo alle 20.30 visto e considerato che dovevano giungere da
piazzale Cuoco che è a poche centinaia di metri dal campo.
21.33 Sono arrivati gli Assessori comunali Granelli e Majorino. Si attende di
capire se e cosa proporranno per affrontare la situazione d'emergenza in atto.
Alcuni volontari intanto si sono recati alla vicina parrocchia, sembra per
chiedere delle coperte per le persone che hanno perso tutto. Sembra inoltre che
poco fa la Polizia abbia portato via un abitante del campo che affemava di aver
visto la dinamica che ha portato all'incendio.
21.20 E' di nuovo in fiamme il campo rom di Via Sacile Bonfadini.
Dopo l'incendio di alcuni giorni or sono in questo momento si stanno di nuovo
propagando le fiamme.
Le prime voci parlano di un incendio causato da una persona del campo, sembra in
stato di ubriachezza, si dice si tratti di un gesto di disperazione e fronte di
una situazione ormai ancor più drammatica del solito.
Gli abitanti del campo sono ora in mezzo alla strada, nei pressi di una rotonda
dove hanno ripreso a circolare i tir e senza alcun posto dove andare.
C'è un'autopompa dei vigile del fuoco, diverse macchine dei carabinieri, si dice
stia arrivando l'assessore Granelli del Comune di Milano.
|
La sera stessa su
Facebook, appare un messaggio di
Pierfrancesco Majorino,
assessore alle politiche sociali del comune di
Milano:
il campo rom di via sacile è andato a fuoco.
siamo qui con l'assessore granelli e alcuni
volontari che ringraziamo. Stiamo cercando
soluzioni per la notte. Aspettiamo già la solita
accozzaglia di razzisti che da domani ci dirà di
lasciarli,anche i bambini, al loro destino. |
La distruzione pressoché totale dell'insediamento, mette anche a
tacere
i sospetti e le indagini che sarebbero nate dal primo incendio del 4 aprile
scorso. Nel frattempo si era anche aperto un dialogo tra occupanti del campo,
associazioni ed amministrazione comunale. Sulla situazione attuale:
Milanoinmovimento Aggiornamenti dal campo rom di via Sacile
Anna Pellizzone e Karma Mara
Terra bruciata. Quello che rimane del campo di via Sacile sono una distesa di
macerie e qualche baracca sopravvissuta. Centinaia di uomini, donne e bambini
sono rimasti senza tetto e alla situazione di emergenza immediatamente
successiva all'incendio dovrà far seguito necessariamente una soluzione più
definitiva. Proprio in queste ore le autorità stanno discutendo come affrontare
la situazione.
Le associazioni, che questa mattina erano al campo, hanno chiarito che le
persone che ieri sera non volevano in prima battuta passare la notte presso la
Casa della Carità di Don Colmegna - anche in seguito ad esperienze passate che
hanno visto l'affidamento dei minori ai servizi sociali con separazione dalle
famiglie - hanno infine accettato di recarsi al Ceas del Parco Lambro (Centro
Ambrosiano di Solidarietà).
Le difficoltà nei rapporti tra la comunità Rom e la Casa della Carità hanno
origine durante la precedente amministrazione, quando la fondazione di Don
Colmegna, in particolare in occasione dell'incendio al campo Rom di via
Triboniano del 2007, aveva avviato una stretta collaborazione con la Giunta
Moratti applicando il Patto di Legalità, in linea con il criticato Decreto
emergenza - noto come Piano Maroni - dichiarato poi illegittimo dal Consiglio di
Stato nel novembre 2010.
Il Decreto Emergenza e tutti i decreti attuativi ad esso successivi prevedevano
la nomina di commissari speciali, autorizzazioni di allontanamenti, sgomberi e
schedature. Non stupisce quindi che il ricordo di quegli anni abbia spinto molte
famiglie a rifiutare di dormire sotto il tetto della Casa della Carità.
Il presunto responsabile dell'incendio sembra sia stato identificato e forse
catturato ieri sera in zona Rogoredo in seguito a una collaborazione tra gli
abitanti stessi del campo e le forze dell'ordine.
Sempre secondo quanto appreso ieri sera, le famiglie rom questa mattina saranno
scortate al campo per recuperare i pochi averi non compromessi dalle fiamme,
mentre l'area sarà a breve interessata da una bonifica integrale che aprirà la
strada alla ripresa dai lavori di fognatura.
Quello che rimane da chiarire è la ragione del ritardo dei Vigili del Fuoco
denunciato da alcuni presenti. Secondo alcune testimonianze raccolte da Milano
in Movimento questa mattina tra la chiamata ai pompieri e l'arrivo della prima
autopompa è infatti trascorsa circa mezz'ora, nonostante la stazione dei vigili
del fuoco si trovi in piazzale Cuoco a poche centinaia di metri dal campo
bruciato.
«Siamo andati a chiamarli anche di persona recandoci alla stazione», hanno
dichiarato alcuni testimoni, «ma la risposta è stata che per l'intervento era
necessario aspettare una chiamata». Chiamata che, come testimoniato dalla foto
[...], è stata effettuata alle 20.05.
A breve aggiornamenti su questo sito.
Finalino sconsolato:
Contemporaneamente, sempre a Milano, lunedì mattina si svolgeva una
conferenza stampa per illustrare un
piano elaborato da
Rom, cittadini e associazioni, sul destino di un altro insediamento,
comunale stavolta. Un progetto frutto di anni di lavoro.
Scarsa a nessuna attenzione, escludendo una manciata di secondi (vedi
dopo 8'45") sul
TG regionale. Sembra che i Rom vadano bene quando fanno
scandalo, che brucino come in via Sacile o che diano voce all'insoddisfazione
del cittadino medio (vedi
appena uscito). Cercare assieme soluzioni (e non da ieri) pare
destinato a restare una non-notizia.
Chiudo, con la terza segnalazione dall'insediamento bruciato. Non ho
avuto tempo per recarmi lì o sentire i superstiti all'incendio, quindi la parola
torna a:
Milanoinmovimento
Profughi rom di via Sacile: le soluzioni Pubblicato da
Anna_MiM
Dopo gli incontri di oggi, il Comune, insieme alle associazioni di volontariato
e alla Protezione civile, ha messo a disposizione le proprie strutture per dare
alloggio alle 120 persone evacuate dopo l'incendio che stanotte ha bruciato le
baracche del campo rom di via Sacile.
Le strutture messe a disposizione dal Comune hanno carattere temporaneo (dai 6
ai 15 giorni) e sono adatte solo per fronteggiare l'emergenza, ma consentono di
non dividere i nuclei familiari e, quindi, di non separare i minori dai loro
genitori.
Tra i profughi del campo cento persone si sono rifiutate di accettare le
soluzioni proposte dal Comune e hanno trovato rifugio sotto una tettoia nei
pressi di viale Forlanini. La polizia, già pronta per lo sgombero, ha poi
sospeso l'operazione. Il gruppo di sostegno Forlanini sta provvedendo in queste
ore a fornire coperte e vestiario.
In merito alla vicenda, il sindaco Pisapia ha dichiarato: "Occorre innanzitutto
trovare i responsabili di questo incendio, perche' pare sia di natura dolosa, e
su questo ovviamente ho la massima fiducia nell'attivita' della Procura".
Secondo il sindaco, pero', e' necessario "dall'altra parte trovare soluzioni
importanti per coloro che abitavano in quel luogo e ai quali adesso dobbiamo
offrire ospitalita', ma in un percorso di inserimento".
Nel frattempo, il campo di via Sacile, dove oggi gli abitanti del campo,
scortati dalle forze dell'ordine, si sono recati per recuperare i loro averi e
dove erano pronti a reinsediarsi, è stato definitivamente chiuso e presto,
sull'area interessata dal cantiere della MM per l'allargamento della Paullese,
partiranno i lavori.
Attualmente tutta la zona è presidiata dalla Polizia locale e dalle Forze
dell'Ordine per impedire l'accesso e garantire la sicurezza e la legalità.
Anche le poche baracche superstiti all'incendio sono state già abbattute nel
pomeriggio. [...]
Da
Roma_und_Sinti
by Lyssandra Sears
Gli atteggiamenti ostili verso i Rom in Svizzera stanno rendendo
difficile la vita agli Jenische, un gruppo etnico nomade completamente separato,
con una lunga storia nel paese [...].
13/04/2012 - I leader jenische dicono che la reputazione dei Rom riguardo
all'accattonaggio, furto e prostituzione, sta peggiorando l'immagine degli
Jenische, e sta comportando un cambiamento di atteggiamento verso gli Jenische.
"Veniamo spesso abusati," dice Daniel Huber, presidente di "Radgenossenschaft
der Landstrasse", l'associazione che protegge i diritti degli Jenische, nomadi
che per secoli hanno vissuto in Europa.
"Spesso, ad esempio, in Svizzera per strada veniamo appellati -sporchi
zingari-".
L'associazione conta circa 35.000 membri Jenisch, di cui 3.500 ancora
conducono uno stile di vita nomade, mentre il resto è stanzializzato in case
permanenti. Anche se sono completamente separati dai Rom, molti Svizzeri non
sanno riconoscere le differenze.
Anche se in Svizzera è sempre esistita una popolazione rom, il loro numero di
recente è significativamente aumentato, a causa dell'adozione della direttiva UE
sulla libera circolazione delle persone.
"In realtà alcuni Rom di altri paesi si comportano come elefanti in un
negozio di porcellane," ha detto a Tages Anzeiger il presidente della Naschet Jenische Foundation, Uschi Waser.
"Purtroppo, è difficile far loro rispettare le nostre regole."
"Molte persone accettano che non tutti i Rom sono mele marce". Tanto Waser
che Huber riconoscono che il cattivo comportamento di pochi sta infangando la
reputazione di entrambe i gruppi etnici.
Inoltre, i Rom sono anche usati come capro espiatorio dell'aumento di
attività criminali.
"Molti delinquenti operano tra i confini, ma soltanto alcuni di loro sono
Rom," ha detto al giornale Venanz Nobel, vice-presidente della Transnational Jenische Assocation.
"Ma le notizie sono dominate dai Rom, che perpetuano i vecchi pregiudizi per
cui sono zingari ladri."
Nobel è anche preoccupato delle azioni intraprese, con la scusa di proteggere
i bambini che i Rom userebbero per attività criminali. Intravede paralleli con
le azioni intraprese tra il 1926 ed il 1972, quando circa 600 bambini jenische
vennero sottratti ai loro genitori.
"Ancora oggi," dice Nobel, "i bambini sono una scusa, mentre il vero
obiettivo è di ripulire e liberare le strade dagli zingari."
Di Fabrizio (del 19/04/2012 @ 09:36:20, in casa, visitato 1733 volte)
Da
Roma_Daily_News
I Rom di Sulukule Rinnovamento urbano, chi ne sta traendo
profitto?
Non rimane molto del quartiere rom di Sulukule, una volta così pittoresco.
Per anni, migliaia di Rom da tutto il mondo hanno vissuto nello storico
insediamento della capitale Istanbul.
A causa di un piano di rinnovamento urbano (vedi
QUI ndr) sono stati obbligati a a lasciare Sulukule.
Il
video di Amnesty International (7'52"), sottotitolato in inglese, olandese,
francese e spagnolo.
Di Fabrizio (del 20/04/2012 @ 09:15:18, in Regole, visitato 2043 volte)
Julienews.it 17-4-2012
ore 13:33 - Il giovane è stato mandato in Serbia, paese che non conosce
MILANO - Si chiama Dejan Lazic, ha 24 anni ed è italiano. O meglio, è nato e
vissuto qui, ma le sue origini sono rom. E per questo non ha il permesso di
soggiorno. Tanto basta alle autorità italiane per espellere il giovane verso la
Serbia, paese d'origine dei suoi genitori, dove però lui non ha mai messo piede.
Lo denunciano i suoi legali, gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini: il
provvedimento è stato eseguito "senza nemmeno attendere l'udienza - affermano -
sul ricorso che abbiamo presentato contro la decisione". Oggi Dejan è stato
messo su un aereo. Direzione: Belgrado.
Cosa potrà mai fare un giovane che non ha mai vissuto nel paese d'origine dei
suoi genitori, origine che in Italia lo marchia indelebilmente?
I legali segnalano come in un caso analogo, nelle scorse settimane, un altro
magistrato - il giudice di pace di Modena - abbia deciso per la liberazione di
due fratelli di origine bosniaca che erano trattenuti da oltre un mese nel
Centro di identificazione ed espulsione (Cie), stabilendo che i figli di
stranieri nati in Italia non possono essere trattenuti in un Cie e poi mandati
via, malgrado non abbiano il permesso di soggiorno. Il giovane rom è finito in
carcere l'anno scorso, per scontare una condanna definitiva a 5 mesi:
all'uscita, è stato portato in questura e gli è stato notificato un
provvedimento di espulsione. Da alcune settimane si trovava nel Cie di Milano e
a fine marzo il giudice di pace ha confermato il provvedimento di espulsione,
decisione contro cui la difesa ha fatto ricorso. Ma le autorità non hanno
aspettato nemmeno l'udienza, il giovane è stato rimandato al suo paese
d'origine. Paese che non conosce nemmeno.
di Gaia Bozza
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