Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:54:55, in casa, visitato 1405 volte)
Storia estiva di una periferia senza buoni ed eroi
Al confine dell'area che dovrebbe attrarre milioni di visitatori c'è l'Ecoltecnica,
uno dei più grandi impianti di smaltimento del Nord Italia, che tratta
"materiale pericoloso, contaminante, esplosivo". Di fronte, un insediamento di
nomadi impregnato di veleni. Ma il Comune di Milano forse ha usato vecchie mappe
catastali e non se n'è accorto. Intanto spunta Bonifichexpo, un gruppo di
aziende del settore che ha fiutato l'affare.
Sono pronti a incatenarsi alle
rispettive proprietà. Imprenditore e nomadi, tutti allertati per impedire alle
ruspe di cancellare ogni cosa in nome dell'Expo. Per una volta sullo stesso
piano, il titolare di una grande azienda che smaltisce rifiuti tossici e i rom
che vivono d'espedienti su terreni ancor più inquinati. A rovinare questa
originale fusione d'interessi per "contaminazione chimica" ci si mettono i
signori delle bonifiche, pronti a fare lobby e a entrare in azione al primo
segno di cedimento. Sono già qui, alle porte dell'area che nel 2015 ospiterà
milioni di visitatori da tutto il mondo. Sulla carta si presentano con il volto
benevolo di un'associazione "senza fini di lucro", in realtà hanno l'appetito di
chi ha una torta davanti che non ha mai visto.
Tutto questo succede sui terreni dell'Expo ma la città di Milano è distratta. Li
ha comprati a peso d'oro e deve pensare a un ritorno economico. Non sogna più
Parigi, il Bie, la valle degli orti della biodiversità ma va avanti a testa
bassa, tiene il capo chino sui conti. Non guarda neppure davanti, non vede per
terra. Ma è proprio lì, lungo il perimetro di tre campi, che sono già impressi
tutti i segni premonitori di nuovi, funestissimi, guai. Lo sa bene
l'imprenditore che difende con le unghie la sua fabbrica macina-veleni che i
tecnici del Comune non hanno notato ma sta lì, lungo il muro perimetrale del
futuro villaggio residenziale Expo dal 1985. E oggi la signora Marelli,
esasperata, minaccia apertamente il Comune: "Sono pronta a incatenarmi ai
cancelli e a ricorrere in tutte le sedi. Se chiudiamo mettano in conto altri 30
milioni".
Là dove c'era l'erba
Si chiama Adele Marelli ed è il presidente di uno dei quattro impianti di
smaltimento di rifiuti tossici più grandi del nord Italia, la prima ed unica ad
aver adottato la recente normativa Seveso imposta dall'Europa. L'azienda fattura
30 milioni di euro l'anno e toglie le grane a mezza Italia raccogliendone le
scorie e gli scarti industriali per trattarli e portarli all'estero, dove
vengono smaltiti. Quando ha visto le cartografie del progetto Expo, la signora
quasi cadeva dalla sedia. La sua fabbrica prima non c'era, a causa di un errore
dei tecnici che hanno fatto il masterplan usando vecchi rilievi fotografici non
aggiornati. "Gli risultava un'area a verde agricolo nonostante la fabbrica sia
qui da molti anni e i dati catastali fossero correttamente aggiornati". Una
superficialità che non promette nulla di buono. Infatti il primo progetto su
carta di Expo, una volta scoperta l'esistenza dell'impianto, ne prevedeva lo
smembramento in due. "Una cosa impossibile per qualsiasi industria, figuriamoci
per chi tratta materiale pericoloso, contaminante, tossico ed esplosivo".
Tanti incontri con i tecnici, mai un'udienza dalla Moratti. "Tutti gentili ma
abbiamo capito che a Palazzo Marino sfuggiva il problema. La fabbrica esiste e
non si può ignorare, non puoi pianificare un villaggio residenziale a pochi
metri dall'impianto di trattamento dell'amianto, non puoi progettare l'area
"Lake Arena" per giochi d'acqua e fuochi d'artificio lungo il muro perimetrale
dei depositi gassosi a rischio esplosivo". La titolare a un certo punto ha perso
la pazienza e ha opzionato un'area alternativa dove fosse possibile il
trasferimento. Ma spostare impianti, sistemi di sicurezza e licenze è un'impresa
costosissima.
Così non resta che calare l'asso della vendita. La Ecoltecnica, mettendo insieme
stato patrimoniale e tutto il resto, sulla carta vale 30 milioni di euro che il
Comune rischia di dover aggiungere ai 120 che ancora fatica a trovare per
onorare l'impegno con i proprietari delle aree. "A questo punto noi abbiamo
manifestato ogni disponibilità. Abbiamo detto che le due attività, antropica e
industriale, sono incompatibili e che lo si vede anche dalle ipotesi di variante
che di fatto bloccherebbe per sei mesi l'accesso all'area da parte dei camion
con un danno di 15 milioni di euro. Ha anche proposto al Comune di vendere solo
gli immobili al valore grezzo per dieci milioni, ma niente. O sei un Cabassi o
niente. Così il destino di questa impresa che occupa 43 dipendenti e smaltisce
le tossicità nazionali finisce per essere i bilico proprio come quello dei
dirimpettai.
Campo rom sui veleni
Sono i rom jugoslavi, montenegrini, che hanno eretto un campo abusivo con le
caratteristiche del villaggio, con casette quasi lussuose ricche di elementi
ornamentali, box e così via. La Milano2 degli zingari. Sono lì dal 1994 quando i
titolari di una cava - la famiglia Ronchi - hanno preferito liberarsi dei
terreni che hanno usato come sversatoio a pagamento per tutte industrie chimiche
della zona dagli anni Cinquanta in poi. Processi, ricorsi al Tar. Niente. I
titolari ne escono puliti, i terreni sono peggio che sporchi. Sono una bomba
ecologica con la miccia sempre accesa e pronta esplodere. Nessuno ci vivrebbe,
forse gli zingari che non vanno troppo per il sottile e per due lire si comprano
un ettaro di terra contaminata.
Sarebbe tutto da bonificare ma quelli di Expo non hanno soldi. Già hanno
problemi con le infiltrazioni di trielina nelle aree di sedime dell'evento,
figuriamoci appena fuori che cosa c'è, in quell'ambito industriale mai risanato
che con un tratto di penna si rende area residenziale. I rom, puoi scommetterci,
sono più preoccupati di vedersi sgomberare che delle condizioni del terreno su
cui dormono. Ma le ruspe non avranno gioco facile. Al limite gru e caterpillar
potranno abbattere le costruzioni che risulteranno abusive. Loro hanno un
contratto in mano e sono pronti a farlo valere in sede legale. "Che la comprino
ai prezzi che hanno fatto ai ricchi proprietari del campo di fronte", dice uno
di loro con tono ironico.
Non ci sono altre forme di vita parlanti lungo il perimetro del triangolo d'oro
dell'expo, oltre all'imprenditrice milionaria e ai rom dirimpettai che
elemosinano un lavoro in edilizia o stanno ai semafori. Di qui è passato durante
la sua campagna elettorale l'attuale presidente della Provincia Guido Podestà.
"Si è rifugiato da me dopo che la sua auto blu è stata presa a sassate dai bimbi
rom", racconta lo sfasciacarrozze che sta proprio al centro del villaggio
abusivo e dicono stia più a San Vittore che al lavoro. "Scende e mi dice che era
venuto a fare un sopralluogo. Io gli spiego come stanno le cose e lui giura che
se sarà eletto entro tre mesi procederà a sgombero e bonifica". Podestà siederà
sulla poltrona di presidente mentre dopo due anni villette abusive e inquinanti
sono ancora lì ad aspettarlo.
I lobbisti delle bonifiche
In questo silenzio fa più rumore l'iniziativa di 14 grandi aziende del ramo
bonifiche che pochi giorni fa hanno indetto una conferenza stampa in Provincia
per presentare alcune proposte di intervento sul tema del recupero ambientale.
Le aziende della filiera si presentano come associazione senza fini di lucro. Il
nome di "Bonifichexpo" richiama l'evento del 2015 ma fin da subito
l'associazione chiarisce che non guarda a quella piccola area ma ragiona su
scala quanto meno provinciale, dove ci sono 10 milioni di mq da bonificare con
un business che vale 11 miliardi. Il ragionamento è semplice: il pubblico
dovrebbe provvedere ai costi di bonifica ma non fa partire neppure progetti e
gare per mancanza di soldi. Così i terreni restano contaminati o dismessi e i
signori delle bonifiche si devono accontentare delle briciole anziché del piatto
forte.
Tutto fila finché non si nota quanto poco spessa sia la vernice da benefattori
data all'associazione: curiosamente ha sede nella stessa società di
ingegnerizzazione che ha fatto la Valutazione ambientale strategica (Vas) e il
vicepresidente di Bonifichexpo ne è addirittura presidente. Il discorso
bonifiche è di per sé scottante, ma diventa insidioso se a promuoverlo è un
pezzo da novanta della politica locale come Gianpiero Borghini, oggi nei panni
del presidente di Bonifichexpo e solo ieri direttore generale del Comune di
Milano (e prima ancora sindaco e consigliere regionale).
Che non si tratti di non profit lo certifica anche il fatto che l'associazione
abbia commissionato all'università Bocconi uno studio di sostenibilità economica
delle bonifiche in provincia di Milano che è costato circa 200mila euro. Non c'è
una mappa inedita delle aree, un censimento o altro d'utile allo scopo ma una
raffinata disamina dei modelli di sostenibilità finanziaria. E che dice la
Bocconi? Che prima di tutto si tratta di affari ad alto rischio. Chi ci entra
deve avere alti capitali e prevedere ritorni incerti e lontani nel tempo. Si
parla di venture capital, project financing, ma la strada del pubblico rispunta
fuori. Perché parlare di queste cose in Provincia? Perché è azionista della
società di gestione Expo2015 ma soprattutto perché il suo presidente Podestà ha
una poltrona strategica nella Cassa Depositi e Prestiti.
Mica dietrologia, Borghini parla chiaro: "Sarebbe utile un interessamento per
verificare la possibilità per parte pubblica di accedere a mutui a lungo termine
così da poter aprire i cantieri, con la ritrovata edificabilità dei terreni
recuperati l'operazione potrebbe prefigurare un rientro positivo". Insomma, il
pubblico dovrebbe indebitarsi fino al collo per spianare la strada alle ruspe
dei signori della bonifica. Per fare cosa? La Bocconi prospetta tre soluzioni di
riuso: creare residenze per anziani, residenze per universitari, alberghi low
cost. Insomma, niente di più speculativo sotto il sole. E tutto, ancora una
volta, all'ombra di Expo.
Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:41:05, in media, visitato 3508 volte)
Altro articolo illuminante del
Giornale. Non solo per il razzismo sparso a piene mani (ho il sospetto che sia un loro marchio di fabbrica):
"Dormono dove capita. Mangiano sui marciapiedi. Trasformano le strade
in discariche a cielo aperto. Di giorno, fanno la spola tra la stazione
Garibaldi e i semafori che smistano le auto di passaggio davanti al cimitero
Monumentale: chiedono la carità, indispettiscono i più spruzzando
una brodaglia grigiastra con l’intento di lavare i vetri, fanno sparire
velocemente i portafogli dalle tasche dei pendolari in attesa che arrivi la
metropolitana, mandano i più piccoli a tampinare gli anziani che escono dal
supermercato. Di notte, invece, prendono possesso degli angoli dimenticati
dall'amministrazione comunale: si ubriacano di birra, pretendono l’obolo da
chi cerca un parcheggio prima di andare in discoteca, davanti allo storico
Radetzky Café le donne trascinano i figli svogliati nel tentativo di
impietosire chi, tra uno spritz e l'altro, fa l'aperitivo. Milano come Rio
de Janeiro. Č questa la favela in salsa meneghina, dimenticata dal
neosindaco Giuliano Pisapia e che spaventa sempre più i residenti."
Ma soprattutto per alcune ragioni, che sfuggono a chi non sia milanese:
- quella che l'autore chiama "la zona più «fashion» della città",
altro non è che la principale piazza di spaccio cittadina, dove una
malintesa "movida" rende invivibile la notte ai residenti. Solo che è a due
passi dal centro direzionale, non in qualche malfamata periferia, ed allora
è meglio star zitti. Tanto più che i locali notturni sono cresciuti come
funghi, grazie alla compiacenza (e probabilmente l'interessamento) di noti
politici locali e nazionali della passata maggioranza.
- ignoro l'età dell'autore (QUI
il suo profilo Facebook), ma ricordo, 20/15 anni fa, che proprio in quella
zona c'erano diversi micro accampamenti dei primi Rom rumeni. Anche allora
c'erano cantieri e luoghi abbandonati. La speculazione edilizia li allontanò
e si sparsero in giro per la città. Allora c'era il centro-destra al governo
cittadino, che sia un'amnesia voluta?
- i comportamenti dei Rom di allora erano (purtroppo) simili a quelli
descritti oggi, non mi piace la facile demagogia. La differenza è che allora
a "pagare la vicinanza" erano semplici cittadini in odore di sfratto, ora
sono i fighetti cocainomani di corso Como. Che sia questa la ragione di
tanta rabbia?
- Pisapia può piacere o meno, ma cosa c'entri in una situazione che, a
causa della politica degli sgomberi, si ripresenta ciclicamente, non riesco
a capirlo. O no?
Ieri: il dovuto
CONTRAPPASSO!
La Provence.com I Gipsy Kings tornano sulla scena dopo vent'anni -
Publié le mardi 26 juillet 2011 à 17H19
Ambasciatori d'Arles attraverso il mondo, ritrovano la Francia con un
concerto a Palavas
I Gipsy King, eredi dello stile di Manitas de Plata, suonano stasera a les
arènes de Palavas. Un concerto che sarebbe stato bello ci fosse stato ad
Arles, città natale dei fratelli Reyes - Photos Edouard Coulot
Da quasi trent'anni i Gipsy King vagano per il pianeta e la loro musica non è
invecchiata. Certo, i capelli si sono fatti bianchi sulle teste dei cugini Reyes
e Baliardo, ma lo spirito gitano che caratterizza le canzoni degli otto
musicisti è sempre là.
Questa rumba catalana, miscela di flamenco e di rumba, che ha fatto il
successo di Bamboleo o di Volare, questo motivo che imballa, che
fa danzare le folle ed elettrizza le generazioni, si trasforma nelle più grandi
sale di concerto, ma in Francia non si ascolta più da vent'anni.
Un paradosso che i Gipsy King rifiutano e di cui si rammaricano, ma che si
concluderà stasera, dove si ritroveranno alle arènes de
Palavas-les-Flots (34), per un concerto unico in Francia.Accessibili ed
universali come la loro musica, Nicolas, André, Tonino, Paco, Canut, Diego e
Patchaď erano ieri a Palavas per ispezionare il luogo. Seduti alla terrazza del
bar degli aficionados davanti all'arena, discutevano con i passanti ricordando i
vecchi tempi, in tutta semplicità e sincerità.
"Non sempre siamo accolti a braccia aperte"
"Abbiamo voluto ritrovarci dopo tanto tempo e fare un concerto per la
famiglia e gli amici", glissa Tonino Baliardo. "Ma non sempre siamo
accolti a bracci aperte si dispiace Nicolas Reyes. Non è stato facile".
E se al figlio del grande José Reyes sarebbe piaciuto suonare ad Arles, la
lorocittà natale, alla fine è all'Hérault che si esibiranno stasera, nella terra
natale dei loro cugini, i Baliardo.
"Sei anni fa, ho contattato la città (d'Arles ndr) per suonare
nelle arene, ma non c'erano mai date disponibili", prosegue il cantante del
gruppo. Fatto difficile da gestire per questi autentici gitani che, tra due
concerti all'estero, tornano sempre a posare le loro valigie nella loro città
natale e si ritrovano in famiglie alle Saintes.
I veri Gipsy
"Gli imitatori ci hanno fatto molto male. Bisogna sempre giustificarsi di
essere i veri Gipsy!" riconosce Nicolas. E suo fratello André evoca
pudicamente il caso di Chico Bouchiki, il compagno d'infanzia che lasciò il
gruppo nel 1991 per crearne uno in proprio. "Lo biasimo per questa
confusione", perché comunque la si veda, "Djobi, Djoba", la ripresa di
"Hotel California" o ancora "Bamboleo" sono diventati loro titoli.
Un nuovo album
Quello degli eredi dei re Reyes e di Manitas, questi musicisti appassionati
che suonano la musica col cuore, mantengono lo spirito di festa, senza aver mai
imparato a leggere una partitura. Per il momento senza rancori, i "veri" Gipsy
King tornano in Francia con un furioso desiderio di riconquista."Abbiamo
registrato un nuovo album a Parigi, ne canteremo alcuni pezzi al concerto,"
commenta Nicolas.
"Samba, Samba", una cover di "Stranger in the night", in totale una
dozzina di titoli dovrebbero essere contenuti nell'albun che i cugini stanno
preparando, e che dovrebbe essere pronto per la fine dell'anno. Canzoni che
ricordano i loro esordi con, secondo Tonino, un tocco "più personale".
Assieme a questo nuovo album, ci saranno tournée all'estero ed i nuovi progetti,
tra i quali il sogno di creare un appuntamento annuale, a casa loro, in
Camargue. Perché nonostante l'assenza, non dimenticano le loro radici arlesiane.
Alexandra THEZAN
di Božidar Stanišić 26 luglio 2011
Il fenomeno dell'immigrazione in Italia viene spesso descritto in bianco e
nero. Božidar Stanišić, scrittore e drammaturgo bosniaco da anni residente in
Italia, si addentra nello spazio grigio arrivando a conclusioni amare
Non credo di poter né voler dimenticare: il giorno di Pasqua del 2010, a
Spilimbergo, città friulana nota in Italia e nel mondo per la lavorazione dei
mosaici, un episodio di razzismo ha suscitato l'interesse nazionale. Nel bar
Commercio, nel centro storico, un cittadino del Burkina Faso ha pagato il suo
caffè 10 centesimi in più. Quel bar spilimberghese era gestito da un anno da
un'esercente cinese, la quale ha spiegato ai giornalisti, con una chiarezza
tagliente, che non appartiene alle cronache di ordinario ma di straordinario
razzismo, che "non si tratta di razzismo, sono i clienti italiani a dirmi di
scoraggiare l'ingresso delle persone che non curano la propria igiene personale.
Me l'hanno insegnato a Padova, dove ho lavorato in un bar di italiani.
Maggiorare le ordinazioni di chi non si comporta bene. D'altronde i miei clienti
sono italiani, ed è loro che intendo tutelare". Anche l'immigrato del Burkina
Faso è stato chiaro: "Mi è stato detto: tu paghi un euro perché hai la pelle
nera, e ringrazia che ti facciamo entrare".
Grazie alla denuncia dello stesso negro alle autorità, è emerso uno degli
ennesimi comportamenti razzisti nei confronti dell'altro e diverso. Lui stesso,
da molti anni in Italia, ha raccontato sia ai giornalisti che ai carabinieri,
che si sono recati al bar per fare i controlli degli scontrini, che "quello che
mi ha fatto arrabbiare è che ad essere razzisti siano stati degli immigrati." Ed
ha aggiunto di non aver mai vissuto un attacco razzista così forte. Per quel
motivo si era recato direttamente dai carabinieri, chiedendo il loro intervento.
Tragicommedia?
Un giornale, commentando l'episodio di Spilimbergo, ha sottolineato l'aspetto
tragicomico della vicenda: un immigrato è stato razzista nei confronti di un
altro immigrato! Credo che queste parole siano state scritte in buona fede, per
invitare gli stessi immigrati ad una maggiore solidarietà e comprensione
reciproca. Però mi hanno spinto ad un'osservazione più complessa del fenomeno
dell'immigrazione in Italia. In realtà, nelle numerose analisi e ricerche sul
tema, sia recenti che del passato, manca quasi del tutto la questione dei
rapporti sociali e culturali all'interno della popolazione immigrata. Ciò vale
anche per la maggior parte della narrativa scritta dagli stranieri in Italia
(che ormai i professionisti della tematica amano definire soltanto letteratura
migrante). Le descrizioni sono quasi sempre in bianco e nero. Immigrato: buono,
povero, nostalgico; italiano: cattivo, quasi-buono o indifferente. Per i miei
atteggiamenti critici nei riguardi di questa letteratura è da anni che vengo
marginalizzato: niente inviti ai festival o a serate letterarie "migranti"...
Certo, c'è un prezzo da pagare, per tutto.
Un'altra parentesi: alla fine degli anni novanta, un amico d'infanzia mi scrisse
una lunga lettera. Lui, fuggito dalla guerra in Bosnia, aspettava la risposta
dell'ambasciata del Canada in una città della Vojvodina. Appassionato del
risveglio di numerosi giovani nella Serbia anti Milošević, frequentava degli
incontri organizzati presso le università aperte, il cui contributo alla
resistenza civile era di notevole importanza. Una sera ascoltò la relazione di
un professore polacco (di cui, purtroppo, non notò il nome) sul razzismo nei
paesi slavi (nota: slavi nel senso più ampio, quindi russi, cechi, polacchi, ex
jugoslavi ed altri...) Avendo ascoltato la relazione, il mio amico rimase
stupefatto di fronte ai fatti presentati e alle descrizioni precise esposte dal
professore, a partire dall'antisemitismo, per arrivare a razzismo, xenofobia e
progetti vari su come liberarsi dagli zingari.
Malgrado la mia conoscenza dei fatti non fosse limitata, dato che avevo avuto
occasione di trovarmi in circostanze in cui emergevano sia xenofobia che
razzismo e antisemitismo da parte di immigrati provenienti dell'ex Jugoslavia
presenti in Italia e in altri Paesi dell'Unione, capii che i fenomeni che
facevano parte della ricerca di quel professore polacco, esperto in materia,
fossero molto più ampi e radicati di quanto non pensassi nel tessuto sociale di
ogni singola società dell'ex Est Europa, inclusi i nuovi Stati del mio ex Paese.
Dall'inizio del mio, ormai lunghissimo, soggiorno in Italia, in primis grazie
alle attività di mediazione linguistico-culturale, poi agli incontri di vario
genere in tutta l'Italia, non mi ero mai staccato dalla realtà della vita degli
immigrati, non solo di provenienza dell'ex Jugoslavia. Già da tempo mi era
chiaro cosa fossero il razzismo e la xenofobia striscianti presenti negli
atteggiamenti e nel modo di pensare dei croati, bosniaci, serbi, macedoni,
kosovari ed altri sugli altri e sui diversi.
Certo, la cosa non è piacevole, ma io la riporto sia nei miei discorsi pubblici
che nella narrativa. Purtroppo non si tratta di casi isolati, ma frequenti,
presenti non solo nell'immigrazione ex jugoslava proveniente dalle periferie
urbane o dalle campagne, ma pure da una parte della cosiddetta gente colta
oppure almeno formalmente scolarizzata.
La forza delle parole
Mi è capitato chissà quante volte di sentire i termini e le espressioni: crnčuga
(negrone); mrki (di colore); žuta njuška (muso giallo); zašto ih je toliko ovdje?
(perché ce ne sono così tanti?); trebalo bi im postaviti zabranu ulaska!
(bisognerebbe non farli entrare); oni nisu kao mi! (loro non sono come noi!);
prljavi su (sono sporchi); legisti imaju pravo (i leghisti hanno ragione);
ne znaju stanovati u kučama (non sanno abitare nelle case), ecc... Chi, come me, è
ancora memore della crisi profonda a cavallo fra gli anni ottanta e novanta in
cui era sorto il linguaggio dell'odio come ouverture alla pazzia bellica
fratricida del 1991-95, chi ancora ricorda le parole dell'amico scrittore Filip
David, che scrisse che prima delle pallottole da noi si incominciò a sparare con
le parole, non può sottovalutare questi fenomeni, anche se finora
prevalentemente limitati all'uso di questo linguaggio.
Che cosa spinge, ad esempio, un sindacalista bosniaco (non importa di che etnia)
in una cittadina fra Udine e Trieste a dirmi che i mrki (stavolta bengalesi)
sono privilegiati e lui, che per gli aspetti somatici assomiglia agli italiani,
è un residente di serie B? E un'altra persona, un ex profugo del mio ex Paese, a
chiedersi, in compagnia di un friulano doc, quanti mali ci porterà la gente
fuggita dall'inferno libico? E una dottoressa a dire che deve vendere
l'appartamento perché l'edificio pullula di stranieri? E lo dice perché ormai ha
ottenuto la cittadinanza italiana? E un giovane che ha comprato la macchina da
una persona di colore, a dirmi, mentre firmavano l'atto di passaggio, che quel
mrki faceva troppe domande?
In gran parte queste parole vengono dette in presenza dei figli. Che, per
fortuna, nei banchi di scuola, vivono un'altra realtà, molto più positiva. Ieri,
ad esempio, ho ascoltato un bambino afgano, un bambino bosniaco e uno di origine
honduregna parlare e giocare insieme... Sono loro che risvegliano delle speranze
coraggiose, credo non solo in me.
Credo sia giusto che ognuno di noi immigrati rifletta su questi fenomeni, a
partire dal contesto che sente più vicino. Compresi i cosiddetti "scrittori
migranti" e "buonisti" di tutte le parti, disinteressati da questi fenomeni di
una realtà, quella dell'immigrazione, in cui esistono anche lo sfruttamento e
l'assenza di solidarietà.
Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:10:28, in Regole, visitato 1357 volte)
Va dato atto a Reggionline di essere l'unica testata che ha
seguito passo passo l'indagine, dando anche più volte
voce ai Rom e ai Sinti
Reggionline.com martedì 2 agosto 2011 - La coordinatrice Carla Ruffini:
"Senza indagati precisi, quelle operazioni hanno infranto la legge italiana"
REGGIO - La
retata dei carabinieri di Reggio e Parma dello scorso 28 luglio in 9 campi
rom di Reggio e provincia ha fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo della
politica locale, soprattutto negli ambienti di centro sinistra.
Un commento su quanto accaduto, anche se con qualche giorno di ritardo, è
giunto dalla Sel reggiana: "A ferita ancora aperta - fa sapere la coordinatrice
Carla Ruffini - vogliamo esprimere il nostro deciso disappunto per il
blitz effettuato. Sinistra Ecologia Libertà ritiene che la magistratura
competente e i carabinieri di Parma che hanno condotto l'operazione (insieme a
quelli reggiani, ndr) debbano fornire delle spiegazioni. Non può passare sotto
silenzio l'ingresso forzato in tutte le abitazioni dei nomadi residenti nei
campi a loro destinati. Quando le operazioni di polizia giudiziaria non portano
a indagare persone precise, ma si estendono all'intera popolazione di un
quartiere (come deve essere considerato un campo nomadi), si infrange la legge
sulla inviolabilità del domicilio e della libertà personale di soggetti non
indagati. I nomadi non sono sottouomini e chi lo pensa è un razzista bandito
dalla costituzione italiana. A questo proposito è opportuno che siano resi
pubblici i mandati di perquisizione firmati dal magistrato competente".
Secondo la Sel reggiana, un elemento inviolabile di civiltà è rappresentato
dalla legalità. "Ancor più se costituzionale - aggiunge la Ruffini - Siamo per
la repressione di chi delinque, siamo contro chi ruba nelle abitazioni e attenta
alla libertà degli altri cittadini. Condanna chi spaccia le droghe, senza se e
senza ma, perché alimenta la grande criminalità organizzata. Ciononostante,
pensiamo anche che l'opinione pubblica debba avere delle spiegazioni dalla
magistratura competente e dai carabinieri su quanto accaduto. Non basta
presentare arnesi da scasso o gioielli posseduti da qualcuno per giustificare
una operazione condotta contro una intera popolazione. La cultura muscolare che
appartiene ad una parte delle forze dell'ordine non si può conciliare con la
vita democratica e il rispetto che si deve a tutti i cittadini della nostra
nazione".
Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:08:09, in casa, visitato 1340 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
Alla fine ce l'hanno fatta.
Il pressing sulla comunità rom, che aveva resistito nella Basilica San Paolo
ed era stata successivamente trasferita a Tor Fiscale in attesa di una soluzione
dignitosa, é riuscito!
Il Comune di Roma e la Caritas hanno messo in campo tutte le loro risorse per
consegnare questa comunità al Centro di via Salaria, un CIE camuffato, un ghetto
lontanissimo dal territorio e dalle scuole, un luogo di segregazione ed
emarginazione, già denunciato dai dossier dell'Associazione 21 luglio (vedi
QUI ndr).
Probabilmente la "soluzione" punitiva di via Salaria vuole essere un monito
per quanti in questi mesi, rom e non rom, hanno deciso di rivendicare i propri
inalienabili diritti umani. Forse qualcuno vuole dimostrare che oltre
assistenzialismo ed emergenze milionarie nient'altro può essere ammesso in
questa città.
E invece le giornate di San Paolo restano un segnale per chi amministra e per
chi mentre con una mano firma accordi di solidarietà, con l'altra consegna i rom
a ghettizzazione certa.
Resta il fatto che non potremo mai obbligarli ad essere davvero solidali, ma
possiamo costringerli ad umiliarsi al punto di operare esclusivamente di
nascosto, in piena estate, lontani dai riflettori.
POPICA ONLUS
Link all'articolo de il Manifesto
Di Fabrizio (del 03/08/2011 @ 09:58:21, in Italia, visitato 1620 volte)
di Radames Gabrielli, Presidente Federazione Rom e Sinti
Insieme
Roma, 28 luglio 2011. Carissimi Sinti, Rom e amici, come tutti sapete quello
che sta succedendo in Italia peggiora ogni giorno di più, siamo ritenuti
colpevoli di tutto quello di cui vogliono incolparci, senza darci nessuna
opportunità a difenderci. Non ci permettono di dire nemmeno la nostra opinione e
verità, gli sgomberi non si fermano mai, non ci permettono di abitare e lavorare
come ogni essere umano esistente su questo mondo. La scuola: è impossibile
che ai nostri figli venga insegnato come ai figli dei gagé, sbattono i nostri
figli all'ultimo banco senza mai insegnargli niente. Prima di farli entrare
nelle scuole li lavano dando la colpa, a noi che non manteniamo puliti i nostri
figli, senza mai ammettere che non ci permettono di abitare in un'area decente e
attrezzata, con almeno i servizi necessari e vitali come l'acqua fredda e calda
per l'inverno.
Ma io avrei un milione di cose da dirvi, cose che voi sapete e state vivendo
ogni giorno, cose diverse per ognuno di noi, chi la scuola, chi il lavoro, chi
l'habitat e chi tanto tanto altro. Sono poche le persone che hanno avuto la
fortuna di trovare quei pochi gagé che hanno voluto aiutare davvero qualche
bambino Rom o Sinto a frequentare le scuole e ad avere un diploma, ma pochi sono
riusciti a trovare il lavoro per cui hanno preso il diploma. Voglio fermarmi qui
e non continuare a parlarne, ma voglio sentire la vostra opinione.
Secondo me oggi è arrivata l'ora di radunarci tutti quanti, Sinti, Rom, gagé,
Camminanti e tutti quelli che lavorano per migliorare la vita di tutti noi,
radunarci per cercare di avere i nostri diritti, diritti che tutti gli esseri
umani hanno su questa terra all'infuori di noi, far vedere e sapere che ci siamo
anche noi. Tutto questo con una grandissima manifestazione, invitando anche
Sinti e Rom da varie parti d' Europa. Una manifestazione con personaggi del
governo di oggi e di domani, ai quali possiamo consegnare dei documenti in cui
ci sia scritto tutto quello che vogliamo e che abbiamo urgentemente bisogno per
migliorare la vita; non la nostra, ma quella dei nostri figli e dei figli dei
nostri figli.
Ho parlato direttamente con parlamentari, onorevoli, assessori di Roma che
conosco, per organizzare questa manifestazione; mi hanno promesso la loro
completa disponibilità se noi riusciamo a fargli vedere che per avere i nostri
diritti siamo pronti a scendere in campo e radunarci tutti quanti in un solo
grande popolo: una grandissima manifestazione davanti a palazzo Chigi o davanti
al Quirinale a Roma, tutti uniti almeno una volta nella vita, uniti per
combattere la discriminazione razziale, per cercare di migliorare almeno un po'
il nostro modo di vita.
Per ottenere davvero qualcosa dobbiamo far vedere che siamo tutti uniti, che
proveniamo da ogni città d'Italia e che diciamo basta a tutti i soprusi che ci
stanno ormai seguendo da migliaia di anni, che i campi di concentramenti,
l'olocausto per noi non sono ancora finiti, che la morte di Adolf Hitler non ci
a portato nessun cambiamento, e tanto tanto altro.
Spero che vi prendiate un po' di tempo per pensarci e mi comunichiate la
partecipazione diretta, non solo adesione, vostra e dei vostri conoscenti alla
manifestazione per i nostri diritti.
Per informazioni:
Radames Gabrielli
Presidente Federazione Rom e Sinti Insieme
Email: radames.gabrielli@gmail.com
Di Fabrizio (del 03/08/2011 @ 09:23:57, in blog, visitato 4996 volte)
Il testo che segue appare su
MAHALLA e
U VELTO. Invitiamo
i lettori a verificare quanto pubblicato e, se lo ritengono, a contribuire a far
circolare queste informazioni. Grazie
Fra le tante cause che concorrono alla diffusione del razzismo e delle paure
verso ciò che è sconosciuto, c'è la circolazione di notizie non verificate
spacciate come verità universali. Da anni circola in rete il testo di un
fantomatico "Codice
degli zingari", le cui prime segnalazioni risalgono addirittura agli anni
'20 del secolo scorso.
Da un po' di tempo è apparsa in rete
questa mail (riportiamo la parte iniziale):
"Le bande di malviventi, i Rom e i ladri stanno escogitando vari
stratagemmi perchè gli automobilisti (soprattutto donne) fermino il proprio
veicolo e ne scendano (in zone isolate)."
Altro non è che la versione di un
testo in francese, apparso già l'anno scorso. Riportiamo anche in questo
caso la parte iniziale:
"Alors que je roulais sur une route départementale un soir pour
rentrer chez moi, j'ai vu un enfant dans un siège auto, sur le bord de la
..."
Ne scrive il sito
Hoaxbuster, specializzato in bufale su Internet. Nel caso francese la
segnalazione sembrerebbe arrivare da un poliziotto, che stranamente invita a
segnalare casi simili non ai centralini della polizia francese (17), ma al
numero internazionale dei vigili del fuoco (112).
L'anno scorso la notizia in Francia venne inizialmente diffusa da un ragazzo,
probabilmente uno "spammer" francese, che contattato via mail rispose soltanto
di sapere che avvenivano fatti simili, senza fornire ulteriori spiegazioni. In
seguito le associazioni francesi di difesa dei Rom e dei Sinti presentarono
denuncia per incitamento all'odio razziale.
Abbiamo fatto una ricerca su Google riguardo al testo in italiano, ricevendo
sinora 104 risultati. Un fatto curioso: abbiamo trovato due casi in cui le
autrici ne parlano come di un'esperienza personale, descrivendola con le
medesime parole. In un caso la firma è di "Alessandra
Savio, Purchase Department", nell'altro viene firmata da una dipendente
dell'amministrazione provinciale di Padova.
A questo punto si è voluto conoscere se esistesse veramente questa persona
nell'amministrazione padovana. Una nuova ricerca in rete ha restituito pochi
risultati, anche se appare con due cognomi simili ma diversi.
Venerdì 29 luglio siamo riusciti a parlare con questa persona, che ci ha
chiesto di rimanere anonima. Per telefono ci ha detto di aver inizialmente
inoltrato a 5 amiche una mail arrivatale da un altro mittente - per sua
leggerezza senza cancellare la propria firma, di essere stata informata in
seguito delle falsità che vi erano contenute, di aver indagato sul caso
attraverso diversi forum in rete (ed aver scoperto anche una versione in
inglese), di aver provato a scusarsi personalmente con i destinatari per quanto
era successo.
Purtroppo, il più delle volte le scuse non bastano ad arginare la diffusione
in rete di queste menzogne, che rimangono in circolazione per anni. Perciò
abbiamo provato a smontare questa bufala.
Aggiungiamo a questo punto alcune raccomandazioni finali:
- se possibile, verificate le notizie che vi giungono, prima di
contribuire alla diffusione di informazioni false;
- diffidate delle notizie spacciate come sensazionali, e nel contempo come sconosciute
perché "qualcuno" non vorrebbe che circolassero;
- diffidate altresì delle notizie dove non vengono specificate date certe,
anche i luoghi citati non sono indicati con precisione, in cui l'autore
originario dell'informazione è citato in maniera generica.
Per tutto il resto, vi consigliamo
questa guida.
Sperando di essere stati utili, vi ringraziamo per l'attenzione.
Oltre alle redazioni di U VELTO e MAHALLA hanno collaborato:
Ivana Kerecki (Sesto San Giovanni - MI), Angela Tropea (Catania), Alberto Maria
Melis (Cagliari) ed Ernesto Rossi (Trezzano sul Naviglio - MI)
Di Fabrizio (del 02/08/2011 @ 09:57:54, in casa, visitato 1531 volte)
Il presidente del consiglio comunale richiede una motivazione scritta da
allegare alla proposta presentata dall'opposizione - Ven, 29/07/2011 - 09:11 —
La Redazione
Alla fine si è conclusa con un nulla di fatto la richiesta dei gruppi
d'opposizione (Pdl, Lega, Rilanciare Montemurlo e La Destra) per l'istituzione
di una commissione d'indagine sull'occupazione del "villaggio per la residenza
dei Sinti" in via Prato a Montemurlo. Il consiglio comunale, infatti, non ha
votato il punto per la totale mancanza di motivazioni a corredo della proposta.
Il gruppo del Pd ha lasciato la sala consiliare facendo venir meno il numero
legale: "non si può votare contro il nulla", ha spiegato Antonio Russo,
capogruppo del Pd, che più volte durante la discussione del punto ha invitato i
colleghi dell'opposizione a motivare la richiesta dell'istituzione di una
commissione d'indagine in modo tale da poter esprimere un voto. Già alcune
settimane fa il presidente del consiglio comunale, Giuseppe Forastiero, aveva
scritto ai proponenti dell'ordine del giorno, facendo rilevar loro che nella
richiesta mancava del tutto "la parte istruttoria e la proposta deliberativa",
una mancanza che di fatto impediva la sua votazione in consiglio. Elementi che,
però, non sono stati forniti dal capogruppo della Destra, Roberto Ulivi che ha
precisato"La richiesta ha lo scopo di far chiarezza- in maniera riservata-
sull'eventuale responsabilità di dipendenti e politici sull'occupazione abusiva
del campo di via Prato. In un primo momento pensavo che la responsabilità fosse
da attribuire tutta ai Sinti, ma successivamente ho ritenuto opportuno accertare
altre responsabilità. Da qui la richiesta di una commissione d'indagine." Anche
il sindaco nel suo intervento ha sottolineato che "la richiesta non possa essere
accettata per la mancanza di motivazioni" ed ha poi ricordato come i Sinti si
siano assunti pubblicamente e pienamente la responsabilità del gesto
dell'occupazione del campo di via Prato.
Molti dei lettori della Mahalla conoscono il significato
della data "2 agosto": anche se per molti (me compreso) la memoria torna alla
bomba alla stazione di Bologna nel 1980, Rom e Sinti lo ricordano per il
massacro di 3.000 di loro nel campo di Auschwitz nel 1944. Di questa memoria se ne è
scritto
in passato. Resta lungo e difficile ricostruire l'eredità "reale"
di questa memoria, che ha portato alla situazione attuale; alle discriminazioni
che continuano, ai campi sosta comunali cintati da sbarre e sorvegliati dalle
telecamere, in Germania ai nazisti colpevoli di esperimenti aberranti riciclati
come esaminatori delle richieste dei danni patiti da Rom e Sinti...
Storie dimenticate che continuano a pesare. Quest'anno il 2 agosto lo
ricordo con un libro:
LIBRI INCHIESTA JORGE CAMARASA
Josef Mengele fu riconosciuto colpevole della morte di 400 mila deportati ad
Auschwitz. Era «superbo e antisemita». Non esitava a mettere in questione «la
capacità intellettuale degli ebrei». Si sentiva un bell'esemplare ariano e
beveva molto (forse troppo) caffè. Il suo più imperdonabile errore è stato
confondere il sadismo con la scienza. Adesso questo piccolo libro riferisce
quanto occorre sapere di Mengele, criminale nazista che non esitò a far di
bambini, ebrei e zingari cavie da sacrificare senza pietà. Jorge Camarasa,
ricercatore e giornalista argentino, fa incominciare la sua narrazione nel cuore
d'una notte del gennaio 1945. Josef Mengele, il cui nome vale da solo come
titolo di richiamo per queste pagine (Mengele. L'angelo della morte in
Sudamerica , Garzanti), lascia Auschwitz incalzato dall'avanzare dell'Armata
Rossa. Porta con sé, in due valige di cartone e una borsa di cuoio, tutto quanto
crede utile conservare per documentare il suo lavoro. A solo ricordarlo, quel
lavoro, fa venire la pelle d'oca! Mengele in persona, alias l'«Angelo della
Morte», accoglieva le sue future vittime all'arrivo dei vagoni piombati.
Sorridente, selezionava i deportati raggruppandoli in due file: una formata «da
uomini, donne e bambini destinati immediatamente alle camere a gas, l'altra
composta da meno fortunati... che lui stesso sceglieva per i suoi esperimenti»
in laboratori che erano vere camere di tortura. Basti dire che Mengele fu più
tardi riconosciuto colpevole della morte di quattrocentomila deportati nel lager
di Auschwitz. Leggendo Camarasa risulta chiaro che la fuga e l'esilio di Mengele
furono favoriti da scandalose complicità neonaziste. Il mostro di Auschwitz
diventa prima un insignificante Helmut Gregor. Con un passaporto intestato a
questo nome, dopo essere stato ospitato a Roma «in un convento di via Sicilia»,
si imbarca per l'Argentina. Sapendosi ricercato dalle polizie di mezzo mondo e
soprattutto dal temutissimo Simon Wiesenthal, cambia molti indirizzi e assume
nuove identità. Soggiorna in Paraguay e Brasile. Fra un viaggio e l'altro Beppo,
come lo chiamavano gli amici, ha modo di continuare i suoi delittuosi
esperimenti sui gemelli. Un indizio più che eloquente? A Candido Godòi, un
villaggio popolato all'80 per cento di immigrati tedeschi, dopo una visita del
boia in camice bianco i parti di gemelli monozigoti biondi e con occhi azzurri
hanno un'impennata. Un fenomeno scientificamente inspiegabile. Quando è morto
Mengele? Oggi Beppo avrebbe cent'anni, era nato nel marzo 1911. L'età lascia
dunque sperare che di lui rimangano solo cenere e vermi. Nel 1979 fu comunque
data notizia della sua fine, un po'banale perché dovuta a annegamento mentre
l'ex SS faceva una nuotatina nelle acque antistanti la località balneare di
Bertioga. A non credere però nell'avvenuto decesso furono, fra gli altri, la sua
dentista e Simon Wiesenthal. Chissà! Anche i mostri, come gli eroi, fanno di
tutto per garantirsi un finale da leggenda!
Il libro: Jorge Camarasa, «Mengele. L'angelo della morte in Sudamerica», Garzanti,
traduzione di Stefania Cherchi, pagine 138, 18
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