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Di Fabrizio (del 18/07/2011 @ 09:25:35, in Europa, visitato 1341 volte)

Da Hungarian_Roma

Romagazine.eu di Beatris Joó - 9 luglio 2011

"Non uso il concetto della cosiddetta integrazione rom. Lo trovo compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati... quello che dobbiamo ottenere è che la società rom e quella ungherese lavorino e vivano assieme" - dice Vilmos Kozáry, fondatore del Romaster Program, che opera dal 2007, e sostiene che la soluzione del problema risiede nel sostenere all'interno la formazione accademica rom.

Che idee ha lanciato il programma e come è stato impostato il corso?

Il programma Romaster è fondamentalmente una mia idea. Ho registrato il nome e l'ho dato al Forum Leader d'Affari Ungheresi (HBLF), un'istituzione che ha operato in Ungheria negli ultimi venti anni, principalmente si occupano di responsabilità sociale. I suoi membri, incluso un centinaio di compagnie e imprese ungheresi e straniere, ritengono che una buona resa economica non sia sufficiente di per sé. Il loro legame con la società dovrebbe caratterizzarle quanto il profitto che producono. Questa responsabilità appare anche nella loro appartenenza, perciò vengono supportati diversi tipi di programmi collegati a donne e genere, ambiente, volontariato e pari opportunità. L'ultimo gruppo di lavoro citato è guidato da me, dove viene enfatizzato il collegamento tra Rom e resto della società. Il nostro scopo è che i Rom siano riconosciuti in generale, o almeno i nostri membri, componenti importanti della società ungherese - che diviene evidente solo quando vengono offerte più opportunità ai lavoratori rom.

Il programma nasce con lo scopo di aiutare altri giovani Rom ad entrare nel mondo del lavoro. Chi sostenete in primo luogo?

Sosteniamo giovani Rom svantaggiati dai 14 anni sino al diploma, che vadano bene a scuola, abbiano buone capacità linguistiche e tendono a proseguire gli studi in economia, ingegneria, legge o scienze mediche. Lo scopo della formazione è massimizzare le loro opportunità di impiego immediato. Dopo tutto, chi li appoggia li adopererà per fornire opportunità d'impiego alla propria compagnia. Per esempio, la banca Raiffeisen supporta gli studenti della facoltà di economia.

Da dove vengono i fondi?

I 20.000 fiorini della borsa di studio che forniamo loro mensilmente vengono dalla compagnia d'appoggio. Il programma non fruisce di sovvenzioni statali. HBLF funge da coordinatore. L'anno scorso è stata istituita una fondazione, attraverso cui avvengono i trasferimenti. I ragazzi ricevono la somma totale, i costi amministrativi sono coperti da HBLF.

20.000 fiorini al mese non risolveranno tutti i problemi, ma se vengono spesi secondo i bisogni degli studenti, l'aiuto dato vale ogni centesimo. Possono iscriversi a corsi di lingua, viaggiare all'estero, comprare libri, ecc.

Ci sono altre compagnie che forniscono ulteriori sostegni in natura. Tuttavia, forse l'aiuto più grande proviene dai mentori.

Che ruolo ha un mentore?

I nostri mentori sono a disposizione degli studenti 24 h. al giorno, 7 giorni su 7, e forniscono aiuto per qualsiasi tipo di problema. Visitano l'azienda data su base regolare, garantiscono stage estivi e supervisionano lo sviluppo degli studenti. Essendo sempre accessibili, i mentori servono come un collegamento costante.

Il programma è popolare?

E' difficile ottenere l'appoggio delle compagnie e dei loro leader. Anche se non si richiede loro molti sforzi per supportare un ragazzi, questi ultimi possono (probabilmente) non raggiungere il profitto atteso. Il finanziamento annuale di un alunno costa 1.000 euro all'anno, una somma trascurabile. Le spese per i mentori sono significativamente più alte, ma difficili da definire in termine di tempo e denaro.

Attualmente sono supportati 50 studenti, 2 dei quali si sono recentemente diplomati ed hanno già un lavoro. Non è facile attrarre costantemente attenzione, dato che in Ungheria non abbiamo ancora un programma simile. Speriamo che i giovani rom coinvolti diventino ambasciatori di questo programma. L'unica possibilità per l'avanzamento sociale è l'istruzione, perché apre le porte. Con l'aiuto di psicologi, puntiamo a prepararli anche al loro ritorno, dato che il loro ambiente spesso tende a trattarli come estranei o alieni.

Perché il ritorno è così difficile?

L'ambiente da cui provengono non valorizza il lavoro e l'istruzione. Di chi sia la responsabilità, individuale o della società, è una questione complessa. Credo che da entrambe le parti bisogni iniziare ad avvicinarsi.

Cerchiamo anche di aiutarli anche con il coinvolgimento di esperti; per loro è assolutamente essenziale preservare la loro identità, nonostante il cambio di ambiente. Tuttavia, rimane la questione: come si comporteranno nella vita di ogni giorno dopo la fase di supporto, è qualcosa a cui solo loro potranno rispondere.

I ragazzi che sostenete, sono in contatto l'un l'altro?

C'è un elemento all'interno del programma, chiamato Romaster Alumni, che è una comunità sociale per chi si laurea nella medesima istituzione. Fornisce loro la possibilità di rimanere in contatto, condividere esperienze ed incoraggiarsi l'un l'altro, ed in quanto tale, gioca un ruolo importante nella loro vita.

Le persone coinvolte quali prospettive hanno in programma?

Se qualcuno è incline a credere che questo lo toglierà dalla povertà, ho paura che si sbagli. Noi cerchiamo di dare una visione realistica. Ciò che offriamo è un piccolo sostegno finanziario, mentoraggio, relazioni e migliori possibilità di impiego. Tutto ciò può contribuire al beneficio degli studenti se sono capaci e vogliono impegnarsi tramite duro lavoro e sforzi. Così potrebbe funzionare per arrivare alle compagnie se i loro sforzi si rivelassero nonostante tutto insufficienti. Diamo loro l'opportunità di orientarsi più facilmente nel mondo del lavoro. Motivandoli a studiare e lavorare, qui è il fattore chiave. (Lo so) C'è una grande quantità di idealismo alla base del concetto, ma senza questo non nascerebbe niente.

Alla luce di quanto detto, possiamo considerare di successo questo programma?

Anche se il programma è stato lanciato non molto tempo fa,  i risultati sinora ottenuti son estremamente positivi. Nel bilancio includiamo tanto le risposte dei Rom che pubbliche, ed in entrambe i casi, l'accettabilità è piuttosto alta. E' un regalo ed un'opportunità perché i giovani rom migliorino ulteriormente le loro motivazioni. Naturalmente sono costantemente monitorati e posti di fronte a (certe) esigenze didattiche, ma le regole non sono così rigorose. Quanti sono coinvolti nel programma, apprezzano molto di far parte della comunità.

Anche le compagnie coinvolte hanno grandi benefici. Si verificano cambiamenti significativi di prospettiva, soprattutto quando vengono supportati ragazzi rom. Possono esserci molti discorsi sociali e conferenze per affrontare il problema, ma la reale comprensione avviene solo quando si agisce assieme.

Secondo me gli intellettuali rom sono un media che (potenzialmente) hanno un'influenza dominante sulla loro società. Credo che la soluzione chiave sia che la società rom guadagni conoscenza nella cultura maggioritario, abbracciandosi l'un l'altra. Non uso il concetto della cosiddetta "integrazione rom". Lo trovo compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati, non è questa la soluzione. Ciò che si deve ottenere è che le società rom e ungherese lavorino e vivano assieme. I processi di alienazione, il declino del ruolo della famiglia, la perdita del senso di amicizia, non possono essere percepiti all'interno delle comunità rom. Difatti, ci sono molti controesempi: sono famiglia-centrici, ricchi di emozioni, innamorati della musica. Loro trasmettono anche questi valori, che vale la pena di adottare. Quindi, di nuovo, adattarsi a noi in tutte le aree della vita ed aspettare che abbandonino i loro costumi non è la soluzione.

Il programma Romaster è stato mutualmente lanciato dal Forum Leader d'Affari Ungheresi (HBLF) e da IBM Ungheria a febbraio 2007. Intende aumentare la comunità di quanti nella società rom posseggono adeguate competenze linguistiche e titoli di studio.

Il programma è gestito dalla fondazione Romaster in conformità alle compagnie di sostegno. Il supporto è costituito da tre pilastri: finanziamenti aziendali, tutor nominati dalle aziende e stage.

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Di Sucar Drom (del 19/07/2011 @ 09:02:32, in blog, visitato 1438 volte)

L'European Roma Rights Centre cerca tirocinanti
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Di Fabrizio (del 19/07/2011 @ 09:43:34, in scuola, visitato 1414 volte)

Terre di Mezzo

Dieci bambini di un campo nomadi a Milano diventano allievi dell'artista Adolfo Chiesa. Un laboratorio low cost e all'insegna della sostenibilità, con l'ambizione di diventare per i ragazzi, in futuro, una vera opportunità di lavoro.

Piccoli artigiani crescono, alla scuola elementare di via Palmieri. È qui che Joyce, Giada, Davide, Valentina e altri sei ragazzini rom del campo di via Chiesa Rossa frequentano le primarie. Anche se alcuni di loro hanno già superato gli 11 anni. Questo pomeriggio non sono a scuola per imparare italiano o matematica, ma per frequentare un corso di mosaico (guarda il video). Insieme a loro ci sono operatori ed educatori di Progetto A, la cooperativa che gestisce il campo nomadi alla periferia sud di Milano. "Per affrontare le difficoltà che i ragazzi hanno nell'apprendere a leggere e scrivere, abbiamo deciso di partire da un'attività manuale", spiega Davide Castronovo, il responsabile del campo. Ecco perché è nato il laboratorio, un'idea innovativa che potrebbe segnare una nuova direzione nelle politiche del Comune di Milano nei confronti dei rom. "Abbiamo intenzione di regalare un lavoro realizzato dai ragazzi alla nuova amministrazione", dice Castronovo. Un segno di buon auspicio per le collaborazioni future e un modo per abbattere quel muro che divide i ragazzi dei campi dalla città che vive al di fuori.

È un venerdì di fine giugno, l'ultima lezione del corso. "Ragazzi venite qui", chiama un uomo alto e magro, vestito con una camicia verde, a fiori. La barba incolta e il codino canuto tradiscono un animo da artista: è Adolfo Chiesa, il maestro dei bambini nel laboratorio. "In venti ore di lezione siamo riusciti già a fare quattro mosaici", annuncia soddisfatto.

La tecnica che propone Adolfo Chiesa nei suoi laboratori è innovativa. Serve una stampa della figura che si vuole realizzare e tanti tesserini di qualunque materiale: ceramica, terracotta, ma anche bottoni, pagliericcio e tutto ciò che è riciclabile. Dipende solo da ciò che si vuole realizzare. "A questo punto si smussano le tesserine del mosaico e si lavora a secco, posizionandole a testa in giù, come a ricomporre un puzzle", spiega Adolfo Chiesa. L'anima in cemento armato dei mosaici li rende perfetti come innesto architettonico. Si può guardare il lavoro in itinere, levando da sotto il mosaico la stampa. "In questo modo - prosegue il maestro di mosaico - i bambini si rendono conto di quanto stanno facendo e prendono entusiasmo". Sono vent'anni che Adolfo Chiesa viaggia in tutti i continenti a diffondere i suoi insegnamenti: "È un modo per abbellire il mondo con i rottami. E non è poco, vero?". Con il lavoro manuale, i bambini hanno in mano un oggetto fisico, una traccia duratura del loro lavoro. "Vogliamo proporre questa attività anche al campo rom, il prossimo anno, in modo che anche i genitori possano partecipare alla realizzazione dei mosaici", dice Castronovo. Chissà, un giorno per qualcuno potrebbe diventare una professione redditizia, al posto che andare a raccogliere il ferro, com'è scritto nel destino di molti ragazzi rom in tutta Italia.

Ed è pure un laboratorio low cost. Se si escludono le ore di stipendio pagate agli educatori e ad Adolfo Chiesa, i costi per i materiali non superano i 300 euro. "Dato che i lavori sono gradevoli - aggiunge il responsabile del campo rom Davide Castronovo - speriamo di poter vendere questi prodotti ad un circuito di amici sensibili a questo tipo di attività e con il ricavato rifinanziare il laboratorio per l'anno prossimo". Che sia l'inizio di un nuovo corso nei campi nomadi di Milano?

Testo: Lorenzo Bagnoli per Redattore Sociale

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Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:03:07, in casa, visitato 1830 volte)

Il giornale di Vicenza 19/07/2011 NOMADI. L'assessore Giuliari ha chiesto ai tecnici del Comune di individuare un'area adatta (notizie precedenti NDR)

Il campo nomadi di via Cricoli

Il recente sequestro di un terreno agricolo in via Mantovani da parte della polizia locale di Vicenza, e i dubbi conseguenti che fosse destinato a diventare un campo nomadi, hanno riportato alla ribalta la questione dell'ospitalità alle famiglie Sinti e Rom che vivono nel capoluogo.

Si torna a parlare, in particolare, della riqualificazione dei campi di via Cricoli e di via Diaz, dove vivono rispettivamente una trentina e una decina di famiglie. Il Comune ha ricevuto un finanziamento ministeriale di 400 mila euro per i lavori, che naturalmente potranno essere avviati solo dopo che le famiglie verranno temporaneamente spostate in un altro luogo.

«Sto aspettando una proposta da parte della struttura comunale - spiega l'assessore Giovanni Giuliari - che suggerisca una soluzione, cioè un'area dove accogliere le famiglie in via temporanea. Una cosa del genere è già stata fatta quand'era assessore Sante Sarracco, allora venne utilizzata l'area in via Cairoli dove ora c'è il parcheggio». Dopo la riqualificazione, il campo di via Cricoli sarà necessariamente più piccolo «e non può essere altrimenti - dice Giuliari - altrimenti rischiano di cadere nel fiume. Alcuni nuclei hanno già trovato collocazione in un'abitazione, vedremo al momento come risolvere la cosa». L'assessore sottolinea il positivo percorso fatto con le famiglie: «Abbiamo fatto installare, e ringrazio Aim per la collaborazione, dei contatori dell'energia elettrica, uno per ciascun nucleo, in modo che ciascuna famiglia paghi ciò che è giusto. Abbiamo fatto degli incontri per dare le opportune istruzioni. Non solo: ci sono stati due inserimenti lavorativi di giovani Sinti in aziende, stanno andando molto bene. Collaboriamo con scuole e volontari per seguire i bambini, anche dal punto di vista igienico. Con le famiglie del campo abbiamo fatto un patto: basta atti contro la legge. Lo stanno rispettando. Mi aspetto che ci siano polemiche - conclude Giuliari - ma vogliamo che la nostra sia la città dell'accoglienza».

G.P.

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Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:04:34, in Europa, visitato 1342 volte)

Da Bulgarian_Roma (i link sono in inglese, ndr)

East of Center - BY BARBARA FRYE - JULY 11TH, 2011

11/07/2011 - Un amico mi ha appena inviato una dichiarazione riguardo ad una recente visita in Bulgaria di una funzionaria ONU, per vedere cosa sta facendo Sofia per migliorare il miserabile destino dei Rom nel paese. Persino le persone che hanno molto a cuore questo problema, potrebbero essere perdonate per non essere tentate di leggerla. Dopo tutto, quante volte sentiamo di un'altra condanna di un paese est-europeo da parte di un osservatorio dei diritti umani, per aver lasciato languire nella miseria e nell'ignoranza una parte della sua popolazione - ed ancora mantenere l'illusione che forse quel governo si impegnerà?

Ma questa versione è particolare. Potete sentire Gay McDougall, esperta ONU su questioni delle minoranze, stracciare i confini del linguaggio diplomatico, mentre cerca di esprimere disgusto e frustrazione dopo una settimana in Bulgaria.

Sofia potrebbe dire le cose giuste, ma lo fa poco, dice essenzialmente McDougall. "In gran parte molte politiche sembrano rimanere solo promesse retoriche rivolte ad un pubblico esterno - impegni ufficiali non soddisfatti nella pratica. ... Le discussioni con le agenzie responsabili, come il Ministero dell'Istruzione e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, hanno rivelato un impegno superficiale con scarse programmazione, controllo e valutazione," dice l'esperta indipendente.

Il governo troppo spesso lascia a qualcun altro il lavoro pesante:

"Le iniziative che sono state intraprese per trasportare giornalmente i bambini a frequentare le scuole miste fuori dai ghetti rom, fornendo pasti e servizi di supporto agli studenti, sono state in gran parte realizzate da un piccolo numero di OnG rom con scarse risorse, la parte del leone di questi finanziamenti viene da fonti internazionali, accompagnati da una piccola percentuale di contributi governativi. Queste OnG sopportano gran parte del carico di attuare le politiche di desegregazione che il governo approva ma non riesce a mettere in pratica."

Anche i funzionari locali che McDougall loda per aver tentato di migliorare il destino dei Rom e di altre minoranze, sono spesso ostacolati da mancanza di fondi o di supporto da parte di Sofia.

Dovrebbe essere irrilevante, lo so, ma Gay McDougall è una donna di colore degli Stati Uniti. Secondo la sua biografia su Wikipedia, è nata nel 1947 ad Atlanta e "fu scelta per essere la prima studentessa nera ad essere integrata nell'Agnes Scott College di Decatur, Georgia."

C'è qualcosa di sorprendente per come lei descrive i giorni più bui nel Sud di Jim Crow in un'intervista del 2008, apparsa sul sito web della facoltà di legge dell'università della Virginia:

"Abbiamo creduto allora che la nostra situazione fosse unicamente tragica," scrive McDougall. "Spesso guardavamo alla comunità internazionale con la speranza che in qualche modo il mondo al di là di questo paese operasse con regole diverse. Avevamo torto e ragione nel contempo."

Non è passato così tanto tempo da quando la gente nel paese natale di McDougall (e nel mio) si sentiva libera di fare le sue osservazioni sui neri americani, che oggi si fanno sui Rom: che sono criminali, non puliti, non interessati nell'istruzione, più adatti a lavori o traffici di fatica, ecc.

Riguardo il suo viaggio in Bulgaria, si legge nella dichiarazione: "L'esperta indipendente è profondamente preoccupata per i commenti, per esempio, di alcuni funzionari di alto livello, che indicano chiaramente il loro punto di vista sulle comunità rom come elementi prevalentemente criminali nella società bulgara."

Ho raccolto confidenze di molte persone bianche dell'Europa dell'Est, che si sentivano libere di condividere con me la brutta "verità" sui Rom (e probabilmente si sentiranno in dovere di rispondere a questo post). Ma mi succedeva anche negli USA. Sono bianca, così si suppone che debba essere d'accordo. McDougall non è bianca, ma non è una Romnì, quindi forse riguardo ai "funzionari di alto livello" si riferisce alla Bulgaria. Ma a chi si pensa che stia parlando? Che dire della "gente" di questa donna soltanto 50 anni fa? Lei è una lezione di storia che vive e respira loro in faccia, se riuscissero a vederla per tempo.

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Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:40:18, in lavoro, visitato 1266 volte)

Da Czech_Roma

ryz, translated by Gwendolyn Albert

L'azienda Frutana Gold a Frýdek-Místek opera da oltre 15 anni ed è stata premiata il mese scorso col certificato Ethnic Friendly Employer. La ditta produce e distribuisce soprattutto patate sbucciate e bollite, ma ha iniziato anche l'elaborazione di altre verdure. Pochi si rendono conto conto che oltre il 50% dei 25 dipendenti della compagnia sono Rom.

"All'inizio anche noi eravamo preoccupati, come molte ditte nella Repubblica Ceca, sull'impiegare dei Rom, ma col tempo ci siamo convinti che vogliono lavorare, che lavorano davvero onestamente e bene, se dai loro un'opportunità per mettersi alla prova. Siamo lieti di poter dare un esempio agli altri cittadini ed imprese e contribuire a migliorare la mutua convivenza," ha detto Zdeněk Majer, CEO della compagnia.

L'azienda processa ogni mese oltre 100 tonnellate di patate ed altre verdure. Quest'anno ha iniziato la produzione la sua affiliata in Slovacchia, che pure si sta sviluppando con successo.

Majer si è recato a Praga per il conferimento del premio, assieme ad un piccolo gruppo di dipendenti rom, che hanno ringraziato il loro capo. Il video della cerimonia (solo in lingua ceca) è disponibile su RomeaTV.

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Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:53:31, in lavoro, visitato 1286 volte)

Segnalazione di Alberto Maria Melis

MODAFFERI: "VORREMMO TORNARE A GARANTIRE CONTINUITÀ LAVORATIVA"

Reggio Calabria - Non disperdere il patrimonio di competenze acquisite nel settore della raccolta dei rifiuti solidi ingombranti, la preziosa esperienza di integrazione lavorativa dei Rom a Reggio Calabria, il modello virtuoso, primo a Reggio, di riutilizzo sociale dei beni confiscati alla ndrangheta. Questo l'appello lanciato da tempo dalla cooperativa Rom 1995 guidata da Domenico Modafferi ad Istituzioni e cittadinanza quando, lo scorso anno non fu prevista la condizione di subappalto dello smaltimento dei rifiuti ingombranti nell'ultimo bando indetto dal comune di Reggio Calabria.

Rassicurazioni furono rivolte e adesso, che non si riesce più a garantire la continuità lavorativa di prima, sarebbe tempo di rassicurazioni concrete e di risposte. Qualche spiraglio si è aperto nei mesi scorsi con due delibere, concretizzatisi poi in convenzioni, dell'allora Giunta comunale Raffa, nelle quali l'esecutivo comunale di Reggio rispondeva solo in parte alle promesse formulate in più occasioni in passato. Si tratta dell'impegno di affidare il servizio di sgombero di uffici comunali o di competenza comunale, tra cui anche quelli giudiziari, ossia il servizio di raccolta e smaltimento di componenti di arredo fuori uso. Contratto sottoscritto che ha lavoro, pur se occasionalmente, ai 18 dipendenti della cooperativa per un mese circa. Si tratta di una situazione ancora afflitta da precarietà, atteso che sono gli uffici comunali a dover avanzare una richiesta affinché si possa lavorare. L'altra delibera, invece, attiene alla specializzazione dell'isola ecologica che attende di diventare punto di conferimento di rifiuti apparecchiature elettriche e elettroniche (RAEE) provenienti da rivenditori e commercianti.

La cooperativa Rom 1995, comunque, ha compiuto passi importanti non solo dal punto di vista dei servizi erogati alla cittadinanza ma anche sotto il profilo della dimensione educativa cui da sempre aspirava con l'apertura alle scuole e alle giovani generazioni affinché conoscessero questo modello di integrazione sociale e lavorativa e di sostenibilità ambientale e questa esperienza di restituzione alla collettività di un bene sottratto a famiglie dedite al malaffare.

Dunque sottoscritto a marzo un accordo con l'assessorato all'Ambiente della Provincia di Reggio Calabria, retto da Giuseppe Neri, per favorire l'informazione in materia di educazione ambientale. La cooperativa dunque ha avviato una fruttuosa collaborazione con il Laboratorio territoriale di Educazione ambientale della Provincia di Reggio Calabria. Il protocollo d'Intesa siglato impegna alla realizzazione congiunta del progetto “La tutela dell'ambiente attraverso un percorso di integrazione sociale”, finanziato dalla Provincia e che contempla diversi ambiti: il rafforzamento delle attività della stessa cooperativa mediante una migliore gestione ambientale dei cicli lavorativi e un aumento della sicurezza per i lavoratori; la collaborazione della Cooperativa sociale Rom 1995 con il Laboratorio territoriale di educazione ambientale della Provincia di Reggio Calabria per le attività di formazione rivolte ai cittadini ed alle scuole del territorio provinciale ed all'aggiornamento periodico del sito istituzionale “infea.provincia.it” con contributi in tema di riciclo e recupero dei rifiuti e di sviluppo sostenibile; l'attuazione, all'interno della propria sede, ospitata all'interno di un bene confiscato alla 'ndrangheta percorsi informativi e visite guidate rivolte a gruppi di cittadini e a scuole del territorio.

Un riconoscimento importante alla cooperativa Rom 1995, solo un altro passo verso quella rinascita che da tempo si auspica, affinché le buone prassi non vadano disperse ma tutelate e diffuse.

Anna Foti - Lunedì 18 luglio 2011 Ore 15:01

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Di Fabrizio (del 22/07/2011 @ 09:57:15, in musica e parole, visitato 1587 volte)

Il giornale di Vicenza VIAGGIO. Una giornalista dal Nord al Sud per raccontare vite nel vento - 20/07/2011

Rom fotografati da Bianca Stancanelli sulla copertina del suo libro La vergogna e la fortuna (Marsilio)

«Questo libro è un viaggio», dice Bianca Stancanelli, giornalista siciliana, autrice de La vergogna e la fortuna, storie di rom (Marsilio, 2011). Un viaggio in quella «galassia di minoranze» che sono gli zingari, ma anche nel loro rapporto con i gagè, parola con cui la lingua rom, il romanés, indica i non-zingari. Ladri, mendicanti, imbroglioni, bugiardi: cosa c'è oltre a quello che di solito la gente pensa degli zingari? Bianca Stancanelli apre la porta del ghetto sociale recintato dai pregiudizi, con il merito di descrivere scenari nuovi, talvolta sorprendenti. Il reportage nasce, come racconta l'autrice, da una tragica domanda. Nel 2007, a Livorno, quattro bambini rom bruciano nel rogo della loro baracca. Eva, Danciu, Lenuca e Menji: 11 anni la maggiore, 4 il minore. «Tutto ciò che il pubblico ministero vuole è tenere in prigione i genitori dei bambini morti con l'accusa di abbandono e omicidio colposo. In un'altra estate, in Sicilia, un padre stordito dall'afa dimentica nell'auto arroventata suo figlio, che muore soffocato. Al padre, l'Italia offre una sgomenta solidarietà e a nessun magistrato viene in mente di aggiungere al suo strazio la pena della galera. Ma se quell'uomo fosse stato zingaro l'avremmo perdonato?»

Gli zingari in Europa, unica minoranza presente in ogni Paese, sono stimati in 8-12 milioni. Secondo l'antropologo Leonardo Piasere, l'80% è ormai stanziale. L'Onu li suddivide in rom, sinti, kalè, manouches e romanichals; l'Ue semplifica in rom e sinti. In Italia sono 160mila. «Siamo tra i Paesi che ne hanno meno e che più li odia», commenta Bianca Stancanelli.

Percorrendo l'Italia da nord a sud, l'autrice ci accompagna in case famiglia, appartamenti di periferia, carceri, loft in quartieri rinomati per raccogliere testimonianze di rom e sinti: miserabili, come le ladre recidive Susanna, Mina e Vesna, o emancipati, come lo scultore Bruno Morelli o la regista Laura Haliovic. Ogni capitolo esalta la soggettività dell'intervistato per estrarla dall'universo indistinto in cui è confinata per propria o altrui volontà. Si scansa sia il «lirismo di chi li descrive come il popolo del vento» sia la «crudezza di chi li considera un rifiuto della storia». Una missione ambiziosa, l'autrice lo sa. Non per niente una citazione di Hemingway verga l'inizio del libro: «La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta sugli esseri umani».

Bianca Stancanelli documenta con animo aperto e, si capisce, con il desiderio di raccogliere storie di riscatto. Talvolta ci riesce, come quando scrive del timido Baraba, ragazzo rom del campo di Ciampino impegnato nel servizio sociale, benché spesso fermato dalla polizia in via preventiva: «'Ndo vai? A rubba'?»

Altre volte il tentativo di affrancamento va a vuoto: «Susanna ha cominciato a rubare a 14 anni come scelta inevitabile. "Bello non è bello. Uno è costretto dal fatto di non avere documenti e di non poter ottenere un lavoro regolare". È una scusa per conferire una paradossale dignità alla scelta di vivere rubando? Avverto una sottile irritazione serpeggiarmi sottopelle», scrive l'autrice, «il dubbio che quell'insistenza sul pregiudizio antigitano sia, insieme, un alibi e un ostacolo». Ma dietro i furti ci sono anche le infanzie negate, come quella di Beda, classe 1990, che porta le cicatrici delle percosse: «Essere menati da tuo padre se non rubi ed essere menati dalla polizia perché rubi». Beda è scappata, ora vive in una casa famiglia e lavora in un magazzino.

L'AUTRICE analizza l'odio per gli zingari che da secoli circola e che ha trovato sfogo, oltre che in innumerevoli episodi locali di violenza, nel grande Porrajmos, il Divoramento, come gli zingari chiamano il tentativo di annientamento sistematico che fu attuato contro di loro dai nazisti. «I rom sono un popolo-termometro: misurano la febbre della società», dice Stancanelli.

Verona, cui l'autrice dedica un intero capitolo, vive l'esperienza emblematica che culmina nel campo di Boscomantico, chiuso nel 2008 per volere della neoeletta amministrazione guidata dal sindaco Flavio Tosi: allora un politico di provincia, oggi star televisiva e astro nascente della Lega. Per alloggiare le famiglie sfollate, ricorda Bianca Stancanelli, «il Centro Don Calabria lancia un appello alla "Verona che non volta le spalle": invita a offrire case per i rom, si fa garante del regolare versamento dell'affitto. Ma nella cattolicissima Verona, su 250mila abitanti rispondono in due». Altri immobili sono messi a disposizione da associazioni benefiche. «Ma riuniti dal prefetto, i sindaci del Veronese reagiscono: io non gli do la residenza, non li iscrivo all'anagrafe». Commenta l'autrice: «C'è nella violenza di quei rifiuti un eccesso di ostilità che è difficile non chiamare razzismo».

Nel 2001 un gruppo di leghisti veronesi — Flavio Tosi, sua sorella Barbara Tosi, Enrico Corsi, Luca Coletto, Matteo Bragantini e Maurizio Filippi — promuove una campagna politica con lo slogan: «Firma anche tu per mandare via gli zingari». L'operazione, denunciata in procura da movimenti a difesa dei nomadi, viene giudicata di stampo razzista in primo grado dal Tribunale di Verona nel 2004. La condanna — pur con le attenuanti, confermata in Cassazione nel 2009 — è stata sospesa. Ma in una recente intervista al quotidiano cattolico Avvenire, dopo l'udienza in Vaticano concessa dal Papa ai rom, Tosi si è preoccupato di dichiarare che quella degli zingari «è una scelta di vita che va rispettata, purché siano rispettate le regole». Per esempio, «mandino i figli a scuola». E un rom che chiede offerte suonando sul marciapiede «non è un accattone, ma un artista di strada», basta che non molesti i passanti e che sviolini prima del coprifuoco. «In questo caso, ben venga», parola del nuovo Tosi buonista.

Il problema c'è, ma la ghettizzazione non lo risolve. Un futuro giusto per tutti, secondo l'autrice, può camminare solo sulla strada dell'integrazione. Bisogna cogliere il germoglio di cambiamento che già esiste. Un segnale che viene soprattutto dalle donne. Dice Bianca Stancanelli: «È uno scenario insospettabile di femminismo gitano: la lotta di donne che vogliono cambiare la loro vita e si trovano contro la famiglia di tradizione maschilista e poi, compatta, anche la società italiana». Questa volontà di rinnovamento è speranza di un destino migliore per i giovani: «Ci sono ragazzi e ragazze che provano a incamminarsi su un percorso di legalità e, per farlo, si mettono contro il proprio clan. Se alla fine non succede nulla, perché senza uno straccio di documento nulla può succedere, tornano al campo sconfitti, umiliati. E finiscono risucchiati dall'illegalità. Penso ai bambini che trovano violenza dentro e fuori dal campo, cui la vita deve sembrare precocemente una trappola. Penso che dobbiamo salvarli, farlo presto. E sarà comunque tardi».

Lorenza Costantino

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Di Fabrizio (del 23/07/2011 @ 09:42:06, in conflitti, visitato 1292 volte)

Da Roma_Francais

La voix des rroms

"Nessuna grande nazione può restare a lungo in pace. Se non ci sono nemici esterni, se ne troverà uno all'interno delle proprie frontiere, come un corpo potente che sembra immune a qualsiasi infezione esterna, ma la la cui stessa forza lo mina dall'interno." Tito Livio.

Ma cos'è successo l'estate scorsa e perché fu così spettacolare?

Il circo dell'Espulsione dei "rom" inizia con una profanazione del paese ospitante: il saccheggio di una pasticceria di un borgo storico, sulle rive dello Cher, da parte di un gruppo di uomini mascherati identificati come "gens du voyage" e con il proiettile nel corpo di uno di loro, morto, proprietà della "forza pubblica".

Poi, nel Palazzo, la riunione, del capo di stato, del primo ministro, dei ministri della giustizia, dell'interno, dell'identità, e dei più alti responsabili della polizia e della gendarmeria.

Due giorni dopo la dichiarazione da parte del Palazzo della "guerra nazionale".

"Quelli della pasticceria" allora spariscono dai discorsi. Non ne resta che la sagoma. Vale a dire, nessuno.

O tutti. Non resta che la figura generale del nemico.

O "la canaglia".

I bambini di strada.

Perché non importa ciò che sa la "forza pubblica" ed il Palazzo ignora: dichiarare guerra alla "gens du voyage" è decidere la fine del circo. E'  decidere la propria perdita, giuridica ed operativa.

Insomma: è decidere la perdita reale dello stato.

E ci fu il grande pericolo per il "Palazzo" nel dichiarare guerra alla "gens du voyage": da una parte perdere la legittimità della propria violenza, dall'altro di perdere sul piano della violenza pura...

... Quando l'obiettivo cosciente degli autori dell'Espulsione dei rom è la salute dello stato, per sua simulazione.

Là dove aumenta il risparmio, cresce anche il pericolo.

I mezzi per questa simulazione di sovranità tramite la guerra interna in un territorio pericolosamente pacifico era, una volta la cifra in nuce definita: la messa in opera di circolari prefettizie per "zone di difesa e sicurezza".

Queste zone sono le parti di una divisione eccezionale del territorio, la cui funzione è di ottimizzare la cooperazione delle unità di difesa civile e militare, il coordinamento delle operazioni da parte del ministero, la circolazione rapida e diretta di informazioni e comandi tra il dipartimento e lo stato.

L'amministrazione di un territorio così frammentato è un'amministrazione in guerra.

Ma chi è questo nemico su cui si abbatte lo stato? Un mostro di cui ogni singola cella è il teatro d'una guerra civile (Carthill). Il suo nome burocratico: "gli accampamenti illeciti". Il suo nome sussurrato in un lapsus governativo: "i Rom".

Da dove viene questo mostro? Dalla fabbrica del governo: la Legge; dal lavoro meticoloso di piccoli gruppi di burocrati che da oltre un decennio mettono l'eccezione nella legge.

I nemici-simili dell'Espulsione dei rom sono da una parte lo stato che si salva dall'estinzione mostrandosi come un mostro miracoloso, dall'altra parte i corpi simulati detti "rom" che inghiotte e vomita. L'espulsione è la sua ruminazione.

In realtà lo stato si abbatte su se stesso. Il circo maschera il suo nulla.

Lo stato è la guerra civile. La sua simulazione, il suo coperchio, sono il limite. Sul fil di questo limite marcia tutto nudo il sovrano suonando il suo flauto. Ovunque: il pericolo di vuoto, i freddi abissi della sua caduta. Da un lato del filo, la scomparsa delle istituzioni nel nulla, la pace più pericolosa, dall'altro, l'annientamento nella violenza.

Attorno, tra la folla che alza gli occhi, i funamboli, candidati alle elezioni, guardano la sua caduta imminente e si preparano a salire sul filo...

I "rom" del governo sono quelli per cui suona dissonante il flauto.

I bambini di strada.

Non sono i Rom. Non sono questo popolo transfrontaliero in formazione: prima minoranza nazionale d'Europa ed in larga misura concentrati nell'Europa Centrale, che vuole la nazione senza frontiere.

Sono una frazione prelevata da questo numero. La frazione "accampamenti abusivi" o Baracche.

Lo strumento del prelievo è una lama affilata.  E' col filo di questo coltello che i burocrati tagliano i simulacri dove affiora il nome "rom". Questo filo è pure quello appoggia il passo titubante di un pastore che cammina su una lama. Dovunque taglia questa lama, lo spettro della guerra civile si riversa nella sua realtà: la fine del circo. Un filo che nelle loro circolari viene nominato come la principale preoccupazione: la proprietà privata.

Le sue sezioni sono le Baracche.

Pierre CHOPINAUD

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Di Fabrizio (del 24/07/2011 @ 09:07:23, in blog, visitato 2165 volte)

Luglio 2001, non ero in piazza a Genova, mi trovavo a casa mia. Da poco avevo un collegamento internet, e fu forse il primo avvenimento che seguii da casa praticamente in tempo reale (il secondo fu l'attentato alle torri gemelle, a distanza di qualche settimana): vale a dire, le notizie arrivavano con un flusso continuo tramite dirette radio, televisione, i primi siti online dei quotidiani, i forum e i gruppi di discussione.

Proprio per questo, mi ricordo alcune cose di allora:

  • la reazione di chi sentiva scosse le sue sicurezze di tranquillo democratico in pantofole (siete per sempre coinvolti, diceva qualcuno): qui siamo in Italia, queste cose non possono succedere. Magari in Argentina, o in Iraq, o in Corea. Eppure succedevano, ma il nostro cervello è più forte dei fatti e allora è come se ci fossimo autoconvinti che fosse un film. Noi, la TV, i giornali, sapevamo – ma nel contempo QUALCUNO NON VOLEVA SAPERE;
  • ma già da subito chi voleva, sapeva. Molto più dei media ufficiali, Internet iniziava a dimostrare le sua potenzialità con brutte foto scampate ai manganelli, i forum dove chi scriveva aveva visto la mattanza con i suoi occhi;
  • come conseguenza (so di dire una cosa impopolare) il permanere, l'evolversi di una forma di incomunicabilità: per cui le ragioni di chi riusciva a vedere solo un esagitato armato di estintore non riuscivano ad incontrarsi con quelle di chi descriveva il comportamento FASCISTA dello stato, e viceversa.

Cosa resta, dopo 10 anni? E' lecito (pensando ai silenzi infiniti, ad esempio, sulle strategie stragiste in Italia), aspettarsi VERITA' e GIUSTIZIA su chi fu responsabile?

Per questo, occorre rendersi che molto è stato scritto, ma tutto ciò ha soltanto mascherato un grande silenzio da parte di chi allora giocò un ruolo determinante. Non parlo dei soliti politici, della "casta", parlo degli eroi negativi di pasoliniana memoria; o meglio, vi invito a leggere questa riflessione sull'Unità.

Vorrei aggiungere ancora qualcosa sul perché Genova è stata possibile, nonostante anni di presunta democrazia in Italia

La civiltà e la democrazia di un popolo si giudicano da come tratta chi non può difendersi. Non ricordo le parole esatte e chi le abbia dette, ma il concetto è quello.

Sarebbe troppo semplice dare la colpa di quel che è successo alla polizia! Dimenticandosi che dopo Bolzaneto ci furono realmente i poliziotti che dissero che quello che era successo lì era uno schifo, o semplicemente che i poliziotti li vedo tutti i giorni, dall’altra parte del banco alle file degli immigrati per il permesso di soggiorno. Qualcuno riesce persino ad essere gentile, e non è facile, quando hai davanti tutto il giorno chi non parla l’italiano e puzza perché ha viaggiato tutta notte e forse è in coda da tre giorni per un pezzo di carta!

QUESTO E' SOLO UN LATO DELLA MEDAGLIA.

Sembrerà poca cosa rispetto a 10 anni fa: nel 2008 Mahalla e soprattutto U VELTO, provarono a denunciare un fatto simile. Avvenimento di portata minore e col difetto di vedere vittime "solo degli zingari", il tutto passò nell'indifferenza quasi assoluta dei media e della rete. Eppure, i meccanismi repressori erano molto simili, e discuterne allora forse avrebbe aiutato a riportare il discorso su quanto avvenne a Genova.

E poi, mi ricordo al campo parecchi anni fa, X..., 18 anni appena compiuti, un occhio nero, lividi e quattro denti lasciati in commissariato. D'accordo, X... non era del tutto innocente, ma avremmo dovuto capirlo che se in caserma qualcuno (chiunque) poteva essere conciato così, senza che nessuno fiatasse, prima o poi avremmo sbattuto il muso su Bolzaneto. Anche allora (e più di adesso) NON VOLEMMO SAPERE.

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