Il giornale di Vicenza VIAGGIO. Una giornalista dal Nord al Sud per
raccontare vite nel vento - 20/07/2011
Rom fotografati da Bianca Stancanelli sulla copertina del suo libro La
vergogna e la fortuna (Marsilio)
«Questo libro è un viaggio», dice Bianca Stancanelli, giornalista siciliana,
autrice de La vergogna e la fortuna, storie di rom (Marsilio, 2011). Un viaggio
in quella «galassia di minoranze» che sono gli zingari, ma anche nel loro
rapporto con i gagè, parola con cui la lingua rom, il romanés, indica i
non-zingari. Ladri, mendicanti, imbroglioni, bugiardi: cosa c'è oltre a quello
che di solito la gente pensa degli zingari? Bianca Stancanelli apre la porta del
ghetto sociale recintato dai pregiudizi, con il merito di descrivere scenari
nuovi, talvolta sorprendenti. Il reportage nasce, come racconta l'autrice, da
una tragica domanda. Nel 2007, a Livorno, quattro bambini rom bruciano nel rogo
della loro baracca. Eva, Danciu, Lenuca e Menji: 11 anni la maggiore, 4 il
minore. «Tutto ciò che il pubblico ministero vuole è tenere in prigione i
genitori dei bambini morti con l'accusa di abbandono e omicidio colposo. In
un'altra estate, in Sicilia, un padre stordito dall'afa dimentica nell'auto
arroventata suo figlio, che muore soffocato. Al padre, l'Italia offre una
sgomenta solidarietà e a nessun magistrato viene in mente di aggiungere al suo
strazio la pena della galera. Ma se quell'uomo fosse stato zingaro l'avremmo
perdonato?»
Gli zingari in Europa, unica minoranza presente in ogni Paese, sono stimati in
8-12 milioni. Secondo l'antropologo Leonardo Piasere, l'80% è ormai stanziale.
L'Onu li suddivide in rom, sinti, kalè, manouches e romanichals; l'Ue semplifica
in rom e sinti. In Italia sono 160mila. «Siamo tra i Paesi che ne hanno meno e
che più li odia», commenta Bianca Stancanelli.
Percorrendo l'Italia da nord a sud, l'autrice ci accompagna in case famiglia,
appartamenti di periferia, carceri, loft in quartieri rinomati per raccogliere
testimonianze di rom e sinti: miserabili, come le ladre recidive Susanna, Mina e
Vesna, o emancipati, come lo scultore Bruno Morelli o la regista Laura Haliovic.
Ogni capitolo esalta la soggettività dell'intervistato per estrarla
dall'universo indistinto in cui è confinata per propria o altrui volontà. Si
scansa sia il «lirismo di chi li descrive come il popolo del vento» sia la
«crudezza di chi li considera un rifiuto della storia». Una missione ambiziosa,
l'autrice lo sa. Non per niente una citazione di Hemingway verga l'inizio del
libro: «La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta
sugli esseri umani».
Bianca Stancanelli documenta con animo aperto e, si capisce, con il desiderio di
raccogliere storie di riscatto. Talvolta ci riesce, come quando scrive del
timido Baraba, ragazzo rom del campo di Ciampino impegnato nel servizio sociale,
benché spesso fermato dalla polizia in via preventiva: «'Ndo vai? A rubba'?»
Altre volte il tentativo di affrancamento va a vuoto: «Susanna ha cominciato a
rubare a 14 anni come scelta inevitabile. "Bello non è bello. Uno è costretto
dal fatto di non avere documenti e di non poter ottenere un lavoro regolare". È
una scusa per conferire una paradossale dignità alla scelta di vivere rubando?
Avverto una sottile irritazione serpeggiarmi sottopelle», scrive l'autrice, «il
dubbio che quell'insistenza sul pregiudizio antigitano sia, insieme, un alibi e
un ostacolo». Ma dietro i furti ci sono anche le infanzie negate, come quella di
Beda, classe 1990, che porta le cicatrici delle percosse: «Essere menati da tuo
padre se non rubi ed essere menati dalla polizia perché rubi». Beda è scappata,
ora vive in una casa famiglia e lavora in un magazzino.
L'AUTRICE analizza l'odio per gli zingari che da secoli circola e che ha trovato
sfogo, oltre che in innumerevoli episodi locali di violenza, nel grande
Porrajmos, il Divoramento, come gli zingari chiamano il tentativo di
annientamento sistematico che fu attuato contro di loro dai nazisti. «I rom sono
un popolo-termometro: misurano la febbre della società», dice Stancanelli.
Verona, cui l'autrice dedica un intero capitolo, vive l'esperienza emblematica
che culmina nel campo di Boscomantico, chiuso nel 2008 per volere della
neoeletta amministrazione guidata dal sindaco Flavio Tosi: allora un politico di
provincia, oggi star televisiva e astro nascente della Lega. Per alloggiare le
famiglie sfollate, ricorda Bianca Stancanelli, «il Centro Don Calabria lancia un
appello alla "Verona che non volta le spalle": invita a offrire case per i rom,
si fa garante del regolare versamento dell'affitto. Ma nella cattolicissima
Verona, su 250mila abitanti rispondono in due». Altri immobili sono messi a
disposizione da associazioni benefiche. «Ma riuniti dal prefetto, i sindaci del
Veronese reagiscono: io non gli do la residenza, non li iscrivo all'anagrafe».
Commenta l'autrice: «C'è nella violenza di quei rifiuti un eccesso di ostilità
che è difficile non chiamare razzismo».
Nel 2001 un gruppo di leghisti veronesi — Flavio Tosi, sua sorella Barbara Tosi,
Enrico Corsi, Luca Coletto, Matteo Bragantini e Maurizio Filippi — promuove una
campagna politica con lo slogan: «Firma anche tu per mandare via gli zingari».
L'operazione, denunciata in procura da movimenti a difesa dei nomadi, viene
giudicata di stampo razzista in primo grado dal Tribunale di Verona nel 2004. La
condanna — pur con le attenuanti, confermata in Cassazione nel 2009 — è stata
sospesa. Ma in una recente intervista al quotidiano cattolico Avvenire, dopo
l'udienza in Vaticano concessa dal Papa ai rom, Tosi si è preoccupato di
dichiarare che quella degli zingari «è una scelta di vita che va rispettata,
purché siano rispettate le regole». Per esempio, «mandino i figli a scuola». E
un rom che chiede offerte suonando sul marciapiede «non è un accattone, ma un
artista di strada», basta che non molesti i passanti e che sviolini prima del
coprifuoco. «In questo caso, ben venga», parola del nuovo Tosi buonista.
Il problema c'è, ma la ghettizzazione non lo risolve. Un futuro giusto per
tutti, secondo l'autrice, può camminare solo sulla strada dell'integrazione.
Bisogna cogliere il germoglio di cambiamento che già esiste. Un segnale che
viene soprattutto dalle donne. Dice Bianca Stancanelli: «È uno scenario
insospettabile di femminismo gitano: la lotta di donne che vogliono cambiare la
loro vita e si trovano contro la famiglia di tradizione maschilista e poi,
compatta, anche la società italiana». Questa volontà di rinnovamento è speranza
di un destino migliore per i giovani: «Ci sono ragazzi e ragazze che provano a
incamminarsi su un percorso di legalità e, per farlo, si mettono contro il
proprio clan. Se alla fine non succede nulla, perché senza uno straccio di
documento nulla può succedere, tornano al campo sconfitti, umiliati. E finiscono
risucchiati dall'illegalità. Penso ai bambini che trovano violenza dentro e
fuori dal campo, cui la vita deve sembrare precocemente una trappola. Penso che
dobbiamo salvarli, farlo presto. E sarà comunque tardi».
Lorenza Costantino