Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/12/2010 @ 08:57:22, in Europa, visitato 1637 volte)
Da
Roma_Francais
Textes: Hervé de Chalendar
REPORT - Rom: ritorno, sotto la neve, nelle bidonvilles di Strasburgo
Alcuni sono rialloggiati in ostello, altri negli appartamenti. Altri infine
dormono sempre in rifugi indegni: da una settimana è stato lanciato il piano
"grande freddo" e siamo tornato a vedere i Rom di Strasburgo.
Tre mesi fa (L'Alsace del 4 settembre), non c'erano che tende. Ed il sibilo
delle auto era attenuato, filtrato attraverso le foglie delle siepi selvatiche.
Il campo è sempre là, a Strasburgo-Koenigshoffen, inserito tra la bretella
autostradale e lo stadio del calcio. Ma le tende non sono più occupate, sono
state rimpiazzate da tre baracche costruite con materiali di recupero.
"Le abbiamo costruite noi, per i bambini," racconta Samir, 20 anni. Dentro, i
pannelli di legno sono ricoperti da pezzi di tessuto. Una stufa sta bruciando
tutto il legno a disposizione.
Cinque persone vivono dormendo in questa baracca: "I miei genitori, io e le
due piccole," enumera Samir. Questa famiglia è arrivata in Francia nel 2001.
Vive di elemosina ed assegni familiari. Sono le 13.30. Vasil e Simana, 9 e 7
anni, ripartono verso la scuola.
Due giorni prima della nostra visita, le prefetture alsaziane avevano
attivato il piano "grande freddo". Quel giorno, la temperatura era di poco sopra
lo zero. La neve si attacca ai vestiti stesi sulle corde.
"E gli altri?"
Una dozzina di Rom vivono in questo campo, senza elettricità e con un solo
idrante, poco più lontano, per il rifornimento dell'acqua. Samir, annuncia una
grande novità: "Una signora del comune verrà a parlare con noi..." Se proponesse
un ostello? "Sarà complicato: non si può fare da mangiare, i bambini vanno a
scuola qui..." La "signora" in effetti arriva, accompagnata da un'altra. Tutti
si ritirano nella baracca. Poi Samir esce tutto contento: "Francamente, va
bene!" Ha proposto un appartamento sino al 31 marzo, in una struttura
associativa, verso Lingolsheim. La famiglia metterà un lucchetto alla baracca e
stasera la lascerà. "E gli altri?" Risposta: "Oggi a voi..."
Appartamento proposto a questa famiglia di cinque, ma anche a Gaby, 17 anni,
e suo figlio di cinque mesi. Eccola, appunto, col suo bambino in braccio. Quando
viene a conoscenza che il padre del bambino non ha diritto all'appartamento,
rifiuta l'aiuto offerto dal sindaco... E ritorna nel campo dove "alloggia",
dall'altro lato dello stadio. Allatta mentre cammina, in un paesaggio innevato.
Cinque roulotte con i vetri di plastica rattoppati col nastro adesivo sono
radunate attorno a degli alberi rachitici. Qui sopravvivono una ventina di
persone (di cui la metà sono minori). "Qui ho il riscaldamento, la legna,
tutto...", assicura timidamente la madre. La situazione si sistemerà poco dopo:
con l'aiuto di una associazione, la coppia e il bambino verranno rialloggiati in
un monolocale.
"La Romania, è morta!
"E io?" si interroga Nicola, suo vicino, padre anche lui di due bambini
piccoli. "Io, sono qui da vent'anni e non mi offrono niente?" Se gli si parla
del suo paese d'origine, si infuria: "Mai! La Romania, è morta!"
Passaggio in un terzo campo, sempre a Koenigshoffen. E' quasi deserto. Ci
sono solo tre roulotte. Dentro una di queste, Ramona, 22 anni, è solo di
passaggio: è da due mesi in un ostello, con suo marito, suo figlio (sette mesi)
e sua figlia (4 anni). Viene qui solo per preparare i pasti. Ma oggi, non c'è
più gas... "La bombola costa 27 €, non posso!" Ogni mattina, Ramona fa
l'elemosina sullo stesso pezzo di marciapiede di Strasburgo. "Tutti sono
abbastanza gentili con me..."
In Francia da due anni, segue corsi di francese e si scusa per il
disordine... Racconta di aver fatto domanda per l'auto impresa e di vivere di
piccoli commerci. Sorride, con fiducia...
Di Fabrizio (del 15/12/2010 @ 09:31:19, in scuola, visitato 1441 volte)
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Per opportuna informazione giro le foto scattate da un "nonno" volontario
che, nell’accompagnare i bimbi a scuola nell’ambito del progetto "Piedibus", ha
trovato sul cancello della scuola di via Cima un cartello, scritto da alcune
mamme: CRISTINA E I SUOI GENITORI NON CE L’HANNO FATTA A RESISTERE AGLI
SGOMBERI... 20 IN UN ANNO...
Cordiali saluti
Antonella Fachin
Di Fabrizio (del 14/12/2010 @ 09:26:55, in casa, visitato 1637 volte)
Il presidente del Tribunale di Busto ha disposto la riunione dei
fascicoli: il processo civile per l'area del campo di via Lazzaretto ripartirà
nel 2011
La causa civile tra Comune e famiglie del campo Sinti di via Lazzaretto
riprenderà a gennaio: il presidente del Tribunale di Busto Arsizio ha disposto
che i fascicoli dei singoli procedimenti (nove, in mano a tre giudici diversi)
siano riuniti e affidati ad un unico giudice. L'udienza è stata fissata per il
25 gennaio: il legale del gruppo di famiglie del campo chiederà probabilmente
l'ammissione di alcuni testimoni, per ricostruire la tesi sostenuta fin
dall'inizio, vale a dire che tra Comune e Sinti non vi fosse un contratto vero,
ma una proposta unilaterale.
Anche se spesso si parla di comunità Sinti, in realtà in via Lazzaretto (nella
foto) abitano nuclei famigliari distinti, per ognuno dei quali è stato avviato
un procedimento di sfratto: da questo è nato l'allungamento dei tempi del
processo. Parallelo al percorso scelto dai 9 nuclei che si sono affidati ad un
avvocato, prosegue l'iter della causa per le altre sei famiglie: la prossima
udienza per questo gruppo è fissata martedì 21 dicembre. Anche in questo caso
probabilmente i procedimenti saranno riuniti e aggregati agli altri. E anche in
questo caso, dunque, è previsto l'ulteriore rinvio a gennaio.
Le famiglie Sinti di via De Magri furono trasferite nel
settembre nel 2007 in
via Lazzaretto, in una zona periferica tra Cedrate, Caiello e Cavaria, sulla
base di un accordo di
durata annuale. L'anno dopo l'affitto non venne rinnovato,
nonostante
non emergessero problemi particolari (la Lega invece
denunciava
degrado legato all'accumulo di rifiuti). Le associazioni cattoliche hanno sempre
criticato l'isolamento eccessivo del campo, poco favorevole a percorsi
d'integrazioni: per questo Acli, Caritas e San Vincenzo proposero anche un
progetto specifico, che però non è stato ritenuto adatto dall'Amministrazione.
Si confidava forse proprio nella possibilità dello sfratto, per cercare di
spingere le famiglie ad abbandonare l'idea della vita in comunità e in case
mobili. I tempi degli sfratti però sono risultati
ben più lunghi di quanto
previsto dall'Amministrazione.
11/12/2010
Roberto Morandi - redazione@varesenews.it
Di Ernesto Rossi
Immagine da
Archivio Romano Lil
AMILCARE DEBAR, detto Taro, sinto piemontese, staffetta e partigiano
combattente (col nome di Corsaro) nella 48^ Bgt Garibaldi "Dante Di Nanni",
comandata da Napoleone Colajanni "Barbato". È stato ferito nella battaglia delle
Langhe. Nel dopoguerra è rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite a
Ginevra; ha ricevuto il diploma di partigiano combattente dalle mani del
Presidente Pertini.
Era nato a Pinerolo il 16.6.1927; è morto a Cuneo, dove viveva, pochi giorni
orsono.
La sera del 26 aprile 2001 Taro intervenne alla Camera del Lavoro di Milano alla
presentazione del libro "Orgogliosi di essere Rom e Sinti", curato da Mario Abbiezzi ed Ernesto Rossi, pubblicato dalla CGIL Regione Lombardia, con
prefazione del suo Segretario Generale Mario Agostinelli e dedicato a Carlo
Cuomo.
Taro avrebbe dovuto fermarsi quella sera a Milano, dopo il breve concerto del
violinista rom George Moldoveanu, ospite del sindacato fino al giorno dopo per
rilasciare delle interviste sulla sua esperienza partigiana.
Ma, ricordando le sue vicissitudini dell'immediato dopoguerra, e come avendo
deciso di accettare il servizio nella polizia, offerto ai partigiani, e come
trovandosi in una delle prime azioni a perquisire un campo sinto, ritrovasse,
lui cresciuto in un orfanatrofio, la sua famiglia, fu preso da un'incontenibile
emozione, tanto che decise di rientrare immediatamente a Cuneo.
Vogliamo, con questo ricordo e coi materiali allegati, che mettiamo a
disposizione di tutti, contribuire al ricordo di un grande sinto, noto a troppo
pochi, perché lo sia sempre più a molti.
Ernesto Rossi, presidente delle associazioni "Aven Amentza – Unione di Rom e
Sinti" e "Apertamente di Buccinasco"
°*°*°*°*°*°*°*°°*°*°*°*
Allegato 1 - Scheda dell'Istituto della Resistenza di Torino (estratto):
"nato a Pinerolo il 16.6.27
nome di battaglia Corsaro
14^ (sic) Brigata Garibaldi- in banda dal 20.1.44 al 7.6.45
vi è entrato dichiarando di provenire da Racconigi
"figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di
risolvere i problemi" da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare alle
decisioni operative di guerra.
Dopo il maggio '45 dimorava nell'accampamento storico di Cerialdo di Cuneo."
Allegato 2 - Registrazione della voce di Taro,
che riferisce in sinto piemontese alcune brevi note autobiografiche, con
traduzione in italiano (dal sito "O
Vurdón" di Sergio Franzese).
[...]
E inoltre:
***Nota sull'intervista filmata intitolata
"TARO UNA STORIA RESISTENTE"
1996, Betacam SP, 48' 51"
regia: Luciano Mattaccini
montaggio: Daniele Minutillo
fotografia: Marco Acciari, Luciano Mattaccini
Il racconto di Taro, un semplice partigiano che, dopo un breve periodo come
staffetta partigiana, entra come
combattente nella 48° Brigata Garibaldi Langhe. Un lungo viaggio nella memoria,
dal settembre '43 all'aprile
'45. Il ricordo della persecuzione del popolo zingaro, il piccolo Tarzan Sulic,
il ricordo dell'amico fucilato.
Luciano Mattaccini (Roma, 1952). Specializzato in montaggio al Centro
Sperimentale di Roma. Filmografia:
Indagini su una proiezione al di sopra di ogni sospetto (1988),
Un uomo fioriva (1993),
Los amigos de la calle (1994).
***Su Amilcare Debar esiste un articolo, pubblicato (anni '80?) sulla rivista
"Patria" dell'ANPI nazionale.
Di Fabrizio (del 13/12/2010 @ 09:01:28, in Europa, visitato 2011 volte)
Da
Romanian_Roma
Carissimi!
Vorrei chiedervi di leggere e firmare la petizione dei Rrom che vivono fuori
dalla Romania, e protestare contro la decisione delle autorità rumene.
http://www.petitiononline.com/sa3la3ta/petition.html
Vostro fratello,
Emilian Niculae.
emilian_nic@yahoo.com
Attivista dei diritti umani, Toronto, cittadino canadese.
Testo in italiano della petizione:
Al:
- Governo rumeno,
- Congresso USA,
- Governo canadese,
- Unione Europea.
- Organizzazioni Internazionali dei diritti umani,
- Giornali,
- Fonti online di informazione,
- Media rumeni,
- Gente nel mondo.
Noi, popolo rom del mondo assieme ai residenti e cittadini di questi paesi,
vogliamo esprimere la nostra seria preoccupazione e disappunto, e registrare la
nostra protesta ed apprensione riguardo i nuovi incidenti di razzismo che sono
perpetrati contro i Rrom in Romania dal governo rumeno attraverso la sua
rappresentanza politica eletta. Alcuni, che rappresentano le istituzioni ad alto
livello, stanno portando attraverso le loro apparizioni pubbliche accuse gravi e
disinformanti contro il popolo rrom, da loro accusato di criminalità etnica.
Alcune di queste accuse sono state rese pubblicamente dal presidente rumeno,
Traian Basescu, che ha ripetutamente indirizzato accuse senza fondamento contro
il popolo rrom alla nazione che lo ha eletto in carica. Protestiamo inoltre per
altre forme di umiliazione rivolte ai Rrom da rappresentative parlamentari del
governo rumeno. Invece di mostrare tolleranza e rispetto verso i propri
cittadini rrom, stanno invece indirizzando insulti ed umiliazioni al popolo rrom,
non solo i cittadini rrom di Romania, ma a tutti i Rrom nel mondo.
Anche se noi Rrom abbiamo vissuto in Romania per oltre 700 anni, ancora non
siamo considerati i benvenuti. Al contrario, ci viene impedito di integrarci
nella società rumena. Siamo stati marginalizzati e considerati cittadini di
seconda classe. Siamo ancora condannati e obbligati a provare vergogna come
creature subumane che sono considerate più al livello di animali che di esseri
umani. E' stato così sin da quando siamo apparsi per la prima volta sul
territorio rumeno e costretti in schiavitù in Valacchia e Moldavia.
Il governo rumeno ed i suoi rappresentanti, che hanno l'obbligo legale di
lavorare costruttivamente per l'integrazione sociale del popolo rrom, stanno
tentando attraverso le loro azioni e dichiarazioni di degradare il popolo rrom e
di diffondere un'immagine falsa di chi siamo sui media pubblici. Così facendo,
invece di migliorare la situazione, stanno incitando i cittadini rumeni contro i
cittadini rrom nel creare ulteriori difficoltà per i rrom emarginati della
società. Continuano a perpetrare la miseria e le ingiustizie che i Rrom hanno
sofferto attraverso la loro storia in Romania, iniziando quando venne introdotta
la schiavitù dei Rrom nel 1385 sino a quando venne ufficialmente abolita nel
1844. Ci viene costantemente negata la possibilità di integrarci con successo
nella società maggioritaria in quanto Rrom.
La recente decisione dei legislatori rumeni di approvare una proposta di Silviu Prigoana,
rappresentante del Partito Democratico Liberale (PDL), di cambiare ufficialmente
la definizione etnica di Rrom nella definizione peggiorativa di "tigan", un
sinonimo di "schiavo", è solo un ulteriore esempio lampante che l'attuale
governo rumeno non ha rispetto per il popolo rrom, non soltanto in Romania ma
anche verso tutti i Rrom nel resto del mondo, in paesi che, in maggior parte,
garantiscono i loro diritti di identità etnica, dignità ed autodeterminazione
[sic].
QUESTA NUOVA DECISIONE DELLE AUTORITA' RUMENE E' UN TENTATIVO DI RESTRINGERE
I DIRITTI CIVILI DEI RROM RUMENI, CHE STIGMATIZZA ANCHE TUTTI I RROM NEL MONDO.
Noi, Rrom dentro e fuori dalla Romania, siamo costernati perché il governo
della Romania sta violando in maniera flagrante i diritti fondamentali garantiti
dalla Costituzione rumena ed i patti che la Romania ha firmato per diventare un
membro dell'Unione Europea che sostiene la Dichiarazione ONU sui Diritti Umani.
La Costituzione rumena, all'art.6 & 1, ripete quanto segue:
"Lo Stato riconosce e garantisce alle persone che appartengono alle minoranze
nazionali il diritto di mantenere, sviluppare ed esprimere le loro identità
etniche, ed i loro diritti culturali, linguistici e religiosi."
Chiediamo con forza che il governo della Romania riveda la sua politica
nazionale riguardo l'integrazione rrom. Chiediamo con forza che il governo
rumeno veda il popolo rrom come una nazione mondiale senza confini.
Chiediamo anche che il governo rumeno inverta la sua attuale posizione e non
ci imponga la definizione di "tigan", un termine peggiorativo che ci venne
applicato da estranei sulla base del nostro ruolo di non-eguali nella società
rumena, durante il periodo che iniziò nel 1385 quando fummo resi schiavi nei
principati rumeni di Moldavia e Valacchia e che terminò solo nel 1844 con
l'abolizione della schiavitù rrom in Romania.
Chiediamo inoltre che il governo riveda questa negativa decisione politica
che va contro a quanto richiesto dall'Unione Europea e dalle Nazioni Unite
riguardo le minoranze etniche in uno stato membro. Se questa azione negativa
avesse un seguito, proverebbe al mondo che il governo rumeno non ha interesse
nell'integrazione costruttiva dei suoi cittadini rrom nella società rumena e
sarebbe inoltre un insulto a tutti i Rrom.
Ancora una volta, con questa proposta, la Romania sta dimostrando alla
comunità internazionale che il razzismo e la violenza contro i Rrom, che
riemerge dopo la caduta del comunismo nel 1989, viene ufficialmente appoggiata e
perpetrata dall'attuale governo rumeno.
Noi, Rrom dentro e fuori dalla Romania, non concordiamo con la decisione del
governo rumeno, che propone di applicare alla nostra nazione una definizione
etnica, che non riconosciamo e rigettiamo con forza. Siamo Rrom - non "tigani".
Chiediamo a quanti riconoscano il nostro diritto ad autodefinirci Rrom, di
firmare la petizione. Vi chiediamo anche di scrivere al consolato rumeno nel
vostro paese per chiedere che il governo rumeno inverta la sua decisione
di negarci una definizione etnica appropriata, quella di Rrom. Questa proposta
di legge è illegale in un paese membro della UE e membro delle Nazioni Unite. E'
anche un insulto alla dignità del popolo Rrom nel mondo.
Di Fabrizio (del 12/12/2010 @ 09:46:29, in scuola, visitato 1395 volte)
Da
Roma_Daily_News
Montreal Gazette By Shawn Mohammed, AFP
Bambini zingari iracheni frequentano una classe nella prima scuola mobile per
zingari, sponsorizzata dal Ministro all'Istruzione nella città curda irachena di
Sulaimaniyah il 26 novembre 2010.
Photograph by: AFP, Getty
SULAIMANIYAH, Iraq, 5 dicembre 2010 (AFP) - Potrebbe sembrare modesta, ma la
tenda che funge da aula scolastica e la macchina che funziona anche da
ufficio, sono per i Rom che lì frequentano le lezioni, la prima scuola del
genere nel Kurdistan iracheno.
Il frutto di un insegnato toccato dalla difficile vita della comunità rom di Sulaimaniyah, Al-Ruhal
(I Nomadi) ha aperto le sue porte, o meglio le sue falde, mercoledì ai margini
della seconda città della regione autonoma curda, a studenti di età compresa tra
sei e 45 anni.
"Questa primavera, ho suggerito alle autorità all'istruzione di Sulaimaniyah
di aprire una scuola professionale per gli zingari che vivevano vicino alla
città," racconta ad AFP Hana Fadhel Ahmed, preside e fondatrice della scuola.
"Hanno accolto l'idea, e mi hanno chiesto di identificare chi poteva essere
interessato a frequentarla."
Secondo Ahmed, circa 70 famiglie rom vivono in tende all'esterno della città,
a 270 km. a nord di Baghdad.
"Nessuno di loro sa leggere o scrivere," nota delle 383 persone.
Mancando le risorse per separare i giovani anni per anno, le classi di
Al-Ruhal dividono i propri studenti in due grandi sezioni - la mattina inizia
con sei ore di lezioni di gruppo a 70 bambini di età compresa tra sei e 12 anni.
Nel pomeriggio, sono tenute due classi in simultanea, una per gli studenti tra i
13 e 24 anni, e un'altra per i più anziani, con un limite di 45 anni.
"E quando richiudono le tende e si spostano, noi ci spostiamo con loro," dice
Ahmed.
"Si spostano nei dintorni ogni sei mesi, ma solo nel Kurdistan. La (confinante)
Turchia non li vuole."
Le risorse sono scarse. I cinque insegnanti della scuola devono preparare le
lezioni in macchina e, mentre le autorità hanno promesso di assumere più
insegnanti per Al-Ruhal, la scuola deve provvedere all'oggi.
Lo storico curdo Sardar Mohammed dice che la maggior parte dei Rom che oggi
vivono in Iraq, sono originari dell'Iran attuale. Mentre non sono disponibili
cifre precise, i leader tribali stimano che il loro numero a livello nazionale
sia di circa 60.000.
Tuttavia, la loro situazione si è deteriorata drammaticamente dopo
l'invasione condotta dagli USA che ha spodestato Saddam Hussein nel 2003.
Sotto il regime baahtista di Saddam, il pugno di ferro del dittatore non si
era abbattuto sui Rom.
Gli uomini erano cantanti o musicisti professionisti e le donne erano
invitate a ballare a feste e matrimoni in Iraq.
Oggi, col paese dilaniato dalla guerra gestita principalmente dai capi
religiosi, in contrapposizione alla società prevalentemente laica che esisteva
sotto Saddam, la comunità rom si sente messa al bando.
"Il governo turco ci ha dato i documenti," dice Hassan Rahin, 65 anni. "Ma
viviamo nelle tende; rimaniamo cittadini di seconda classe."
"Questa scuola ha aperto molto tardi; dovrebbe essere arrivata anni fa. Ma se
ci porterà dei benefici, saranno per i nostri figli."
Le condizioni vissute dalla comunità rimangono scioccanti per molti degli
insegnanti della nascente scuola.
"Alcuni studenti non mangiano abbastanza e altri non possono neanche lavarsi
la faccia perché non c'è abbastanza acqua nei loro campi," dice Bayah
Rahim, insegnante di 37 anni.
"Così con loro dobbiamo ripartire da zero perché non sanno nulla del sistema
scolastico. Non sanno di dover stare seduti ad ascoltare e rispettare il loro
insegnante."
Obiettivo della scuola, secondo la sua direttrice, è dare ai bambini rom
un'opportunità di vita migliore. Mentre alcuni dei loro genitori sono capaci di
guadagnare vendendo vestiti prodotti da loro stessi, molti altri ricorrono all'elemosina.
"Ed altri si rivolgono al furto o alla prostituzione," dice Ahmed.
"Questa scuola intende indirizzarli sulla strada giusta."
Karim, uno degli studenti della scuola, ammette prontamente che doveva andare
a mendicare al mercato di Sulaimaniyah prima che aprisse la scuola.
"Sono contento di non dover andare a mendicare. Spero che questa scuola mi
aiuti a trovare un buon lavoro," dice il dodicenne.
Gongola Mariam di nove anni, eccitata per l'opportunità di studiare. "I miei
genitori mi hanno incoraggiato ad andare a scuola, assieme a mio fratello."
© Copyright (c) AFP
Di Fabrizio (del 12/12/2010 @ 09:40:46, in blog, visitato 1593 volte)
Incontriamoci in Second Life
Chiara di notte
Domenica prossima, avverto, non saro' a Budapest alla stazione di Keleti ad
attendere qualcuno che non arrivera', pero' chi sentira' il desiderio
d'incontrarmi, seppur nella mia forma “digitalizzata”, potra' farlo lo stesso
entrando semplicemente in Second Life, ed insieme a me potra' incontrare anche
altri commentatori-protagonisti di questo blog: Kameo, Serena, Marco, Flyingboy
ed altri ancora.
Clicca sull'immagine per leggere il numero di EsseElle
Saremo infatti tutti quanti presenti alla grande festa tzigana che, proprio in
questi giorni, stiamo organizzando ed allestendo con danze e musiche gitane
all'interno di una scenografia ricreata appositamente, e che si svolgera' in
occasione dell'uscita del numero natalizio di EsseElle Movie Magazine, la
rivista dedicata ai mondi virtuali alla quale collaboro ormai da molto tempo che
come tema avra' questo mese proprio gli Zingari. Qualcosa che mi riguarda
personalmente e che, e' inutile dirlo, non avrei potuto fare a meno di darne
notizia, anche perche' mi pare sia questa la prima volta che, in Second Life,
questo argomento viene affrontato con una certa profondita', sebbene con tutti i
limiti che una pubblicazione di tal genere possa avere.
Comunque, non so se chi mi segue in questo blog sara' interessato o avra' un
briciolo di curiosita' – io spero di si' –, ma potrebbe essere questa un'ottima
occasione per iniziare a conoscersi un po' meglio. A volte le personalita' che
emergono attraverso i commenti, possono mostrarsi falsate proprio dalla
staticita' dei commenti stessi, dal voler fare a tutti i costi bella figura, dal
voler avere sempre ragione, mentre potrebbero risultare completamente
differenti, piu' umane e meno edulcorate, in una chat o in un incontro piu'
ravvicinato in cui la dialettica fosse piu' diretta e meno rigida.
Per questo motivo ci terrei moltissimo a conoscere coloro i quali non avessero
problemi a “mostrarsi”. Dopotutto, Second Life, anche se a prima vista puo'
apparir complicata, non e' diversa di una qualsiasi chat con animazioni, ma e'
questo in ogni caso il primo passo da fare per conoscermi un po' di piu' e per
scoprire esattamente come io sia ben peggiore dal “vivo” – se di vivo si puo'
parlare – di quanto mi mostri nel blog. Per cui, sono certa che se adesso vi
sono minimamente un po' antipatica, vi assicuro che dopo mi detesterete del
tutto. Come detesterete, presumo, anche gli altri amici ed amiche che mi hanno
seguita nella realizzazione di questo numero veramente speciale di EsseElle
Movie Magazine e che, se vorrete, potrete incontrare a partire dalle ore 23:00
di domenica 12 Dicembre alla festa tzigana in Second Life:
http://maps.secondlife.com/secondlife//115/202/26
Di Fabrizio (del 11/12/2010 @ 09:42:35, in Italia, visitato 1671 volte)
Intervista ad Elisabetta Sardi – Ass. L.h.a.s.a.
A cura dell'Ambasciata dei Diritti/Falconara
L'Ambasciata dei Diritti - Falconara realizza un'intervista ad Elisabetta
Sardi, volontaria dell'ass. L.H.A.S.A. (associazione che si occupa della
questione Rom), che partecipa, insieme a molte altre, al coordinamento di
associazione cittadine "Falconara in rete", sorto lo scorso anno per contrastare
le politiche securitarie ed intolleranti messe in atto dall'Amministrazione Brandoni (PdL – UdC) nei confronti di varie questione legate ai disagi sociali e
della marginalità.
Elisabetta, cerchiamo insieme di delineare un quadro sull'attuale situazione
cittadina. A partire dalla questione di cui ti occupi.
Proviamo a gettare le prime linee di questo discorso e comprendere che, quando
si parla di campo nomadi a Falconara Marittima, si parla di un luogo peculiare e
dalle caratteristiche che lo differenziano dalla "tipica" struttura
stigmatizzata dai mass-media. Ora che il dibattito sulle popolazioni nomadi si
fa più intenso e dopo le azioni spettacolari del sindaco di Roma Alemanno, le
politiche spietate della Francia condannate dall'Unione Europea stanno mettendo
in pratica deportazioni e sgomberi etnici. Partendo da questo quadro, chi abita
il "campo Rom" a Falconara? Parlaci della storia del campo.
Il campo nomadi di Falconara nasce nel 1999 come luogo di transito/sosta dei Rom
già residenti in città in quanto figli di Rom già stanziali da alcuni anni, che
avendo famiglie numerose non hanno avuto la possibilità di acquistare case per i
propri figli. Non avendo, questi ultimi, altre possibilità giravano per la città
con roulotte o caravan e si stanziavano allo stadio, nei pressi dell'aeroporto,
a Fiumesino ed, infine, vicino alla piscina comunale (zona industriale). Su
pressione dell'associazione L.H.A.S.A. e del portavoce delle famiglie Rom (negli
anni 1997/98) è stato richiesto all'allora Sindaco di approntare un'area per
migliorare le condizioni di vita di queste giovani coppie, anche con figli, che
erano già cittadini di Falconara. I Rom falconaresi hanno fatto il loro ingresso
nella nuova area nel settembre del 1999, ma la loro presenza era già radicata
nel tessuto urbano della città poiché erano tutti già residenti presso le
abitazioni dei loro genitori.
A questo punto le giovani coppie si stanziarono nel campo, ottennero alcuni dei
prefabbricati, altre delle roulotte, il tutto con un contratto di locazione
stipulato con il Comune (3 prefabbricati e tre roulotte per un totale di sei
famiglie). Le famiglie nel corso degli anni si sono succedute, senza mai
superare la soglia di 6/7 nuclei familiari composti da marito, moglie e due,
massimo tre figli per coppia. Tutte le coppie, anche quelle che nel corso degli
anni si sono succedute, erano Rom già residenti in città. Nel corso degli anni
alcune famiglie hanno avuto la possibilità di acquistare una casa, altre hanno
avuto case d'emergenza abitativa comunali o ERAP (Ente Regionale per
l'Abitazione Pubblica della Provincia di Ancona) ed hanno lasciato il campo ed
il posto ad altre giovani coppie cittadine. Tuttavia i Rom si sono adattati,
loro malgrado. Diverse coppie hanno trovato altre soluzioni individualmente,
altre hanno lottato per avere una casa d'emergenza, altre hanno aspettato per
anni l'assegnazione di una casa ERAP. Nel frattempo i loro figli sono cresciuti
ed hanno frequentato le scuole cittadine.
Le Amministrazioni comunali non si sono mai occupate molto del campo, che nel
corso degli anni è stato abbandonato al degrado, con i relativi problemi
d'igiene e sanità. A oggi nel campo vi sono tre nuclei familiari, ma le coppie
non sono più composte di soli Rom, sono coppie miste (lei Rom e lui no e
viceversa). Una di queste ha figli e nel campo non avrebbe mai abitato, ma la
loro casa, prefabbricata e di loro proprietà, posta su un terreno sottostante un
ponte in zona Stadio (periferia) con il consenso del Comune, fu abbattuta
all'alba del 24 novembre 2009, senza preavviso. Questa famiglia si è trovata
senza tetto dal mattino alla sera con due figli, uno di due anni e uno di pochi
mesi. Hanno trovato riparo nel campo in un prefabbricato assegnato ad una
parente che l'aveva liberato dopo aver acquistato una casa.
Per via dei bambini molto piccoli la famiglia ha fatto richiesta di nuova
residenza dentro il campo, ma è stata loro negata. Subito dopo sono cominciate
le minacce d'immediato sgombero del campo. Dopo gli sgomberi forzati dei Rom
rumeni in Francia, i giornali locali hanno scritto articoli su un'immediata
chiusura del campo Rom di Falconara, apparsi due o tre giorni di seguito e con
titoli accattivanti, dove si paragonava il Sindaco Brandoni (PdL) a Sarkozy (!).
I cittadini falconaresi hanno immediatamente associato i loro concittadini Rom
ai Rom di provenienza rumena. In realtà, ripeto, nell'area vivono solo cittadini
di Falconara e, al cinquanta per cento, non di etnia rom, per un totale di tre
coppie ed una sola con figli (due).
Considerati, alla luce di questa fotografia generale della storia del campo, gli
sviluppi personali e collettivi di chi vi ha abitato e di chi vi abita, pare di
comprendere che le vicende europee abbiano in qualche modo influenzato, o per lo
meno accelerato, ciò che era in programma da anni nell'ente locale. Le politiche
comunali hanno sempre voluto rispondere ad un'opinione pubblica che,
condizionata dalla rappresentazione mediatica dell'etnia Rom, ha sempre chiesto
l'esclusione – o peggio, la cacciata – dal "proprio territorio" dei nomadi.
Tuttavia, nella realtà che emerge dalle tue parole, il problema sembra essere un
altro, perché comprende non solo i cittadini Rom, ma anche i non-Rom, che pur
non appartenendo a quell'etnia, da "autoctoni", s'imbattono nella questione "campo" e in definitiva nella più generale questione abitativa.
Emblematica in questo senso è la demolizione del prefabbricato di via Stadio:
sbandierata dalla stessa amministrazione comunale come una realizzazione degli
obiettivi definiti nel programma elettorale, include in sé una serie di
problematiche che andrebbero analizzate partendo, più che da un presupposto
etnico, da una volontà diffusa di emarginare i più deboli. A tuo avviso è
corretta una simile interpretazione?
Sì, e no. Mi spiego.
In questo caso, è vero, l'etnia non è il problema, se così fosse sarebbe
comunque grave.
Il problema è che i nostri politici vogliono rispondere, copiosamente,
all'opinione pubblica che chiede "la cacciata dal proprio territorio" dei "nomadi", di coloro che tutti chiamano zingari.
I nostri amministratori non hanno le idee chiare su chi siano i Rom, non sanno a
quale gruppo etnico appartengono ed identificano con la parola "zingaro" tutto
quello che ci può essere di negativo e becero nella loro rappresentazione
superficiale della realtà. Il problema è generale, l'opinione pubblica
identifica con la parola "zingaro", o Rom, un essere pericoloso e da evitare.
I nostri attuali amministratori hanno fatto tutta la campagna elettorale
parlando di sicurezza e di come questa sia messa in pericolo da extracomunitari
e Rom. Tra le altre cose hanno promesso di cacciare i Rom dal territorio,
chiudendo il "campo degli zingari" (come se tutti i Rom di Falconara vivessero
in tal luogo e clandestinamente: per giunta, loro sono falconaresi, residenti da
anni e molti vivono in abitazioni private). È dall'inizio dell'Amministrazione Brandoni (PdL) che promettono, da un mese all'altro, di chiudere l'area di
transito/sosta, ma la cosa ha presentato ostacoli complessi quali, appunto, la
residenza a Falconara degli stessi abitanti, la mancanza di altre soluzioni
abitative, le pressioni delle associazioni; insomma, per una serie di
circostanze non gli è stato facile attuare una chiusura dell'area in tempi
brevi.
Allora, dovendo dare un "contentino" agli elettori, è capitata a tiro la casetta
prefabbricata della famiglia che ho citato. Questa "casa", ubicata sotto un
ponte (in via dello Stadio, zona industriale), aveva, ripeto, un numero civico
ed un permesso temporaneo del Comune per stare in quel luogo. Nessuno ha mai
chiesto al proprietario del prefabbricato di trasferirsi dal terreno.
Una mattina sono arrivati, presto, con le ruspe ed hanno dato per scontato che
non fosse abitata. Nel frattempo sono arrivati i proprietari ed i parenti che
non hanno potuto visionare alcuna ordinanza di sgombero o abbattimento, lo
stabile è stato abbattuto, i loro beni personali portati in un luogo sconosciuto
e comunicato solo in seguito alle richieste di un Consigliere comunale
d'opposizione.
Il nostro malcapitato non è Rom, il suo prefabbricato non era un accampamento,
ma è servito ugualmente per farne due manifesti enormi, ai due ingressi
cittadini, Nord e Sud, riproducenti le foto dello "sgombero" e la seguente
dicitura: «Una città civile difende il proprio decoro. Le regole sono regole per
tutti». I manifesti recavano la seguente firma nell'angolo di destra: "Coordinamento Comunale di Falconara M.ma". In un grande tondo:
"Il Popolo della
Libertà BRANDONI SINDACO". Per quel Natale (i manifesti sono stati affissi verso
la fine di novembre e per circa 15 giorni) il Sindaco ha regalato ai suoi
elettori una cornucopia grondante sicurezza.
Detto ciò, però, non attribuirei ai nostri amministratori un compiuto disegno di
emarginazione e neutralizzazione dei più deboli, come in un disegno "politico";
sarebbe un piano quasi intelligente, se pur diabolico.
Come interpeti allora una gestione così intollerante e violenta di un problema,
che come ci hai fatto capire, non ha rilevanza sociale (e che più che altro è un
disagio sociale del quale la famiglia in questione è vittima, non artefice)?
La questione è più semplice di quanto sembri: loro dicono «dobbiamo accontentare
il "volgo" che ci ha votati e, in mancanza di una vera comunità di zingari
contro cui accanirsi, come a Roma o Milano, facciamo finta di aver un problema
anche noi e di affrontarlo con il "braccio di ferro"». Non hanno proprio la
fantasia per fare un progetto politico, nemmeno di annientamento. Per annientare
qualcuno bisogna conoscerlo, ma loro non conoscono, non sanno. Sono ignoranti!
Progetto semplice o complesso, nei confronti di tutto quello che sta accadendo a
Falconara, ora come ora possiamo per lo meno dire che le stanno sperimentando
tutte. Da ultimo, la proposta del coordinatore cittadino PdL Astolfi, che
vorrebbe «recinzioni elettrificate e militari pronti a sparare a vista» come
condicio sine qua non all'eventuale futura installazione di un C.I.E nel
territorio comunale. Nonostante non conoscano, i comportamenti e le azioni di
questo "centro-destra" falconarese si concretizza sempre in metodi violenti e
repressivi, che siano migranti, Rom o "falconaresi".
La rappresentazione mediatica della realtà che riesce ad ottenere attraverso
l'ideologia securitaria nazionale, un piccolo Comune la utilizza – per
governare, a prescindere dalla grandezza del fenomeno sottostante. Possiamo dire
che, se di eliminazione non si può parlare, siamo allora di fronte ad uno
sfruttamento della miseria per garantirsi potere?
Certo. Vogliono accontentare quella parte di elettorato che li vuole così:
aggressivi, violenti. Sono i rappresentanti, degni, di chi è razzista. Usiamola
pure questa parola: razzismo. Diciamo che la ragione, la cultura dovrebbe
mitigare questo sentimento irragionevole, tribale. Tuttavia oggi abbiamo una
classe politica, a Falconara, in Italia, in Europa che soffia sulla brace calda
del razzismo. Così risulta che se c'è "la crisi" è colpa dello straniero che
porta via il lavoro o che lavora sottopagato, talvolta ridotto in schiavitù.
Risulta una buona soluzione mandare via gli stranieri o impedire il loro
ingresso in Italia, piuttosto che stabilire nuove regole di lavoro e,
soprattutto crearne. Le case popolari sono poche (in Italia non si fa più
edilizia popolare come negli anni passati, a Falconara meno che mai) e coloro
che hanno bisogno di una casa si arrabbiano con gli stranieri che, a loro dire
hanno sempre la precedenza e così succede con i contributi sociali.
Ecco allora che viene fuori la questione inaudita dei "Falconaresi doc". E' la
solita politica "populista" che fomenta gli scontri, piuttosto che costruire una
società solidale. Il nostro Governo umilia i più deboli, li rende minuscoli e
appare sempre più forte e più grande. L'informazione, spesso, è faziosa:
ingigantisce alcune realtà, sminuendone altre. Resta difficile, per molti, farsi
un'opinione libera, non indotta dai mezzi di comunicazione. Tutto questo giova
alla nostra attuale classe politica.
Dobbiamo stare attenti agli indottrinamenti, alle trappole che ci tolgono la
libertà di pensare. Dobbiamo avere il coraggio di pensare e farlo in grande. Nel
"nostro" sogno di un altro mondo possibile, non c'è posto per ruspe, "recinzioni
elettrificate" e "militari che sparano a vista".
[martedì 7 dicembre 2010]
di Alberto Maria Melis
Mirko Levak Nato nel 1928, di etnia rom di origine italo-slava. La carovana
della sua gente viene fermata dai nazifascisti in Friuli, tutti vengono
rinchiusi in carcere a Trieste, quindi, dopo una sosta a Bolzano, deportati ad
Auschwitz. Mirko Levak, che all'epoca dell'arresto ha solo quindici anni, è tra
i pochi sopravvissuti di quell'arresto.
[...] Una vecchia intervista a Mirko Levak, tratta dal sito web dell'Anpi, ma
con una premessa. Rispetto all'originale, che è una trascrizione letterale del
parlato registrato per il video dell'Opera Nomadi, in molti punti di difficile
comprensione per le difficoltà che Mirko Levak incontrava nell'esprimersi in un
italiano corretto, questa che segue è stata adeguata e resa più comprensibile a
chi legge (la versione originale è scaricabile
QUI).
"Dunque, il nostro comune era Postumia di Grotte, provincia di Trieste. Quando i
tedeschi sono venuti a Postumia, e hanno occupato tutto il Carso, il mio povero
nonno, che conosceva i tedeschi, perché era stato in guerra dal '15 al '18, (per
questo conosceva la razza tedesca e austriaca), diceva: "Meglio che ce ne
andiamo di qua!".
Erano in tanti che scappavano da Postumia ma anche dalla Croazia. A Postumia
erano giunti in tanti, dalla Croazia, da tutta l'Istria, erano tutti rom, tutti
zingari. E allora mio nonno e i miei parenti hanno preso i carretti, hanno
attaccato i cavalli, e stavamo venendo verso l'Italia quando a un certo punto,
tra Portogruaro e Latisana, ci fermiamo vicino a una strada e vengono i
tedeschi, che hanno capito subito che eravamo zingari e ci hanno fatto una
specie di rastrellamento.
Non si muoveva nessuno, io ero ragazzino, ci domandarono dove andavamo.
"Giriamo il mondo" disse mio nonno, "gli zingari girano il mondo per vivere".
Allora ci hanno ci hanno presi tutti: cugini di mio padre, altri familiari, me,
due tre bambini, ci hanno
preso e ci hanno caricato sulle macchine o su un camion – non mi ricordo più
precisamente – e ci hanno sequestrato.
Certe donne invece, la mia mamma, certi familiari, mio nonno che era vecchio, li
hanno lasciati andare.
A noi ci hanno caricato e ci hanno portato, credo, verso Trieste. Là c'erano dei
treni, con quelle carrozze su cui ci si caricano i cavalli, le bestie, e ci
hanno messi tutti lì e ci hanno portato credo – credo – verso l'Austria, dove
siamo stati per un mese, pressappoco, e di là ci hanno caricati di nuovo e ci
hanno portati in Germania.
I tedeschi parlavano la loro lingua. Finché eravamo di qua, in Austria, ancora
c'erano italiani, c'erano fascisti e un po' si capiva, ma là…
Insomma dall'Austria ci hanno portato direttamente ad Auschwitz e ci hanno messo
in baracche... una specie di baracche, e lì ci domandavamo "cosa ci faranno?".
Tanti piangevano e io piangevo, chiedevo della mia mamma. C'erano altri parenti
(...) … C'erano ebrei e altri e anche loro ci davano coraggio.
Ci portavano a lavorare i campi, ma chi sapeva lavorare i campi? Si cavavano le
patate con le unghie. Lì siamo stati parecchio, un giorno qua un giorno là, dai
contadini, poi ci hanno rinchiuso proprio nelle baracche. C'era qualcuno che
cercava di scappare. (............................) Insomma, per dirvelo
francamente, quel che ho visto in quei campi non lo auguro neanche alle bestie.
Mi ricordo un giorno, si lavorava, si spostavano delle cose, un amico cadde
vicino a me e io mi avvicinai per sollevarlo, venne un tedesco e mi diede un
calcio.
"Non devi aiutare quell'uomo".
"Perché poverino?"
"No!" e di nuovo un calcio e una botta sulla testa.
Questo qua piangeva poverino e il tedesco "Ssst, sennò vi ammazzo"
"E ammazzateci, tanto ormai!".
Lì sono diventato come uno scheletro, ho dimenticato anche come parlare, non già
la lingua, ho dimenticato tutto. Non si poteva ricordare più niente (di ciò che
era stata prima la nostra vita) per tutto quello che si vedeva in questo
benedetto campo.
Troppo disastro!
Ho visto il cugino del mio povero padre, l'hanno buttato in un forno, e io
piangevo, e mi battevo le mani, e gli altri mi davano gli schiaffi e mi dicevano
"perché piangi?". "È mio parente…" e ancora schiaffi.
"Arbeit, Arbeit!" "Arbeit?", dicevo io. "Lavorare!".
Ma cosa facevo nel campo? Niente. Perché oltre a portare qualche
morto da qualche parte o seppellire (qualche cadavere)… Era difficile anche
seppellire.
Una volta, con un camion (...), ci hanno portato in mezzo ai campi. Li scavammo
una fossa grande e i morti li buttammo dentro, senza una coperta, senza niente
(nudi). Lì c'erano anche i miei parenti. A loro (ai tedeschi) non interessava.
Pestavano sopra. Pestavano, non gli faceva nessuna pietà. Ordinavano di fare la
fossa, li prendevano e li mettevano in fila indiana, e cercavano di ucciderne
tre, quattro, con una pallottola sola. E c'era uno che non sapeva fare niente...
Così un nazista - avevano le bombe con il manico, che me le ricordo sempre – con
quella (una bomba) gli ha dato una botta in testa che è rimasto secco. Gli
veniva quasi il cervello fuori. Mamma mia! Il sangue veniva fuori come … hai
visto quando ammazzano un bue, come il sangue scorre?
A Jasenovac, ce n'erano che erano venuti dalla Jugoslavia: erano fascisti e
ustascia e dicevano che facevano i …
Jasenovac si chiamava questo paese e c'erano là anche zingari, ebrei, ce n'erano
tanti in Jugoslavia di zingari e rom … e allora loro gli mettevano un chiodo
sulla zucca e (poi) poggiavano la testa di questo poverino e ( poi) con una
mazza (...)... e li prendevano come cani e li buttavano nel fosso, nelle fosse
comuni. Ho sentito di quelle cose che nessuno crede!
Quando (oggi?) vado a Auschwitz, (...) (e) a Jasenovac, dove c'erano tutti i
prigionieri rom, (e) pochi erano ebrei...(...) ogni volta (...) sento ancora un
rumore che è roba dell'altro mondo.
(Alcuni nuovi arrivati ad Auschwitz) mi [rac]contarono che venivano da Jasenovac
(...) e dicevano "ancora, ancora, qua… ma devi vedere là cosa c'è!". Ormai ci
eravamo conosciuti, eravamo rom, parlavamo la stessa
lingua "Ma tu Mirko devi vedere là cosa c'è!". Preghiamo … (...) "però vedrai
che faremo la stessa fine di quelli di Jasenovac!"
C'era chi si ribellava per tutto questo che ci facevano. Quel che succederà
succederà, dicevano. Tanti – e ce n'erano più anziani di me – dicevano "ormai
tanto, così o così, ci ammazzano lo stesso. Proviamo a ribellarci". E chi
pensava a ribellarsi – perché (i tedeschi) sapevano chi era colpevole, perché
c'erano sempre delle spie di mezzo – e veniva preso e lo buttavano nel forno.
Pane non ne facevano dentro (il forno). Era solo per i cristiani! Peggio delle
bestie erano (...) lì. E sapevamo (tutto quello che succedeva) , perché c'era il
forno, e si vedeva.
Hanno preso il cugino del mio povero padre, per una parola detta, (...) non
(...) ricordo la parola, (o) cosa ha fatto: non ha obbedito… L'hanno preso per i
capelli e l'hanno tirato vicino a quel fuoco e l'hanno buttato (dentro). Vivo!
Non ucciso. Vivo! Finché li buttavano, poverini, dopo averli fucilati, dopo
averli ammazzati… ma vivi li buttavano! Quello che mi ha fatto impressione e che
mi torna sempre in mente (ero ragazzino, ma mi ricordo) era quando li tiravano
fuori (i morti, dalle baracche?), sui carrettini e li buttavano
nelle fosse comuni. Quello sì mi ricordo bene. E quante volte ho tirato io quel
carrettino. Era pesante, bisognava avere un cuore forte, e bisognava farlo,
sennò ti spettava… spettava anche a noi finire così.
Ecco perché alle volte (...) i rom e gli ebrei si ribellavano, perché li si
obbligava a partecipare a quel massacro, noi altri stessi, ai nostri parenti.
Guarda, a me è toccato portare un mio parente, poverino, (e) buttarlo dentro
(una fossa) e (...).
Poi, tra compagni, si parlava dei parenti: "Ma guarda cosa ci tocca fare?".
Per due o tre volte è successo, che scoppiasse la ribellione, ma chi lo faceva
lo pagava salato.
Ho visto un giorno a uno, povero!, a una donna e un uomo, marito e moglie, mi
ricordo sempre, era brava gente, si vedeva… Si carezzavano. Era incinta, questa
donna, e le hanno sparato in pancia e l' hanno tagliata con il mitra, così, in
pancia. Una roba… che vedevi sto sangue; suo marito l'abbracciava (e) pam! E
dopo, sopra di lei con le baionette, con quelle cose lì li hanno massacrati.
Insomma, mi sento indignato a (ricordare) queste cose, non vorrei mai
(ricordare) queste cose.
"Adunata" dicevano, e dovevi essere presente. Contavano a uno a uno. Io credo
che facessero finta di contare. Con tanti come eravamo, come facevano a contare
col dito, così. (...) (........)
Poi ci buttavano (addosso) la soda caustica.
La facevano bollire e ce la buttavano sui vestiti, quelli tedeschi, quelli con
le righe. Per ammazzare i pidocchi.
1942, '43, '44, fino al '45. Due anni e mezzo sono stato là. Avevo sui 14 anni,
neanche. Te lo giuro se mi ricordo più! (...) Avevo sui 14 anni. Avevo anche
qualche pregio: avevo un sorriso. Ridevo sempre, ma c'erano tanti che non ce la
facevano, diventavano come stecchi, si vedevano le ossa, si vedevano le ossa
fuori dalla pelle.
Dopo che i tedeschi si ritirarono, restammo liberi. Siamo usciti fuori (dal
campo) da soli. Però tutti come stecchi. Come stecchi siamo usciti!
Adesso mi sento ancora… (....) ... mi sento "angosciato" a parlar di queste cose di cui non dovrei parlare. Mi dispiace, però, io
(per) quello che vedevo, ero diventato sciocco. (...) Ho sempre dentro
l'orecchio questo rumore qua benedetto. Mi sento sempre quel rumore dentro, che
è un rumore... una roba dell'altro mondo. Non voglio neanche più parlare
perché mi sento "angosciato". È un trauma.
(Dopo essere stato liberato) Sono andato a Postumia… non c'era più niente. (...)
Credevo che anche (tutti gli altri) fossero stati portati in altri campi. Perché
non c'era solo Sacvitz, c'erano tanti campi, c'erano altri campi. Poi cammino,
cammino, e sento la gente parlare, "di dove sei?", "dove non sei?", "sono di
qua"; "guarda che c'è della gente, degli zingari, a Casale sul Sile, in una
scuola, sono sfollati".
No, (cioé) li chiamavano "montenegrini", quella volta, "montenegrini" li
chiamavano.
Mah!, e vado in piazza, là a Casale sul Sile, alla scuola,e vedo una ragazzina e
mi dico "ma quella deve essere una rom, una zingara".
Io (allora) non sapevo nemmeno più parlare, mi tornava quel rumore negli
orecchi, tutti queibombardamenti, tutti quei mitra, tutte quelle cose. La vedo e le dico:"Tu chi
sei?", "E tu chi sei?" e
io: "Sei una zingara? Sei una rom?", mi risponde "Sì, sì". "Tu conosci (mio)
nonno?". "Sì, conosco sì". (…) "È qui". Sospirone.
Vedendomi mio nonno (…) mi ha abbracciato: "Ma sei tu caro? Ma sei tu caro
nipote?". Insomma coi denti, coi denti mi mangiava. Viene fuori mio padre, viene
fuori mia madre… Madonna santa!... Tu vedevi la gente lì, quando mi hanno visto
insieme: piangeva tutto il paese.
Insieme a me erano venuti altri due o tre di rom, da là (dalla Germania), quegli
altri non han trovato (la loro) famiglia (…). Quelli senz'altro li avevano
portati negli altri campi, li avevano sterminati.
(Come) i cugini del mio povero padre, tanti parenti…i miei bisnonni. Tutti. Li
hanno deportati perché erano sotto a Zagreb (Zagabria), era lì che abitavano,
tutti li hanno portati ad Auschwitz. Tutti li hanno
massacrati un po' a Sacvitz, un po' a Auschwitz.
Insomma gli zingari, io non so ancora, non ho capito perché ci odiavano 'sti
tedeschi così tanto? Perché ci odiavano tanto i tedeschi?
Ma gli zingari, cosa facevano? Perché non erano buoni a lavorareo perché si
chiamavano zingari?
Io ancora ho da capire perché uccidevano gli zingari.
Come oggi, perché non è ben visto, lo zingaro? È una persona come tutti gli
altri. Se tagli mio dito e il tuo che sangue viene fuori? Sempre rosso! E io non
perderei mai il mio carattere. Io sì, ho una
vita (diversa), come posso dire… (…) Ma, se io potessi firmare, firmerei per
essere ancora zingaro, come ero: Rom.
È triste ricordarsi tutto.
Di Fabrizio (del 10/12/2010 @ 09:37:11, in lavoro, visitato 1684 volte)
Da
Roma_Benelux
Standartnews.com
05/12/2010 - Riporta RIA Novosti, che il governo della provincia belga delle
Fiandre ha adottato un piano ed una strategia per l'integrazione sociale e
professionale dei Rom provenienti in Belgio dalla Bulgaria e dalla Romania. Ai
Rom verrà dato accesso a settori del mercato del lavoro soggetti a carenza di
manodopera. Sinora questo accesso era negato ai cittadini della Bulgaria e della
Romania, anche se i due paesi sono membri UE dal 2007.
"Il messaggio che vorremmo inviare è che i Rom dalla Bulgaria e dalla Romania
che arrivano qui devono essere pronti a lavorare," ha commentato Geert Bourgeois,
ministro fiammingo all'integrazione civica.
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