Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di Fabrizio (del 08/09/2009 @ 09:14:23, in Italia, visitato 1628 volte)

Segnalazione di Mauro Sabbadini:
Ti segnalo questo articolo uscito lunedì 7 settembre, sull'edizione cartacea del giornale c'è molto di più (compresa la dichiarazione della polizia municipale:"non possiamo farci nulla: hanno la residenza"...)
forse può interessare. come Arci non siamo mai riusciti a entrare veramente in contatto con i sinti di via Friuli, e i virgolettati anonimi del servizio mi fanno pensare che anche il giornale non sia andato oltre
buon lavoro

7 settembre 2009 - di Valentina Fumagalli

VARESE I «dimenticati di via Friuli», così i sinti che abitano il campo di Valle Olona si definiscono. Dimenticati dall’amministrazione e dall’assistenza sociale. Ma ora non ci stanno più. Alzano la voce e chiedono al Comune di trovare loro un’altra sistemazione. Un posto più adatto per vivere e crescere i loro figli. In via Friuli non ci vogliono più stare. Per capirne le ragioni bisogna fare un passo indietro. Bisogna tornare alle origini dell’insediamento nella città giardino, vent’anni fa. Inizialmente i nomadi si stabilirono in via Crispi, sede tradizionale del luna park varesino prima dello spostamento alla Schiranna.

Erano sinti, e non rom come erroneamente vengono definiti, etnia tipica delle famiglie dei giostrai provenienti da Mantova. Dopo qualche tempo ci fu il primo fallimentare tentativo dell’amministrazione di residenzializzazione. Attaccati alle loro tradizioni e insofferenti all’idea di trasferirsi in un appartamento, vennero ulteriormente spostati in via 25 Aprile. Nel 1999 poi, a seguito della riqualificazione della palestra comunale, fu proposta la soluzione, temporanea, di via Friuli. Dieci anni fa tre nuclei familiari composti da otto persone traslocarono armi e bagagli a Valle Olona per non spostarsi più. «Una campo in mezzo al nulla – lo ricordano i più anziani - Ci spostarono qui a pochi metri dal depuratore maleodorante, di fianco al canile e a una fattoria da cui arrivano ratti e insetti, senza acqua e corrente. ». Si può facilmente immaginare che il posto non fosse dei più accoglienti ma negli anni l’amministrazione ha provveduto a rendere abitabile il campo.

«Pian piano ci hanno attaccato l’acqua e la corrente ma i topi sono rimasti». Oggi le roulotte sono una decina per nove famiglie e almeno una trentina di persone tra cui 13 bambini. «E solo un bagno – protestano - Abbiamo un solo servizio igenico che dobbiamo usare tutti e non capiamo come l’Asl abbia rilasciato le autorizzazioni sanitarie. L’igiene non c’è. Non abbiamo l’allacciamento fognario per cui gli scarichi li dobbiamo riversare nella campagna a ridosso del campo. Fanno cattivo odore e attirano i topi». Le condizioni igenico sanitarie non sono, secondo loro, sufficienti e i bambini sono sempre malati.

«Hanno le croste, sono perennemente raffreddati, non è l’ambiente giusto in cui farli crescere». La richiesta all’amministrazione è quindi quella di trovare una sistemazione più decorosa e con alcune garanzie. Ovvero: «Non vogliamo abitare in appartamento – spiegano - Non siamo abituati agli spazi chiusi, non è nella nostra cultura. A meno che non si tratti di una soluzione al pian terreno con giardino. Vorremmo avere la possibilità di stare fuori, in casa ci manca l’aria. Non possiamo neanche vivere in condominio perché la convivenza con le altre persone non è facile. Non riusciamo a integrarci e i bambini vengono discriminati». Insomma, urge una nuova collocazione per le loro roulotte. Un altro campo sarebbe perfetto. «Sono anni che chiediamo di essere trasferiti ma nessuno ci ascolta. Ci hanno abbandonati qui. Nessuno viene mai a vedere come stiamo o se abbiamo bisogno di qualcosa. I servizi sociali latitano e anche se andiamo noi in Comune non ci ascoltano». Insomma la situazione è diventata insostenibile e da via Friuli se ne vogliono andare al più presto. «È ora che l’amministrazione ci ascolti».

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Di Fabrizio (del 08/09/2009 @ 09:54:27, in scuola, visitato 1816 volte)

Da Romanian_Roma

PBS.org 2 settembre 2009

Il dodicenne Bishal frequenta la scuola governativa di Dholka, una piccola località nel Gujarat, India. Ogni mercoledì Bishal, che fa parte dei Dalit - la casta degli "intoccabili", deve pulire la classe e il cortile. Solo i Dalit, il cui termine significa "oppressi" - sono tenuti a questi lavori nella scuola. "Il mio maestro mi ha chiesto di pulire gli urinali," dice Bishal. Il 50% dei Dalit abbandona gli studi alla scuola primaria.

Nel villaggio di Dumbraveni, Romania, due scuole sono una accanto all'altra. Una è per la popolazione maggioritaria, l'altra per bambini con "esigenze speciali". Il 97% degli studenti della seconda scuola sono Rom [...] "I bambini rom sono messi in classi per bambini con disabilità mentali, anche se non c'è niente in loro che non vada," dice Magda Matache, Direttrice Esecutiva di Romani CRISS, importante organizzazione per i diritti dei Rom in Romania. "Le scuole segregate continuano ad esistere e la qualità dell'istruzione che gli studenti rom ricevono è molto, molto bassa." Circa il 23% degli adulti rom in Romania è analfabeta.

Nel mondo, bambini delle minoranze etniche, razziali e linguistiche sono lasciati indietro nella richiesta di un'istruzione universale. Le Mete di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, un assieme di obbiettivi per lo sviluppo internazionale concordati alla fine del millennio, chiedevano l'istruzione primaria per tutti entro il 2015. Nel decennio scorso sono stati compiuti dei progressi verso quella meta - oggi, quasi il 90% dei bambini frequenta la scuola primaria, in confronto all'85% del 2000.  Ma 75 milioni di loro sono ancora fuori dalla scuola; la maggior parte sono minoranze. L'ONU non traccia i progressi su criteri razziali o etnici, ma un nuovo rapporto del Minority Rights Group International stima che tra il 50 ed il 70% dei bambini esclusi dalla scuola siano di popolazioni indigene o di minoranze.

"Vedi la stessa cosa accadere con gli Afro-Brasiliani, i popoli indigeni in Australia, tra i Batwa nell'Africa Centrale, i Dalit in India..." dice Maurice Bryan, che ha contribuito al capitolo sull'America Latina del rapporto.

Ma se non si raggiungono le minoranze e gli indigeni, l'obbiettivo di un'istruzione primaria per tutti non potrà realizzarsi. "E' impossibile," dice Bryan. "Se diciamo che il 30% di una popolazione appartiene ad una minoranza, se non la raggiungi, non supererai mai il 70%".

Prendete il Brasile per esempio. Circa metà della popolazione è di discendenza africana. Ma gli Afro-Brasiliani sono parecchio indietro ai Brasiliani di discendenza europea, con una media di appena 6,4 anni di scuola. "Così se si parla delle Mete del Millennio," dice Bryan, "se solo hai raggiunto gli Afro-Brasiliani, non hai raggiunto gli obbiettivi."

O la Romania. Molti dei rapporti sulle Mete di Sviluppo del Millennio neppure si preoccupano di seguire i progressi nei paesi altamente sviluppati come quelli dell'Unione Europea, a cui la Romania si è  unita nel 2007. Ma Snjezana Bokulic, responsabile di programma in Europa per il Minority Rights Group International, dice che le condizioni della minoranza rom sono "comparabili a quelle dell'Africa sub-Sahariana," così, mentre i paesi europei superano agilmente la maggior parte degli obbiettivi, "un segmento della popolazione è lasciato fuori." Riguardo agli obbiettivi dell'istruzione primaria per tutti, soltanto il 31% dei Rom in Romania completa la scuola primaria, ed i Rom sono tra il 2 e il 10% della popolazione (dipende da chi ne fa il conto), così l'obiettivo è lontano dall'essere raggiunto. "E' una questione di matematica," dice Bokulic.

Le Mete di Sviluppo del Millennio chiedono la fine della disparità di genere a tutti i livelli dell'istruzione, ma non c'è previsione simile per la disparità basata sulla differenza razziale o etnica. Bokulic la chiama una "vistosa omissione."

Bryan dice che nessuno a suo tempo l'aveva compreso, ma guardando indietro, concorda che la questione avrebbe dovuto essere inclusa. "La gente non ha l'abitudine di pensare che si dovrebbe prestare attenzione speciale alle donne," dice, "ma una volta che hanno compreso quanto fosse necessaria, ci sono stati progressi sul gap di genere. Adesso è il tempo del gap razziale."

Ma Bukolic non è ottimista sulle possibilità di raggiungere la parità nell'istruzione per le minoranze, anche se la questione era tra gli obbiettivi delle Mete di Sviluppo del Millennio. "La discriminazione si è rafforzata ed il razzismo è molto difficile da affrontare," dice. "Le parole non bastano."

Manjula Pradeep della Navsarjan Trust Foundation in India, concorda. "E' tutto sulla carta," dice, "ma in termini di sviluppo, non è così efficace."

Pradeep dice che per salvare le apparenze del fornire l'istruzione primaria, alcuni bambini sono tenuti a scuola sino al settimo grado, che sappiano o no leggere e scrivere.

Mentre il tasso d'iscrizione nella scuola primaria in India ha quasi raggiunto il 90%, soltanto il 50% circa va alla scuola secondaria. Tra quanti restano fuori dalla scuola, il 41% sono Dalits, o membri delle caste più basse.

Soltanto il mese scorso, l'India ha approvato un nuovo Disegno di Legge sul Diritto all'Istruzione, che garantisce l'istruzione gratuita ed obbligatoria ai bambini tra i 6 e i 14 anni. Ma Pradeep dubita che questo aiuterà a mantenere i Dalit a scuola. "Gli insegnanti chiedono ai bambini delle caste inferiori di sedere in fondo alla classe, così  da non contaminare gli altri bambini. Gli si dice che non possono bere l'acqua dalla stessa fontana degli altri," dice. "Sono offesi con parole pesanti e così abbandonano."

Ancora, molte associazioni per l'istruzione globale dicono che finalmente viene posta attenzione alla questione di disparità razziale ed etnica.

"I governi hanno iniziato a vedere il loro vantaggio nell'educare tutti i loro cittadini," dice Steve Moseley, Presidente dell'Accademia per lo Sviluppo dell'Istruzione, una OnG USA.

"Non ce se ne è accorti quando si stavano presentando le Mete del Millennio," dice Bryan, "ma una volta stabilite le mete, si pose la domanda del perché non stessero raggiungendo tutti, e da qui la questione -bene, chi è tutti?-. Così le Mete del Millennio possono essere state responsabili per aver portato a galla l'intera discussione."

Nel 2003, il governo rumeno assieme all'ONU, stabilì una serie di mete più ambiziose per la Romania - il cui bersaglio era di diminuire il tasso di analfabetismo della popolazione rom. "Il Ministro dell'Istruzione sta finalmente agendo con la questione," dice Matache, "Penso e sono sicura che la partecipazione dei Rom aumenterà entro il 2015."

"Il Brasile sta facendo più di chiunque altro," dice Bryan. "Una delle cose grandi è l'azione affermativa; è ciò che sta succedendo in Brasile, ed ora sta iniziando a provarci anche la Colombia."

Secondo Bryan, il nuovo rapporto di Minority Rights Group International è il primo a guardare globalmente alla questione dell'istruzione per le popolazioni minoritarie. Dice che può servire come punto di partenza per misurare i progressi futuri.

E Moseley ritiene che quel progresso è possibile. "Anche per chi affronta i più grandi svantaggi - povertà, discriminazione di genere, discriminazione razziale - è possibile," dice. "Perché ho visto progressi tremendi. So che sta diventando possibile. Forse non entro il 2015, ma è possibile."

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Di Fabrizio (del 09/09/2009 @ 09:45:00, in Europa, visitato 1608 volte)

Da Czech_Roma

Kladno, 3.9.2009 12:40, (ROMEA)

Ieri la Televisione Ceca ha riportato che un autista di autobus a Kladno si ritiene abbia rifiutato di trasportare tre donne rom ed i loro bambini. ČSAD MHD Kladno, la locale compagnia di trasporti, ora sta investigando. Le donne rom che accompagnavano i figli a casa da scuola, hanno detto che il guidatore ha rifiutato di portarle a destinazione, la fermata Masokombinát. Quando gli hanno chiesto cosa volesse significare con ciò e se non fosse un razzista, sembra abbia risposto: "Sì, siete Zingare, non è così?" Le donne hanno chiamato il numero 158 della polizia, ma né la polizia municipale né quella statale hanno voluto intervenire.

Ludomír Landa, direttore di ČSAD MHD, ha detto a ČTK che l'autobus era pieno e che l'autista ha agito correttamente, ma che non è stato professionale nell'impegnarsi in una discussioni coi cittadini rom, durante il quale sembra siano volati commenti razzisti da ambo le parti. Se i fatti fossero confermati, l'autista probabilmente avrà una riduzione in busta paga.

"Mio figlio andava a scuola per la prima volta, era contento, guardava davanti a sé. Stamattina non ha voluto uscire dal letto. Abbiamo paura che anche domani sarà così," ha detto alla Televisione Ceca Isabela Tokárová, madre di uno dei bambini coinvolti. "Ha detto che non prendono sporchi zingari, che prendono solo la gente bianca e non gli zingari," ha detto il piccolo David Tokár

L'incidente è successo sulla linea per Beroun, che parte dal centro di Kladno alle 10:15. "Il bus di solito è occupato da 20-25 passeggeri, ma l'1 settembre la corsa è coincisa con la fine del primo giorno di scuola. Alla fermata presso il centro commerciale Tesco c'erano già 80 passeggeri a bordo, cioè il limite della capacità di carico," ha detto Landa.

Landa ha descritto differentemente gli eventi. Sostiene che l'autista ha aperto le porte e chiesto a quei passeggeri che andavano verso le destinazioni più distanti di salire per primi, cosa che dice Landa essere logica e corretta. Ha detto: "L'autista stava semplicemente organizzando gli ingressi sull'autobus, così che l'uscita alle fermate successive fosse efficiente."

Landa sostiene che una delle passeggere rom ha iniziato ad attaccare verbalmente l'autista con epiteti razziali. "Lui ha risposto a tono usando la parola Zingari," ha detto Landa, aggiungendo che la risposta dell'autista non è stata professionale. "Ora assieme all'autista stiamo compilando un rapporto sull'incidente e stiamo cercando testimoni dell'incidente. Se verrà confermato che la sua risposta è stata inappropriata, allora naturalmente ne pagherà le conseguenze."

ROMEA, Czech Television, ČTK, translated by Gwendolyn Albert

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Dal 1948
Servizio Civile Internazionale. Onlus
Membro consultivo dell'UNESCO e del Consiglio d'Europa
ONG riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri
Segreteria Nazionale

COMUNICATO STAMPA
I dimenticati fra i dimenticati
Dal 10 al 12 settembre 2009

"La Città dell’Utopia"
Via Valeriano, 3f (Metro B San Paolo)

"I dimenticati tra i dimenticati" è un progetto promosso dalla branca italiana del Servizio Civile Internazionale (SCI) insieme al Centro Europeo di Studi sulla Discriminazione di Bologna (CESD) e allo SCI Romania. E’ sostenuto dalla Commissione Europea nell’ambito del programma "Citizenship".

Il progetto è incentrato sulla memoria della persecuzione nazi-fascista contro le persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) e contro il popolo Rom. Lo scopo principale è quello di contribuire a ricordare ciò che è accaduto a coloro che sono stati perseguitati ma che raramente vengono menzionati come vittime del nazi-fascismo e di riflettere sulla attuale situazione di discriminazione delle persone LGBT e Rom.

Il Servizio Civile Internazionale,
in collaborazione con Romà Onlus, Circolo Mario Mieli e Federazione Romanì,
vi invita all’evento conclusivo del progetto

"I dimenticati tra i dimenticati"
dal 10 al 12 settembre
"La Città dell’Utopia"
Via Valeriano, 3f (Metro B San Paolo)

Programma:

10 settembre 2009 [dalle 18.30]
"La persecuzione dei Rom e Sinti"
- Aperitivo
- Dibattito sulla persecuzione dei Rom e dei Sinti con:
Paolo Finzi, redattore di "A", rivista anarchica;
Luca Bravi, ricercatore Università di Firenze;
Graziano Halilovic, presidente Romà onlus.
Modera: Stefania Pizzolla, presidente del Servizio Civile Internazionale

- A seguire proiezioni video di:
"A forza di essere vento" e "Le donne vestivano gonne fiorite"

Ingresso libero, aperitivo su sottoscrizione

11 settembre 2009 [dalle 18.30]
"La persecuzione fascista degli omosessuali"
- Aperitivo
- Dibattito sulla persecuzione fascista degli omosessuali con:
Gianfranco Goretti, storico e scrittore;
Luca De Santis, scrittore;
Andrea Maccarrone, Circolo Mario Mieli
Modera: Matteo Bonini Baraldi, presidente CESD

- A seguire la proiezione del film
"Paragraph 175"

Ingresso libero, aperitivo su sottoscrizione

12 settembre 2009 [dalle 18.30]
"I dimenticati in Europa"
- Dibattito con:
Nazareno Guarnieri, Presidente Federazione Romanì;
Patrizia Dogliani, storica, Università di Bologna (in collegamento Skype)

A seguire
- Cena Romanò Hapé (specialità zigane)
- Concerto di musica zigana con i Gipsy Balkan

Ingresso libero, cena su sottoscrizione

Gli eventi sono realizzati con il contributo della Commissione Europea e sono patrocinati dal Municipio XI e dalla Provincia di Roma.

La Città dell’Utopia

Via Valeriano, 3f (San Paolo) / 0659648311 / 3465019887 / http://www.lacittadellutopia.it/ Chiuso: sab. dom. a parte per iniziative / Aperto: 11-19,30 / Locale non climatizzato / Non accessibile a sedie a rotelle / Entrata GRATIS

Il progetto "La Città dell’Utopia" dell’associazione Servizio Civile Internazionale, con il patrocino del Municipio XI, è un progetto laboratorio di Cittadinanza attiva e sviluppo territoriale che propone all’interno dell’antico Casale Garibaldi corsi e laboratori sociali, iniziative culturali (serate tematiche, incontri dibattito, concerti, mostre, video-proiezioni), mercatino contadino, affitto spazio per associazioni, sportello Linux, giardino sperimentale e campi di volontariato internazionali e locali.

Daniel Brusco

Servizio Civile Internazionale
via Cruto 43 - 00146 Roma
tel: 0039 06 5580661 - fax 0039 06 5585268
skype: daniel.brusco
Sito web: www.sci-italia.it
E-mail: comunicazione@sci-italia.it

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Di Fabrizio (del 10/09/2009 @ 09:11:18, in casa, visitato 1554 volte)

Altra segnalazione di Mauro Sabbadini

Da VareseNotizie.it di Valeria Deste

"Non abbiamo nessuna intenzione di prendere in considerazione le loro richieste" risponde categorico il sindaco Fontana, all'appello lanciato dalla comunità sinti (vedi QUI ndr).

"Abbiamo problemi più importanti da risolvere in questo momento - ribatte il primo cittadino - non riusciamo a trovare le sedi per altre cose, figuriamoci se ne abbiamo una adatta al caso loro". Una risposta categorica per una richiesta "del tutto fuori luogo". L'amministrazione dichiara, quindi, di voler ignorare le richieste della comunità sinti.

SOLUZIONI ALTERNATIVE FALLIMENTARI

"In passato avevamo loro proposto soluzioni abitative all'interno di edifici popolari. Molti di loro le hanno rifiutate e ora si arrangino" conclude il sindaco.
Quelli che avevano accettato di provare ad insediarsi in appartamento non sono riusciti a resistere, a causa del loro forte legame alla tradizione nomade d'appartenenza. L'inserimento nella società è risultato fallimentare: difficile la convivenza con i vicini, difficile far fronte alle spese, difficile ritrovarsi all'interno di mura in cemento. Con il benestare dei servizi sociali, gli appartenenti alla comunità, sono tornati in via Friuli.

I SERVIZI SOCIALI

Concorda con il sindaco l'assessore ai Servizi sociali, Gregorio Navarro. "Non mi risulta che abbiano mai fatto richiesta formale di trasferimento e comunque in questo momento non siamo intenzionati a compiere scelte in questa direzione - dichiara Navarro -. Spesso chiedono ciò che per diritto non gli spetta". L'assessore spiega che i rapporti con la comunità sinti sono spesso difficili: "Operare in situazioni di tale natura è molto complicato - conclude -. Ci occupiamo soprattutto dei bambini. Ci preme che vengano inseriti a livello scolastico. Il resto non è compito dell'amministrazione".

Ultimo aggiornamento ( Mercoledì 09 Settembre 2009 08:17 )

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Di Fabrizio (del 11/09/2009 @ 09:54:36, in Italia, visitato 1686 volte)

Rho (Milano) 5/09/2009 La Fornace organizza una festa e attacca la linea dura scelta dal Comune sui campi rom

Una Rho solidale è possibile: il centro sociale La Fornace organizza per il 18 settembre una festa balcanica presso il campo di via Sesia, per testimoniare solidarietà ai nomadi e promuovere la conoscenza reciproca. Una proposta che è anche polemica verso la linea sostenuta dall’amministrazione comunale rhodense. "Quando si tratta di prendersela – scrive infatti il collettivo - con i più deboli, Zucchetti non si smentisce mai. Così, non ci ha pensato su due volte ad aderire alla proposta dell’assessore regionale Maullu di stabilire un "numero chiuso" di presenze di rom e sinti a Milano e in provincia. Questo atto rappresenta la fase conclusiva di uno sgombero del campo a "bassa intensità" iniziato all’indomani dell’insediamento dell’attuale amministrazione e basato su una campagna mediatica intrisa di intolleranza e xenofobia che ha individuato nei rom uno dei bersagli preferiti". "Dietro questo razzismo istituzionale si cela una politica del consenso che, agitando lo spauracchio dei rom, vuole distogliere l’attenzione da quelli che sono i veri problemi di questo territorio: aziende che chiudono lasciando a casa migliaia di lavoratori solo per soddisfare agli appetiti immobiliari più sfrenati degli speculatori di turno in vista di Expo 2015 e una Fiera che aveva promesso mari e monti per poi rivelarsi un soggetto economico arrogante". Il riferimento è a varie vicende avvenute a Rho, dagli "sconti sull’ICI" alla questione della fermata dei treni interregionali a Rho, allo smaltimento delle acque nere.

"Il sindaco pensa che "sia necessario promuovere nelle aree con alta densità abitativa un divieto al nomadismo e promuovere efficacemente proposte abitative e lavorative". Se fosse applicata, questa idea significherebbe una limitazione della libertà di circolazione sul territorio italiano effettuata su base etnica e, quindi, gravemente discriminatoria".

Per rispondere alla politica dell’amministrazione "il 18 settembre è in programma una festa balcanica presso il campo di via Sesia organizzata insieme ai rom e aperta alla cittadinanza. Per dimostrare che il popolo rom non rappresenta un’emergenza, ma fa parte del tessuto sociale di questa città, che al contrario dei propri amministratori vuole essere una aperta e solidale.

Questa festa si inserisce all’interno della mobilitazione promossa da movimenti, associazioni e partiti, che costellerà di eventi antirazzisti Milano e provincia fino al 17 ottobre. Tutte queste iniziative sono dedicate ad Abba, il ragazzo italiano ucciso a sprangate il 14 settembre del 2008 in via Zuretti a Milano solo perché di colore".

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Di Fabrizio (del 12/09/2009 @ 09:24:07, in Europa, visitato 1468 volte)

Da Roma_Francais

par FLORENT PECCHIO

Polemiche sul metodo utilizzato da un'unità della gendarmeria nell'Essonne, lo scorso 28 agosto, per controllare dei Rom in situazione irregolare.

Ecco dei colpi di timbro che fanno colare molto inchiostro. E' successo ad un controllo d'identità, effettuato da un'unità della gendarmeria nell'Essonne, lo scorso 28 agosto. Per facilitare il controllo del centinaio di Rom presenti quel giorno in un accampamento di fortuna, nei comuni di Ormoy e di Villabé, i gendarmi decidono di utilizzare un metodo sorprendente. Vale a dire, marcare le persone controllate a colpi di timbro, per essere sicuri di non procedere due volte al medesimo controllo. Se il metodo è di buon senso per la gendarmeria, non può esserlo per la comunità rom, né per le associazioni vicine ai sans-papiers. Neanche per Eric Besson, ministro dell'Immigrazione, che martedì ha giudicato questo modo di operare "particolarmente inopportuno".

"Non siamo del bestiame"

Apprendendo la notizia questo 28 agosto, l'associazione "Solidarietà con le famiglie rumene" non si tira indietro. "Immediatamente, il metodo ci ha ricordato quelli dell'ultima guerra" racconta Yves Bouyer, militante. Sospira: "Non è questo il modo di trattare degli esseri umani", "Non siamo del bestiame", aveva protestato un uomo fra i controllati. L'operazione consisteva nel portare a conoscenza del gruppo di Bulgari e di Rumeni, di un decreto prefettizio che li obbligava a lasciare il territorio entro il mese.

"Non ho mai assistito a pratiche di questo genere", si stupisce, scoraggiato, Yannick Danio, delegato nazionale dell'unione dei sindacati della polizia Unité-SGP FO. Per lui, l'iniziativa del colpo di timbro viene dall'interpretazione su scala locale di una direttiva nazionale. Non si tratta, in alcun caso, di un metodo generalizzato.

"Come in un ritrovo notturno"

Per quanto riguarda la gendarmeria, la misura non colpisce oltre a misura. "È come in ritrovo notturno", si difende uno di loro in seno all'istituzione. "E' un buono modo di lavorare, il metodo più semplice e più rapido". Certamente non "comparabile" con i numeri impressi agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Effettivamente, non si tratta di una marcatura a vita, ma di un tampone umido, lavabile con acqua.

In un contesto di espulsioni di sans-papiers, attraverso le quali le associazioni che li difendono comparano volentieri gli arresti [...], Eric Besson ha preferito defilarsi, pubblicando un comunicato, lunedì. "Pur approvando l'obiettivo dell'operazione, Eric Besson giudica il metodo del tampone umido particolarmente inopportuno, riguardo le operazioni di controllo sugli stranieri in situazione irregolare. Si è assicurato presso il Direttore generale della gendarmeria nazionale che consegne adeguate siano passate affinché non vi sia più l'impiego fatto in questo caso". Da cui l'atto. La capitana Poupot, incaricata della comunicazione alla gendarmeria nazionale, garantisce che questa "obbedirà", conformemente ai desideri del ministro. Il tampone resterà appannaggio dei ritrovi notturni.

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Di Fabrizio (del 12/09/2009 @ 20:44:47, in sport, visitato 1824 volte)

Domani all'Arena, dalle 11.00 alle 19.00 le partite finali della Homeless World Cup 2009. L'invito ad esserci è per tutti i milanesi, nel frattempo, un bell'articolo di Panorama, per ricordare la partecipazione della squadra italiana, che ha iniziato troppo tardi a vincere le partite.

Bogdan Kwappik, foto da Flickr/homelessworldcup

Marcello Lippi fuma il suo sigaro e si gode un’Italia finalmente convincente e quasi qualificata per i mondiali in Sudafrica. A qualche chilometro di distanza, Bogdan Kwappik fuma una sigaretta dietro l’altra, urla ai suoi di passare la palla e spera che nessuno di loro si faccia male.
Bogdan e Marcello fanno lo stesso mestiere: allenatori della nazionale italiana. Ed ex campioni del mondo. Infatti ci sono azzurri che il loro mondiale lo stanno già disputando. Da protagonisti.

A Milano si gioca in questi giorni (sino al 13 settembre) la Homeless World Cup, torneo di "calcio da strada" per chi ha la strada come casa: senzatetto, rifugiati politici, esiliati. Ci sono 48 nazionali partecipanti. l’Italia alla vigilia era una delle favorite per il palmarés: due mondiali vinti, nel 2004 e 2005. Con lo stesso allenatore al comando, Bogdan Kwappik: "Anch’io dopo aver vinto ho dormito abbracciato alla coppa, come Cannavaro. Solo che ero dentro la mia Nissan rossa, dove vivevo" racconta questo trentasettenne ex calciatore polacco di Katowice ("ero come un Gattuso, poi mi sono rotto i legamenti e carriera finita") arrivato in Italia nel lontano 1993: "sono scappato dalla Polonia come disertore. Non potevo fare obiezione di coscienza. Qui credo di aver fatto tutti i lavori possibili". Nel 2001 arriva a Milano e fonda la Asc Nova Multietnica, una Onlus che si occupa di aiutare gli emarginati attraverso il calcio "a volte basta un po’ di fiducia, di amicizia e di sport per rimettere in moto una vita".

La nazionale è composta da otto giocatori (quattro in campo, più le riserve), tre di loro vengono da L’Aquila e vivono in tendopoli a causa del terremoto. Gli altri hanno alle spalle le storie più varie: ci sono un romeno, un senegalese, un cittadino delle seychelles, un brasiliano, un curdo. "Cantano l’inno meglio di tanti altri, glielo assicuro" dice l’allenatore. E il capitano, Angelo, 46 anni, un passato da alcolista e ospite della comunità di don Colmegna. Bogdan non vuole dare consigli al suo collega Marcello ma, se potesse, uno come Antonio Cassano lo convocherebbe di corsa: "E come no! Io come Cassano ho mezza squadra" scherza "Ogni giorno devo fare prima lo psicologo, poi l’allenatore, ma urlare mai, non serve a niente".
Dal punto di vista sportivo lo street soccer non è come l’anarchica pallastrada de "La compagnia dei celestini" di Stefano Benni, anzi, ha le sue regole ben definite: ci sono le sponde come nell’hockey, il tempo effettivo e le sostituzioni come nel basket, l’area solo per il portiere come nella pallamano. Un garbuglio, insomma.

Ma l’esperienza più importante inizia dopo il fischio finale: i risultati sociali conseguiti nelle precedenti edizioni della Homeless World Cup dicono che più del 70 per cento dei partecipanti ha cambiato la propria vita, trovato una casa, un lavoro, ripreso gli studi, sconfitto una dipendenza, ristabilito una relazione. "Io stesso" racconta Kwappik "ho conosciuto la mia compagna di vita grazie alla squadra. E l’ex capocannoniere della prima edizione, un ragazzo rom, dopo la coppa si è messo a studiare ed è diventato un geometra". Le vittorie che contano sono anche quelle più difficili da ottenere: "Quest’anno abbiamo avuto un po’ più di attenzione da parte dei media perché si giocava in casa, ma i soldi non sono molti, gli sponsor mancano e l’attività va avanti tutto l’anno" spiega l’allenatore "io quello che spero è che finita la coppa questi ragazzi abbiano un’opportunità di lavorare, di far vedere quanto valgono anche fuori dal campetto. E che i ragazzi dell’Aquila tornino presto ad avere un vero tetto sopra la testa".

emanuele rossi
Venerdì 11 Settembre 2009

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Di Fabrizio (del 13/09/2009 @ 08:05:38, in blog, visitato 1906 volte)

Segnalazione di M. Cristina Di Canio

Storia incredibile di alcune famiglie rom, imparentate tra loro, che dagli anni novanta in poi, quando il clima sociale e politico in Kosovo cominciava a farsi pesante, lasciarono le loro case per raggiungere l'Italia. Pensavano di essersi lasciati alle spalle l'inferno. Arrivarono, invece, al CASILINO 900.
10 settembre 2009 - Raffaele Coniglio
(http://raffaeleconiglio.blogspot.com)

Reportage fotografico

Roma. Giornata calda e afosa di fine agosto. Il clima insopportabile si percepisce nei volti dei rom del Kosovo che vivono nel campo-ghetto più vecchio della capitale. Sanno di dover presto lasciare la miseria costruita in tanti anni per una nuova destinazione rimasta ancora oggi top secret, probabilmente per non creare allarmismi tra i residenti che dovranno accoglierli. Tredici villaggi autorizzati, a fronte degli oltre cento campi nomadi oggi esistenti, tra insediamenti abusivi e campi cosiddetti "tollerati". Non più di 6.000 nomadi sul territorio romano, invece dei quasi 7.200 attuali. Sono questi i principali obiettivi del piano "Nomadi" messo a punto dal prefetto Pecoraro e tanto voluto dal sindaco capitolino che ha impostato la sua campagna elettorale anche e soprattutto su queste tematiche. Grande senso di sollievo per i residenti del VII municipio di Roma che dopo decenni di "degrado e criminalità spicciola" si vedono finalmente riqualificare l'intera area. Grande senso di smarrimento per i circa 800 abitanti delle baraccopoli del Casilino 900 che non conoscono il loro futuro. Il Casilino 900 è infatti uno dei primi campi che si prevede sarà chiuso. Entrò metà ottobre, il 50% circa dei suoi abitanti dovrebbe essere spostato altrove. I lavori sono già in corso. Ieri, durante la mia visita al campo con il fine principale di parlare con i rom del Kosovo e conoscerli meglio, ho notato che la Croce Rossa Italiana era lì, intenta a consegnare le schede per un primo censimento. "Modulo ricognizione nuclei familiari", era scritto su tali documenti. Accompagnato, in questa mia avventura, dai miei amici Santo e Ehsan, ci siamo dovuti improvvisare mediatori per rispondere alle domande che le varie mamme preoccupate e gli uomini del posto ci rivolgevano, ignari di cosa fossero quelle carte che tenevano tra le mani. Accolti nel "giardino" di casa del signor Resat, il neo avvocato Santo ha riempito i moduli della famiglia Prekuplja, mentre io ed Ehsan, incantati dallo scenario che avevamo davanti ai nostri occhi, abbiamo scattato qualche foto e chiacchierato con i parenti di Resat ed i suoi vicini. Questa era la mia prima volta nel Casilino 900. Ed anche per i miei accompagnatori. A differenza loro, però, avevo familiarità con i campi rom, avendoli visitati in Kosovo già svariate volte. Trovandomi di fronte al centro romano, sono però rimasto immobile per diversi secondi. Il degrado e la miseria del Casilino 900 non si differenziavano affatto da quelli del Plemetina Camp nelle vicinanze di Obliq o Cesim Lug e Osterode di Mitrovica. Comuni erano anche le agghiaccianti scene di vita quotidiana e le terribili azioni dei bambini dettate dal bisogno. Dovendole mettere sulla bilancia dell'indigno umano, credo, però, che il Casilino 900 supera, seppur di poco, i campi rom del Kosovo, per il semplice fatto che in una potenza mondiale, come si definisce l'Italia, culla della democrazia e dei diritti umani, cuore dell'Europa, è inaccettabile vedere, ancora oggi, luoghi mostruosi e inumani come quello che mi si è presentato davanti agli occhi sulla Palmiro Togliatti. All'interno del Casilino 900 sono alloggiate oggi circa 800 persone, la maggior parte di loro bambini. Qui, ognuno nella propria fetta di terra, in modo da aver costituito autentici ghetti nel ghetto, vivono i rom di 4 diverse nazionalità. Sono montenegrini, macedoni, bosniaci e kosovari. Per via delle diversità culturali e di problemi causati da motivi a noi sconosciuti, gli abitanti del campo ci hanno raccontato che le tensioni tra i vari gruppi non sono mai mancate, anzi, nei pochi momenti di aggregazione e di collaborazione, incentivati soprattutto dalle organizzazioni che di volta in volta hanno lavorato nel campo, si sono verificati scontri sfociati in vere e proprie risse. La chiusura e l'ermetismo che sembrano propri della cultura rom lasciano trapelare comunque ben poco all'esterno. Anche per questo Savorengo Ker (in lingua Romanés "La casa di tutti"), il nobile progetto realizzato da vari architetti italiani in collaborazione con alcune Università di Roma ed i rappresentanti delle 4 comunità rom del campo, è andato in fumo, bruciato in meno di due ore in una piovosa notte di inverno. Nessuno sa chi sia stato a distruggerlo. Comincio a pensare che le tensioni interne ai quattro gruppi siano alla base delle poche macerie rimaste. Comincio a sospettare questo, non per annacquare le grandi responsabilità delle amministrazioni locali che negli anni si sono succedute, o dell'Italia in generale, ma perché, di fronte all'inefficienza delle politiche sociali dell'Italia - per quel po' che vi rimane, alle maldestre politiche di immigrazione, e di fronte ai preoccupanti scenari populistici cavalcati in questi anni, le divisioni e le lotte intestine tra gli occupanti del campo hanno certo contribuito a rendere questo posto ancora più deplorevole. In poche parole, è evidente che nessuno dei suoi abitanti si preoccupa più di rendere il posto sicuro e pulito, spazzando via l'erbaccia e la spazzatura. Al contrario, nell'indifferenza e nel menefreghismo generale, usano i loro stessi spazi come mondezzai, terreno fertile per le malattie dei propri figli. Porto grande rispetto per chi versa in grandi difficoltà, e i rom del Casilino 900 senza dubbio si trovano in questa situazione, ma non credo che si possa restare indifferenti ed inattivi di fronte alla giungla che cresce vicino casa, quella dove provano a giocare e divertirsi i tuoi figli. Potrebbero provvedere a ripulire il campo per vivere un po' più decorosamente e mostrare all'esterno un'immagine meno grigia di quella che tanti esterni gli hanno facilmente affibbiato. Ad ogni modo, sono stato felice di essere ospite di alcuni generosi membri del campo. La famiglia Hamdi, ad esempio, mi ha fatto accomodare dentro casa sua. E, per quanto precaria questa potesse essere, la sua costruzione in legno mi è apparsa molto dignitosa, pulita e ordinata. Davvero! Una sorpresa, l'esatto opposto di quello che si vedeva fuori.

Quanto alle responsabilità nostre potrei scrivere un libro. Mi limito a soffrire in silenzio.

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Di Fabrizio (del 13/09/2009 @ 08:34:17, in conflitti, visitato 1644 volte)

Marco Brazzoduro segnala un articolo che ha ripreso a circolare in diverse versioni, e che non avevo ripreso a suo tempo. Lo ricopio da Napoli.blogolandia.it, che è anche l'edizione che ha più rimandi

di Giuseppe Rondelli - Martedì, 2 Giugno 2009

Vi ricordate quella storia tremenda di due anni fa, quando furono prima dati alle fiamme, poi sgomberati, poi rasi al suolo gli insediamenti rom di Ponticelli, a Napoli? Vi ricordate quelle immagine tremende, delle baracche che bruciavano, e poi dei poveretti - bambini, anziani, donne e uomini - che fuggivano via, senza nessuna meta, coi furgoncini stracarichi di cianfrusaglie e col terrore negli occhi e nei volti?

Vi ricordate la dichiarazione di disgusto della commissaria europea Viktoria Mohacsi, che era venuta a capire cosa stava succedendo in Italia, e se ne andò dichiarando: «Vado via sconvolta»?

E vi ricordate come era nato tutto ciò? Con la storia - improbabilissima - di una ragazzina rom che avrebbe tentato di rapire una neonata. Al governo, all’epoca , non c’erano Berlusconi e la destra e la Lega xenofoba.

Al governo c’era il centrosinistra, e non fece niente per difendere i rom. Oggi si scopre perché successero quelle cose. Si scopre che gli assalti ai campi rom non furono spontanei, non furono determinati dalla rabbia della gente ma furono organizzati dalla malavita (diciamo dalla camorra) per conquistare i terreni occupati dai campi rom, e poi per destinarli alla speculazione edilizia. Probabilmente lì sorgerà un centro commerciale.

A circa un anno di distanza dai roghi di Ponticelli, grazie ai quali nel giro di poche ore vennero sgombrati ben sette campi rom, la distesa di desolazione di viale Argine è ancora intatta, solo recintata.

Nessuna casa dello sport e nessuna casa della musica. Nessun viale alberato. Nessun parcheggio. Il progetto di riqualificazione urbano previsto per la zona non è ancora partito.

E nemmeno è stata completata l’opera di bonifica sul territorio. Eppure la delibera del comune di Napoli con la quale si dispongono interventi sulla zona è datata 15 giugno 2007, approvata dopo pochi mesi dallo stesso organo del comune. Molte le zone destinate a centri commerciale ed edilizia privata, in disaccordo con il disegno iniziale che immaginava questi interventi come residuali rispetto a quelli pubblici.

Ma bandi così concepiti a Napoli rischiano sempre di andare deserti, come sperimentato anche per ben due volte dal progetto su Ponticelli. E si arriva agli 11.500 mq di spazi comunali contro i 44.600 mq di aree "destinate alla vendita". La conferenza dei servizi dà, poi, parere favorevole all’insediamento di un altro centro commerciale su un’area adiacente. Massiccio si fa l’ingresso delle imprese private così come massicci si profilano essere gli stanziamenti pubblici.

Le società che si dicono essere interessate all’affare hanno, intanto, la struttura della scatole cinesi, quella che, meglio di tutte, assicura l’irrintracciabilità. Come la Ponticelli srl, 2500 euro di capitale sociale per un affare di 140 milioni di euro. Circostanza che da sempre fanno da orizzonte ai movimenti della criminalità organizzata, presentissima su queste strade che, intanto, negli stessi mesi dei roghi sono coperte di immondizia. Rifiuti di ogni tipo, rifiuti speciali, rifiuti pericolosi, rifiuti nocivi.

E’in questo contesto che matura la "protesta" contro i rom, che si sviluppa con brutalità e violenza inaudita. "Me ne vado via dall’Italia sconvolta" dice Viktoria Mohacsi, osservatore mandato dall’Unione europea per capire cosa stesse succedendo a Ponticelli. Il copione che si cerca di far passare è quello di una popolazione esasperata, resa feroce dopo il tentativo di rapimento di una bambina da parte di una ragazza rom, Angelica. Sono tanti, tuttavia, quelli che credono a un andamento dei fatti diverso dal canovaccio "popolazione contro rom".

La disperazione della gente di Ponticelli, che pure è reale, sembra sia stata resa esasperata ad arte, per provvedere allo sgombero veloce di un’area divenuta troppo importante per altri e più alti interessi. La presenza dei rom avrebbe potuto determinare lungaggini, avrebbe potuto far naufragare il progetto per inidoneità dell’area. E i roghi, oltre ad assicurare il veloce smantellamento delle baracche, avrebbero anche potuto portare a una bonifica dell’area meno onerosa, garantendo al tempo stesso la scomparsa degli eventuali rifiuti pericolosi.

Intanto la sedicenne viene ritenuta colpevole di tentato sequestro anche in appello. "Come è possibile che in un quartiere comandato dalla camorra una rom decide di tentare un reato così grave? Come avrebbe fatto a portare via la bambina e dove? Quali le prove, oltre alla testimonianza della madre della bambina?", si domanda, tuttavia, Vincenzo Esposito dell’associazione Opera Nomadi, che parla di un clima da caccia alla streghe, montato ad arte per coprire altro. "La protesta – continua Esposito – di cui tutti hanno parlato è stata in verità opera di non più di una trentina di persone, che hanno appiccato fuoco a tantissime baracche.

Io c’ero. E ho visto personaggi noti alla giustizia per vicende legate al 416bis aggirarsi attorno ai campi rom, dare istruzioni". Solo l’inviato dell’autorevole quotidiano spagnolo El Pais, nei giorni dei roghi, parla senza mezzi termini di una regia criminale. In Italia le immagini agghiaccianti delle molotov contro le baracche si alternano a quelle della lacrime della giovane madre della bambina "quasi" sequestrata dalla rom, in un mosaico di fotogrammi che diventa anche spiegazione dell’accaduto.

La condanna da parte della politica è unanime, ma, con metodo bipartisan, professa anche comprensione per il disagio della popolazione. Dopo un anno, intanto, ancora si cerca un posto per quei rom. L’assessore al comune di Napoli ci dice che in autunno finalmente arriveranno i tre nuovi centri di accoglienza e sempre nello stesso periodo si metterà mano al progetto di un villaggio, "provvisto di fogne", che funga da modulo abitativo per le famiglie rom. Sulle zone "sgomberate" dovrebbero a breve iniziare dei lavori, visto che solo pochi mesi fa l’azienda che si occupa di installare i tubi del metano, la Napoletanagas, non ha potuto fare impianti nella zona recintata.

Una zona che rimane di dominio del clan Sarno, dove si incendiano materiali di tutti i tipi. E che l’assenza delle baracche non ha reso meno agghiacciante, col suo profilo di terra perduta per sempre, di terra in cui i disperati si muovono contro i più disperati, mentre la criminalità organizzata parla attraverso i rumori dei motorini truccati. Inutilmente ieri abbiamo chiesto all’assessore all’edilizia che cosa ne sarà di queste vie, a chi verranno affidati i lavori e quando inizieranno. Nessuna risposta, assessori introvabili.

Giovanna Ferrara - tratto da Altronline.it

leggi anche il nostro articolo del 30 Luglio 2008

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