Domani all'Arena, dalle 11.00 alle 19.00 le partite finali
della Homeless World Cup 2009. L'invito ad esserci è per tutti i milanesi, nel
frattempo, un bell'articolo di
Panorama, per ricordare la partecipazione della squadra italiana, che ha
iniziato troppo tardi a vincere le partite.
Bogdan Kwappik, foto da Flickr/homelessworldcup
Marcello Lippi fuma il suo sigaro e si gode un’Italia finalmente convincente
e
quasi qualificata per i mondiali in Sudafrica. A qualche chilometro di
distanza,
Bogdan Kwappik fuma una sigaretta dietro l’altra, urla ai suoi di
passare la palla e spera che nessuno di loro si faccia male.
Bogdan e Marcello fanno lo stesso mestiere: allenatori della nazionale italiana.
Ed ex campioni del mondo. Infatti ci sono azzurri che il loro mondiale lo stanno
già disputando. Da protagonisti.
A Milano si gioca in questi giorni (sino al 13 settembre) la
Homeless World Cup,
torneo di "calcio da strada" per chi ha la strada come casa: senzatetto,
rifugiati politici, esiliati. Ci sono 48 nazionali partecipanti. l’Italia alla
vigilia era una delle favorite per il palmarés: due mondiali vinti, nel 2004 e
2005. Con lo stesso allenatore al comando, Bogdan Kwappik: "Anch’io dopo aver
vinto ho dormito abbracciato alla coppa, come Cannavaro. Solo che ero dentro la
mia Nissan rossa, dove vivevo" racconta questo trentasettenne ex calciatore
polacco di Katowice ("ero come un Gattuso, poi mi sono rotto i legamenti e
carriera finita") arrivato in Italia nel lontano 1993: "sono scappato dalla
Polonia come disertore. Non potevo fare obiezione di coscienza. Qui credo di
aver fatto tutti i lavori possibili". Nel 2001 arriva a Milano e fonda la
Asc
Nova Multietnica, una Onlus che si occupa di aiutare gli emarginati attraverso
il calcio "a volte basta un po’ di fiducia, di amicizia e di sport per rimettere
in moto una vita".
La nazionale è composta da otto giocatori (quattro in campo, più le riserve),
tre di loro vengono da L’Aquila e vivono in tendopoli a causa del terremoto. Gli
altri hanno alle spalle le storie più varie: ci sono un romeno, un senegalese,
un cittadino delle seychelles, un brasiliano, un curdo. "Cantano l’inno meglio
di tanti altri, glielo assicuro" dice l’allenatore. E il capitano, Angelo, 46
anni, un passato da alcolista e ospite della comunità di don Colmegna. Bogdan
non vuole dare consigli al suo collega Marcello ma, se potesse, uno come Antonio
Cassano lo convocherebbe di corsa: "E come no! Io come Cassano ho mezza squadra"
scherza "Ogni giorno devo fare prima lo psicologo, poi l’allenatore, ma urlare
mai, non serve a niente".
Dal punto di vista sportivo lo street soccer non è come l’anarchica pallastrada
de "La compagnia dei celestini" di Stefano Benni, anzi, ha le sue regole ben
definite: ci sono le sponde come nell’hockey, il tempo effettivo e le
sostituzioni come nel basket, l’area solo per il portiere come nella pallamano.
Un garbuglio, insomma.
Ma l’esperienza più importante inizia dopo il fischio finale: i risultati
sociali conseguiti nelle precedenti edizioni della Homeless World Cup dicono che
più del 70 per cento dei partecipanti ha cambiato la propria vita, trovato una
casa, un lavoro, ripreso gli studi, sconfitto una dipendenza, ristabilito una
relazione. "Io stesso" racconta Kwappik "ho conosciuto la mia compagna di vita
grazie alla squadra. E l’ex capocannoniere della prima edizione, un ragazzo rom,
dopo la coppa si è messo a studiare ed è diventato un geometra". Le vittorie che
contano sono anche quelle più difficili da ottenere: "Quest’anno abbiamo avuto
un po’ più di attenzione da parte dei media perché si giocava in casa, ma i
soldi non sono molti, gli sponsor mancano e l’attività va avanti tutto l’anno"
spiega l’allenatore "io quello che spero è che finita la coppa questi ragazzi
abbiano un’opportunità di lavorare, di far vedere quanto valgono anche fuori dal
campetto. E che i ragazzi dell’Aquila tornino presto ad avere un vero tetto
sopra la testa".
emanuele rossi
Venerdì 11 Settembre 2009