Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 11/04/2008 @ 09:26:27, in scuola, visitato 2100 volte)
Da
Vita
Nella giornata internazionale dei Rom, si è aperta oggi a Bratislava la
conferenza "Education and training of Roma children and youth: the way forward"
alla quale ha preso parte anche una delegazione italiana, composta da Raffaele
Ciambrone, dirigente del ministero della Pubblica Istruzione, Arcangelo Patone,
della segreteria della Sottosegretaria di Stato ai Diritti e Pari Opportunità,
Donatella Linguiti, i Consiglieri nazionali dell'Opera Nomadi, il portavoce Rom
del campo di Triboniano a Milano Costantin Marin, rumeno, Kasim Cizmic,
portavoce Rom bosniaco del campo di Pontina Nuova a Roma e la sociologa Maria
Rosaria Chirico, autrice del "Progetto-Ferrero", il primo in Italia ad occuparsi
della scolarizzazione delle comunità Rom abusive.
L'incontro, promosso dal Consiglio d'Europa, ha l'obiettivo di condividere
politiche e pratiche educative che possano aumentare la qualità e la
partecipazione dei ragazzi Rom nel processo formativo dei paesi europei in cui
vivono. Tre temi in particolare saranno il focus della discussione di oggi e
domani: l'ambiente socio-educativo dei giovani e dei bambini, il ruolo e la
responsabilità dei principali attori (dai livelli istituzionali a quelli
scolastici fino alle famiglie e comunità di appartenenza); modelli e pratiche
efficaci che sono compatibili con le politiche antidiscriminazione e i diritti
umani; rinforzare e implementare le politiche educative: il contributo dei
governi internazionali e delle organizzazioni non governative.
Tra i relatori alla conferenza molti i rappresentanti dell'Est Europa (Romania,
Bulgaria, Slovacchia, Croazia), Gabriele Mazza, direttore del dipartimento su
scuola, educazione e lingue del Consiglio d'Europa, il ministro degli Affari
sociali e della salute della Finlandia, Pekka Haavisto e Anita Botosova,
plenipotenziario del governo slovacco per le comunità Rom.
Come sottolineato da Thomas Hammarberg della commissione sui diritti umani del
Consiglio d'Europa "l'esistenza del problema è di per sé il problema" ed è
necessario lavorare anche sulla pre-scolarizzazione e l'ambiente familiare nel
quale vivono i ragazzi e giovani Rom. Fondamentale secondo Miranda Vuolasranta,
vice presidente del Forum dei Rom, Sinti e Camminanti europei, è l'approccio
delle politiche europee: "Nothing for Roma, without Roma" ha più volte ripetuto
Vuolasranta, ribadendo la necessità di tenere conto anche del punto di vista dei
Rom su educazione e formazione, delle pratiche da mettere in gioco e capire in
che modo i Rom possano sentire come loro esigenza l'accesso al processo
educativo del paese in cui vivono.
"L'Opera Nomadi crede che siano le istituzioni a far da protagoniste nel
processo di integrazione scolastica dei Minori Rom/Sinti in Italia che vede
diecine di migliaia Rom non solo non scolarizzati ma nemmeno vaccinati e la gran
parte di minori Rom/Sinti italiani non consegue nemmeno la licenza media
inferiore" - sostiene Massimo Converso, Presidente Nazionale Opera Nomadi - "È
perciò fondamentale che la delegazione veda presenti congiuntamente il Governo
Italiano ed i rappresentanti del popolo Rom. Preoccupa invece che la
partecipazione a tale Convegno ufficiale sulla scolarizzazione dei minori Rom/Sinti
sia scaturita dalla sinergia fra Opera Nomadi e Ministeri e non da un rapporto
consolidato fra Consiglio d'Europa e Governo Italiano, rapporto che ha mosso i
primi passi soltanto oggi".
"La Scuola Italiana si contraddistingue per essere una scuola aperta a tutti e
accogliente" - afferma Raffaele Ciambrone, responsabile dell'Ufficio centrale
per l'integrazione scolastica degli alunni di cittadinanza non italiana. "Il
diritto all'istruzione, che è un diritto universale dell'infanzia, è
assolutamente tutelato. Chiunque può iscriversi a scuola, anche se non in
posizione regolare di soggiorno. Non esistono classi speciali: siamo per la
scuola comune. Purtroppo non abbiamo un'idea chiara di quanti siano i bambini
Rom presenti in Italia, non possiamo sapere quanti siano iscritti e quanti
restino invece a casa o nei campi. Di qui la necessità di realizzare un'indagine
e di fare delle rilevazioni distinte e puntuali. È allo studio di un gruppo
interministeriale, e dello stesso Ministero dell'Interno, un progetto per
unificare tutte le banche dati esistenti e creare un sistema unico di
monitoraggio".
Di Fabrizio (del 12/04/2008 @ 08:45:51, in Italia, visitato 2253 volte)
Da
RomSinti@Politica
Sono stufi di essere chiamati per accogliere i rom, senza venire preavvisati
degli sgomberi chiesti dalle amministrazioni locali. Di disintossicare i drogati
senza un dialogo con chi decide le politiche di prevenzione. Di distribuire
pasti caldi ai pensionati senza esser consultati da chi detta le regole
dell’assistenza sociale.
Per questo oltre 40 fra le principali sigle del volontariato italiano ieri hanno
scelto, non a caso, Milano per presentare un documento che condanna la logica
degli sgomberi senza progetti alternativi e chiede alla politica di abbandonare
la logica della «sicurezza» slegata dagli interventi di recupero sociale.
C’erano don Gino Rigoldi, presidente di Comunità Nuova e cappellano del carcere
minorile Beccaria, e don Virginio Colmegna, presidente di Casa della Carità, al
centro del tavolo dove è stato firmato l'atto di nascita del "Cantiere per un
patto costituente di un nuovo welfare", definito "spazio di riflessione e
proposta politica". Una sigla che reclama attenzione dalle istituzioni e
investimenti per la tutela dei diritti delle persone.
Un tema, quello dei diritti, che pochi giorni fa era stato sollevato dal
cardinale Dionigi Tettamanzi a proposito dello sgombero della Bovisasca. Fatto
che Lucio Badolin, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità
d'accoglienza), ieri all'incontro nella sede delle Acli, in via della Signora,
ha sottolineato: «Siamo al punto che persino qualche vescovo arriva a domandarsi
pubblicamente che senso ha questo modo di agire. Questo modo di far politica e
di amministrare non ci piace. Questo alitare sulla paura dei cittadini per
alimentarla è pericoloso. I bisogni sociali rimangono ai margini dei programmi
politici e dell'azione di governo».
E don Colmegna ha aggiunto: «Stiamo facendo un'operazione culturale, non un
manifesto elettorale. Vogliamo contare di più, abbiamo fiducia in una politica
forte su questi temi».
Il discorso più duro è stato quello di Rigoldi, che ha puntato il dito contro
«il disastro sociale e culturale che abbiamo davanti. Al Beccaria c'è il 20 per
cento in più di detenuti. La sicurezza della pena che chiedono certe forze
politiche esiste solo per i poveracci che rubano per fame e restano in galera
per anni». Il cappellano è indignato per le manifestazioni davanti alle chiese
della Lega, che contesta le posizioni di Tettamanzi a difesa dei rom: «Va
ricordato a questi signori che per il Vangelo tutti siamo figli di Dio. I
razzisti stiano fuori dalle chiese».
In allestimento è un sito web dedicato al tema (www.cantierewelfare.org)
per raccogliere nuove adesioni all’appello, per ospitare un forum di discussione
e per organizzare un incontro pubblico dove verrà presentata una piattaforma sul
welfare.
Di Fabrizio (del 12/04/2008 @ 09:04:46, in Italia, visitato 1993 volte)
Da
ChiAmaMilano
L’ennesima, inutile “bonifica” sposta poco più in là il problema Rom
mentre la politica sta in silenzio
Una volta abbattute le baracche alla Bovisasca e dispersi i Rom si è letto e
sentito di tutto. Silenzi e protagonismi elettorali hanno evidenziato l’assenza
della politica che ormai si limita ad operare con le ruspe e ad alzare il
sopracciglio se la Curia milanese fa appello ad un senso di umanità che non
dovrebbe appartenere ai soli cattolici. Nel cortocircuito perenne
dell’ossessione securitaria ciò che dovrebbe essere normale fa quasi scandalo e
quel che in un paese ricco e civile –seppur in declino– dovrebbe scandalizzare
diviene la norma dell’agire da parte dell’amministrazione cittadina.
La condizione dei Rom è un problema e chiunque abbia un minimo di buon senso
–prima che di senso d’umanità– non può certo pensare che voltare la testa
dall’altra parte di fronte alle baraccopoli e all’accattonaggio sia la
soluzione. Ma una soluzione può essere una sequela di sgomberi che ormai si
succedono ininterrottamente senza risolvere nulla? Assistiamo ad una sorta di
gioco dei quattro cantoni con il corollario di veri e propri sconti tra Milano e
i comuni dell’hinterland che accusano il Capoluogo di trattarli come una
discarica. Il cerchio si chiude con l’implicita equazione: rom=immondizia.
In questo scenario la politica è assente. L’orizzonte è circoscritto dalle ruspe
e dai silenzi, poiché gli zingari fanno guadagnare voti solo se vengono
sgomberati. Ma si può sgomberare la povertà?
Di questo si tratta. A meno che non si voglia davvero pensare che i circa
diecimila Rom presenti sul territorio milanese siano tutti dediti al crimine. Se
così fosse, più che di emergenza da trattare con gli sgomberi si dovrebbe
contemplare l’uso dell’esercito per presidiare le strade. Invece, la maggior
parte degli uomini che “risiedono” nei campi lavora nell’edilizia, ovviamente in
nero. Ma il circo politico-mediatico si nutre di altro: dei baby borseggiatori e
delle Mercedes parcheggiate accanto alle baracche. Ci sono gli uni e le altre,
ma nel caso dei Rom tutta l’erba è fatta fascio.
Ma di povertà si tratta, estrema e brutale, che si ammassa in favelas e produce,
come dicono gli operatori delle associazioni che tentano di costruire percorsi
di integrazione, un processo di rinomadizzazione di una popolazione che in
Romania era e rimane sedentaria.
Ma l’emergenza e l’investimento politico sulla paura fanno prevalere lo spettro
sulla realtà: i Rom rumeni tornano ad essere nomadi e gli sgomberi interrompono
ogni tentativo d’inserimento scolastico di bambini e ragazzi destinati così,
nella migliore delle ipotesi, all’accattonaggio.
Non c’è dubbio che la questione non possa essere affrontata dalla singola
amministrazione locale, nemmeno da quella di una città grande come Milano. La
sua risoluzione passa sia attraverso politiche pubbliche che superano la sfera
cittadina, sia per mezzo della stipula necessaria di accordi bilaterali con la
Romania, alla quale –non bisogna mai dimenticarlo– non è parso vero di potersi
liberare di quella che i Rumeni, prima, durante e dopo il quarantennio
comunista, hanno sempre considerato come una minoranza avulsa e intollerabile.
La politica deve elaborare risposte e soluzioni per problemi complessi, spesso
spinosi. Questo è il suo compito. Disperdere la polvere, perchè possa essere
nascosta negli angoli meno visibili non è solo abdicare alle proprie
responsabilità, ma anche rinunciare alla propria missione.
Beniamino Piantieri
Di Sucar Drom (del 13/04/2008 @ 09:09:30, in blog, visitato 1560 volte)
Arci, un impegno rinnovato oggi
Oggi, 8 aprile, si celebra in tutto il mondo il "Romano Dives", la Giornata
internazionale della nazione Rom, in ricordo di quell’8 aprile del 1971 quando a
Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popo...
Romano Dives
Oggi 8 aprile è il Romano Dives, la Giornata Internazionale delle popolazioni
rom, sinte, kalé (“gitani” della penisola iberica), manouche (sinti francesi) e
Romanichals (inglesi). L’8 aprile 1971 a Londra si riunì il primo Congresso
dell’I...
Alzatevi, Sinti!
Ho camminato, camminato a lungo per le strade, Ho incontrato Sinti felici, O
Sinti, da dove v...
Lettera aperta ai cittadini di Pescara
Per decenni le organizzazioni pro rom e sinti hanno promosso politiche
paternalistiche, caritative e assistenziali. Pochissimo lo spazio offerto
direttamente ai Sinti e ai Rom che nella maggior parte dei casi sono rimasti
incastrati i...
Bertinotti risponde al comitato "Rom e Sinti Insieme"
Al comitato “Rom Sinti Insieme”, Le Vostre proposte, che contengono forti
sollecitazioni al superamento delle discriminazio...
L'UdC risponde al comitato "Rom Sinti Insieme"
Carissimi, desidero informarVi che ho discusso a lungo con il Presidente On.
Pierferdinando Casini e con l’On. Lorenzo Cesa Segr. Naz.le UdC il documento
redatto dal Vs. Comitato e posso darVi la massima garanzia che su di e...
Rom e Sinti al voto
Il comitato “Rom e Sinti Insieme” è una realtà nata a marzo 2007, per unire
tutte le popolazioni e le organizzazioni Rom e Sinte, presenti in Italia. Ad
oggi hanno aderito al comitato una trentina tra associazioni e gruppi informali
ch...
Milano, i Rom alla fiera "Fa' la cosa giusta"
Sull'ultima borsa che sta cucendo, Jeliza ci ha disegnato il ritratto di sua
figlia Sabrina. Coi capelli neri e lunghi e il volto a tre quarti, sorride su
uno sfondo di iuta arancione. “Però credo che questa non la venderò– dice – la
voglio tenere per me, è davvero bella”. Accanto, su quel...
Roma, Casilino 900 sembra il Ghetto di Varsavia
Ieri abbiamo incontrato alcune famiglie al Casilino 900. Prima di raggiungere il
campo, siamo stati "messi in guardia" da alcuni cittadini che vivono nel
quartiere: “Ma vi rendete conto di che rischio correte, a...
Minoranze linguistiche, stanziati cinque milioni e mezzo
Ammonta ad oltre 5 milioni e mezzo di euro (5.617.000) la somma da erogare da
parte de Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie Locali, guidato
dal ministro Linda Lanzillotta, in favore delle amministrazioni degli enti
locali dove sono presenti minoranze lingu...
Genova, la Romania chiede il rispetto dei trattati Ue
«I rom sono cittadini europei come tutti gli altri e quindi possono circolare in
Europa senza restrizioni. Spetta a loro decidere se e quando ritornare in
patria. Le istituzioni italiane devono garantire ai rom degne condizioni di
vita». Dana Varga, consulente del primo ministro romeno Calin Popescu-Tariceanu
per...
Cassazione, vietato minacciare i “nomadi” per cacciarli
I supremi giudici hanno confermato la condanna per concorso in tentata violenza
privata nei confronti di un 25enne sardo: insieme ad altri aveva minacciato di
dar fuoco alle case di un gruppo di Rom. «I cittadini non possono farsi
giustizia da soli per allontanare i “nomadi” dalle proprie città: se li
minacciano, rischiano una condanna per violenza privata». E' quanto affermato
dalla ...
Da
YLE
La minoranza finlandese rom sta osservando molto attentamente
l'influsso dei mendicanti romeni nelle città finladesi.. Sperano che la UE li
aiuti a migliorare l'assistenza ai mendicanti rom nel loro paese.
Il presidente del Forum Rom, Tino Varjola, dice che offrire denaro ai
mendicanti per strada non è la soluzione.
Martedì si è celebrato il giorno Internazionale dei Rom a Tampere. I
festeggiamenti sono una tradizione che parte dai primi anni '90, allo scopo di
aumentare la conoscenza della più vasta minoranza etnica d'Europa.
L'arrivo di mendicanti rom in Finlandia ha destato più attenzione degli anni
scorsi. La loro apparenza è indicativa delle difficoltà che i Rom affrontano
particolarmente nei paesi del vecchio blocco sovietico. In questi stati
ex-socialisti la discriminazione contro i Rom è sistematica.
L'elemosina è un anatema per la comunità rom finlandese, ma sta cambiando
vedendo i loro colleghi più indigenti per strada.
Dice Satu Blomerus del Tavolo Nazionale Finlandese dell'Educazione: "Non
possiamo neppure immaginare che cosa sia vivere senza dignità umana e
completamente fuori della società."
Varjola, che è da poco a capo del Forum Rom, dice di essere cosciente sui
bisogni dei mendicanti. La sua personale opinione, d'altra parte, è che al gente
non dovrebbe dare denaro ai mendicanti. Dice che questo tipo di carità genera un
circolo vizioso.
"Dare denaro ai mendicanti, incoraggia il processo di mendicità" dice Varjola.
Vedrebbe piuttosto che l'UE esercitasse la sua influenza sul suo stato membro
di Romania. Ritiene che la UE dovrebbe prendersi cura dei suoi cittadini in
maniera che non debbano girare la UE elemosinando.
Trattamento umano è ciò che Varjola vuole per i mendicanti che sono già in
Finlandia. Dice che ci sono altri modi di aiutare che donare qualche moneta.
Sull'argomento: leggi
Tsunami quotidiani
Di Fabrizio (del 14/04/2008 @ 09:26:27, in Europa, visitato 1807 volte)
Da
Roma_exYugoslavia
Circa metà dei Rom in Serbia vive in estrema povertà, mentre il 60% non ha
accesso all'istruzione [...]. Mancanza di politiche statali e discriminazione
sono menzionati come i più grandi problemi affrontati dai Rom di Serbia, secondo
il Centro d'Informazione Rom di Belgrado.
In Serbia, il 60% dei Rom sono disoccupati e molti vivono in insediamenti
illegali, uno di questi è la Città di Carbone alla periferia di Belgrado.
Dice Rosalija Ilic, direttore esecutivo del Centro: "Lo stato guarda a noi
come persone costantemente in cerca di aiuto. Invece, dovrebbero vederci come
cittadini attivi che lavoreranno e guadagneranno e saranno socialmente
responsabili come il resto delle persone."
La ricerca è stata pubblicata martedì scorso, in concomitanza del Giorno
Internazionale dei Rom.
Il 2008 è il terzo anno dell'iniziativa bandita dall'Unione Europea, il
Decennio dell'Inclusione Rom 2005-2015, lanciato per integrare i Rom nelle
società dove vivono.
La Serbia ha garantito ai Rom il diritto di creare la propria politica
culturale, ma secondo Osman Balic, direttore del Centro YURom, lo stato non ha
definito la propria politica culturale a tutti i livelli amministrativi.
Ha poi sottolineato l'importanza della mancanza di una politica verso i Rom.
Il censimento del 2002 mostra che vivono in Serbia circa 108.000, mentre le
statistiche dell'UNICEF stimano tra i 400.000 e i 700.000 Rom risiedono nel
paese.
La discrepanza potrebbe dipendere dalla riluttanza dei Rom di dichiararsi
tali, a causa della discriminazione e persino degli attacchi fisici degli
skinheads e degli altri gruppi razzisti.
La Giornata Internazionale dei Rom è un giorno in celebrare la cultura Rom e
far crescere la coscienza sulle tematiche che li riguardano.
Il giorno fu ufficialmente dichiarato nel 1990 a Serock, Polonia, durante il
quarto Congresso Mondiale dei Rom dell'Unione Internazionale dei Rom (IRU) in
onore del primo incontro internazionale tenutosi dal 7 al 12 aprile 1971 a
Chelsfield, vicino Londra.
BalkanInsight. com
Di Fabrizio (del 14/04/2008 @ 11:01:59, in casa, visitato 1568 volte)
Da
il manifesto del 13 Aprile 2008
Gli alloggi assegnati a chi aveva documenti e lavoro. Gli affitti,
calmierati, pagati a metà dalla fondazione Carisbo e dai locatari
Tra gli sgomberati del Ferrhotel, che ora hanno avuto assegnata un'abitazione a
canone concordato. Con l'impegno del comune e un obiettivo: dismettere i campi
nomadi. Un esempio in controtendenza rispetto alla politica degli
allontanamenti. Firmato Cofferati
Linda Chiaramonte
Bologna
È da poco rientrato a casa dal lavoro Aghiran quando apre la porta
sorridente e mi fa accomodare in cucina dove sul fuoco borbotta una caffettiera.
Sì, proprio così, a casa. Aghiran, come tanti altri rom, ha vissuto una piccola
odissea fatta di sgomberi, occupazioni, baracche sul lungo fiume, giacigli di
fortuna e ora questo appartamento in una palazzina in una strada alberata di una
zona tranquilla di Bologna, non molto lontana dal centro, sembra un sogno.
Aghiran ha 40 anni, moglie e due figlie di 12 e 7 anni ed è arrivato a Bologna
per cercare lavoro nel 2003, ha raggiunto amici e parenti che gli parlavano bene
della città. È arrivato da Lipovu, un piccolo paese a trenta chilometri da
Craiova, in Romania. Lì ha una casa, faceva il saldatore e ha lavorato nelle
ferrovie. Guadagnava fra i 150 e i 200 euro al mese. Dopo la rivoluzione dell'89
però molte ditte italiane, tedesche e francesi hanno rilevato molte fabbriche in
Romania e metà degli operai sono rimasti senza lavoro. Dal '91 al '93 gira in
cerca di occupazione fra Germania, Turchia e Serbia, nel '99 sposa Marian. Prima
della rivoluzione in Romania, ha sempre lavorato, vivendo dignitosamente, dopo
invece il lavoro è iniziato a mancare e avendo ormai famiglia Aghiran ha dovuto
darsi da fare e partire ancora.
Un paese incivile
Alla fine del 2003 arriva a Bologna. Per tre anni e mezzo è solo, moglie e
figlie sono rimaste a Lipovu. Il suo primo alloggio è il Ferrhotel, ex albergo
dei ferrovieri da anni inutilizzato, occupato da alcuni attivisti dei movimenti
bolognesi, che diventerà la casa di molti nuclei familiari di rom reduci dal
primo sgombero delle baracche sul lungo Reno. Lì Aghiran, all'epoca senza
documenti, divide la stanza con parenti e amici. Sgomberi dalla sua «baracchina»
di nylon sul fiume ne ha vissuti almeno tre. «Sono stati tempi brutti, non mi
aspettavo che la vita in Italia, un paese occidentale e democratico, sarebbe
stata così dura, non ho trovato quello che mi aspettavo. Ho trovato sfruttamento
e razzismo. I datori di lavoro mi davano 25-30 euro al giorno. Dal 2004 al 2006
lavoravo come manovale nell'edilizia, ma ero malpagato perché non avevo i
documenti. Diverse volte ho perso il lavoro perché hanno saputo che ero rom, ma
io non mi vergogno, anche se ho vissuto spesso discriminazioni razziali»,
racconta con un velo di tristezza e ricorda di quando gli è capitato di
rientrare dopo il lavoro nella sua baracca e di non trovarla più, demolita
mentre era via insieme alle sue cose. Dopo le prime ruspe sul Lungoreno del
marzo 2005 volute dal sindaco Sergio Cofferati, che salì agli onori delle
cronache come paladino della legalità, seguite da altre in ottobre e novembre, è
stato sistemato insieme agli altri in un campo di transito in un'area attrezzata
nella periferia del quartiere San Donato. Lì Aghiran ha vissuto in un container
con la famiglia del fratello fino al settembre 2006. Poi un altro trasferimento
e un altro container fino al 2007, questa volta in una struttura creata dal
Comune per far fronte all'emergenza dell'accoglienza dei rom.
«Cuore di rom»
Prima dell'estate 2007 ad Aghiran, che dal primo maggio ha un regolare contratto
di lavoro in un'azienda agricola di ortofrutta, appena fuori città, arriva la
buona notizia che nel giro di pochi mesi potrà trasferirsi in una vera casa, un
appartamento arredato. Così a settembre, un paio di mesi prima del
trasferimento, la moglie e le figlie lo raggiungono a Bologna e a novembre tutta
la famiglia trasloca in 80 metri quadri. «Sono felice di poter offrire un futuro
onesto alle mie figlie, le voglio sistemare qui, perché in Romania non avrebbero
un futuro. Anche se io voglio morire nella mia terra. Ora mi sento molto bene,
ho un lavoro, le figlie vanno a scuola, ho la casa» dice soddisfatto Aghiran,
che tutte le mattine fa alcuni chilometri in bicicletta per raggiungere il
lavoro. Tutti i sabati alcuni operatori aiutano le bambine a fare i compiti,
bambine che dopo pochi mesi in Italia parlano benissimo l'italiano. Nessun
problema di integrazione né di convivenza con i vicini, solo una porta sempre
aperta alle visite di amici e parenti cha passano a dare un saluto, bevono un
caffé e restano a chiacchierare e a vedere la telenovela che trasmette la
parabola, dal titolo «cuore di zingaro», dice Lavinia, la figlia più grande,
«cuore di rom» corregge il papà, perché anche le parole fanno la differenza.
Mentre lui racconta, la moglie ascolta e sorride, non parla una parola di
italiano, ma capisce. Per cena ha preparato riso e pollo, probabilmente a tavola
si fermeranno alcuni ospiti. Come molte delle donne che vivevano nelle
strutture, e a cui è venuta a mancare la vita di comunità, soffre un po' di
solitudine. Prima di salutarci Aghiran mostra orgoglioso il resto della casa, la
sala, le due camere, il bagno. Il suo contratto è stipulato per quattro anni,
poi potrà anche fare richiesta per la casa popolare.
«La colonna senza fine»
A ripercorrere tutte le tappe della vicenda rom in città è il bel documentario
La colonna senza fine di Elisa Mereghetti, scritto con Valerio Monteventi,
consigliere comunale indipendente di Bologna, presidente della commissione
consiliare per le politiche abitative e della casa, da sempre impegnato in
battaglie sociali. La storia di Aghiran rientra in un progetto avviato, e ormai
concluso, dai servizi per l'integrazione interculturale del Comune di Bologna.
Come lui sono state inserite in appartamento 17 famiglie su 19 provenienti dai
container di via del Piratino, per un totale di 73 persone, oltre ad altri 27
nuclei, pari a 125 persone fra cui 57 minori, provenienti da Villa Salus, ex
clinica dismessa adibita ad alloggio per fronteggiare l'emergenza rom dopo lo
sgombero del Ferrhotel eseguito con un'ordinanza del sindaco. Per questa
operazione il Comune ha dovuto reperire sul mercato privato appartamenti a
canoni concordati, in città e comuni vicini, che non superassero gli 800 euro al
mese, li ha poi mostrati e proposti alle famiglie con i requisiti richiesti per
affrontare le spese di circa il 50% dell'affitto ovvero documenti e lavoro.
Nell'assegnazione gli operatori del servizio hanno tenuto conto della vicinanza
con il luogo di lavoro e dei servizi, come scuole e mezzi pubblici. Il Comune si
è fatto garante presso i proprietari e si è fatto carico di pagare 300 euro al
mese per ogni famiglia, grazie anche al contributo dato dalla fondazione
bancaria Carisbo, siglato nel febbraio 2007, che ha stanziato 150.000 euro,
100.000 dei quali sono stati spesi per gli affitti del 2007. La restante parte
dell'affitto (oltre alle utenze) viene corrisposta dagli affittuari, cifra che
solo in pochi casi supera il 50%. Il Comune ha utilizzato altri 100.000 euro per
gli interventi socio-educativi di accompagnamento e inserimento sociale
lavorativo rivolto soprattutto alle donne. Inoltre gli operatori si occupano di
aiutarli nelle pratiche per la residenza, dell'iscrizione a scuola e alle Asl,
seguono le vaccinazioni e monitorano la frequenza scolastica.
Superare i campi nomadi
Il progetto dell'inserimento abitativo in appartamento, iniziato nel marzo 2005,
si pone come alternativa alla logica assistenziale e va nella direzione della
dismissione dei campi nomadi. Un tema impopolare quello dell'assegnazione di
case ai rom che suscita ire e levate di scudi, in un paese in cui è più facile
cacciare i rom da un punto all'altro delle città. Anche se forse non tutti
conoscono gli alti costi di manutenzione di un campo nomadi per le
amministrazioni, di molto superiore rispetto all'inserimento abitativo. A
Bologna la gestione per sei mesi di Villa Salus nel 2007 è costata circa 310.000
euro, l'altra struttura, il cosiddetto Piratino, circa 287.000 per l'intero
2007, per un totale di circa 600.000 euro. Entro l'anno il Piratino sarà
riedificato con 270.000 euro del fondo ministeriale per progetti
socio-assistenziali. Diventerà una struttura permanente di casette in muratura
che offrirà 50 posti letto alle famiglie in situazioni di grave disagio
abitativo. Il 30 giugno, dopo 15 anni, chiuderà il campo di Sasso Marconi per ex
profughi dell'ex Jugoslavia che ora ospita sei famiglie, entro il 2008 chiuderà
anche l'altro, alle porte di Bologna, che ne accoglie sette. Anche in questi
casi è previsto l'inserimento abitativo in appartamenti.
Di Fabrizio (del 15/04/2008 @ 08:46:26, in Regole, visitato 1846 volte)
dal Daily Mail
In una città affetta dall'immigrazione dell'Est Europa, un poliziotto non è
semplicemente un poliziotto.
Ma il ventisettenne Petr Torak trova di aver meno problemi di comunicazione
degli altri.
E' un Rom della Repubblica Ceca, che parla cinque lingue - in altre parole,
il nuovo volto della polizia nella Bretagna multi-culturale.
Torak, ufficiale di supporto comunitario a Peterborough, diventerà ad agosto
un poliziotto a tutti gli effetti.
Dice: "Amo assolutamente il mio lavoro. E' quello che avrei sempre voluto
fare e questo significa che posso ricompensare il paese che ha dato così tanto a
me e alla mia famiglia."
Dal 2004, si ritiene siano 16.000 gli immigrati che si sono affollati in
città [...]
Il problema è stato evidenziato il mese scorso dallo squallore delle
"tendopoli" - dozzine di migranti senza casa e lavoro forzati a vivere nella
terra di nessuno.
Una scuola, Fulbridge Primary, ha visto crescere il numero dei bambini
dell'Est Europa da due a 100 negli ultimi due anni, che parlano 32 lingue
differenti.
Dice ancora Torak: "Credo che le mie capacità linguistiche possano fare una
gran differenza."
"Capisco la gente da una prospettiva culturale e capisco cosa stanno tentando
di dire."
Torak parla inglese, ceco, polacco, slovacco e portoghese. Sta anche
imparando il russo. Sua moglie Lucia, sta aspettando il loro primo figlio.
I Rom sono visti come i più poveri e meno istruiti tra i 10 milioni di
cittadini della Repubblica Ceca.
Sono storicamente stati soggetti a discriminazioni e pregiudizi ufficiali e
no. Durante la II guerra mondiale, oltre 7.000 Rom cechi furono uccisi nei campi
di concentramento, dopo che la Germania occupò la Boemia e Moravia.
Torak aveva 18 anni ed era un promettente studente di legge quando con la sua
famiglia fuggì dalla città di Liberec nel 1999.
Lui e la madre erano stati malmenati dopo che il padre, un politico, aveva
protestato contro un muro costruito per separare i Rom dai Cechi.
Arrivato in GB, aveva lavorato in fabbrica prima di diventare ufficiale di
sicurezza e assistente bilingue presso Tesco.
"Da quando mi ricorso ho sempre voluto essere poliziotto o avvocato," ci
dice. "Quando mi è stato dato questo incarico nel novembre 2006, ero al colmo
della gioia."
"Amo Peterborough. Mi sento a casa mia. E i miei colleghi mi supportano molto."
Un portavoce della Polizia del Cambridgeshire dice: "Un numero di agenti ha
capacità particolari. Nel caso di Torak le sue capacità sono nel contatto
diretto con membri della comunità e nel poter offrire un miglior servizio."
Sull'argomento:
Repubblica Ceca e
Ungheria
Di Fabrizio (del 15/04/2008 @ 10:50:12, in Italia, visitato 1751 volte)
Da
Melting
Pot
Le proteste della destra contro il nuovo villaggio a Favaro Veneto
In questi giorni è ritornata alle cronache dei quotidiani locali una vecchia
vicenda-protesta che riguarda l’inizio dei lavori per la costruzione di un nuovo
villaggio a Favaro (Ve) che ospiterà circa 35 famiglie di origine sinta, circa
150 persone. La definiamo una vecchia vicenda perché da diversi anni queste
famiglie sono a contatto con gli operatori di Etam, servizio d’animazione
di comunità dell’assessorato comunale alle politiche sociali di Venezia e
sono proprio gli operatori, che intervengono da ormai una decina d’anni nel
vecchio campo nomadi, a sfatare molti dei luoghi comuni sugli abitanti delle
roulotte. La chiamiamo vecchia anche perchè stiamo parlando di famiglie che
da generazioni sono italiane: stanziali nel veneziano dal 1969, tutti hanno un
impiego, per lo più nella rottamazione di ferro vecchio e rame con Vesta e i
circa 70 minori frequentano le scuole elementari e medie.
Di fronte ai disagi dell’attuale sede abitativa delle famiglie (otto wc e
quattro docce non riscaldate, una situazione indecente e precaria... ) il Comune
ed Etam si sono impegnati nel sostenere la creazione di un nuovo villaggio che
avrà una superficie di 22mila metri quadrati. Ci saranno elettricità e acqua
corrente. Ogni piazzola sarà collegata ad una casetta. Per un totale di 38
postazioni. Gli ospiti pagheranno un canone di locazione e i servizi erogati.
Naturalmente con l’appoggio delle forze politiche di destra (Lega Nord, Alleanza
Nazionale, Forza Italia) si sono innalzate polemiche e protese, formati comitati
contro il villaggio, è partita insomma la consueta crociata che palesa ogni
volta di più in queste situazioni l’ignoranza, l’arroganza e il razzismo di
molti cittadini e rappresentanti politici.
Quale le motivazioni di questi ultimi?
Una gamma di giustificazioni, si va dai più beceri luoghi comuni fino alla
parodia che ha poco di divertente: i ragazzi sinti sarebbero i “protagonisti di
episodi di violenza a danno di cani e gatti”, “la presenza di nomadi riduce il
valore delle case dell’area”, “i soldi pubblici dovrebbero essere di sostegno
per l’affitto e per i negozi colpiti dai cantieri del tram”, “gente che nella
maggior parte dei casi usufruisce della nostra ospitalità (sempre a spese dei
cittadini)”, “farli andare in appartamento”...
In questi anni sono stati molti i percorsi ricercati da parte di operatori e
Comune che hanno tentato di comprendere le differenze senza darle per scontate e
dunque anche offrendo a queste famiglie degli appartamenti, ma solamente 7 di
queste hanno accettato la proposta di vivere in una casa le altre hanno espresso
la volontà di voler vivere in un villaggio.
Allora perchè forzare delle persone a delle soluzioni abitative che non gli
appartengono? forzarle ad una convivenza che per abitudini culturali e tipologia
di famiglia allargata (spesso sono nuclei familiari di 10 persone) non gli
appartiene? Vogliamo metterle nelle case e integrarle come vogliamo noi?
L’integrazione è fare subire e imporre ad altri i nostri modi e le nostre
abitudini o è cercare di prendere in considerazione il punto di vista
dell’altro? Assimiliazione e integrazione forzata a tutti i costi o
confronto e rivisitazione degli elementi su cui noi, come società, siamo
costruiti?
Sono secoli che Sinti e i Rom, da quando sono arrivati in Italia (1300 – 1400)
come popolazioni nomadiche, da parte della Chiesa in primis e successivamente
tutti gli strumenti di organizzazione della realtà e di rappresentanza del
potere hanno contribuito ad immortalare un immagine minacciosa di queste
persone. Da sempre il loro stile di vita li ha resi una presenza difficile da
controllare e ordinare che si è portata con sé quel pre-giudizio di diverso,
vagabondo o migrante che sia, che destabilizza l’ordine sociale.
Per chiudere possiamo dire che il loro particolarismo culturale maturato in
secoli di diffamazioni e violenze manifesta una fragilità che si innesca oggi
nel processo di “integrazione” e che è indispensabile riconoscere per
ristabilire un dialogo nelle nostre città e un’azione sociale che vada oltre
l’immagine convenzionale che spesso ci si fa di queste persone.
[ lunedì 14 aprile 2008 ]
Da
Romanian_Roma
La minoranza Rom in Moldavia ha protestato contro la discriminazione
razziale nel centro della capitale Chisinau. La maggioranza dei Rom non mostra
la sua vera identità per le persecuzioni e discriminazioni. Durante la II guerra
mondiale vennero deportati nei campi di concentramento in Transnistria.
CHISINAU (Tiraspol
Times) - Il giorno 8 aprile, centinaia di Rom hanno protestato nel centro di
Chisinau, contro la discriminazione razziale.
La marcia di protesta era organizzata dal Centro Nazionale Rom per far
crescere la consapevolezza della maggioranza della popolazione sui problemi
socio-economici che questa etnia affronta ogni giorno. La marcia è partita alle
11.00 dalla piazza dell'Opera - Stefan cel Mare si Sfint bd.
Afferma l'associazione Dzeno che nella comunità Rom non c'è accesso all'acqua
potabile e spesso sono disconnessi dall'uso dell'energia elettrica, sono
soggetti a trattamenti violenti da parte dei poliziotti.
Dice Nicolae Radita, presidente del Centro Nazionale Rom: "La discriminazione
è un fenomeno che si incontra nelle scuole, negli istituti medici ed in altri
posti pubblici. Gli uomini non trovano lavoro, gli anziani no ricevono alcun
aiuto o pensione ed i bambini non frequentano la scuola o l'abbandonano."
"Queste persone soffrono di differenti disagi a causa delle precarie
condizioni di vita e la mancanza di risorse materiali. Non potendo assicurare
trattamenti per tempo, spesso muoiono presto," ha aggiunto. "Dopo 17 anni di
indipendenza della Moldavia, la situazione di questo popolo non è cambiata in
meglio."
Durante la marcia, il Centro Nazionale Rom ha indirizzato una lettera di
protesta alle autorità pubbliche, chiedendo al governo di migliorare la
situazione dei Rom e la loro partecipazione nei processi decisionali.
I Rom rimangono al minoranza più perseguitata d'Europa. I governi hanno
tentato di sedentarizzarli forzatamente, spesso senza successo e con risultati
negativi.
Secondo la principale organizzazione dei Rom di Moldavia, i Rom della
repubblica ancora hanno a che fare con persecuzioni, marginalizzazione ed
esclusione sociale in tutte le sfere della vita pubblica.
I loro diritti continuano sino ad oggi ad essere infranti, le discriminazioni
istituzionali posizionano il loro livello di sviluppo al gradino più basso sulla
strada della sparizione o dell'assimilazione.
Dopo lo sradicamento e la campagna di sterminio nella II guerra mondiale, la
Moldavia conta ora 200.000 Rom che rappresentano circa il 7% della popolazione
totale (esclusa la Transnistria, che ha una differente composizione etnica e un
diverso retroterra dalla Moldavia stessa).
I leaders della comunità dicono che pochi Rom scoprono la loro origine etnica
per paura di discriminazioni.
"Davvero pochi Rom svelerebbero la loro origine etnica, e la ragione
principale è che hanno paura delle discriminazioni," dice Dumitru Danu, un
leader dei Rom moldavi.
Dumitru Danu, presidente dell'Associazione Rom Moldavi, dice che una gran
parte dei Rom si identifica come Moldavi/Rumeni oppure Russi, a causa dei
pregiudizi e dell'indifferenza verso i Rom. In realtà il numero dei Rom è
maggiore di quanto mostrino i dati ufficiali, afferma Danu.
Prima della II guerra mondiale, oltre il doppio dei Rom viveva in Moldavia,
che al tempo era parte della Romania. Durante la guerra, furono deportati nei
campi di concentramento nella "Transnistria" occupata, che era una repubblica
autonoma e non parte della Romania. Durante la collaborazione nazi/rumena nella
II guerra mndiale, oltre 500.000 Rom furono uccisi nell'olocausto Rom -
conosciuto come Porajmos - dove furono deliberatamente spostati ad est del fiume
Dniepr e così fuori dai normali confini etnico-storici della Moldavia/Romania.
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