Sinti italiani: da secoli tormentati e rifiutati
Di Fabrizio (del 15/04/2008 @ 10:50:12, in Italia, visitato 1751 volte)
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Melting
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Le proteste della destra contro il nuovo villaggio a Favaro Veneto
In questi giorni è ritornata alle cronache dei quotidiani locali una vecchia
vicenda-protesta che riguarda l’inizio dei lavori per la costruzione di un nuovo
villaggio a Favaro (Ve) che ospiterà circa 35 famiglie di origine sinta, circa
150 persone. La definiamo una vecchia vicenda perché da diversi anni queste
famiglie sono a contatto con gli operatori di Etam, servizio d’animazione
di comunità dell’assessorato comunale alle politiche sociali di Venezia e
sono proprio gli operatori, che intervengono da ormai una decina d’anni nel
vecchio campo nomadi, a sfatare molti dei luoghi comuni sugli abitanti delle
roulotte. La chiamiamo vecchia anche perchè stiamo parlando di famiglie che
da generazioni sono italiane: stanziali nel veneziano dal 1969, tutti hanno un
impiego, per lo più nella rottamazione di ferro vecchio e rame con Vesta e i
circa 70 minori frequentano le scuole elementari e medie.
Di fronte ai disagi dell’attuale sede abitativa delle famiglie (otto wc e
quattro docce non riscaldate, una situazione indecente e precaria... ) il Comune
ed Etam si sono impegnati nel sostenere la creazione di un nuovo villaggio che
avrà una superficie di 22mila metri quadrati. Ci saranno elettricità e acqua
corrente. Ogni piazzola sarà collegata ad una casetta. Per un totale di 38
postazioni. Gli ospiti pagheranno un canone di locazione e i servizi erogati.
Naturalmente con l’appoggio delle forze politiche di destra (Lega Nord, Alleanza
Nazionale, Forza Italia) si sono innalzate polemiche e protese, formati comitati
contro il villaggio, è partita insomma la consueta crociata che palesa ogni
volta di più in queste situazioni l’ignoranza, l’arroganza e il razzismo di
molti cittadini e rappresentanti politici.
Quale le motivazioni di questi ultimi?
Una gamma di giustificazioni, si va dai più beceri luoghi comuni fino alla
parodia che ha poco di divertente: i ragazzi sinti sarebbero i “protagonisti di
episodi di violenza a danno di cani e gatti”, “la presenza di nomadi riduce il
valore delle case dell’area”, “i soldi pubblici dovrebbero essere di sostegno
per l’affitto e per i negozi colpiti dai cantieri del tram”, “gente che nella
maggior parte dei casi usufruisce della nostra ospitalità (sempre a spese dei
cittadini)”, “farli andare in appartamento”...
In questi anni sono stati molti i percorsi ricercati da parte di operatori e
Comune che hanno tentato di comprendere le differenze senza darle per scontate e
dunque anche offrendo a queste famiglie degli appartamenti, ma solamente 7 di
queste hanno accettato la proposta di vivere in una casa le altre hanno espresso
la volontà di voler vivere in un villaggio.
Allora perchè forzare delle persone a delle soluzioni abitative che non gli
appartengono? forzarle ad una convivenza che per abitudini culturali e tipologia
di famiglia allargata (spesso sono nuclei familiari di 10 persone) non gli
appartiene? Vogliamo metterle nelle case e integrarle come vogliamo noi?
L’integrazione è fare subire e imporre ad altri i nostri modi e le nostre
abitudini o è cercare di prendere in considerazione il punto di vista
dell’altro? Assimiliazione e integrazione forzata a tutti i costi o
confronto e rivisitazione degli elementi su cui noi, come società, siamo
costruiti?
Sono secoli che Sinti e i Rom, da quando sono arrivati in Italia (1300 – 1400)
come popolazioni nomadiche, da parte della Chiesa in primis e successivamente
tutti gli strumenti di organizzazione della realtà e di rappresentanza del
potere hanno contribuito ad immortalare un immagine minacciosa di queste
persone. Da sempre il loro stile di vita li ha resi una presenza difficile da
controllare e ordinare che si è portata con sé quel pre-giudizio di diverso,
vagabondo o migrante che sia, che destabilizza l’ordine sociale.
Per chiudere possiamo dire che il loro particolarismo culturale maturato in
secoli di diffamazioni e violenze manifesta una fragilità che si innesca oggi
nel processo di “integrazione” e che è indispensabile riconoscere per
ristabilire un dialogo nelle nostre città e un’azione sociale che vada oltre
l’immagine convenzionale che spesso ci si fa di queste persone.
[ lunedì 14 aprile 2008 ]
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