Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 15/10/2007 @ 23:08:04, in media, visitato 2050 volte)
(15/10/2007) - Nell'articolo del 5 ottobre di Barbie Nadau, "Nuova
Unione, Vecchi Pregiudizi", il sindaco di Roma Walter Veltroni, neo-eletto
segretario nazionale del Partito Democratico, e il prefetto romano Achille Serra
in testa alla criminalizzazione dei nomadi. Citato anche Roberto Malini del
Gruppo EveryOne, che non usa mezzi termini e parla invece di "genocidio" del
popolo Rom e Sinti, e di un nuovo, pericoloso Porrajmos alle porte. In uno
speciale del 5 ottobre 2007 a firma di Barbie Nadau, anche il settimanale
Newsweek tratta la problematica Rom in Italia : "Nuova Unione, vecchi
pregiudizi ", titola l'articolo, che descrive la persecuzione istituzionale che
l'Italia conduce contro Rom e Sinti, complici i media. "Il Gruppo EveryOne,
Opera Nomadi e poche altre realtà conducono una difficilissima campagna per la
vita e il rispetto dei diritti di queste minoranze , contro il razzismo che
cresce e di fatto uccide senza pietà uomini, donne e bambini innocenti. Il caso
del rogo di Livorno di agosto scorso è emblematico delle violazioni che vengono
attuate dalle istituzioni italiane contro i nomadi " commentano Roerto Malini,
Matteo Pegoraro e Dario Picciau, i leader di EveryOne. Il servizio di Newsweek
conduce i lettori nella tragica realtà dei Rom e dei Sinti nel nostro Paese,
dove vivono nella più totale indigenza, nel degrado, senza aiuti umanitari né
servizi igienici. Una condizione che solo grazie alla loro proverbiale capacità
di adattamento consente loro di non estinguersi, anche se la mortalità cui sono
soggetti è spaventosa. Newsweek spiega come l'indegna condizione in cui sono
tenuti i nomadi, che supera quella che i nazisti riservavano agli ebrei nei
ghetti dell'est europeo, sembra non saziare l'odio di un'Italia che si riscopre
in gran parte intollerante , perché la stampa italiana ha promosso una feroce
campagna razziale volta ad istigare nuova avversità da parte della gente.
"L'invasione dei nomadi" titola il Corriere della Sera . "Aiuto!" invoca Il
Messaggero. "Sono troppi!" fa eco La Repubblica, "Emergenza Rom!". Il
settimanale cita, tra tutti, Walter Veltroni, il sindaco di Roma nonché
neosegretario nazionale del PD, secondo cui i Rom sarebbero colpevoli del 75 per
cento dei piccoli crimini commessi nella capitale . A suo parere la questione è
così grave da richiedere un intervento del Ministero dell'Interno affinché i
nomadi siano classificati come immigrati illegali, soggetti ad espulsione anche
quando cittadini dell'Unione Europea, in quanto "minaccia alla sicurezza
nazionale". Nel frattempo, continua lo speciale, diverse città italiane hanno
adottato provvedimenti per sottrarre ai Rom le classiche, misere fonti di
sostentamento, come l'attività di lavavetri (emblematico l'ultimo caso di
Firenze) . Ma non basta: si sta cercando una via per perseguire penalmente i
reati commessi da minori nomadi, equiparandoli nei tribunali agli adulti. Fatto
salvo che lo stesso trattamento non sarà mai riservato ai ragazzini italiani.
"L'immigrazione consistente di romeni," ha detto ancora Veltroni, "crea problemi
gravi di ordine ubblico, tanto che la città non può più tollerare questa
terribile ondata criminale". Seguendo una via sbagliata – commenta sottilmente
l'autore del pezzo –, sta cercando di imitare l'ex sindaco di New York Rudolph
Giuliani, che intraprese la famosa battaglia contro il crimine nella Grande
Mela. Newsweek riferisce alcuni dei numerosi eventi recenti di intolleranza
contro i Rom, amplificati dai media, ponendo l'accento sul rogo di Livorno, in
cui non solo sono stati uccisi quattro piccoli Rom, ma i loro genitori sono
stati perseguiti dalle autorità per "abbandono di minore" : capri espiatori di
una politica che non ha più colore quando si trova di fronte a eventi relativi
ai nomadi. "Non tutti, però, emarginano i Rom" scrive poi Newsweek. "Roberto
Malini del Gruppo EveryOne , un'organizzazione di difesa dei Diritti Umani che
cerca di mediare fra le istituzioni e i nomadi, descrive il trattamento che
l'Italia riserva loro come una <<pericolosa persecuzione>> e rivela che tale
atteggiamento ha abbassato le speranze di vita dei Rom a soli 47 anni, contro
gli 80 dei cittadini italiani. <<In altre parole,>> afferma, <<un genocidio>> ".
Newsweek riporta infine le dichiarazioni emblematiche del prefetto di Roma
Achille Serra che, trovandosi in un campo nomadi in cui non notò la presenza di
donne, disse a un giornalista del Corriere: " Forse sono sul metrò a rubare
portafogli, mentre gli uomini dormono dopo aver passato la notte a rubare nelle
case. Union Gypsy, Union Romani ed altre importanti associazioni per la
salvaguardia dei diritti dei nomadi" concludono i leader di EveryOne "hanno già
manifestato il loro disappunto riguardo alla politica persecutoria adottata nel
nostro Paese e hanno stigmatizzato le molteplici violazioni commesse dalle
autorità nei confronti dei genitori dei bimbi assassinati nel rogo di Livorno".
Come previsto – e pubblicato – con largo anticipo dagli attivisti del Gruppo
EveryOne, Victor Lacatus e Menji Clopotar, dopo aver subito la durezza del
carcere, la tortura della separazione dalla mogli, la crudeltà del divieto di
piangere sulle tombe dei loro bambini e infinite pressioni (senza che fosse
consentita la perizia di una psicoterapeuta del Comitato Etico, volta ad
evitarle), hanno scelto l'unica via concessa loro per riacquistare la libertà:
patteggiare e riconoscere il "reato" loro ascritto ovvero "abbandono di minori
seguito da morte".
Per il Gruppo EveryOne: Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau
Di Sucar Drom (del 16/10/2007 @ 09:29:28, in blog, visitato 1772 volte)
Nazzareno Guarnieri, il rispetto delle leggi deve valere per tutti
«Si all'applicazione delle norme perchè legalità e sicurezza sono principi
irrinunciabili, ma allo stesso modo occorre garantire politiche sociali adeguate
per consentire a tutti una vita dignitosa. Perchè disagio e illegalità non
nascono mai per caso». Così Nazzareno Guarnieri, portavoce del comitato
nazionale “Rom e Sinti Insieme”, a cui fanno capo oltre 60 leader e 16
organizzazioni rom e sinte, commenta la decisione del sindaco di Livorno Ale...
Toscana, i Rom sono pochi
Dopo la sciagura del rogo di Livorno, che quest'estate ha visto quattro bambini
rom morti, la regione Toscana si era impegnata a tracciare un quadro della
presenza rom. L'assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori, in una
comunicazione al Consiglio regionale, ha reso noto che nella nostra regione
sono presenti 1.230 i Rom n...
La Settimana d’Azione di Football Against Racism in Europe
La Settimana d’Azione di Football Against Racism in Europe (FARE), sostenuta
dalla UEFA, simboleggia la lotta del calcio europeo contro il razzismo e la
discriminazione. Quest’anno le attività avranno luogo dal 17 al 30 ottobre.
Campagna di sensibilizzazione. Il messaggio raggiunge tutti gli angoli del
continente. Dalle grandi nazioni calcistiche occidentali ai tifosi caldi del
Sud, passando...
Reggio Emilia, il Sindaco si arrende...
“Siete con me in questo progetto di grande umanità che incontrerà sicuramente
forti resistenze in città?” Questa la domanda, retorica nelle intenzioni,
rivolta dal sindaco di Reggio Graziano Delrio ai colleghi della Margherita in
relazione alla sua intenzione di chiudere i "campi nomadi" e realizzare le c...
I
Rom non ci invidiano
Pubblichiamo l’articolo di Giovanna Zincone uscito ieri su La Stampa. Non
condividiamo alcune affermazioni sull’attuale situazione sulle e nelle comunità
rom e sinte in Italia ne condividiamo il concetto di “integrazione” che
contrappon...
Mercedes Frias presenta una proposta di legge per riconoscere ai Sinti e ai Rom
lo status di minoranze
“La vera emergenza non e' l'immigrazione ma la mancanza di politiche di
accoglienza nel nostro Paese”. Lo dichiara la deputata del Prc-SE Mercedes Frias
in riferimento all'allarme lanciato da Beppe Grillo, che ha definito la
“questione rom, una bomba pronta ad esplodere”. “Giovedì presenterò una proposta
-di...
Cominciamo bene: si discute di Rom
Sarà una puntata ricca di argomenti quella di domani di ''Cominciamo Bene'', il
programma in onda alle 10.05 su Raitre condotto da Fabrizio Frizzi ed Elsa Di
Gati. Una delle tante novità dell'edizione di quest'anno è rappresentata da “Che
Storia!”, la rubrica curata da Fabrizio Frizzi che, ogni due set...
Roma, presentata la proposta di legge per riconoscere a Sinti e Rom lo status di
minoranze
Si è svolta ieri a Roma la conferenza stampa di presentazione della proposta di
legge n.2858 depositata dall’onorevole Mercedes Frias come prima firmataria,
sull'inserimento delle minoranze rom e sinte nella Legge 482 del 1999: norme in
materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Oltre all’onorevole
Frias sono intervenuti l’onorevole Leoluca Orlando e l’onorevole Marco Boato,
tra i firmatari della proposta. In rappresentanza dei cittadini e...
Reggio Calabria, dopo la "delocation rom" rimangono dei problemi
Lo scorso agosto l’amministrazione di centro-destra della città di Reggio
Calabria, guidata dal sindaco Giuseppe Scopelliti, ha ultimato lo sgombero delle
famiglie rom residenti nel ghetto dell’ex Caserma Cantaffio, noto come “208”.
“Delocation Rom” è la denominazione dell’operazione, iniziata nell’aprile 2006,
voluta dall’amministrazione Scopelliti per delocalizzare le circa 70 famiglie
reside...
Mendicavano con bimbi in braccio, denunciate da CC
Il 9 ottobre 2007 l’Ansa ha lanciato la seguente agenzia “nomadi: mendicavano
con bimbi in braccio, denunciate da CC”: i Carabinieri della Compagnia San
Pietro hanno denunciato in stato di libertà tre cittadine romene di 23, 21 e 17
anni, con l'accusa di accattonaggio con uso di minori. Le tre donne,
appartenenti al “campo nomadi” di ...
Il "pacchetto sicurezza" si ferma?
In Consiglio dei ministri non si è parlato di sicurezza. L'annunciato pacchetto
illustrato ai sindaci dal ministro dell'Interno Giuliano Amato non è stato
presentato. Alla base del rinvio le polemiche e le richieste di modifiche da
parte della sinistra dell'Unione e problemi tecnici per approfondire la
costituzionalità di alcune norme previste.
Sintetizza il capogrupp...
Per un giorno come loro
Ci sono storie che possono essere raccontate solo attraverso le immagini e
certamente meglio che per mezzo di tante parole. Sono le storie che trovate su
questo quarto numero di Witness Journal. Storie che provengono dal nostro Paese
così come da posti molto lontani, in tutti i sensi...
Livorno, patteggiano in tribunale i genitori dei quattro bambini rom
Non ci fu nessuna imboscata nella baracca alla periferia di Livorno dove due
mesi fa morirono quattro bambini rom e non ci fu alcun ordigno incendiario. In
quel "campo" improvvisato sotto un cavalcavia i piccoli erano stati lasciati
soli a dormire con una candela accesa. E durante l’incendio devastante gli
adulti scapparono tutti abbandonando i bambini al loro destino. I quattro rumeni
lo hanno confessato al p...
Di Fabrizio (del 16/10/2007 @ 22:29:53, in media, visitato 1894 volte)
Di Fabrizio (del 17/10/2007 @ 09:26:45, in Italia, visitato 1801 volte)
MOBILITAZIONE NAZIONALE
27 OTTOBRE 2007 A BRESCIA
PER LA LIBERTÀ E I DIRITTI DEI MIGRANTI
La legge Bossi-Fini è ancora in vigore e non sembra ci sia la volontà di
abrogarla, nemmeno di superare gli aspetti più razzisti che continuano a
provocare il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti.
Abbiamo sentito nell'ultimo anno tante promesse, nessuna si è tradotta in
realtà. Nei fatti non abbiamo visto alcuna discontinuità con i governi
precedenti. Anzi abbiamo assistito ad un aumento di episodi razzisti di una
gravità allarmante: amministratori locali che incitano la popolazione a cacciare
rom e migranti. I migranti non sono considerati persone, soggetti che
vogliono affermare i propri diritti sociali e politici, ma donne e uomini da
usare nelle fabbriche, nel commercio, nelle cooperative come forza lavoro
precaria e sottopagata.
Da quasi due anni i migranti e le loro famiglie sono costretti a pagare
centinaia di euro per ogni rinnovo del permesso di soggiorno. Gran parte di
questi soldi vanno alle Poste Italiane senza che forniscano un servizio e
un'assistenza adeguati. L'accordo tra lo Stato e le Poste si è rivelato solo un
grande affare per le Poste e le casse dello Stato, un ulteriore costo per i
migranti e un notevole allungamento dei tempi per rinnovare i permessi di
soggiorno. Bisogna trasferire tutte le pratiche dalle questure e dalle Poste
agli enti locali, comuni e circoscrizioni, in modo che i migranti non siano più
costretti a fare umilianti code davanti agli sportelli e perché finalmente i
permessi di soggiorno siano una normale certificazione amministrativa.
Il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro continua ad essere il
principale motivo della precarietà dei migranti oltre che rappresentare un costo
economico e sociale eccessivo per i migranti: basti pensare che per lavorare i
migranti devono avere una casa idonea con tanto di certificazione a norma degli
impianti idraulico e elettrico.
La diffusione dei cosiddetti regolamenti e patti sulla sicurezza sta alimentando
un clima sociale ostile nei confronti dei migranti. I CPT continuano a essere
aperti e svolgere la loro funzione repressiva e di controllo della libertà dei
migranti.
E' necessaria una nuova sanatoria, base di partenza per l'introduzione della
regolarizzazione permanente, di tutti i migranti presenti sul territorio.
E venuto il momento che i migranti e gli antirazzisti riprendano la parola e si
mobilitino in prima persona in due scadenze nazionali: il 27 ottobre a Brescia e
il 28 ottobre a Roma.
Sabato 27 ottobre ore 15.00 piazza della Loggia (Brescia)
· per l'abrogazione del protocollo di intesa con Poste Italiane basta dare i
soldi alle poste per i permessi di soggiorno.
· per la rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di
lavoro, fonte di precarietà e di ricatto sui luoghi di lavoro.
· per la chiusura definitiva dei Centri di Permanenza Temporanea (CPT) in cui
continuano ad essere rinchiusi i migranti che non hanno commesso alcun reato. No
ai regolamenti e ai patti sulla sicurezza che colpiscono i migranti e alimentano
il razzismo
· per la sanatoria e la regolarizzazione permanente di tutti/e i/le migranti
presenti sul territorio
· per l' abrogazione della Bossi-Fini
· per il rimborso dei contributi pagati per chi rientra definitivamente nel
proprio paese
Appuntamento a Milano ore 12.00 in piazza XXIV Maggio 2
(davanti al Mercato Comunale)
Partenza pullman ore 12.30 - Costo del biglietto 5 euro (andata e ritorno)
Il pullman è organizzato dalla Rete di associazioni di immigrati Cittadini di
Fatto
Per comprare i biglietti chiamare: 339/2328678 – 333/1229779
Il costo del biglietto è ridotto grazie al contributo di Arci Milano – Fillea
Lombardia – Rete Scuole Milano
Prime Adesioni
Associazione Diritti per tutti (Immigrati in lotta), Coordinamento Immigrati
Cgil Brescia e Provincia, Forum delle Associazioni degli Immigrati, Associazione
Multietnica Castegnato, Centro islamico Vobarno e Valle Sabbia, Associazione
islamica Mohammadiah, Associazione Sri Lanka-Italia, Tavolo Migranti ,Centro
sociale Magazzino 47, Radio Onda d'Urto, Centro sociale 28 maggio SdL
Intercategoriale, Centro islamico Bresciano, Confederazione Cobas, Associazione
Sinistra Critica, Circolo Fai-Arci, Associazione Italia – Bangladesh, Giovani
Comunisti Brescia, Associazione Il Maghreb, Associazione Essalam, Associazione
Immigrati Franciacorta, Centro Islamico di Sarezzo, Coordinamento Immigrati
Bergamo, Coordinamento Migranti Bologna, Gruppo Migranti Torino, Rete Cittadini
di Fatto Milano, Laboratorio antirazzista L'Incontro La Spezia, Coordinamento
Migranti Vicenza
Di Fabrizio (del 18/10/2007 @ 09:33:11, in Regole, visitato 2093 volte)
Ostrava, 12.10.2007, 17:05, (ROMEA/CTK) Oggi il Tribunale Regionale di Ostrava ha riconosciuto un compenso di CZK 500.000 ad una donna Rom di 30 anni, Iveta Červeňáková, per essere stata sterilizzata contro la propria volontà. [...] Secondo Kumar Vishwanathan di Vzájemné soužití (Vita Insieme) è storicamente il primo caso del genere. La donna venne sterilizzata 10 anni fa. "Non venne sufficientemente informata e solo sette anni più tardi seppe di aver subito questo intervento," dice Vishwanathan.
Il Tribunale ha sancito che la donna ha diritto a scuse e compensazione per danni fisici e psicologici. [...] Il giudice Otakar Pochmon ha detto che l'intervento sulla madre di due bambini è stato irreversibile. La violazione avvenne nel luglio 1997, all'ospedale cittadino di Ostrava.
L'ospedale ribatte di avere il consenso scritto della paziente e intende appellarsi alla Corte Suprema. Marie Dlabalová, portavoce dell'ospedale ha detto che sono coscienti del verdetto odierno e ritengono necessario aspettare la sentenza scritta per depositare l'appello.
Dlabalová aggiunge che sulla sterilizzazione esiste un'inchiesta del Ministero della Salute: "Indagini simili sono state iniziate su cinque casi, in nessuno dei quali è stato provato di essere stati commessi dei crimini."
Il 7 luglio 1997 Červeňáková (nata Holubová) diede vita con parto cesareo alla sua seconda figlia, Kristýna. Durante la stessa operazione venne sterilizzata. Anche se si sapeva in anticipo che avrebbe partorito con taglio cesareo, i dottori non seguirono il processo legale per ottenere il suo consenso alla sterilizzazione. I dottori non chiesero il suo parere fino a che non era sotto anestesia. Al tempo dell'operazione chirurgica la donna aveva 19 anni. [...]
Per sette anni Červeňáková ha avuto come l'impressione che le fosse stata applicata una spirale. Quando ha chiesto al suo medico di rimuoverla perché voleva un altro figlio, ha appreso la verità. Lei e il marito stanno ora considerando un'adozione. "Ho già tutti i moduli necessari da compilare. Vorrei in casa un bambino piccolo."
Il suo avvocato, Michaela Kopalová della Lega per i Diritti Umani, dice che la procedura ospedaliera è piena di deficienze. "La commissione che doveva decidere sul permettere la sterilizzazione, si è riunita 10 giorni dopo che la mia cliente aveva partorito. Non esistono documenti che possono provare che lei sia stata messa dell'avviso che la sterilizzazione era irreversibile."
Sul verdetto del Tribunale Regionale, dice ""E' il verdetto più avanzato emesso nella Repubblica Ceca sulla violazione dei medici dell'integrità fisica delle partorienti. Credo che i tribunali in futuro continueranno a rispettare la Corte Suprema, che richiede una compensazione monetaria nei casi di violazione dei diritti della persona, senza limitazione di status."
Secondo la Lega per i Diritti Umani, il compenso monetario è solo il primo passo verso una reale giustizia per queste serie violazioni dei diritti umani. Il trattamento arbitrario di queste donne le ha per sempre deprivate della possibilità di avere figli propri. La somma ottenuta è esattamente la metà di quanto originariamente richiesto. Il primo caso di sterilizzazione illegale portato nei tribunali, quello di Helena Ferenčíková, raccolse le scusa ma nessun compenso per prescrizione dei termini. Ora quel caso è in appello alla Corte Suprema di Brno. Negli anni recenti la Corte ha stabilito che le violazioni dei diritti personali non sono soggette a questa limitazione.
Il caso Červeňáková è il secondo di sterilizzazione forzata del Tribunale di Ostrava. Nel 2005 si era pronunciato proprio su quello di Helena Ferenčíková, che aveva 22 anni al tempo dell'operazione, ma si era risolto solamente con una lettera di scuse, perché non era stata sufficientemente informata prima della sterilizzazione. Ma per scadenza dei termini, il tribunale aveva rigettato la richiesta di un indennizzo di un milione di corone. Kopalová dice che il verdetto di oggi risolleva anche il caso Ferenčíková. La Lega per i Diritti Umani sta facendo uso di questa opportunità per criticare il governo, che per lungo tempo non ha voluto rispondere alle sollecitazioni interne ed internazionali sulle donne sterilizzate all'epoca del comunismo e negli anni '90. Il governo si fa forte del fatto che i cittadini poveri, incluse le donne sterilizzate in questa maniera, non hanno le capacità finanziarie per farsi rappresentare nei tribunali, e lo stato non ha investito somme per assistere le vittime delle violazioni passate. I casi Ferenčíková e Červeňáková, sterilizzate in ospedali differenti, sono solo la punta di un iceberg. Dice ancora Kopalová: "Io sto rappresentando tre donne, ma so che ci sono circa altre 90 che si sono rivolte alla giustizia." Secondo la sua opinione, i dottori e gli ospedali rispondono coi medesimi argomenti: "Un terzo parto cesareo avrebbe rappresentato un significativo pericolo alle madri e così loro hanno agito nel loro interesse."
Di Fabrizio (del 19/10/2007 @ 09:33:03, in Europa, visitato 1913 volte)
Da
Mundo_Gitano
Madrid (España)/11 de octubre de 2007/(CIMAC/ AmecoPress) .- Rosalía Vázquez,
esperta di cultura e tradizioni gitane e sin da giovane interessata nella
partecipazione al movimento associativo gitano, parla della storica
discriminazione che soffrono le persone Gitane, soprattutto le donne, e sulla
necessità di rompere con questa.
Nel 1980 fondò la Asociación Gitana de Cantabria, e co-fondatrice di Unión
Romaní e, nel 1995 fondò la Asociación de Mujeres Gitanas ALBOREÁ. Attualmente è
portavoce del Consejo Estatal del Pueblo Gitano e Presidente della Federación
Nacional de Mujeres Gitanas (Kamira), una piattaforma che riunisce 14
associazioni di donne gitane in tutta la Spagna
Perché una Federazione delle donne gitane?
La Federazione ha circa sei anni, e riunisce tutte le Associazioni per essere
più forti e creare un progetto comune e un'unità di visione. Non è solo una
Federazione spagnola, ma nasce con vocazione europea e di proiettarci nelle
istituzioni come il Consiglio Europeo Gitano. Come programmi di base, la
Federazione alfabetizza e prepara le donne perché abbiano un posto di lavoro e
siano visibili nella società.
Come sono considerate le donne nella cultura gitana?
Le donne gitane, sia dentro che fuori la cultura gitana, hanno sofferto
discriminazioni. Solo per essere gitane sono state perseguitate nelle decadi
passate, con leggi contro di noi. Arrivammo nel 1425 e già con i Re cattolici si
promulgò la prima legge di persecuzione. Ora siamo dimenticate in un angolo, in
un angolo c'è la cultura gitana e nel fondo, ci sono le donne gitane. Non ci
hanno permesso di svilupparci e sinora abbiamo potuto soltanto sviluppare la
sopravvivenza.
Il ruolo delle donne nella cultura gitana è sempre stato rimanere coi nostri
figli ed aiutare i mariti perché non abbiamo avuto altri spazi. Come donne
abbiamo capito che siamo il motore del cambio in tutti i popoli, non solo quello
gitano. La Spagna è avanzata assieme alle donne. Intendiamo che l'educazione e
la formazione sono gli strumenti più efficaci per lo sviluppo personale e
collettivo del nostro popolo. Da qui siamo interessate nel dare educazione alle
nostre figlie perché abbiano un futuro sicuro.
Le donne gitane si sono evolute negli anni?
Ci siamo svegliate e sappiamo che dobbiamo essere integrate nella società e
lottare. Attraverso le associazioni e le federazioni gitane ci uniamo e
riflettiamo su cosa conviene fare secondo le necessità del popolo gitano.
Esaminiamo la nostra cultura e tradizioni.
Ci sono ghetti che non sono progrediti però ci sono dei gitani che
collettivamente si sono svegliati e ci hanno motivato per uscire da una
situazione di marginalità. Ci sono gitane universitarie, e le madri chiedono che
le nostre figlie stiano negli organi direttivi, nella politica, nelle
istituzioni del governo. La nostra lotta è per questo, vogliamo lavorare e che
le nostre donne non siano più invisibili.
Il popolo gitano non può più continuare ad essere invisibile. Le donne gitane
hanno compreso il nostro lavoro e vogliono conquistare spazi come stanno facendo
le donne non gitane, non vogliamo restare in disparte ma lavorare assieme a
loro. Le istituzioni pubbliche e politiche sono quelle che devono dare spazio
alle donne gitane.
Che tipo di discriminazioni si incontrano dentro e fuori la cultura
gitana?
Le donne sono in generale discriminate e le donne gitane, doppiamente. Siamo
invisibili e non ci danno spazi per svilupparci e partecipare. Questi spazi
devono arrivarci dalle istituzioni, come ricorda la nostra Costituzione
spagnola. Noi lottiamo, ma sono le amministrazioni, centrali ed autonomiste,
quelle che devono appoggiarci per compiere la Costituzione.Non abbiamo bisogno
di un aiuto paternalista, abbiamo bisogno di ascolto ed appoggio.
In Andalusia, il governo autonomista ha dato spazio ai collettivi gitani;
senza dubbio, il nord della Spagna è ad anni luce, se non siamo discriminate
dalle istituzioni stesse.
Cosa credi che possa adottarsi per finire con la discriminazione?
Darci più possibilità non solo consiste, per un'Associazione, nello sperare
in un progetto di sviluppo, perché questo da solo è niente. C'è da colmare un
debito storico nell'offrire una vera educazione alle nostre famiglie, e avere
rispetto come gitani.
Intendiamo che l'educazione è la cosa più importante per uscire dalla
marginalizzazione: con l'educazione, il resto viene per aggiunta. Nella misura
in cui otterremo formazione potremo essere indipendenti, esporre le nostre idee
e svilupparle. Le istituzioni debbono appoggiare e rinsaldare questa educazione
però senza farci smettere di essere gitane.
E' molto difficile essere donne del secolo XXI ed essere gitane, vogliamo
portare la nostra essenza e valori col rispetto ai nostri anziani e all'unità
familiare. A volte per acquisire conoscenze, dobbiamo smettere di essere gitane,
e non vogliamo smettere di esserlo.
Il Governo ha fatto qualcosa di importante per l'integrazione delle
persone gitane?
Assolutamente niente. Siamo cittadine spagnole ed in tutte le iniziative
politiche siamo meno di zero. Occorre una discriminazione positiva perché le
donne gitane inizino ad essere visibili.
Attraverso i suoi 50 anni ha vissuto la discriminazione?
Ricordo quando ero bambina, con la dittatura franchista, c'erano negozi con
un cartello che proibiva l'ingresso a gitane e gitani. Le mie amiche entravano e
io restavo sulla porta aspettando che uscissero.
Adesso, per una ragione o per l'altra, continuo ad incontrare situazioni di
discriminazione. Non voglio che le mie figlie soffrano queste situazioni di
diseguaglianza e lotterò con le unghie e coi denti. Non vogliamo più essere
invisibili e lotteremo per un'uguaglianza di opportunità reale per le donne
gitane.
07/MC/GG/CV
Fuente: CIMAC NOTICIAS. Periodismo con perspectiva de género. México, D.F.
Tomado de:
http://colombia. indymedia. org/news/ 2007/10/73476. php
PRORROM
PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO
ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO [Organización Confederada a
Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)]
Di Fabrizio (del 20/10/2007 @ 09:05:40, in Italia, visitato 2353 volte)
Ricevo da Marcel Costache
Caro Fabrizio,
Venerdì scorso sono stati di nuovo lanciati petardi e bombe carta contro i 10
bambini con 4 uomini (uno su una carozzina, perché è disabile) e 4 donne che
vivono all'interno della cascina Gandina, struttura di Pieve Porto Morone
(provincia di Pavia). I rom sono gli ultimi dei 200 che stavano all'ex Snia
-Pavia e che sono stati sgomberati.
"Criminali per bene-nazi duri e impuri pronti a tutto", (come dice "Il
Settimanale Pavese"), hanno nuovamente cinto d'assedio i Rom chi vivono nella
cascina Gandina, gridato insulti,lanciato petardi e bombe carta. Sono stati
circa 150, scrive il giornale.
Lunedì è stata incendiata l'auto di un rom che vive alla cascina Gandina,
all'altezza del ponte sul Po. Un rom chi sta lavorando e che adesso non ha più
un mezzo per raggiungere il suo posto di lavoro.
Questa é la tolleranza italiana?!
Voglio che tu faccia conosciuto questo messaggio,
Grazie,
Marcel
Daniel Sershen 10/15/07 - Yangi Makhalla, una polverosa periferia ai
margini della città meridionale di Oriz, ha una cattiva fama. In molti sono
riluttanti a metterci piede, l'insediamento ospita la popolazione kirghiza dei
Lyuli, un'abbandonata minoranza dell'Asia Centrale.
Invece, il cittadino medio incontra i Lyuli in un contesto differente:
mendicanti, predizione della fortuna o raccolta metalli, plastica e altri
materiali riciclabili. In una regione dove molti sono poveri e svantaggiati, i
Lyuli sono i più marginalizzati tra i marginalizzati.
Nina Kadryan, lavoratrice non-Lyuli di un servizio sanitario locale, dice
che i suoi colleghi erano scioccati dall'apprendere che lei visita regolarmente
l'area. "A volte mi chiedono, Non hai paura di frequentarli? Ma continuo a farlo
ogni giorno," ci dice.
Il punto di vista dalla Yangi Makhalla è piuttosto differente. E' il mondo
esterno che minaccia, oltre il muro di terra battuta che insieme li circonda e
li imprigiona. "Molti non escono dal quartiere," dice Abdurashid Urinov,
presidente dell'associazione dei residenti. Descrive un ciclo continuo di
diffidenza tra i Lyuli e gli altri, approfondito dalla mancanza di documenti ed
informazioni. "La maggior parte di loro non conosce i propri diritti."
Gli studiosi collegano i Lyuli ai Rom dell'Europa Orientale - tracciando per
entrambe i gruppi un'origine comune nel subcontinente indiano. Alcuni dei
leaders considerano i due gruppi distinti, puntando alle differenze nella lingua
e nella religione. La maggior parte dei Lyuli sono musulmani, mentre la maggior
parte dei Rom europei sono cristiani.
Nell'intento di sedentarizzare i Lyuli che erano itineranti, i sovietici
crearono Yangi Makhalla - che in uzbeko significa nuovo quartiere - dopo la II
guerra mondiale. Il gruppo aveva il proprio kolkhoz, o fattoria collettiva e
vivevano una vita tollerabile e segregata, secondo Urinov. Il collasso sovietico
del 1991 pose la fine alla fattoria collettiva, la terra divisa e redistribuita,
molti dicono in maniera non paritaria. Nel contempo, secondo Arsen Ambaryan,
direttore di un locale gruppo sui diritti umani, la politica del governo
kirghizo si è irrigidita. "Qui non ci sono conflitti diretti tra stato e
comunità, dicono le autorità. Se non ci disturbate, noi non vi disturbiamo. E'
una situazione di guerra e non di pace."
Nel 2004 il gruppo Ambaryan (Nostra Legge) ha condotto una ricerca lunga un
anno sulle condizioni di vita dei Lyuli nella regione di Osh. Si stima a
popolazione Lyuli in 3500, con la disoccupazione al 90%. Alcuni Lyuli
sopravvivono coltivando il loro residuo pezzo di terra, o lavorando a giornata
nei campi. Molti si sono rifugiati nell'accattonaggio.
Ma nonostante tutte le cose che mancano a Yangi Makhalla - acqua, denaro,
assistenza medica, educazione nella lingua Lyuli - ci sono delle mancanze più
critiche. Molti residenti non hanno documenti, vivendo senza accesso ai servizi
chiave governativi. Per quanto residenti a Yangi Makhalla, molti non hanno
registrato i loro passaporti dopo il crack della burocrazia sovietica, non
potendosi permettere il passaggio ai documenti kirghizi.
"Devo cambiare il mio passaporto, ma non ho i soldi" dice Israel Rzayev,
disoccupata che campa coltivando un pezzetto di terra.
In una regione dove la corruzione è alta e la polizia può fermare i passanti
con qualsiasi pretesto, dice Urinov, avventurarsi fuori casa senza un passaporto
valido è un invito all'estorsione. Un Lyuli detenuto, dice, "potrebbe anche aver
ragione, ma sarà sempre nel torto perché non ha documenti." Anche la ricerca di
lavoro senza documenti è difficile, aggiunge Urinov.
Concorda la moglie del mullah locale. "Se qualcuno va a lavorare al bazar e
la polizia lo trova senza documenti, pagherà una bella multa.
Più discutibili ma persino più importanti i certificati di nascita, perché
permettono di accedere ai benefici governativi ed, eventualmente, passaporti
propri. Ma il costo degli ospedali di maternità, per cui molte Lyuli
partoriscono in casa, ciò significa che i loro bambini non sono registrati
all'anagrafe.
Nella ricerca su circa 400 famiglie, il gruppo Ambaryan ha trovato che il 45%
dei bambini non ricevono supporto governativo per mancanza dell'atto di nascita.
"Siamo già alla terza generazione senza documenti."
Rzayev e gli altri genitori Lyuli sottolineano il circolo vizioso per cui la
mancanza di documenti preclude la possibilità di ottenere impiego o benefici di
stato, cosa che impedisce ai loro figli di migliorare la loro vita. "La neve
arriva presto - ma non abbiamo niente da mettere ai piedi dei bambini" dice
Rzayev, aggiungendo che questo significa che probabilmente non andranno a scuola
d'inverno.
Come parte dello studio, Ambaryan appoggia la sfida legale di una famiglia di
cinque persone completamente senza documenti, per vincere finalmente un giudizio
con le autorità per l'identificazione dei querelanti. Ambaryan spera che il caso
sia un precedente. Nel contempo, Kadryan dice che i Lyuli del Kyrgyzstan
continueranno la loro vita ai margini. "Qui non si vive - si sopravvive. E la
gente sopravvive come può."
Editor’s Note: Daniel Sershen is a freelance journalist based in Bishkek.
Di Fabrizio (del 22/10/2007 @ 09:38:12, in Europa, visitato 2011 volte)
Romania: il sogno rom di una sanità migliore
19.10.2007 - Nonostante la retorica secondo cui la salute dei rom costituisce
una priorità, le autorità rumene mancano i loro impegni nel migliorare la
situazione nel maggior insediamento rom di Bucarest. Nostra traduzione
Di Marian Chiriac e Daniel Ganga* da Bucarest -
BIRN (tit. orig "Roma
Dream of Better Health in Romania", pubblicato il 26 settembre 2009)
Traduzione per Osservatorio: Marzia Bona
Quasi ogni mattina, appena si fa giorno, Gogu prende il suo carretto carico di
cianfrusaglie e rottami metallici e lentamente lo trascina fino al centro di
riciclaggio. Scarica lì il suo carretto e in cambio riceve una modica somma di
denaro, con cui riesce appena a pagarsi il cibo per la giornata. Quindi se
ne torna a casa.
Quello che fa ogni giorno Gogu, conosciuto anche come Ion Gogonet, non è niente
di insolito per molte delle persone che vivono a Ferentari. Situata all’estema
periferia sud di Bucarest, Ferentari è un grande quartiere a metà fra lo slum ed
il ghetto.
Molti magazzini, un paio di bar che lasciano alquanto a desiderare, qualche
negozio in pessime condizioni, un parco che sembra più grigio che verde e una
mensa gratuita per i poveri, questa è Zabrautului Street.
La zona è nota per i suoi monolocali in brutti palazzi a cinque piani, con i
panni stesi fuori ad asciugare e piccole finestre dalle quali in ogni momento
spunta la testa di una donna che grida ai bambini che giocano a palla di sotto,
fianco a fianco con i cani che rovistano nella spazzatura.
Qui, in questo mondo stile-ghetto sporco ma vivace, vive Ion Gogonet, un rom di
50 anni.
Il suo monolocale è di appena sedici metri quadrati; comprende una piccola
cucina e un bagno di tre metri quadrati. Ad ogni modo è allacciato alla rete
elettrica e al sistema di acqua corrente, il che secondo chi ci abita non è
poco, da quando non molto tempo fa gli edifici sono stati privati di questo
genere di servizi di base.
Qui è dove vive la famiglia di Gogonet: la sua compagna, Ilie Stela, 33 anni, e
tre bambini – due dei quali frequentano ancora le scuole elementari. Il loro
padre dorme in un altro letto perché in passato ha avuto la tubercolosi. Ha 72
buchi nei polmoni, e la vita in un contesto povero e insalubre lo hanno reso
infermo. Eppure, rifiuta di vedere un medico, in parte per negligenza e in parte
per pudore e paura che lo sappiano i suoi amici.
Solo due anni fa un assistente sanitario è riuscito a convincerlo ad iniziare il
trattamento per la TB.
Adesso sta bene, anche se soffre ancora dei postumi. Almeno adesso non è più
contagioso.
Gogonet è solo uno dei beneficiari della campagna di prevenzione e trattamento
della TB avviata da svariate ONG, principalmente americane, e finanziata dall’USAID,
l’Agenzia Internazionale degli Stati Uniti per lo Sviluppo.
Il motivo per cui è stata pensata questa campagna è che la Romania ha il più
alto tasso europeo di incidenza della tubercolosi, ed il numero di casi è
raddoppiato negli anni ’90. Secondo le statistiche ufficiali, nel 2006,
l’incidenza della TB in Romania era di 117,8 casi ogni 1000 abitanti.
In ogni caso, secondo i dati epidemiologici, la comunità rom è circa 10 volte
più colpita dalla TB rispetto al resto della popolazione. Fra le cause di ciò ci
sono l’accesso limitato ai servizi sanitari pubblici, una scarsa conoscenza in
materia sanitaria, l’analfabetismo diffuso, le condizioni di vita in luoghi
affollati ed insalubri e la povertà in generale.
Taves Batalo!
I rom si salutano fra loro ogni giorno con l’espressione taves batalo – che
significa “Stai bene”. La salute viene apprezzata da chiunque indipendentemente
dalla sua origine etnica, specialmente in Romania dove il sistema sanitario
pubblico si trova ancora in condizioni critiche.
Secondo un’inchiesta condotta in aprile dal Romanian Center for Economic
Policies, CEROPE, la quota erogata per la salute in Romania è di soli 470 $
annui pro capite, ben al di sotto della media mondiale di 650 $ a persona.
“La Romania è in una situazione negativa per ciò che riguarda il servizio
medico, con una distribuzione regionale insoddisfacente, in cui le aree rurali e
le comunità più povere che vivono ai margini della società risultano le più
svantaggiate”, sottolinea l’inchiesta.
“Una spiegazione si trova nell’insufficente finanziamento del servizio di salute
pubblica, assieme alla crisi prolungata del fondo di assicurazione sanitaria e
allo scarso budget destinato al settore, attorno al 3 -4% del PIL, in netto
contrasto rispetto all’8 -9% dei paesi più sviluppati d’Europa”.
In questo già difficile quadro, i rom si distinguono per la posizione negativa
che occupano.
Ufficialmente sono 550.000 le persone di etnia rom, che corrisponderebbero al
2,6% dei 21 milioni di abitanti della Romania. Ma molti studi e statistiche
sostengono che il numero si aggiri attorno ad 1- 1,5 milioni.
La situazione a Ferentari è particolarmente allarmante. A soli 8 chilometri dal
centro di Bucarest, molte migliaia di rom vivono in condizioni spaventose.
“Non c’è niente che possiamo fare, figlio mio. E’ così che sono abituati a
vivere. Il camion della spazzatura non viene quasi mai da queste parti, ma il
fatto è che sono le persone a non meritarselo. Non è come quando Ceausescu era
vivo, le persone erano più rispettose, perché avevano paura”, dice una donna
anziana, ricordando i giorni del dittatore comunista, Nicolae Ceausescu, mentre
vende semi di girasole tostati.
Uno dei problemi principali della zona è che le persone non hanno un lavoro
stabile, fatto che impedisce loro di contrarre un’assicurazione medica.
“Se non hai un documento di lavoro o un qualche certificazione del tuo datore
che dica che sei un contribuente, non puoi accedere ad un medico di famiglia. E’
qui che inizia il problema “, dice Ioana Constantin, assistente sanitaria a
Ferentari.
La gente reclama un centro medico per la zona. “Il più vicino si trova a 15
fermate d’autobus”. La distanza ed il costo delle corse sono scoraggianti. “In
effetti c’è un centro medico un po’ più vicino, ma è privato, e quindi caro”,
aggiunge Ioana.
Priorità, o no?
Finora, il ministero della Sanità non ha programmi espliciti per la comunità
rom. Questo in base all’idea che la malattia e la sofferenza non abbiano niente
a che vedere con la provenienza etnica di ciascuno.
A partire dal 2001, anno in cui la Romania ha adottato il regolamento europeo
che proibisce la classificazione dei pazienti in base all’etnia, non è più
disponibile alcun dato ufficiale sui problemi di salute dei rom.
Sorprendentemente, si sente spesso dire che i rom siano il principale
destinatario delle strategie governative di promozione della salute e di lotta
alla povertà. Ad ogni modo, non c’è molto che il ministero della Sanità possa
fare per la gente di Ferentari.
“Attualmete, la zona non rientra fra le priorità del ministero. Le cose
potrebbero cambiare solo se l’Autorità per la Salute Pubblica di Bucarest, ASPB,
o qualche ONG, identificassero dei problemi specifici e proponessero un piano
concreto per migliorare le condizioni della zona”, dice la dottoressa Hanna
Dobronauteanu, consigliere per la questione rom presso il ministero della
Sanità.
Per ora a Ferentari – in mancanza di un impegno sostanziale e di lungo termine
da parte del governo - solo le iniziative o i progetti delle singole ONG
sembrano portare risultati, pur rimanendo limitate negli scopi.
Centinaia di migliaia di euro sono stati spesi in ogni tipo di programma,
compresa la lotta alla TB, l’ educazione sessuale e la pianificazione familiare,
la diagnosi del tumore al seno e altri programmi. Ma tutto ciò, finora, sta
producendo pochi risultati visibili.
“I progetti portati avanti fino a questo momento dovrebbero essere solo l’inizio
di una campagna ampia e coerente pensata rispetto ai complessi problemi di
salute della popolazione di Ferentari”, dice Alina Constantinescu, un’attivista
dell’organizazione americana Doctors of the World.
“Di certo sono stati molti utili, ma non sempre indirizzati alle necessità più
stringenti”.
“”Le cause reali sono la povertà, la disoccupazione e la mancanza di
educazione”, continua la Constantinescu, e avverte: “Inoltre, da quando la
Romania è entrata nell’Unione Europea, gli Stati Uniti ed altri paesi
occidentali hanno smesso di finanziare molti progetti ritenendo che il nostro
paese ora sia in grado di risolvere da solo i propri problemi. Personalmente lo
dubito.”
Pianificare è ciò che facciamo meglio!
Rispetto alla questione rom, il ministero della Sanità sostiene il ruolo degli
assistenti sanitari, membri della comunità locale, formati per facilitare la
comunicazione fra i pazienti ed i loro medici. Di conseguenza, i 500 assistenti
che attualmente lavorano in Romania – tutte donne- devono entrare nelle case
della gente, capire i loro problemi e tentare di risolverli.
Effettivamente, non si limitano alla cura dei problemi di salute, ma aiutano i
membri della comunità rom anche ad ottenere i documenti d’identità e i
certificati di nascita, oltre a trasmettere alle autorità i problemi sociali
riscontrati.
Anche se con l’intervento degli assistenti sanitari sono stati fatti molti passi
in avanti, i problemi sono ancora distanti dall’essere risolti. Anzitutto, il
loro impiego è a tempo determinato, normalmente un anno, dopodiché i loro
contratti vengono rinnovati per un altro anno, cosa che li rende estremamente
precari.
In secondo luogo il loro salario - pagato dall’Autorità per la Salute Pubblica -
è lontano dall’essere soddisfacente, 125 euro nel migliore dei casi.
Inoltre, rimangono le difficoltà d’accesso da parte dei rom ai servizi di salute
pubblica. Mentre il ministero della Sanità sostiene che siano migliorate, le ONG
locali sono di un'altra opinione.
Daniel Radulescu, coordinatore del progetto salute dell’organizzazione rom
Romani Criss, dice: “Anche se ora sono molte di più le persone affiliate ad un
medico, ciò non significa che abbiano un accesso effettivo ai servizi erogati.
Molto spesso, ci vengono testimoniate attitudini razziste da parte dei medici.”
Anche il Segretario del Ministro della Sanità, Ervin Zoltan Szekely, conferma
l’esistenza di questi casi. “Recentemente siamo stati informati di una donna rom
che ha sporto un reclamo per non aver ricevuto un’assistenza medica adeguata,
dovendo così affrontare serie complicazioni nel dare alla luce suo figlio.
Accertato l’accaduto è stata imposta una sanzione disciplinare al medico, ma non
per comportamento discriminatorio, bensì per aver fornito un’assistenza medica
inadeguata. In sostanza, il medico non è stato ripreso per discriminazione,
perché questo comportamento risulta difficile da provare.”
Romani Criss segue anche casi di segregazione all’interno degli ospedali – cosa
illegale in Romania – ma ammette che anche queste circostanze sono difficili da
provare. “La discriminazione e la segregazione non sono stati la nostra priorità
finora, ma stiamo pensando di includere questi aspetti fra gli obbiettivi delle
nostre indagini”, dice Szekely.
Molti rom sperano che tali promesse possano segnare un effettivo miglioramento
nell’attitudine ufficiale, migliorando l’accesso ai servizi sanitari per la loro
comunità.
* Marian Chiriac è Direttore di BIRN in Romania e Daniel Ganga è giornalista
freelance. Balkan Insight è una pubblicazione on line della rivista BIRN.
Di Fabrizio (del 23/10/2007 @ 09:22:31, in casa, visitato 2194 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
MITROVICA, Kosovo, October 16 (UNHCR) – L'agenzia ONU per i rifugiati ha
aiutato 92 membri delle minoranze kosovare dei Rom, Askali ed Egizi (RAE) a
ritornare nel loro quartiere nella città divisa di Mitrovica.
I RAE, di 18 famiglie, sono tornati lunedì e giovedì nel quartiere
meridionale della Mahala. Avevano lasciato Mitrovica nel 1999 e trovato rifugio
nel Kosovo settentrionale, come pure in Montenegro e nella città serba di Novi
Sad.
I 92 RAE sono entrati nel blocco di due edifici della Mahala, che era stata
distrutta dopo che otto anni fa gli abitanti erano scappati per paura degli
attacchi degli estremisti. Il comune di Mitrovica ha garantito il terreno su cui
sono stati costruiti i nuovi appartamenti.
I rifugiati sono stati accolti dall'UNHCR e da Fatmire Berisha, vice
presidente dell'assemblea municipale di Mitrovica, che si è impegnato ad
assistere alla loro reintegrazione. "Siamo felici di vedere la gente che torna
alle proprie case... e cominciare una nuova vita," ha detto Sunil Thapa, capo
dell'ufficio UNHCR di Mitrovica.
I RAE hano ricevuto pacchi con cibo e non-alimentari per un periodo iniziale
di tre mesi. L'agenzia ONU per i rifugiati li aiuterà e consiglierà nelle aree
dei diritti di proprietà, socio-economici, registrazione civile e capacità di
costruire ed iniziative redditizie.
L'UNHCR ha iniziato il ritorno assistito delle comunità RAE nella Mahala a
marzo, quando in 118 fecero ritorno. I ritornati hanno detto di non ritenere la
loro sicurezza la principale tematica, ma la polizia pattuglierà l'area.
Minire* madre di due figli, è felice di aver fatto ritorno
dopo otto anni passati in una serie di centri collettivi. "Siamo convissuti con
la povertà, senza adeguate condizioni igieniche e i miei bambini sono stati a
lungo malati," ricorda. "In questi ultimi due giorni ho pianto dalla felicità,"
aggiunge.
Ci sono scarse opportunità di impiego nella Mahala, benché i residenti più
intraprendenti tentino di decollare con alcune piccole attività: un internet
caffè, un bar e una sartoria con annesso negozio di vestiti. Minire spera di
poter adoperare le sue capacità di parrucchiera per fare un po' di soldi.
I fratelli Agron,* e Lumnije,*
rispettivamente di 11 e 10 anni, sono troppo giovani per ricordarsi il
quartiere, ma sono lo stesso eccitati nel traslocare nella nuova casa ed aiutano
i genitori portando le loro cose negli appartamenti. Si stanno anche informando
su come iscriversi a scuola.
"Abbiamo cambiato posto tante volte e a volte siamo stati obbligati a pagare
l'affitto" dice la loro madre ricordando la loro lunga assenza nel Kosovo del
nord. "in questi sette/otto anni ho fatto i mestieri di casa."
L'operazione di questa settimana è parte del Roma Mahala Return Project,
coordinato dalle autorità municipali in cooperazione con l'UNHCR ed altri
partners come l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE),
la missione ONU in Kosovo ed il Consiglio Danese per i Rifugiati. E' uno dei più
grandi progetti di ritorno in Kosovo.
Durante il conflitto in Kosovo del marzo-giugno 1999 oltre 900.000 di etnia
albanese furono forzati ad abbandonare il Kosovo. Fecero ritorno con l'ingresso
delle truppe NATO - iniziò allora l'esodo di 200.000 Serbi, Rom, Askali ed
Egizi. Secondo le stime UNHCR, circa 17.300 di loro hanno fatto ritorno.
Il fiume Ibar che attraversa Mitrovica, dal 1999 è diventato un simbolo della
divisione del Kosovo, con l'etnia albanese nel sud della città e quella serba
concentrata a nord. L'UNHCR stima in 21.000 il numero dei dispersi in Kosovo, di
tutte le comunità.
* Per tutelare gli interessati, i nomi sono stati
cambiati.
By Peninah Muriithi and Shpend Halili - In Mitrovica, Kosovo
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