Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/06/2012 @ 09:12:16, in Italia, visitato 3966 volte)
Ciao Fabrizio ti invio la rassegna stampa relativa alla
situazione di Tor de Cenci in questi giorni. Davide Zaccheo
Piano Nomadi:
Il ministro Riccardi a Tor de' Cenci.
I rom: "Non ci mandate a La Barbuta" Una visita, quella di ieri pomeriggio, che appare come un segnale un forte,
proprio quando il trasferimento dei 400 abitanti del campo a Ciampino sembra
avvicinarsi. Il ministro: "Ho visto diversi problemi, ma anche molti aspetti
positivi. Oggi ci sono tanti maestri, operatori, volontari, a testimonianza di
una buona integrazione" DI L. FACONDI
La visita del ministro Andrea Riccardi al campo rom di Tor de' Cenci, avvenuta
ieri pomeriggio, appare come un segnale forte. Anche se lui ci tiene a precisare
subito: "Non sono il sindaco e non posso assumermi responsabilità che non sono
le mie, sono venuto in quanto ministro dell'integrazione, perché ho risposto
a una lettera di operatori, volontari e insegnanti". Ma in un momento delicato
come questo, in cui il trasferimento dei 400 rom nel nuovo villaggio de La
Barbuta sembra questione di poco tempo, il suo interessamento potrebbe
complicare le cose ad Alemanno e Belviso. Anche perché dal giro fatto dal
ministro salta fuori una presa di posizione molto forte degli abitanti del
campo: "Vogliamo restare qui, non vogliamo andare a Ciampino".
I PROBLEMI - Il perché lo capisce subito Riccardi e lo ripete più volte: "Ho
visto un buon livello di integrazione, tanti maestri, operatori, volontari,
cittadini. Certo in questo campo ci sono dei problemi, ma ho constatato
soprattutto aspetti positivi". Tra le criticità non si può non notare il cumulo
di spazzatura che riempie l'ingresso dell'insediamento. "Non vengono a
raccoglierla da due settimane - racconta Paolo Perrini di Arci solidarietà -
questo fa pensare che l'amministrazione voglia arrivare all'emergenza sanitaria
per motivare poi una chiusura del campo". Un campo voluto dal Comune, come
spiega al ministro Valerio Tursi, anche lui di Arci solidarietà: "Ora si vuole
farlo passare come "tollerato", ma su questo posto sono stati investiti dei
soldi pubblici, si spenderebbe meno a riqualificarlo che a bonificare l'area".
L'INTEGRAZIONE - Il ministro ascolta e annuisce. Vuole verificare di persona e
quindi parla con le due comunità presenti a Tor de' Cenci (bosniaca e macedone),
fa domande, scherza con i bambini. "Come sono i rapporti tra voi?", chiede.
"Sono buoni", replica Asko, rom bosniaco, e aggiunge: "Stiamo bene anche con il
quartiere, ormai ci conoscono tutti, i nostri figli vanno a scuola, mia figlia
fa la parrucchiera".
ROM ITALIANI - E tra la folla che segue Riccardi ci sono anche diversi ragazzi
che hanno la cittadinanza italiana. Come Simone che racconta al ministro con un
marcato accento romano: "Ho fatto il servizio civile, sono nato qui, parlo poco
il serbo bosniaco". Sono tanti i ragazzi nati e cresciuti a Roma "che si sentono
romani", ribadisce Riccardi. Ma che non vengono trattati come tali. "Nel foto
segnalamento rivolto ai rom - spiega Paolo Perrini di Arci solidarietà - sono
stati inseriti anche loro, sebbene avessero la cittadinanza italiana".
SCUOLA, SALUTE, CASA, LAVORO - Non è l'unica anomalia del Piano Nomadi del
Campidoglio. Ci sono i ripetuti sgomberi, condannati più volte dalle
associazioni per i diritti umani, oltre che dall'Onu che lo scorso 15 marzo li
aveva ritenuti "deplorevoli". Ma sulla questione il ministro non si sbilancia e
evita una risposta diretta: "Non ho studiato a fondo il Piano Nomadi del
sindaco", ma comunque ribadisce la strategia nazionale del Governo in materia di
rom: "Puntiamo su scuola, salvaguardia della salute, lavoro e casa". Una linea
che, a prima vista, prende comunque le distanze dalla politica dell'attuale
giunta. Sebbene il ministro chiarisca di non avere mire nei confronti del
Campidoglio. Alla domanda di Paese Sera "Pensa di candidarsi come sindaco per il
2013?", risponde senza lasciare margini per le interpretazioni: "Non l'ho fatto
quando avevo barba e capelli neri, ora sono troppo vecchio. E poi mi sembra ci
siano già tanti candidati". E subito dopo aggiunge: "Del resto cominciare la mia
campagna elettorale in un campo rom non sarebbe stata una grande mossa". Lo sa
bene chi, come la Belviso, la credibilità politica se la sta giocando proprio su
questo terreno.
di Lara Facondi
La Barbuta, prime case assegnate
tra le polemiche: «E' un ghetto per i rom» Polemiche sulle inferriate che circondano il primo grande villaggio del Piano
Nomadi, costato 10 milioni; 5 associazioni di volontari si autosospendono: «No
alla segregazione»
ROMA - Da quattro giorni arrivano alla spicciolata: non un esodo, ma un trasloco
a tappe. Sono i rom che il Campidoglio ha voluto trasferire nel nuovo «villaggio
attrezzato» realizzato dall'amministrazione comunale a La Barbuta. Il grande
campo nomadi, destinato ad accogliere circa 650 persone, è situato tra il Gra,
la ferrovia Roma-Cassino e l'aeroporto di Ciampino ed è un'area recintata e
videosorvegliata. Si tratta del primo mega-campo costruito ex novo a Roma negli
ultimi 7 anni. Ed è una delle 13 enclavi in cui il Comune di Roma ha previsto,
nell'ambito del cosiddetto Piano Nomadi, di alloggiare tutti i rom e sinti della
Capitale.
Le inferriate alle nuove case del villaggio rom a La Barbuta
TENSIONE SULLA SORVEGLIANZA - I primi rom giunti alle porte di Ciampino, lunedì
mattina, si sono visti assegnare le casette. Ma la tensione è alta. Non mancano
le polemiche e non piacciono quei recinti «che sanno di segregazione», come
denuncia l'associazione «21 Luglio», che parla di «lutto della civiltà» per le
«condizioni di vita eccessivamente restrittive per l'intera comunità». Non piace
l'idea di orari di entrata e uscita dal campo che sanno di «modello casa
circondariale». Sandro Medici, presidente del X municipio, denuncia un
atteggiamento «forzato» dell'amministrazione capitolina sulla questione di chi
realmente accederà a La Barbuta, e promette battaglia «qualora venissero
utilizzate procedure eccessivamente dure, per quanto riguarda il regolamento che
sancisce le regole di vita nel campo». Con una sorveglianza-vigilanza che
costerà circa 3 milioni di euro l'anno.
Sbarre all'ingresso di La Barbuta
NIENTE GIOCHI PER I BAMBINI - Sono stati spesi più di dieci milioni di euro per
la costruzione di questo campo. All'interno ci sono 160 moduli abitativi di 24 e
32 metri quadri. Ma non c'è nessuno spazio ricreativo per bambini, con un
regolamento che verrà fatto sottoscrivere ai futuri abitanti, in cui viene
menzionato anche l'orario di entrata ed uscita dal villaggio. L'associazione 21
luglio, da sempre affiancata dall'Errc (European roma rights centre) lo
definiscono un «vero e proprio “ghetto”», ricordando che fu chiesto a sindaco e
prefetto - in una lettera del 29 maggio - di fare un passo indietro.
«Ci hanno detto che questo campo serve per creare integrazione - racconta un
ragazzo Rom di fronte all'inferriata che lo separa dal vecchio insediamento - ma
a me sembra che vogliano solo costringerci in un piccolo spazio, sorvegliati e
con orari da galera che vanno rispettati».
Un aereo sorvola il campo allo scalo di Ciampino (Altimari)
I VOLONTARI: «E' ANTIZIGANISMO» - L'associazione 21 luglio, insieme ad altre
cinque organizzazioni di volontari, dopo l'inaugurazione de La Barbuta, ha
scritto una lettera aperta e indirizzata alle realtà sociali che lavorano dentro
i campi nomadi intorno alla Capitale, chiedendo l'«obiezione di coscienza».
«Concordiamo con molti operatori - recita la lettera - nel definire ogni
"villaggio attrezzato" della Capitale, e quindi anche l'ultimo, quello costruito
a La Barbuta, un ghetto concepito dall'antiziganismo dei nostri giorni,
l'ennesimo prodotto di un pregiudizio etnico, il risultato della
istituzionalizzazione della segregazione e della discriminazione che si consuma
nella nostra città». Con queste motivazioni, gli operatori hanno deciso di «auto
sospendersi» dal lavoro svolto finora all'interno di tutti gli insediamenti.
Sandro Medici
X MUNICIPIO: LA POSIZIONE DI MEDICI - Da sempre a sostegno del progetto de La
Barbuta, il presidente del X municipio di Roma, ora che il campo è in fase di
assegnazione, esprime delle forti preoccupazioni. «Con il prefetto Pecoraro
avevo raggiunto un accordo ben definito sulla destinazione di questo campo -
spiega Medici - il fatto che la gestione sia passata al Comune di Roma mi crea
forte preoccupazione, soprattutto se penso alla determinazione con cui si cerca
di trasferire proprio qui gli abitanti del campo di Tor de Cenci».
Un campo rom abusivo ai margini di La Barbuta
LA RIVOLTA DI TOR DE CENCI - E proprio gli abitanti del campo sulla via Pontina
- che mercoledì 20 giugno hanno ricevuto la visita del ministro per
l'Integrazione Andrea Riccardi - rifiutano di traslocare a La barbuta perché -
dicono - il loro arrivo sarebbe accolto da una guerra: «Siamo bosniaci e le
altre etnie sono pronte a scatenare una faida se andremo a vivere laggiù».
La scelta dell'amministrazione capitolina, secondo Medici, punta a «risanare una
promessa elettorale fatta a suo tempo», ma è una decisione che influirà
«negativamente sugli equilibri del campo». Pensiero che trova credito anche tra
i Rom de La Barbuta e gli amministratori di Ciampino.
Una videocamera di sorveglianza sulle case di La Barbuta
IL TAR DA RAGIONE A CIAMPINO - Intanto il Tar del Lazio ha dato ragione al
sindaco di Ciampino, Simone Lupi, garantendogli voce in capitolo nel confronto
con Alemanno e il prefetto di Roma. Lupi ribadisce all'ex commissario
straordinario per l'emergenza nomadi, che il Tar sancisce per i Comuni
interessati il diritto di accesso agli atti, da sempre negato da parte del
ministero dell'Interno.
«Mi rendo conto che ormai probabilmente è tardi, ma se salta fuori un solo
tassello posto male per la costruzione di questo campo, non mi tirerò indietro -
spiega Lupi - il Tar ci ha dato ragione, avremmo dovuto partecipare al tavolo
decisionale che ha predisposto La Barbuta, proprio in virtù del fatto che,
malgrado sia territorio di Roma, influisce sulla città di Ciampino».
Veronica Altimari 21 giugno 2012 | 8:24
Riccardi al campo di Tor de' Cenci gli abitanti rischiano il trasferimento
Il ministro per la cooperazione e l'integrazione ha visitato il campo rom alla
periferia sud della città. "Ci sono problemi ma c'è integrazione con il
territorio"
"In questo campo ci sono problematicità ma anche cose positive, e cioè una
discreta integrazione dei rom all'interno del territorio" lo ha detto il
ministro per la Cooperazione e l'Integrazione, Andrea Riccardi, visitando questa
sera il campo rom di Tor de' Cenci, alla periferia sud di Roma.
Nella giornata mondiale del rifugiato Riccardi, accompagnato dal presidente di
Caritas Roma, monsignor Enrico Feroci, ha visitato l'insediamento dopo la
sollecitazione di alcune associazioni ed educatori, che nei giorni scorsi
avevano inviato una lettera a lui, al ministro dell'Interno Annamaria
Cancellieri e a quello dell'Istruzione Francesco Profumo. Nella lettera, si
racconta la situazione dei residenti nel campo, circa 400 persone di cui oltre
200 minori, che vivono da qualche anno "l'incubo" di essere trasferiti in un
altro insediamento, lontano dalla città, "rompendo la faticosa integrazione che
si era riusciti a creare in questi anni".
Incubo, sottolineano le associazioni, che sembra si debba materializzare nei
prossimi giorni. Il campo rom di Tor dè Cenci è stato al centro di polemiche
l'anno scorso, dopo la morte di un bambino a causa di un filo elettrico
scoperto; in seguito a questo tragico incidente, il sindaco Alemanno aveva
deciso il trasferimento dei rom altrove.
"Non sono il sindaco di Roma, non posso decidere, sono solo venuto per vedere e
rendermi conto" ha spiegato Riccardi, che ha ricordato il piano nazionale sui
rom approvato poco tempo fa dal Consiglio dei ministri.
Il ministro Riccardi visita Tor de Cenci I volontari: questo campo rom va salvato
Il titolare dell'Integrazione nell'insediamento sulla Pontina: alla vigilia di
un osteggiato trasferimento dei bosniaci. «A La Barbuta ci farebbero la guerra»
ROMA - Arriva all'attenzione del Governo il caso del campo nomadi di Tor de
Cenci. Nel giorno in cui nel nuovo campo de La Barbuta iniziano i nuovi
trasferimenti e mentre i nomadi del vecchio campo sulla Pontina ribadiscono il
no a futuri traslochi, il ministro per la cooperazione internazionale e per
l'integrazione, Andrea Riccardi, ha visitato mercoledì pomeriggio il campo
nomadi a ridosso della Pontina. Il ministro è stato il primo rappresentante
dell'esecutivo a raccogliere l'invito fatto dalle associazioni di volontari che
si occupano della scolarizzazione dei minori del campo. «Non sono il sindaco,
non posso decidere - ha detto Riccardi - non posso assumermi responsabilità che
non sono le mie. Qui ci sono vari problemi da risolvere ma c'è anche un buon
livello di integrazione e questa è una ricchezza».
La visita del ministro Andrea Riccardi a Tor de' Cenci (Proto)
LA LETTERA DEI VOLONTARI - Riccardi ha aggiunto di essere venuto in visita
perché pochi giorni fa una serie di associazioni e onlus - fra cui Arci
Solidarietà e Agesci - avevano inviato una lettera aperta a lui e ai ministri
dell'Interno e dell'Istruzione, spiegando i disagi a cui potrebbero andare
incontro i ragazzi se il campo dovesse chiudere. Fra i firmatari dell'appello
figura anche la Comunità di Sant'Egidio, fondata nel 1968 proprio da Riccardi.
Con il ministro, al campo è giunto anche monsignor Enrico Feroci, direttore
della Caritas di Roma, il quale ha affermato di aver parlato con il sindaco
Alemanno una ventina di giorni fa chiedendogli di tenere il campo aperto e di
ripulirlo: «Mi ha detto che prenderà in considerazione questa richiesta e che mi
farà sapere».
DUE ANNI DI ABBANDONO - Nei piani del Campidoglio, il campo nomadi di Tor de
Cenci - un fazzoletto di terra a ridosso della Pontina in cui vivono più di 400
persone, in maggioranza bosniache - doveva chiudere già due anni fa. Ora invece
è tornato al centro di un braccio di ferro tra istituzioni, residenti e
associazioni. Con una lettera aperta, Arci, Comunità di Sant'Egidio e Agesci
hanno chiesto ai tre ministri di intervenire «per non mandare a monte il lavoro
fatto negli anni per scolarizzare i circa 200 minori che vivono nel campo».
Bambini rom a Tor de Cenci
«BISOGNA TUTELARE I BAMBINI» - «Oggi si prospetta un trasferimento in un altro
quadrante di Roma - si legge nella lettera - che andrebbe a rompere la faticosa
integrazione creata negli anni. Tutti i bambini e gli adolescenti frequentano la
scuola e parte dei ragazzi dai 14 ai 18 anni le superiori. Il loro trasferimento
sarebbe molto dannoso ai fini della scolarizzazione».
Nel campo ormai si respira l'aria di fine scuola. In tanti hanno chiuso l'anno
con una promozione. C'è chi sta facendo gli esami di terza media e chi quelli
delle superiori. Qualcuno studierà anche quest'estate ma tutti vivono con
l'incognita del prossimo anno scolastico.
Spazzatura nel campo nomadi (Proto)
UN'ORA E 30' PER ANDARE A SCUOLA - «Ci hanno garantito che se questa comunità
sarà spostata - spiega Paolo Perrini, da anni punto di riferimento del progetto
di scolarizzazione dell'Arci - I minori potranno continuare a frequentare le
scuole vicine a Tor de Cenci. Ma questo creerebbe gravi disagi, innanzitutto
negli spostamenti, con viaggi di almeno un'ora e mezza per raggiungere i vari
istituti. Inoltre si strapperebbero i ragazzi dal tessuto sociale in cui sono
nati e cresciuti».
Federica Mancinelli, della Comunità di Sant'Egidio
LA STORIA DELL'INSEDIAMENTO - La maggior parte degli abitanti di Tor de Cenci
non vuole abbandonare questo campo. Molti di loro sono arrivati qui nel 1995.
Nel 2000 il villaggio fu inaugurato ufficialmente e vennero realizzate
fognature, rete elettrica e idrica. A ogni nucleo familiare fu assegnato un
modulo abitativo. «Il campo fino al 2004 era in ottime condizioni - ricorda
Federica Mancinelli, della Scuola della Pace della Comunità di Sant'Egidio -.
Una volta c'erano un presidio sanitario permanente, il controllo dei vigili
urbani e anche un servizio di ludoteca. Negli anni, però, è stato
progressivamente abbandonato dalle istituzioni».
Quello che era un villaggio attrezzato e funzionale, «costruito dal Campidoglio
su un terreno del Comune di Roma, raggiungibile con tanto di indicazioni
stradali - ricorda Perrini - è diventato un campo tollerato da chiudere».
I rom del campo di Tor de' Cenci
CHIUSURA E TRASFERIMENTO - Come confermato dalla lettera inviata il 1° aprile
2010 ai residenti dei quartieri limitrofi dal vicesindaco Sveva Belviso, «il
piano nomadi del Comune di Roma prosegue con la chiusura del campo rom di Tor de
Cenci, come da impegni assunti dalla giunta Alemanno.[…] Attraverso questo
processo potremo dare soluzione, in termini di legalità e di inclusione sociale,
ai problemi causati dalla presenza sul territorio dei campi nomadi non
autorizzati».
«Sappiamo che il trasferimento di questa comunità a La Barbuta costerebbe al
Comune circa 1 milione di euro - spiega Perrini -. Ma per rendere Tor de' Cenci
pienamente vivibile ne basterebbero 500 mila, visto che i servizi idrici ed
elettrici già ci sono e dovrebbero essere solo sostituiti gli alloggi».
Il ministro Andrea Riccardi ascolta una nomade (Proto)
«NON VOGLIAMO UNA GUERRA» - Tra le ragioni di chi non vuole abbandonare questo
luogo non c'è solo il problema della frequenza scolastica o dell'integrazione.
La maggioranza degli abitanti di Tor de' Cenci ha paura del possibile confitto
che potrebbe scatenarsi con gli altri nomadi che verranno trasferiti a La
Barbuta. «Da pochi anni siamo fuggiti da una guerra nei nostri paesi di origine
- racconta Mario - non abbiamo nessuna intenzione di farne un'altra. Piuttosto
preferisco dormire in un furgoncino qui vicino». «Quel campo è una prima linea
di guerra - dice esasperato Fuad - non ci possono trattare come palloni da
calcio e farci rotolare da un posto all'altro».
AL CENTRO DI UNA FUTURA FAIDA - «Qui mi conoscono tutti - confessa Serbo - lì
non saprei come integrarmi. Chi ci garantisce che se venissimo spostati non
saremmo al centro di una nuova faida?». «Io non voglio lasciare questo campo -
spiega Romina, diventata cittadina italiana da un anno e mezzo - Qui ho fatto
tutte le scuole e qui voglio crescere la mia bambina». «Non vogliamo andare a La
Barbuta perché saremmo in troppi e quel posto potrebbe trasformarsi in una
polveriera. Se ci lasciano in pace nel nostro campo inviteremo il sindaco
Alemanno e suoneremo per lui tutta la notte», sorride Asco.
Sofia Capone e Giuseppe Cucinotta
20 giugno 2012 (modifica il 21 giugno 2012)
In città: Tor de' Cenci, Riccardi visita il campo nomadi
L'incontro del ministro dell'Integrazione, accompagnato da monsignor Feroci,
direttore della Caritas, con i residenti dell'area. La lettera delle
associazioni che lavorano con i rom della zona di Nicolò Maria Iannello
Una visita che ha creato grande entusiasmo tra gli abitanti del campo nomadi di Tor de' Cenci, quella che ieri, il ministro della Cooperazione e
dell'Integrazione, Andrea Riccardi, accompagnato da monsignor Enrico Feroci,
direttore della Caritas diocesana, ha voluto fare agli abitanti della struttura
comunale a sud della Capitale, che rischiano di essere trasferiti nell'area
attrezzata La Barbuta, nei pressi di Ciampino.
Una visita per rispondere a una lettera inviata dalle associazioni che lavorano
con i rom del campo al ministro dell'integrazione, dell'istruzione e degli
interni, per descriverne le condizioni di degrado e lanciare l'allarme sul
«trasferimento dei residenti in un altro villaggio, lontano dalla città». Un
trasferimento di cui «abbiamo sentito dire che gli abitanti del villaggio
“sarebbero consapevoli e consenzienti”, ma non è ciò che hanno detto a noi la
maggioranza delle persone», spiegano nella lettera le associazioni.
A raccontare la realtà del campo, dove abitano 400 persone, tra cui 200 bambini,
è una delle firmatarie, Federica Mancinelli, responsabile della Scuola della
Pace di Spinaceto - Tor de' Cenci della Comunità di Sant'Egidio, il doposcuola
che da anni si svolge nel quartiere e accoglie bambini italiani e rom: «I
residenti del campo vivono una situazione di instabilità da diversi anni, in
seguito al progressivo abbandono da parte delle istituzioni». Eppure, nonostante
«l'area di proprietà comunale, indicata anche nella segnaletica stradale, adesso
sia considerata una realtà “tollerata”, cioè un insediamento spontaneo», nel
tempo intorno agli abitanti «si è creata una rete fatta da associazioni,
abitanti del quartiere e insegnanti». Con loro «si è creata un'amicizia -
continua Mancinelli - e tra i bambini rom e quelli italiani che vengono alla
Scuola della Pace c'è un legame forte».
In merito al trasferimento, «un incubo che sembra si debba materializzare nei
prossimi giorni e che sarebbe molto dannoso ai fini della scolarizzazione dei
bambini e dei ragazzi» è chiara la proposta delle associazioni, soprattutto a
fronte delle spese che richiederebbe lo sgombero: «Se il campo non chiudesse si
potrebbe evitare lo sperpero di denaro pubblico e lo sradicamento della
popolazione dai rapporti instaurati con il territorio».
Ma sono gli stessi abitanti a dire di non volere andare via da Tor de' Cenci.
Come Ismett, 37 anni, residente nel'area sin da quando è stata inaugurata nel
2000: «I miei bambini sono cresciuti qui e io lavoro qui». Ed è qui che «ci
troviamo bene ma vorremmo che non ci lasciassero soli, che venissero a pulire
per fare crescere i nostri figli in un ambiente sano». Anche per Giuliano, 39
anni, padre di 5 figli, il trasferimento non è una soluzione. «E il motivo è
semplice perché noi siamo integrati qui a Spinaceto». Ma se proprio «ci devono
mandare via, a noi cosa cambia spostarci da un container all'altro? Sarebbe
meglio avere una casa». E anche lui, come Ismett, chiede «un ambiente pulito,
nuovi container, e la sistemazione delle fogne».
E al ministro i residenti hanno raccontato le paure legate al trasferimento,
come i possibili conflitti che potrebbero insorgere con gli abitanti de La
Barbuta o i problemi legati all'integrazione e all'inserimento dei bambini nelle
scuole, visto che, affermano alcuni di loro, «noi ormai siamo abituati a stare
qui». Con loro il ministro ha passato circa un'ora, ascoltando le loro storie e
parlando con i bambini e con i ragazzi.
A margine della visita, oltre a ringraziare gli abitanti del campo per
l'accoglienza e l'ospitalità, Riccardi ha detto di essere rimasto molto colpito
«dal vedere tanta gente e tanti insegnanti presenti». Poi il ministro ha anche
aggiunto che «in questo campo ci sono diverse problematicità ma anche cose
positive e cioè un buon livello di integrazione e che questa è una ricchezza». A
fargli eco monsignor Enrico Feroci, che ha affermato di avere parlato con il
sindaco Gianni Alemanno, una ventina di giorni fa, «per chiedergli di tenere il
campo aperto e di ripulirlo». La sua risposta, ha concluso il direttore della
Caritas, è stata che «prenderà in considerazione questa richiesta e che mi farà
sapere».
21 giugno 2012
Italian Minister Riccardi visits the camp of Roma Tor de Cenci
Foto di probabilmente Stefano Montesi. Articolo in inglese, errori e
imprecisioni.
Video dal Corriere della Sera
Di Sucar Drom (del 26/06/2012 @ 09:14:57, in blog, visitato 1657 volte)
Rom e Sinti, l'esclusione resta diffusa in Italia e in Europa
Presentati i dati dell'indagine "The situation of Roma in 11 Ue Member States"
(qui la sintesi in italiano) che ha coinvolto 11 Paesi membri dell'UE ed è stata
curata dell'Agenzia dell'UE per i diritti fondamentali e del Programma di
sviluppo delle Nazioni Unite. In Italia l'indagine è stata coordinata da Sucar
Drom, dalla...
Rom e Sinti, l'associazionismo: parliamo di interazione
"Vogliamo valorizzare la cultura dei rom e dei sinti, ma più che di
integrazione, è arrivato il momento di parlare di interazione". A sostenerlo è
Yuri Del Bar, Presidente della Federazione Rom a Sinti Insieme,
un'organizzazione che raccoglie sotto il suo...
Un momento difficile
L'Associazione Sucar Drom ha creato una unità di crisi per il terremoto nel
Mantovano e nel Modenese, stiamo raccogliendo aiuti (piccole roulotte, tende)
per contatti 333 2252101 - 333 3715538 - 0376 224551. Carlo Berini 345 6123932 è
presente nelle zone terremotate...
Rom e Sinti, monitorata e stabilizzata la situazione nelle zone terremotate
La terra continua a tremare nelle Province di Mantova e Modena, le più colpite
dagli eventi sismici iniziati la notte del 20 maggio scorso. Ad oggi è stata
messa sotto controllo e monitorata di ora in ora la situazione delle famiglie
rom e sinte che vivono nelle zone terremotate. Rimane l'angoscia nell'intera
popolazione mantovana e modenese che vive in un continuo...
Torino, una manifestazione "solidale" con i rom?
Una manifestazione "solidale" per allontanare i Rom dal degrado delle
baraccopoli. Per circa un mese è stata organizzata una marcia che si definisce
di "rigore e solidarietà" per allontanare i Rom rumeni, cittadini della comunità
europea, dalle situazioni di degrado in cui versano nei s...
Milano, "Zingaropoli": condannati Lega e PDL
Si è concluso positivamente il ricorso anti-discriminazione presentato dal Naga.
"Emerge con chiarezza la valenza gravemente offensiva e umiliante di tale
espressione che ha l’effetto non solo di violare la dignità dei gruppi etnici
sinti e rom, ma altres...
Rom e Sinti, Commissione Ue: al via le Strategie nazionali
In una relazione adottata il 23 maggio scorso, la Commissione europea invita gli
Stati membri dell'Unione ad attuare le loro strategie nazionali per migliorare
l'integrazione economica e sociale dei 10-12 milioni di Rom e Sinti in Europa.
La Strategia italiana la puoi...
Rom e Sinti, Ministro Riccardi: tutti devono seguire la Strategia nazionale
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso Andrea Riccardi, Ministro
per la Cooperazione Internazionale e per l'Integrazione, ha inviato il 15 giugno
scorso una comunicazione imperativa a tutti Prefetti italiani sulla Strategia
Nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti...
Segnalazione di Alberto Maria Melis
Oggi, davanti al piccolo campo rom di Monserrato (Cagliari) è stata scoperta
una statua in memoria del Porrajimos - Samudaripen, lo sterminio dei sinti e dei
rom da parte del nazismo. L'opera è di Armandino Lecca, scultore sardo. (Altre foto su
Flickr)
Di Fabrizio (del 25/06/2012 @ 09:13:21, in Italia, visitato 1713 volte)
OPERA NOMADI DI REGGIO CALABRIA - COMUNICATO STAMPA
Pochi giorni fa abbiamo appreso che nella nostra città il fenomeno
dell'emarginazione sociale è "scomparso". A dichiararlo è il Comune nel primo
documento del Piano Strategico Sociale pubblicato sul sito dell'ente. Il piano
che dovrebbe portare ad una programmazione unitaria ed efficace del welfare
cittadino, alla cui redazione ci sta lavorando da mesi un gruppo di cinque
esperti.
Nella seconda pagina del documento redatto dagli esperti (dal titolo "Prime
indicazioni per la costruzione del Piano Strategico Sociale") alla tabella
utenti viene dichiarato che i destinatari dei servizi sociali che rientrano
nella categoria "Emarginazione e disagio adulti" (rom, detenuti, ex detenuti,
donne in difficoltà e indigenti) per gli anni 2010 e 2011 erano : 29 nel 2010 e
27 nel 2011.
Questa notizia, se fosse vera, sarebbe veramente eccezionale. La nostra città
diventerebbe una sorta di "paradiso terrestre". Ma sappiamo che, purtroppo, non
è così.
Nella categoria "Emarginazione e disagio adulti", della classificazione
(Nomenclatore interregionale degli interventi e Servizi Sociali- NISS) adottata
dal tavolo degli esperti, dovrebbero rientrare tutti i cittadini che,secondo la
definizione scientifica di emarginazione sociale, hanno un reddito al di sotto
della soglia di povertà, ma hanno subito pure altre deprivazioni come il vivere
in un habitat non inclusivo, una bassa istruzione, difficili condizioni di
salute, ecc.
Partendo da questa definizione multidimensionale dell'emarginazione sociale,
le persone che, nella nostra città, negli anni 2010 e 2011, si trovavano in
questa condizione (tra i rom, i detenuti, gli ex detenuti, le donne in
difficoltà e tra altri soggetti), purtroppo, erano molte di più di quelle
riportate nel documento. Solo nella comunità rom di cittadinanza italiana, gli
emarginati residenti nei quartieri di Modena (Ciccarello palazzine e Ciccarello
ex Polveriera) e di Arghillà nord negli anni 2010 e 2011 erano almeno 800
persone. Ai rom bisogna aggiungere molte altre persone che si trovavano in
condizioni simili di emarginazione sociale e di disagio. I dati dell'Istat
sull'esclusione sociale in Calabria in quel periodo si attestavano intorno
all'8% delle famiglie. Il che significa che, orientativamente, nella città di
Reggio Calabria negli anni 2010 e 2011, le persone che si sono trovate nella
condizione di grave deprivazione ed emarginazione sociale sono state qualche
migliaio. Il fenomeno dell'emarginazione sociale con l'avvento della crisi
economica si è incrementato al punto che la Comunità Europea ha dedicato l'anno
2010 alla lotta contro l'esclusione sociale. Alla luce di tutto questo, non
riusciamo a comprendere come è stato possibile che siano stati pubblicati dati
tanto errati. Anche se non tutti i casi di emarginazione raggiungono i servizi
sociali, è vero che le assistenti sociali comunali, nei diversi quartieri,
seguono moltissimi soggetti emarginati. Ma il documento non riporta nemmeno una
piccola parte dei casi trattati dai servizi sociali. Per fortuna il testo in
questione non è il Piano strategico sociale definitivo, anche se è il prodotto
di un tavolo di esperti che, già da circa otto mesi, lavorano per costruire la
base per la programmazione futura delle politiche sociali della città. E'
evidente che, nonostante le competenze e la buona volontà degli esperti, esiste
il pericolo che i soggetti più deboli, quelli che sono poco rappresentati nella
comunità e nello stesso Terzo settore, possano, di colpo "scomparire" dalle
tabelle. Così facendo si aumenta l'intensità del loro stato di emarginazione,
penalizzandoli ulteriormente. Se il piano Strategico, come è stato presentato,
intende essere uno strumento di programmazione delle politiche sociali e quindi
un mezzo per contrastare l'esclusione sociale è necessario raccogliere con
maggiore attenzione e con metodo diverso i dati, visto che questi costituiscono
le basi fondamentali con le quali redire un programma di welfare efficace.
Questa nostra nota non intende essere una critica al gruppo degli esperti, ma
vuole essere la segnalazione libera di un grave errore nei dati, errore che
potrà essere corretto facilmente se il lavoro di redazione del programma verrà
continuato consentendo, la partecipazione autentica di tutti i soggetti del
Terzo Settore e di quella degli stessi utenti.
Reggio Calabria, 22 giugno 2012
Il presidente Sig. Giacomo Marino
Di Fabrizio (del 25/06/2012 @ 09:11:37, in media, visitato 1276 volte)
Immagine dell'Africa
Uno degli effetti principali della comunicazione umana è quello di non farsi
capire. Ne è prova il fatto che, quando comunichiamo (o proviamo a farlo),
passiamo almeno la metà del tempo a cercare di spiegare cosa intendevamo dire
veramente con i nostri messaggi. Molto spesso, l'incomprensione è un risultato
puntuale anche di tanta comunicazione su argomenti seri e complessi, come è
quello dell'immigrazione. Il manuale "Comunicare l'immigrazione" prova a
fornire, a quelli che lo desiderano, qualche importante strumento per attenuare
questo rischio. Il manuale, realizzato dalla
Cooperativa Lai-momo (editrice
della rivista Africa e Mediterraneo) e dal
Centro Studi e Ricerche Idos (Roma),
è rivolto agli operatori dell'informazione. Il volume contiene dati aggiornati
sui fenomeni migratori nel nostro Paese e numerosi esempi di buone pratiche di
comunicazione in questo campo.
Di Fabrizio (del 24/06/2012 @ 09:24:18, in Regole, visitato 1648 volte)
Immagine da
biografieonline: Hermann Göring, Rudolf Hess e Joachim von
Ribbentrop al Processo di Norimberga, obbedirono soltanto agli ordini.
Sono passati
una decina di giorni da quando si è saputo dell'aggressione ad una coppia rom a
Bologna. Forse potevo anch'io scriverne prima, ma sarebbe stata una copia di
quanto già altri esprimevano. Indignazione, soprattutto. E io:
- Sospetto dell'indignazione, come di una fiammata che si
esaurisce subito.
- Sospetto dell'indignazione perché, peggio ancora, diventa un
artificio dialettico dove le vittime c'entrano poco, ma la cosa
importante è ribadire quanto gli altri siano cattivi e noi
invece siamo i buoni.
- Sospetto delle cascate di aggettivi, che mascherano il vuoto
delle idee e delle proposte.
Eppure, come è possibile non indignarsi di fronte a fatti simili? Riassumo la
vicenda nella sua brutale (e burocratica) semplicità:
- Due ragazzini bivaccano all'aperto, dopo diversi sgomberi, e
già da qua capiamo, senza che nessuno lo spieghi, che
probabilmente sono rom. Lui viene picchiato a sangue da una
banda, lei (incinta) viene violentata.
- In commissariato la loro denuncia si trasforma in un decreto
di espulsione per lui perché, anche se nati in Italia, non hanno
documenti, e la legge in questa storia di "clandestini", tutela
solo la madre.
Esempio di come il RAZZISMO VIOLENTO e quello ISTITUZIONALE cozzino contro
ogni elementare norma di diritto.
RAZZISMO VIOLENTO: cambiano le maschere, ma sono sempre
loro: chi altro farebbe un atto di coraggio e dignità nel pestare e violentare in
quattro due ragazzini di 15 e 20 anni? Sapendo che le vittime non sono due
pupilli di una italianissima famiglia, ma due piccoli rom (ed un terzo in
arrivo) di cui quasi nessuno si è mai occupato e si occuperà?
Leggo martedì (QUI
e
QUI) che gli aggressori sarebbero quattro nazionalisti rumeni. Per
una volta non mi preoccupa quanto possiamo essere razzisti noi italiani: la
destra estrema (o radicale), già in passato ha dimostrato di avere gli strumenti
per coordinarsi a livello sovranazionale. Ad esempio, razzisti e neonazisti di
Germania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia da anni operano congiuntamente
nei diversi territori, tanto in maniera "istituzionale" che con marce, cortei,
pestaggi, devastazioni di quartieri e proprietà di minoranze etniche e
religiose.
Non erano mai scomparsi, ma
oggi sono nei parlamenti, nei salotti buoni (ma anche negli stadi e nelle
periferie urbane) di un'Europa che non è soltanto in crisi finanziaria, ma anche
in crisi culturale e d'identità. Operano assieme ovunque con le medesime parole
d'ordine.
RAZZISMO ISTITUZIONALE: immaginate... di essere voi che
hanno picchiato e a cui hanno spaccato il naso, immaginate che gli stessi hanno
violentato la vostra donna incinta. Però, che siate nati in Italia o meno, la
vostra colpa è che non avete documenti, ed allora: niente da fare, sarete
trattati peggio di un animale.
Perché, nel momento della denuncia scatta automaticamente la procedura
d'espulsione. Potrete mai fidarvi di una legge che stabilisce che non potrete
avere giustizia o che vi impedisce di testimoniare?
E' una cosa talmente assurda, che ho passato una mezza mattinata a studiare
tutte le possibili scappatoie in casi simili. Non ho trovato niente. Ho chiesto
aiuto a due avvocati che conosco. Non mi hanno ancora risposto.
Qualcuno sa darmi una mano?
Di Fabrizio (del 23/06/2012 @ 09:04:08, in lavoro, visitato 1635 volte)
RiminiToday
Mercoledì mattina nella sede della Provincia di Rimini si è svolta la
presentazione della neonata cooperativa sociale, Metalcoop, per la raccolta e il
recupero di materiali ferrosi, creata da un gruppo di Sinti e di Rom
[...] Erano presenti l'assessore ai Servizi sociali della Provincia di
Rimini Mario Galasso, il presidente della cooperativa Marcello Spada, il
vicepresidente Davide Gerardi e il segretario nazionale di Confesercenti Davide
Ricci.
Un gruppo di Sinti e di Rom hanno formato una cooperativa sociale di 18 persone
con lo scopo di fare la raccolta del materiale ferroso, adeguandosi alle
normative, e dimostrare così la loro volontà di integrarsi in modo corretto
nella nostra comunità nel pieno rispetto della legalità.
Nella cooperativa sono stati accolti anche 3 "residenti", come vengono definiti
gli italiani non SINTI non ROM, perché da soli non riuscivano a fare questo
lavoro secondo le nuove normative. La cooperativa è formata da 18 persone dai 20
ai 60 anni che lavorano in tutta la Romagna e risiedono nella provincia di
Rimini.
Anche su:
Di Fabrizio (del 22/06/2012 @ 09:15:49, in blog, visitato 3141 volte)
Lo scorso febbraio il professor Dimitris Argiropoulos mi
chiese un contributo scritto per la rivista Educazione
Democratica. Senza l'assillo della sintesi da blog, diedi sfogo
alle mie turpi voglie di scrivano logorroico. Ora che il pezzo
è (finalmente) online, potete leggerlo e
farmi sapere cosa ne pensate.
I Rom ed i blog, o più precisamente, la galassia romanì e la comunicazione
via web... potrebbe sembrare un argomento simile a quello dei cavoli a merenda.
Mi rivolgo a quanti hanno di queste popolazioni un'immagine immutabile: gente
che ancora gira il mondo a bordo di variopinti carrozzoni, vestita in maniera
abbastanza "casual" e di cui non sappiamo cosa fa per vivere. Dimenticandosi,
che proprio il DOVERSI spostare (più per obbligo che per libera scelta), il
sapersi adattare e ritagliare nicchie di sopravvivenza in ambienti
tendenzialmente estranei, sono il volano per recepire i cambiamenti esterni con
più velocità rispetto alle cosiddette società maggioritarie.
Un altro aspetto di cui tener conto, è che nonostante le chiusure reciproche, il
nostro ed il loro mondo si sono mischiati e continuano a farlo, per cui anche
tra Rom, Sinti, Kalé, Romanichals troviamo
individualità che sono emerse, come
anche fasce (tuttora minoritarie) di medici, giornalisti, avvocati, o altri
professionisti.
Per non perdere il filo di questo discorso già dopo queste poche righe:
dobbiamo quindi prestare attenzione ad un ipotetico Rom medio, senza sapere in
partenza chi sia, se sia mai andato a scuola e dove, se abbia una casa o meno,
che tipo di relazioni abbia con gli altri appartenenti alla sua comunità estesa
(Kumpanija). Insomma, tutte questioni che diamo per scontate ed assodate come
base delle NOSTRE comunicazioni sociali che attualmente deleghiamo ANCHE alla
rete telematica.
Aggiungo infine che da decenni l'informatica pervade vari aspetti tanto del
lavoro, che del tempo libero o della vita quotidiana, e già vent'anni fa un Rom,
magari senza casa o corrente elettrica, cominciava ad interagirvi, anche solo
con un videogioco nel bar accanto al campo, oppure nel cantiere edile o nella
cava dove lavorava.
Verso la metà degli anni '90, tramite un progetto comunale, coordinavo una
piccola redazione rom del campo di via Idro a Milano, nel realizzare un
bollettino scolastico su carta, dal nome
IL VENTO E IL CUORE. I primi tentativi
di scolarizzazione di quel gruppo risalivano a 10 anni prima, il problema allora
sul tappeto era di recuperare uno storico gap di comunicazione.
Non c'erano molti mezzi: un vecchio computer 386 e casa mia come redazione, con
colazione e riunioni mattutine al bar sotto casa (nessuno dei vicini ebbe mai
niente da dire).
Usare un computer da parte di chi a malapena sapeva leggere e scrivere, poteva
sembrare un azzardo: viceversa scoprii che anche per loro era più facile
esprimersi così che con carta e penna. La grammatica mentale dei Rom, abituati
ad esprimersi con concetti semplici ma evocativi, la mancanza di timore nel
rivolgersi agli estranei, era un linguaggio ideale per rivolgersi ai bambini,
anche quando si scriveva di teatro, di lavoro, di leggi o di tradizioni. Il
fatto poi che nel nucleo famigliare Rom le generazioni parlino tra loro
costantemente, aiutò parecchio a trovare gli argomenti e i testimoni.
Quel giornale divenne un importante strumento di aggregazione:
- INTERNO- man mano anche gli altri componenti dei campi partecipavano alla
raccolta delle notizie, a piegare le pagine fotocopiate, a farsi fotografare, a
chiedere quando sarebbe uscito il prossimo numero. Arrivarono col tempo i
contributi di altri campi, di Rom di passaggio... Le pagine, da 4 dovettero
passare ad 8.
- ESTERNO- Una tiratura di quattrocento copie (ma probabilmente la divulgazione
era più ampia), e corrispondenze con scuole, giornali, anche TV, facemmo di
tutto per girare e farci conoscere. Scoprimmo che avevamo lettori in tante città
d'Italia e anche all'estero.
Ricevevamo corrispondenza da tutta Italia e dalla Spagna, come non lo so. Non
c'era ancora internet, ma la rete c'era già, per niente virtuale: discendeva dal
sistema di comunicazioni informali che sempre hanno legato i vari gruppi sparsi
nel continente. Insomma, la diaspora li aveva resi più "moderni" (più reattivi
al cambiamento) di noi, ed avevamo solo trovato il media per dimostrarlo.
Quel bollettino chiuse dopo un paio d'anni, quando il comune smise di
finanziarlo, in preda ai suoi ricorrenti mal di pancia politici.
Nel frattempo internet stava diventando un fenomeno di massa in tutto il mondo
(nella sola Italia tra il 1998 ed il 2000 raddoppiavano i collegamenti alla
rete), ed in modo del tutto autonomo, ignari del nostro giornalino scolastico,
anche alcune elite intellettuali di Rom e Sinti cominciavano a comunicare tra
loro via web, colmando la distanza geografica.
Nel 1999 un Rom di origini ucraine, Valery Novoselsky, diede vita al primo
nucleo di un network che tramite internet comprendeva le varie comunità sparse
nel pianeta, quello che attualmente è il
Roma Network, oggi strutturato come una
vera e propria OnG, che raggruppa diversi siti, innumerevoli gruppi di
discussione su Google e Yahoo ed anche un canale Youtube.
Questo network, grazie all'impegno di Valery Novoselsky che non è mai calato
negli anni, è proseguito col contributo di nuove figure, e con il supporto
finanziario della
Fondazione Soros, la tal cosa gli ha anche alienato le
simpatie di alcuni settori romanì contrari a questa presenza USA mascherata,
sulle questione continentali. Difatti col tempo il network si è caratterizzato
non solo come agenzia informativa dalle molte teste, ma anche come il tentativo
di creare una lobby in grado di condizionare le politiche dei paesi dell'Europa
Orientale e di fare pressione sulle organizzazioni comunitarie dell'Europa
Occidentale.
Considerazioni politiche a parte, Roma Network si è però sempre caratterizzato
per la sistematicità quotidiana delle informazioni fornite, la professionalità e
serietà negli argomenti trattati ed anche per la varietà dei giudizi e delle
opinioni riportate.
Se qualcuno volesse conoscere di più su questa galassia, nel 2009
Aggiornamenti
Sociali pubblicò un articolo dedicato ai principali siti europei, con una breve
appendice sul panorama italiano del momento.
Verso la fine degli anni '90 in Italia su internet non si trovava molto
materiale su Rom e Sinti. C'era dal 1997
O Vurdón di Sergio Franzese e forse il
sito di Alberto Melis, che resistono tuttora. Prendendo esempio da loro, anch'io
feci una piccola pagina web. Precisazione necessaria: al di là della qualità
delle notizie riportate e delle rispettive esperienze, né Franzese, né Melis né
io siamo rom o sinti.
Tramite le notizie pubblicate, mi trovai a corrispondere con altra gente in
Italia, che stava sperimentando esperienze simili. Quando la corrispondenza fu
tanta, decidemmo di renderla pubblica, prima in una nuova pagina web (che oggi
non c'è più), poi in due gruppi di discussione (uno esiste tuttora) e nel 2004
in un primo blog. Infine con un secondo blog
(questo, ndr.), che diede più possibilità di
organizzare un lavoro creativo e collettivo.
Inizialmente cercavo informazioni, ma a parte i siti di Franzese e Melis non
trovavo molto. C'erano invece molte pagine in inglese, francese, talvolta in
spagnolo o romanés... e le storie che raccontavano potevano interessare. Le
tradussi per metterle online.
Mi chiedevo: perché di queste notizie non circolava niente in Italia? Perché era
più facile sapere cosa facevano i Rom in Romania, in Germania, e non cosa
succedeva in Italia? Diversi? Ancora troppo selvatici?
Qual era la situazione generale in Italia su Rom e Sinti, una decina circa di
anni fa?
Da un lato, andava esaurendosi la stagione, iniziata negli anni '70-'80, di
attenzione da parte delle istituzioni, e al riformismo andava pian piano
subentrando l'abbandono. Dall'altro quella stagione aveva creato un soggetto
forte: l'Opera Nomadi nazionale, ed una rete di esperienze associative, piccole
ed attive a livello locale, a base soprattutto volontaria.
Il dibattito interno a queste organizzazioni era anche di buon livello, ma
assolutamente non condiviso a livello nazionale, per non parlare di livello
europeo. Erano, a mio giudizio, gruppi impermeabili ed autoreferenziali.
In quel periodo, più che la forma (sito, gruppo telematico di discussione,
diario o blog) mi interessava la possibilità di far circolare informazioni fuori
dai soliti gruppi ristretti. Per questo, il primo passo fatto di comune accordo
con i pochi corrispondenti di allora, fu di uscire allo scoperto e mostrare che
scambiarsi informazioni tra realtà distanti tra loro, potesse dar vita ad un
dibattito aperto e continuativo.
Come scelta conseguente: quella di fornire anche in italiano notizie su quanto
avveniva - si discuteva, nelle comunità rom e sinte all'estero, che sul piano
comunicativo erano più avanti dell'Italia.
Dietro questa scelta c'erano motivazioni diverse:
- Le cronache estere danno meno occasioni di polemica di quelle italiane.
- Contribuiscono anche ad allargare la propria visuale, ci sono problemi simili e
ci sono rom/sinti, associazioni e stati che provano ad affrontarli.
- Le varie comunità rom e sinti stanziate da tempo in un territorio, hanno via via
maturato una propria storia autonoma, che a sua volta presenta similitudini e
differenze con altre esperienze locali, ma che valgono anche come "laboratorio"
per le future politiche di integrazione dei gruppi arrivati in tempi più
recenti.
- E' la dimostrazione di essere in tanti. A dire il vero in Italia SI DICE che
siano appena 150.000, quindi per la legge dei numeri, se si volesse fare
qualcosa, sarebbe possibile. Ma, questi 150.000 possono (volendo) farsi forza
della presenza di 8, 10, forse 12 milioni di rom/sinti nel mondo (in pratica un
paese come l'Austria o la Danimarca).
- Infine, che non esiste la sola visuale nazionale; determinate questioni sono
affrontabili più facilmente a livello locale, altre necessitano di un progetto
complessivo sovranazionale.
Ovviamente, difficoltà e diffidenze reciproche rimangono, ma la possibilità di
scambiarsi opinioni ed esperienze anche a lunghe distanze in tempo quasi reale,
ha secondo me contribuito (tra le tante altre ragioni) alla creazione del
Comitato Rom e Sinti Insieme nel 2007, la prima esperienza unitaria e federativa
gestita dai diretti interessati (parlando sempre di difficoltà e divergenze: il
comitato si sdoppiò presto in due federazioni separate).
Oggi ovviamente le varie organizzazioni ed associazioni sono presenti su
internet con siti istituzionali ben strutturati. Esiste un'attenzione crescente
da parte dei media locali e nazionali. Ci sono diversi blog (qualcuno con pochi
articoli, altri aggiornati regolarmente - ma questa è una caratteristica propria
dei blog) che in questi ultimi anni sono nati prima per volontà di qualche
"testimone illuminato", poi vedendo la presenza di un ristretto gruppo di
intellettuali rom e sinti, infine col coinvolgimento di parti (ancora
minoritarie) di quei "Rom e Sinti medi" di cui accennavo all'inizio.
Nel frattempo, in Italia e altrove, l'informatica sta lentamente diffondendosi
anche nei campi-sosta o negli insediamenti più deprivati. Anche dove mancano i
collegamenti telefonici via cavo, ogni tanto capita di trovare computer, magari
di seconda mano, e collegamenti internet tramite chiavetta. A volte, la rete
viene adoperata solo per scaricare musica (magari dal paese di provenienza,
qualcosa di simile alle trasmissioni estere captate dal televisore) o per la
ricerca di lavoro e altre informazioni. A volte internet, chat e posta
elettronica servono per mantenere i contatti con parenti lontani. O
letteralmente per salvare la pelle: ad esempio l'estate scorsa in Repubblica
Ceca e in Bulgaria ci sono state violente manifestazioni ed attacchi fisici alle
comunità rom in diversi luoghi di quei paesi; esattamente come i gruppi razzisti
coordinavano le proprie azioni via web, così le comunità rom si tenevano in
contatto, per aggiornarsi sulla situazione, nella paura costante di uscire dai
propri quartieri.
Più recenti e meno drammatici: i recenti "sbarchi" su Twitter e Facebook,
soprattutto da parte della fascia più giovane della popolazione rom e sinta. Mi
sembra che il motivo principale sia la curiosità e la necessità percepita di
intrecciare relazioni con i coetanei della società maggioritaria, relazioni che
nei secoli sono sempre state osteggiate tanto dalle NOSTRE che dalle LORO
famiglie. La neutralità dello schermo, unita al fatto che su internet la
comunicazione è prevalentemente multidirezionale, favorisce questo tipo di
approccio, anche se il rischio di FLAME è sempre dietro l'angolo. Credo che più
delle tematiche prettamente politico-sociali, un tipo di approccio maggiormente
disimpegnato come questo, possa essere uno degli aspetti chiave di coesioni
future; anche se occorre capire come ciò possa evolvere in forme di conoscenza e
rapporto meno virtuali.
Intanto, sulla spinta dei primi "pionieri" sul web, nei vari blog e gruppi di
discussione, oltre che sui massimi sistemi, si inizia anche a confrontarsi su
questioni pratiche, con timidi interventi di qualcuno che vive nei campi: non è
un "intellettuale" nel senso comune del termine, ma quantomeno è cosciente di
essere parte in causa di questioni che lo riguardano direttamente. Quel "Rom o
Sinto medio" senza il cui contributo e coinvolgimento non si andrà da nessuna
parte.
Oggi siamo al paradosso che tutti possono parlare di/per Rom e Sinti, quindi
sarebbe importante discutere anche di come lo si fa. Non mi riferisco agli
argomenti da trattare, perché questo "Rom o Sinto medio" sfugge ancora alle
definizioni: Cos'è?
- Parte di un popolo?
- Cittadino?
- Minoranza nazionale o sovranazionale?
- Disadattato cronico?
- Fonte di guadagno del nostro associazionismo?
Tutti gli argomenti possono andare bene, non è il COSA, mi riferisco esattamente
al COME.
A tal proposito, spesso mi è capitato di fare questo esempio:
A Roma ho un amico, lui si occupa di
informazione sull'Africa e io su Rom e Sinti. Qualche anno fa, per farci due risate, gli segnalai un articolo in
inglese di di Binyavanga Wainaina, scrittore e giornalista keniano, articolo che
in seguito venne tradotto in italiano sulla rivista
Internazionale. Citando
tutti i possibili luoghi comuni che si riferiscono all'Africa, il tono era
simile:
Usare sempre la parola "Oscurità" e "Safari", Primordiale e Tribale. Usare i
termini Tragedie ed immutabilità dell'Africa. Ma parlare dei Tramonti, della
Musica che hanno nel sangue. I bambini devono essere sempre nudi, meglio se
sottopeso.
Parlare dell'Africa come se fosse un unico grande paese, senza città, senza
industrie e università, ricco solo di animali feroci e guerre tribali.
Poi c'è bisogno di un nightclub chiamato Tropicana, da condividere con
mercenari, guerriglieri, prostitute ed Africani arricchiti. Terminare citando
Nelson Mandela, o dire qualcosa sull'arcobaleno, perché voi siete persone
sensibili.
Sarò sintetico: c'è chi è convinto di fare giornalismo "scomodo" (o addirittura
d'inchiesta), mostrando distese di roulotte, bambini seminudi, donne vestite con
le gonne lunghe.
Io credo che quella sia cronaca, spesso doverosa ma cronaca. Nel senso che non
cambia la nostra percezione e non aumenta la conoscenza. In effetti libri,
giornali, internet stessa traboccano di immagini simili.
Una volta che l'immagine è stata digerita, tutto torna come prima, anzi è come
essere vaccinati. Però sono immagini vere, mi direte... Lo so, come sono vere le
immagini di un incidente ferroviario, o del fondoschiena di una qualche
cantante... si suppone che, diritto di cronaca a parte, la maggioranza di noi
non viva in roulotte, non sia scampata ad incidenti ferroviari e non abbia il
fisico di Jennifer Lopez...
Da una parte c'è un sistema dei media che privilegia la notizia più vendibile.
Dall'altra, la reazione del "lettore medio", che per comodità dividerà le
notizie che gli arrivano a quintali, tra storie di cui ha esperienza o viceversa
in una sorta di mondo alieno.
Alieno, appunto: Il problema del conoscere, è che nessuno ha bene idea di dove
partire. Ad esempio, prima accennavo alla mancanza di cifre su quanti siano in
Italia i Rom e i Sinti. La confusione aumenta quando il Consiglio d'Europa
rimprovera all'Italia di non fornire dati esatti, che invece mancano anche a
livello europeo. Mi capita, nell'arco della stessa giornata, di leggere che sono
8 milioni, anzi 10, o 12. In alcuni paesi, come ad es. la Slovacchia, le cifre
variano da 200.000 a 1 milione.
Comunque, ...l'80% dei Rom è concentrato in Europa, in condizioni simili quasi
ovunque. Quindi, se è giusto sapere che la loro origine probabilmente è indiana,
possiamo lo stesso considerarli uno dei popoli fondanti del nostro continente,
dove sono presenti dal tardo medioevo, quando non esisteva quasi nessuno stato
nazionale di oggi. Inoltre il nomadismo, l'artigianato e l'assenza della scuola
erano diffusi (come il nomadismo economico e politico del resto) e solo con il
formare degli stati nazionali sono declinati.
In realtà, la loro storia va paragonata alle tante minoranze, che in 1000 anni
di storia europea si son trovati a scegliere tra assimilazione o sterminio.
Apposta, ho usato la parola assimilazione, che è una parola brutta quasi quanto
sterminio. Perché sono le alternative che l'Europa offre da quando ha coscienza
di essere continente, diciamo dalle crociate. Faccio notare che in questi secoli
ce ne sono di Rom che si sono assimilati, si sono annullati, e quindi non ha
senso chiedere "quando saranno assimilabili"? Cosa sappiamo di loro? Attraverso
i media conosciamo di più degli ultimi arrivati che di quelli che sono qui da 50
anni, o da secoli, come ad esempio i Rom abruzzesi.
Tutto il meccanismo informativo ne viene distorto. Perché va da sé che chi sia
arrivato da poco, porti situazioni più problematiche di chi è già insediato da
tempo. Sia chiaro, non lo affermo per un malinteso razzismo, la mia è solo
un'osservazione logica
Di chi è arrivato in quei campi prima di loro, oggi si parla poco - se non si
parla affatto. Non so cosa sia meglio tra il terrore o il silenzio delle
cronache. Cosa fanno? Quello che posso testimoniare, è che se qualcuno volesse
informare in maniera "corretta", può farlo anche in una situazione estrema come
quella dei Rom rumeni a Milano.
Dieci anni fa rappresentavano l'Italia ad un
concorso musicale in Grecia, o volevano instaurare una scuola di musica a
Milano.
Una squadra di calcio che è nata nell'ex campo-inferno di Triboniano, si è
allargata ad immigrati di altri paesi, per due anni consecutivi ha vinto il
campionato mondiale di calcio a 5 per senzatetto. Hanno scritto
un libro sulla
loro storia, e restano ignorati lo stesso. Oppure, parliamo dello
sportello
sindacale che ha funzionato lì per oltre 2 anni? Notizie che sfuggono: se anche
tra chi è arrivato per ultimo e ha sempre vissuto in situazioni "estreme",
possiamo trovare "buone cronache", cosa ci impedisce di farlo con chi è in
Italia da una vita?
Logica vorrebbe che se gli ultimi sono tanto attivi, a maggior ragione lo
saranno gli altri, chi è arrivato prima. Invece, man mano che questi Rom si
stabilizzano (o si assimilano), diventano realmente INVISIBILI.
La storia europea si ripete. Non è un'emergenza: da almeno 30 anni è in atto una
migrazione di altri popoli nel nostro continente, come nel tardo medioevo o nel
II dopoguerra. Lo stravolgimento dei confini e dei parametri economici,
coinvolge anche i Rom. Queste nuove popolazioni, che per lo più contribuiscono
alla nostra economia sommersa, non troveranno risposta se non sapremo prima
affrontare il rapporto da creare con quei Rom che in Europa da secoli, vivono
come se fossero in un eterno dopoguerra.
La responsabilità dell'informazione, è di aiutare a formare il quadro in cui
interagiremo con gli 8 o 12 milioni di persone e quando finirà l'eterno
dopoguerra dei Rom e dei Sinti. Partendo da qualcosa che è sotto gli occhi di
tutti e nessuno vede: c'è tra loro il muratore, il giardiniere, la babysitter,
l'imprenditore, magari li conoscete e vi hanno sempre nascosto la loro identità.
Non sapete se vivono in un campo o in casa. Chiediamoci perché la maggior parte
di loro si nasconde anche se non ha commesso nessun reato.
Il conto per l'informazione è molto più salato di come l'ho presentato. Esiste
un lato apertamente razzista dell'informazione, che a volte diventa
mandante o correa degli atti di razzismo e di intolleranza che si scatenano contro i Rom.
Atti che si ripetono continuamente. Potremmo parlarne a lungo: questo è solo il
lato visibile di un'opera di occultamento e disinformazione, che sta SEMPRE alla
base del razzismo.
Le associazioni pro-Rom, nonostante la crescente attenzione, hanno tuttora
scarsissimo spazio sui media, e mancano completamente i diretti interessati.
Ecco perché la rete internet è diventata un antidoto così importante, e le sue
modalità di comunicazione sono state man mano mutuate da Rom e Sinti (o forse è
internet stessa che ha adottato le loro competenze comunicative).
Oggi la priorità non è più tanto creare poli di informazione indipendenti, che
già ci sono, quanto renderli autorevoli e (vorrei dire) professionali. Ma mi
rendo conto che "professionale" è un termine ambiguo: intendetelo più come
"parere di chi vive determinate situazioni sulla propria pelle, per questo è più
titolato di altri a descriverle", che come professione vera e propria. Proprio
quel parere che è sempre l'ultimo ad essere ascoltato. Se attualmente i codici
espressivi di queste persone sono "limitati" rispetto alle nostre esigenze,
possono crescere esclusivamente con un confronto, magari critico, quotidiano e
prolungato. Fin quando non saremo noi, fuori dai campi e dalle riserve, a
riconoscere dignità e ricchezza a quei codici espressivi, che non sono
"limitati", ma semplicemente "altri" da quelli che abbiamo adottato a nostra
volta.
Il problema che si pone è la visibilità, nel mare di informazioni che ci
circondano (se cerco blog su google ottengo due milioni di risposte). Secondo me
le possibilità sono 2: il sensazionalismo e il folklore deteriore (ricordate?
distese di roulotte, bambini seminudi, donne vestite con le gonne lunghe).
Oppure coinvolgere i propri lettori: cioè affrontare il discorso di quanto
i
destini dei Rom e della società maggioritaria siano intrecciati: in parole
povere, quanto possano fare i Rom per il mondo attorno a loro. Magari, con un
piccolo (piccolo, mi raccomando, la carità pelosa è sempre in agguato) aiuto
perché dall'assimilazione si passi all'interazione comune.
C'è chi descrive il mondo telematico come fulminante e semplice da raccontare,
senza rendersi conto di quanto distanti affondino le sue radici. Sono passati
anni da quando si è iniziato, forse si tratta solo di essere costanti e di
osservare come evolve il mondo della comunicazione (e anche quello dei rom e dei
sinti). In tutto questo tempo, in tanti e con progetti ed idee diverse, si è
lavorato per aggiunta, senza rinnegare quello che era stato fatto prima, come un
sassolino che cresce rotolando dalla montagna.
Di Fabrizio (del 21/06/2012 @ 09:16:24, in casa, visitato 1393 volte)
Da
Roma_Daily_News
13 giugno 2012: Un tribunale di Istanbul si è pronunciato ieri in favore
della cancellazione del progetto di rinnovamento urbano a Sulukule (vedi
QUI ndr.), il più antico insediamento rom in Europa. La quarta corte
amministrativa di Istanbul ha stabilito che il progetto su Sulukule del comune
di Fatih "non è di pubblico interesse". Si sono avuto tre casi distinti
sollevati dalla Camera di Istanbul degli Architetti, la Camera di Istanbul degli
Urbanisti e l'Associazione Rom di Sulukule. ERRC ha avviato e sostenuto il caso
dell'Associazione Rom di Sulukule.
Il tribunale ha trovato il progetto comunale in violazione della legge 5.366
sulla "Conservazione tramite rinnovamento ed utilizzo per rivitalizzazione degli
immobili storici deteriorati e delle proprietà culturali" nonché dei criteri
UNESCO sulla conservazione
del patrimonio storico.
Il progetto di rinnovamento urbano a Sulukule venne inizialmente lanciato nel
2005 e vide le famiglie rom obbligate a vendere le loro case a basso prezzo e
spostarsi lontano dal centro cittadino per permettere la costruzione di un
quartiere di lusso. Circa 3.500 residenti rom che vivevano a Sulukule videro le
loro case demolite.
Il testo della sentenza non è ancora stato reso pubblico, ma secondo i media
e gli avvocati coinvolti nel caso, il comune potrà presentare appello. Comunque,
entro un mese dalla comunicazione della sentenza il comune dovrà interrompere lo
sviluppo del progetto attuale, e predisporne un altro in linea con la sentenza.
Se il comune non dovesse attuare la sentenza, potrà essere obbligato ad un
risarcimento.
ERRC è stato
attivamente coinvolto negli sforzi per preservare Sulukule, reagendo subito
quando iniziò il progetto di rinnovamento urbano. ERRC si è incontrato con i
funzionari del comune di Fatih ed ha inviato lettere, inclusa una al Primo
Ministro, per ricordare gli obblighi della Turchia riguardo le leggi nazionali
ed internazionali. Il 31 dicembre 2007, ERRC ha avviato e sostenuto un'azione
legale dell'Associazione Rom di Sulukule di fronte al tribunale amministrativo
di Istanbul, che chiedeva l'immediata sospensione della campagna di demolizione
a Sulukule e la cancellazione del piano di rinnovamento urbano. Da allora, le
case di molti Rom ed il quartiere storico, riconosciuto come patrimonio mondiale
dell'umanità, sono state demolite. Tuttavia, ERRc accoglie con favore la
decisione della corte di Istanbul, come una rivendicazione delle proteste dei
Rom e della comunità internazionale contro l'illegalità dell'azione comunale e
come apertura alla possibilità di ovviare ai danni inflitti ai Rom coinvolti.
Per ulteriori informazioni, contattare:
Sinan Gökçen
Media and Communications Officer
European Roma Rights Centre
sinan.gokcen@errc.org
+36.30.500.1324
Di Fabrizio (del 20/06/2012 @ 09:41:14, in Europa, visitato 1487 volte)
Da
Aussie_Kiwi_Roma
GREEK REPORTER Australia La questione degli immigrati rom dalla
Grecia nel 1898 ritorna attuale - By Stella Tsolakidou on June 12, 2012
Sali Ramadan, sua moglie Rose e loro figlia Sherezada
Nel 1898 un gruppo di 26 Rom greci dalla Tessaglia arrivò a Largs Bay,
nell'Australia del sud e qualche giorno dopo ripartì a piedi verso le
colonie orientali. Questi primi migranti di origine greca furono tra le ragioni
dell'introduzione delle prime leggi razziali nell'Australia del sud, a cui seguì
l'Immigration Restriction Act del 1901. Fatto che in seguito marcò le relazioni
diplomatiche tra Grecia ed Australia.
La storia dietro questi primi 26 migranti e le loro gesta è nuovamente emersa
ed ha assunto un ruolo centrale nel quadro del dialogo continuo su come gestire
il problema dell'immigrazione di massa e dei richiedenti asilo in Australia.
La storia di questi migranti comincia in Grecia nel 1897, dopo
che i Greci avevano perso una guerra contro i Turchi. La tregua a maggio 1898
aveva creato un'ondata di migliaia di migranti, forzati ad abbandonare la loro
terra per migrare all'estero o cercare rifugio nei territori rimasti alla
Grecia. Come molti altri, i 26 Rom furono obbligati a lasciare le loro case nei
villaggi della Tessaglia, scappare a Volos e prendere una nave diretta in
Australia, senza avere idea di ciò che il futuro aveva in serbo per loro.
Ascoltando i racconti dei commercianti e dei proprietari di barche a Volos
sulla vita prospera in Australia, i Rom decisero di rinunciare agli ultimi loro
fondi per pagarsi il viaggio sulla nave francese "Ville de la Giotat", il 20
giugno 1898.
Per errore, i 26 sbarcarono ad Adelaide invece di Sidney, e presto divennero
il centro di attenzione negativa ed impopolare nel paese per lungo tempo. Le
autorità locali erano allarmate per l'arrivo di questo neo venuti, inaspettati,
non voluti, pericolosi e vestiti di stracci. Il loro ingresso nel paese non era
autorizzato, fatto che ben presto accese la fiamma contro gli immigrati di
colore, che si estese in tutta l'Australia.
I giornali locali dipinsero l'arrivo e l'aspetto dei 26 Rom con le tinte più
fosche, pubblicando anche le loro foto. Venne enfatizzato che questi Rom non
erano greci, ma piuttosto erano nati e cresciuti in Grecia e che l'unico
mestiere che conoscevano era quello di calderai. Il loro arrivo nell'area attirò
sin dall'inizio molti visitatori: alcuni diedero loro del denaro, altri li
presero in giro ed altri ancora diedero loro cibo e vestiti. Però la maggior
parte dei cittadini, guidati dal sindaco di Adelaide, iniziarono una campagna
per cacciarli dalla città. Persino l'ambasciatore greco visitò il piccolo
accampamento e fu sorpreso di sapere che i 26 migranti parlavano solo il greco.
Nel frattempo, l'argomento era arrivato al Parlamento dell'Australia del sud,
dove un deputato aveva suggerito da ora non poi non si doveva permettere
l'ingresso di nessun Greco, Hindu o Cinese.
Ma quegli immigrati rom avevano problemi più seri da risolvere: sopravvivere.
Senza mezzi di sostentamento, dovettero ricorrere al vagabondaggio ed
all'accattonaggio, o mettendo in scena spettacoli di strada per i residenti
locali. Iniziarono a ballare e cantare per far quadrare il bilancio. Ma questo
modo di vivere non venne apprezzato dalla stampa e dall'aristocrazia.
Le autorità di Adelaide fecero di tutto per espellere i 26 migranti verso
Melbourne, ma il loro viaggio non terminò lì. Prima vennero trasportati col
treno sino alla periferia di Norwood, sempre nell'Australia del sud, dove la
gente si radunò alla stazione e li fece ripartire col treno successivo. Nelle
altre stazioni, gli abitanti gettavano pietre e non li facevano neanche scendere
dal treno. Quando riuscivano a scendere, piazzavano le loro tende distanti dal
villaggio e cercavano cibo dai contadini. Ci fu chi li aiutò in diverse maniere,
prima che alla fine arrivassero a Serviceton, Victoria, il 23 giugno 1889.
I media annunciarono il loro arrivo descrivendoli come rifugiati greci o
semplicemente zingari. 94 Greci protestarono pubblicamente perché i media e le
autorità australiane "li avevano classificati come Greci" ed insistettero che si
trattasse di un gruppo di Rom dalla Serbia, che sapevano il greco. Tuttavia,
l'allora ministro della Giustizia negò quella storia, perché tutti e 26 i
migranti avevano passaporti greci rilasciati dal consolato greco d'Egitto.
La stampa continuò con i suoi articoli a base razziale contro i Rom dalla
Grecia. Nuovamente i migranti vagarono da un villaggio all'altro. Il governo del
Nuovo Galles del Sud ordinò alla polizia di impedire ai Rom di entrare nella
contea. Affamati e vestiti di stracci, i 26 sognavano di raggiungere Melbourne,
dove speravano che la comunità greca li avrebbe aiutati. Il 17 agosto,
arrivarono a Ballarat, uno dei pochi posti dove furono trattati come esseri
umani. Vi passarono una settimana, prima di partire nuovamente verso Melbourne,
guadagnandosi da vivere con esibizioni nei villaggi vicini. Alla fine, le
autorità di Melbourne non permisero loro di entrare in città, facendoli
accampare alla periferia di St. Kilda, fuori dalla giurisdizione cittadina.
Le loro avventure e vagabondaggi non finirono lì e invece continuarono per
decenni.
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