Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/10/2007 @ 09:22:18, in Europa, visitato 2708 volte)
Da
Roma_Daily_News
ATHENS, Oct 16 (IPS) - Thomas Hammarberg, venne eletto Commissario per i
Diritti Umani del Consiglio d'Europa nell'ottobre 2005. Gioca un ruolo cruciale
nel promuovere l'implementazione delle raccomandazioni del sistema dei diritti
umani del Consiglio
Il Consiglio d'Europa ha 47 stati membri nella regione europea, ed è la più
antica organizzazione che si occupa dell'integrazione europea. E' separato
dall'Unione Europea (EU) e quindi dal Consiglio della EU.
Thomas Hammarberg è stato eletto dall'assemblea parlamentare del consiglio,
che comprende i membri dei parlamenti nazionali. Apostolis Fotiadis di ISP ha
discusso con lui sui problemi chiave dei Rom, uno dei gruppi che oggi sono più
discriminati nella EU.
IPS: Come spiega il persistente sentimento anti-Rom che si estende
attraverso l'Europa. Quali sono le fonti del problema e come si possono
indirizzare?
TH: Penso sia difficile definire un'eredità razionale. Sono diventati il
capro espiatorio dei problemi delle nostre società. A lungo la gente che
potrebbe rialzarsi e difenderli hanno permesso un'atmosfera in cui i Rom sono
designati come indesiderabili. E' una questione che riguarda anche una lunga
storia. Durante il nazismo oltre mezzo milione furono sterminati, e mai hanno
ricevuto delle scuse.
IPS: Ritiene che la condizione dei Rom in Europa stia peggiorando o
migliorando?
TH: Sono preoccupato. Sembra esserci un cambio verso la polarizzazione.
Alcuni gruppi adottano discorsi anti-Rom che i politici sembrano tollerare. E'
uno sviluppo piuttosto sfortunato perché la disattenzione e l'indifferenza a
volte possono legittimare ulteriore intolleranza. Dobbiamo nuovamente chiedere
ai politici di essere attenti ed essere dalla parte dei Rom piuttosto che unirsi
alle tendenze xenofobe.
IPS: Si può comparare il trattamento delle comunità Rom in paesi
differenti della medesima regione, per esempio Grecia, Bulgaria e Romania?
TH: Evito deliberatamente la discussione su chi sia il migliore. Molti paesi
della regione arrivano da profondi cambiamenti dovuti al passaggio dal periodo
sovietico, quindi ci sono differenti punti di partenza. Il mio quadro è che i
Rom sono discriminati in ogni paese. Questo riguardo l'occupazione, la sanità,
le reali possibilità di partecipazione politica nelle elezioni o nelle strutture
politiche, la situazione è problematica.
IPS: Come si può indirizzare il problema della loro partecipazione
politica?
TH: Molta della responsabilità riguarda la mancanza o il negativo interesse
dei partiti politici. I principali partiti devono aprirsi ai Rom; perché non lo
sono. L'esempio sono le campagne politiche dove i candidati dei principali
partiti fanno dichiarazioni xenofobe invece di andare nelle comunità Rom,
ascoltare i loro bisogni e tentare di rappresentare il loro punto di
vista. Non solo, i Rom devono organizzarsi e cercare di essere meglio
rappresentati.
IPS: Si dovrebbe enfatizzare il loro incorporamento nella vita politica a
livello locale e nazionale?
TH: Sono entrambe importanti, ma per ora dobbiamo focalizzarci a livello
locale. Molte delle decisioni importanti riguardanti i Rom sono prese a questo
livello. In alcuni paesi nelle assemblee locali ci sono posti riservati ai Rom.
In Slovenia hanno un seggio in ogni municipalità dove risiedono i Rom. In
Romania hanno un posto in parlamento. Non è la migliore soluzione, ma qualcosa
bisogna fare.
IPS: Ci sono storie di successo?
TH: Sì, ci sono dei posti nei paesi scandinavi dove il problema della casa è
più o meno risolto. In alcune parte della Slovenia, le comunità sono
ragionevolmente positive nel trattare con i Rom. L'esperienza insegna che quando
le autorità e i politici fanno tentativi, anche se occorre del denaro, è
possibile ottenere soluzioni.
IPS: Ci sono casi dove le pressioni del Consiglio d'Europa possono
aumentare l'efficienza nella protezione delle comunità Rom?
TH: Pressioni politiche addizionali da parte dei membri permanenti del
Consiglio d'Europeo possono avere effetti considerevoli. Deve comprendersi che
la tematica Rom è una pagina nera d'Europa, assumersene la responsabilità e fare
pressione sugli stati membri. E' inoltre necessario aumentare la pressione sulle
autorità locali perché rivedano la loro politica quando si tratta di sgomberi.
Talvolta gli sgomberi possono essere necessari, ma devono essere fatti nel modo
giusto e fornendo soluzioni abitative alternative.
IPS: Cosa potrebbe migliorare nel vostro lavoro?
TH: La cosa importante per noi è sapere come proseguire. Molte volte non
sappiamo, o l'informazione arriva in ritardo. Il centro per i diritti di
Budapest ci aiuta parecchio, come pure diverse OnG. Il punto chiave rimane
ancora che non riusciamo a persuadere le autorità locali ad occuparsi dei
problemi di Rom.
Di Fabrizio (del 22/10/2007 @ 09:38:12, in Europa, visitato 2010 volte)
Romania: il sogno rom di una sanità migliore
19.10.2007 - Nonostante la retorica secondo cui la salute dei rom costituisce
una priorità, le autorità rumene mancano i loro impegni nel migliorare la
situazione nel maggior insediamento rom di Bucarest. Nostra traduzione
Di Marian Chiriac e Daniel Ganga* da Bucarest -
BIRN (tit. orig "Roma
Dream of Better Health in Romania", pubblicato il 26 settembre 2009)
Traduzione per Osservatorio: Marzia Bona
Quasi ogni mattina, appena si fa giorno, Gogu prende il suo carretto carico di
cianfrusaglie e rottami metallici e lentamente lo trascina fino al centro di
riciclaggio. Scarica lì il suo carretto e in cambio riceve una modica somma di
denaro, con cui riesce appena a pagarsi il cibo per la giornata. Quindi se
ne torna a casa.
Quello che fa ogni giorno Gogu, conosciuto anche come Ion Gogonet, non è niente
di insolito per molte delle persone che vivono a Ferentari. Situata all’estema
periferia sud di Bucarest, Ferentari è un grande quartiere a metà fra lo slum ed
il ghetto.
Molti magazzini, un paio di bar che lasciano alquanto a desiderare, qualche
negozio in pessime condizioni, un parco che sembra più grigio che verde e una
mensa gratuita per i poveri, questa è Zabrautului Street.
La zona è nota per i suoi monolocali in brutti palazzi a cinque piani, con i
panni stesi fuori ad asciugare e piccole finestre dalle quali in ogni momento
spunta la testa di una donna che grida ai bambini che giocano a palla di sotto,
fianco a fianco con i cani che rovistano nella spazzatura.
Qui, in questo mondo stile-ghetto sporco ma vivace, vive Ion Gogonet, un rom di
50 anni.
Il suo monolocale è di appena sedici metri quadrati; comprende una piccola
cucina e un bagno di tre metri quadrati. Ad ogni modo è allacciato alla rete
elettrica e al sistema di acqua corrente, il che secondo chi ci abita non è
poco, da quando non molto tempo fa gli edifici sono stati privati di questo
genere di servizi di base.
Qui è dove vive la famiglia di Gogonet: la sua compagna, Ilie Stela, 33 anni, e
tre bambini – due dei quali frequentano ancora le scuole elementari. Il loro
padre dorme in un altro letto perché in passato ha avuto la tubercolosi. Ha 72
buchi nei polmoni, e la vita in un contesto povero e insalubre lo hanno reso
infermo. Eppure, rifiuta di vedere un medico, in parte per negligenza e in parte
per pudore e paura che lo sappiano i suoi amici.
Solo due anni fa un assistente sanitario è riuscito a convincerlo ad iniziare il
trattamento per la TB.
Adesso sta bene, anche se soffre ancora dei postumi. Almeno adesso non è più
contagioso.
Gogonet è solo uno dei beneficiari della campagna di prevenzione e trattamento
della TB avviata da svariate ONG, principalmente americane, e finanziata dall’USAID,
l’Agenzia Internazionale degli Stati Uniti per lo Sviluppo.
Il motivo per cui è stata pensata questa campagna è che la Romania ha il più
alto tasso europeo di incidenza della tubercolosi, ed il numero di casi è
raddoppiato negli anni ’90. Secondo le statistiche ufficiali, nel 2006,
l’incidenza della TB in Romania era di 117,8 casi ogni 1000 abitanti.
In ogni caso, secondo i dati epidemiologici, la comunità rom è circa 10 volte
più colpita dalla TB rispetto al resto della popolazione. Fra le cause di ciò ci
sono l’accesso limitato ai servizi sanitari pubblici, una scarsa conoscenza in
materia sanitaria, l’analfabetismo diffuso, le condizioni di vita in luoghi
affollati ed insalubri e la povertà in generale.
Taves Batalo!
I rom si salutano fra loro ogni giorno con l’espressione taves batalo – che
significa “Stai bene”. La salute viene apprezzata da chiunque indipendentemente
dalla sua origine etnica, specialmente in Romania dove il sistema sanitario
pubblico si trova ancora in condizioni critiche.
Secondo un’inchiesta condotta in aprile dal Romanian Center for Economic
Policies, CEROPE, la quota erogata per la salute in Romania è di soli 470 $
annui pro capite, ben al di sotto della media mondiale di 650 $ a persona.
“La Romania è in una situazione negativa per ciò che riguarda il servizio
medico, con una distribuzione regionale insoddisfacente, in cui le aree rurali e
le comunità più povere che vivono ai margini della società risultano le più
svantaggiate”, sottolinea l’inchiesta.
“Una spiegazione si trova nell’insufficente finanziamento del servizio di salute
pubblica, assieme alla crisi prolungata del fondo di assicurazione sanitaria e
allo scarso budget destinato al settore, attorno al 3 -4% del PIL, in netto
contrasto rispetto all’8 -9% dei paesi più sviluppati d’Europa”.
In questo già difficile quadro, i rom si distinguono per la posizione negativa
che occupano.
Ufficialmente sono 550.000 le persone di etnia rom, che corrisponderebbero al
2,6% dei 21 milioni di abitanti della Romania. Ma molti studi e statistiche
sostengono che il numero si aggiri attorno ad 1- 1,5 milioni.
La situazione a Ferentari è particolarmente allarmante. A soli 8 chilometri dal
centro di Bucarest, molte migliaia di rom vivono in condizioni spaventose.
“Non c’è niente che possiamo fare, figlio mio. E’ così che sono abituati a
vivere. Il camion della spazzatura non viene quasi mai da queste parti, ma il
fatto è che sono le persone a non meritarselo. Non è come quando Ceausescu era
vivo, le persone erano più rispettose, perché avevano paura”, dice una donna
anziana, ricordando i giorni del dittatore comunista, Nicolae Ceausescu, mentre
vende semi di girasole tostati.
Uno dei problemi principali della zona è che le persone non hanno un lavoro
stabile, fatto che impedisce loro di contrarre un’assicurazione medica.
“Se non hai un documento di lavoro o un qualche certificazione del tuo datore
che dica che sei un contribuente, non puoi accedere ad un medico di famiglia. E’
qui che inizia il problema “, dice Ioana Constantin, assistente sanitaria a
Ferentari.
La gente reclama un centro medico per la zona. “Il più vicino si trova a 15
fermate d’autobus”. La distanza ed il costo delle corse sono scoraggianti. “In
effetti c’è un centro medico un po’ più vicino, ma è privato, e quindi caro”,
aggiunge Ioana.
Priorità, o no?
Finora, il ministero della Sanità non ha programmi espliciti per la comunità
rom. Questo in base all’idea che la malattia e la sofferenza non abbiano niente
a che vedere con la provenienza etnica di ciascuno.
A partire dal 2001, anno in cui la Romania ha adottato il regolamento europeo
che proibisce la classificazione dei pazienti in base all’etnia, non è più
disponibile alcun dato ufficiale sui problemi di salute dei rom.
Sorprendentemente, si sente spesso dire che i rom siano il principale
destinatario delle strategie governative di promozione della salute e di lotta
alla povertà. Ad ogni modo, non c’è molto che il ministero della Sanità possa
fare per la gente di Ferentari.
“Attualmete, la zona non rientra fra le priorità del ministero. Le cose
potrebbero cambiare solo se l’Autorità per la Salute Pubblica di Bucarest, ASPB,
o qualche ONG, identificassero dei problemi specifici e proponessero un piano
concreto per migliorare le condizioni della zona”, dice la dottoressa Hanna
Dobronauteanu, consigliere per la questione rom presso il ministero della
Sanità.
Per ora a Ferentari – in mancanza di un impegno sostanziale e di lungo termine
da parte del governo - solo le iniziative o i progetti delle singole ONG
sembrano portare risultati, pur rimanendo limitate negli scopi.
Centinaia di migliaia di euro sono stati spesi in ogni tipo di programma,
compresa la lotta alla TB, l’ educazione sessuale e la pianificazione familiare,
la diagnosi del tumore al seno e altri programmi. Ma tutto ciò, finora, sta
producendo pochi risultati visibili.
“I progetti portati avanti fino a questo momento dovrebbero essere solo l’inizio
di una campagna ampia e coerente pensata rispetto ai complessi problemi di
salute della popolazione di Ferentari”, dice Alina Constantinescu, un’attivista
dell’organizazione americana Doctors of the World.
“Di certo sono stati molti utili, ma non sempre indirizzati alle necessità più
stringenti”.
“”Le cause reali sono la povertà, la disoccupazione e la mancanza di
educazione”, continua la Constantinescu, e avverte: “Inoltre, da quando la
Romania è entrata nell’Unione Europea, gli Stati Uniti ed altri paesi
occidentali hanno smesso di finanziare molti progetti ritenendo che il nostro
paese ora sia in grado di risolvere da solo i propri problemi. Personalmente lo
dubito.”
Pianificare è ciò che facciamo meglio!
Rispetto alla questione rom, il ministero della Sanità sostiene il ruolo degli
assistenti sanitari, membri della comunità locale, formati per facilitare la
comunicazione fra i pazienti ed i loro medici. Di conseguenza, i 500 assistenti
che attualmente lavorano in Romania – tutte donne- devono entrare nelle case
della gente, capire i loro problemi e tentare di risolverli.
Effettivamente, non si limitano alla cura dei problemi di salute, ma aiutano i
membri della comunità rom anche ad ottenere i documenti d’identità e i
certificati di nascita, oltre a trasmettere alle autorità i problemi sociali
riscontrati.
Anche se con l’intervento degli assistenti sanitari sono stati fatti molti passi
in avanti, i problemi sono ancora distanti dall’essere risolti. Anzitutto, il
loro impiego è a tempo determinato, normalmente un anno, dopodiché i loro
contratti vengono rinnovati per un altro anno, cosa che li rende estremamente
precari.
In secondo luogo il loro salario - pagato dall’Autorità per la Salute Pubblica -
è lontano dall’essere soddisfacente, 125 euro nel migliore dei casi.
Inoltre, rimangono le difficoltà d’accesso da parte dei rom ai servizi di salute
pubblica. Mentre il ministero della Sanità sostiene che siano migliorate, le ONG
locali sono di un'altra opinione.
Daniel Radulescu, coordinatore del progetto salute dell’organizzazione rom
Romani Criss, dice: “Anche se ora sono molte di più le persone affiliate ad un
medico, ciò non significa che abbiano un accesso effettivo ai servizi erogati.
Molto spesso, ci vengono testimoniate attitudini razziste da parte dei medici.”
Anche il Segretario del Ministro della Sanità, Ervin Zoltan Szekely, conferma
l’esistenza di questi casi. “Recentemente siamo stati informati di una donna rom
che ha sporto un reclamo per non aver ricevuto un’assistenza medica adeguata,
dovendo così affrontare serie complicazioni nel dare alla luce suo figlio.
Accertato l’accaduto è stata imposta una sanzione disciplinare al medico, ma non
per comportamento discriminatorio, bensì per aver fornito un’assistenza medica
inadeguata. In sostanza, il medico non è stato ripreso per discriminazione,
perché questo comportamento risulta difficile da provare.”
Romani Criss segue anche casi di segregazione all’interno degli ospedali – cosa
illegale in Romania – ma ammette che anche queste circostanze sono difficili da
provare. “La discriminazione e la segregazione non sono stati la nostra priorità
finora, ma stiamo pensando di includere questi aspetti fra gli obbiettivi delle
nostre indagini”, dice Szekely.
Molti rom sperano che tali promesse possano segnare un effettivo miglioramento
nell’attitudine ufficiale, migliorando l’accesso ai servizi sanitari per la loro
comunità.
* Marian Chiriac è Direttore di BIRN in Romania e Daniel Ganga è giornalista
freelance. Balkan Insight è una pubblicazione on line della rivista BIRN.
Di Fabrizio (del 19/10/2007 @ 09:33:03, in Europa, visitato 1912 volte)
Da
Mundo_Gitano
Madrid (España)/11 de octubre de 2007/(CIMAC/ AmecoPress) .- Rosalía Vázquez,
esperta di cultura e tradizioni gitane e sin da giovane interessata nella
partecipazione al movimento associativo gitano, parla della storica
discriminazione che soffrono le persone Gitane, soprattutto le donne, e sulla
necessità di rompere con questa.
Nel 1980 fondò la Asociación Gitana de Cantabria, e co-fondatrice di Unión
Romaní e, nel 1995 fondò la Asociación de Mujeres Gitanas ALBOREÁ. Attualmente è
portavoce del Consejo Estatal del Pueblo Gitano e Presidente della Federación
Nacional de Mujeres Gitanas (Kamira), una piattaforma che riunisce 14
associazioni di donne gitane in tutta la Spagna
Perché una Federazione delle donne gitane?
La Federazione ha circa sei anni, e riunisce tutte le Associazioni per essere
più forti e creare un progetto comune e un'unità di visione. Non è solo una
Federazione spagnola, ma nasce con vocazione europea e di proiettarci nelle
istituzioni come il Consiglio Europeo Gitano. Come programmi di base, la
Federazione alfabetizza e prepara le donne perché abbiano un posto di lavoro e
siano visibili nella società.
Come sono considerate le donne nella cultura gitana?
Le donne gitane, sia dentro che fuori la cultura gitana, hanno sofferto
discriminazioni. Solo per essere gitane sono state perseguitate nelle decadi
passate, con leggi contro di noi. Arrivammo nel 1425 e già con i Re cattolici si
promulgò la prima legge di persecuzione. Ora siamo dimenticate in un angolo, in
un angolo c'è la cultura gitana e nel fondo, ci sono le donne gitane. Non ci
hanno permesso di svilupparci e sinora abbiamo potuto soltanto sviluppare la
sopravvivenza.
Il ruolo delle donne nella cultura gitana è sempre stato rimanere coi nostri
figli ed aiutare i mariti perché non abbiamo avuto altri spazi. Come donne
abbiamo capito che siamo il motore del cambio in tutti i popoli, non solo quello
gitano. La Spagna è avanzata assieme alle donne. Intendiamo che l'educazione e
la formazione sono gli strumenti più efficaci per lo sviluppo personale e
collettivo del nostro popolo. Da qui siamo interessate nel dare educazione alle
nostre figlie perché abbiano un futuro sicuro.
Le donne gitane si sono evolute negli anni?
Ci siamo svegliate e sappiamo che dobbiamo essere integrate nella società e
lottare. Attraverso le associazioni e le federazioni gitane ci uniamo e
riflettiamo su cosa conviene fare secondo le necessità del popolo gitano.
Esaminiamo la nostra cultura e tradizioni.
Ci sono ghetti che non sono progrediti però ci sono dei gitani che
collettivamente si sono svegliati e ci hanno motivato per uscire da una
situazione di marginalità. Ci sono gitane universitarie, e le madri chiedono che
le nostre figlie stiano negli organi direttivi, nella politica, nelle
istituzioni del governo. La nostra lotta è per questo, vogliamo lavorare e che
le nostre donne non siano più invisibili.
Il popolo gitano non può più continuare ad essere invisibile. Le donne gitane
hanno compreso il nostro lavoro e vogliono conquistare spazi come stanno facendo
le donne non gitane, non vogliamo restare in disparte ma lavorare assieme a
loro. Le istituzioni pubbliche e politiche sono quelle che devono dare spazio
alle donne gitane.
Che tipo di discriminazioni si incontrano dentro e fuori la cultura
gitana?
Le donne sono in generale discriminate e le donne gitane, doppiamente. Siamo
invisibili e non ci danno spazi per svilupparci e partecipare. Questi spazi
devono arrivarci dalle istituzioni, come ricorda la nostra Costituzione
spagnola. Noi lottiamo, ma sono le amministrazioni, centrali ed autonomiste,
quelle che devono appoggiarci per compiere la Costituzione.Non abbiamo bisogno
di un aiuto paternalista, abbiamo bisogno di ascolto ed appoggio.
In Andalusia, il governo autonomista ha dato spazio ai collettivi gitani;
senza dubbio, il nord della Spagna è ad anni luce, se non siamo discriminate
dalle istituzioni stesse.
Cosa credi che possa adottarsi per finire con la discriminazione?
Darci più possibilità non solo consiste, per un'Associazione, nello sperare
in un progetto di sviluppo, perché questo da solo è niente. C'è da colmare un
debito storico nell'offrire una vera educazione alle nostre famiglie, e avere
rispetto come gitani.
Intendiamo che l'educazione è la cosa più importante per uscire dalla
marginalizzazione: con l'educazione, il resto viene per aggiunta. Nella misura
in cui otterremo formazione potremo essere indipendenti, esporre le nostre idee
e svilupparle. Le istituzioni debbono appoggiare e rinsaldare questa educazione
però senza farci smettere di essere gitane.
E' molto difficile essere donne del secolo XXI ed essere gitane, vogliamo
portare la nostra essenza e valori col rispetto ai nostri anziani e all'unità
familiare. A volte per acquisire conoscenze, dobbiamo smettere di essere gitane,
e non vogliamo smettere di esserlo.
Il Governo ha fatto qualcosa di importante per l'integrazione delle
persone gitane?
Assolutamente niente. Siamo cittadine spagnole ed in tutte le iniziative
politiche siamo meno di zero. Occorre una discriminazione positiva perché le
donne gitane inizino ad essere visibili.
Attraverso i suoi 50 anni ha vissuto la discriminazione?
Ricordo quando ero bambina, con la dittatura franchista, c'erano negozi con
un cartello che proibiva l'ingresso a gitane e gitani. Le mie amiche entravano e
io restavo sulla porta aspettando che uscissero.
Adesso, per una ragione o per l'altra, continuo ad incontrare situazioni di
discriminazione. Non voglio che le mie figlie soffrano queste situazioni di
diseguaglianza e lotterò con le unghie e coi denti. Non vogliamo più essere
invisibili e lotteremo per un'uguaglianza di opportunità reale per le donne
gitane.
07/MC/GG/CV
Fuente: CIMAC NOTICIAS. Periodismo con perspectiva de género. México, D.F.
Tomado de:
http://colombia. indymedia. org/news/ 2007/10/73476. php
PRORROM
PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO
ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO [Organización Confederada a
Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)]
Di Fabrizio (del 05/10/2007 @ 08:59:49, in Europa, visitato 2297 volte)
Da
Romanian_Roma
Ancora, il Ministro della Sanità Pubblica (MSP) non ha programmi per la
comunità Rom, questo perché ritiene che il disagio e la sofferenza non abbiano
niente a che fare col retroterra etnico dei singoli. Dal 2001, anno in cui la
Romania ha adottato la normativa europea, che proibisce la classificazione su
base etnica, non ci sono dati ufficiali sul problema della sanità tra i Rom.
Abbastanza sorprendentemente, gli incaricati statali dicono spesso che i Rom
sono il gruppo privilegiato delle strategie governative per promuovere la sanità
e combattere la povertà. D'altra parte, non c'è molto che il ministro può fare
per la gente di
Ferentari. Dice Hanna Dobronauteanu ex consigliera per i problemi Rom
nel MSP "Al momento, l'area non è una priorità del MSP. Le cose potrebbero
cambiare solamente se l'Autorità per la Sanità Pubblica di Bucarest (ASPB) o
alcune OnG identificassero problemi specifichi ed arrivassero ad un piano
concreto per migliorare le condizioni dell'area".
Ma ora a Ferentari - nell'assenza di un sostanziale sforzo a lungo termine da
parte del governo - solo progetti ed iniziative delle OnG ottengono risultati,
limitati nello scopo.
Centinaia di migliaia di euro sono stati spesi per ogni tipo di programmi,
dalla lotta alla tubercolosi all'educazione sessuale (per uomini e donne) e
piani familiari, prevenzione del cancro al seno ecc. Ma tutto ciò è ancora
distante dal raggiungere risultati visibili.
"I programmi portati avanti finora dovrebbero essere soltanto l'introduzione
ad una grande, coerente campagna destinata a richiamare i complessi problemi di
salute della popolazione Rom di Ferentari. Di certo sono stati molto utili, ma
non sempre sono stati focalizzati sui bisogni più stringenti. Dietro, le vere
cause, che sono la povertà, la disoccupazione, la mancanza di scolarità" secondo
Alina Constantinescu, lavoratrice sociale dell'organizzazione sociale "Doctors
of the World". Ammonisce: "Inoltre, da quando la Romania è diventata stato
membro della UE, gli USA e gli altri stati occidentali hanno cessato di
finanziare progetti, ritenendo la Romania ormai in grado di risolvere i suoi
problemi da sola. Cosa di cui dubito..."
Nell'indirizzare le tematiche Rom, il MSP supporta solamente i mediatori
sanitari, che sono membri della comunità locale, per facilitare la comunicazione
tra popolo e medici.
Perciò, i 500 mediatori sanitari che lavorano in tutta la Romania - tutte
donne - devono entrare nelle case delle persone, identificare i problemi e
cercare le soluzioni.
Infatti, quello che fanno non è solo occuparsi dei problemi relativi alla
sanità, ma anche aiutare i Rom ad ottenere documenti di identità o certificati
di nascita o riportare i loro problemi sociali alle autorità.
Anche se, con l'aiuto dei mediatori sanitari, sono state prese misure
significative, i problemi sono lontani dall'essere risolti. Primariamente, sono
impiegati per un periodo limitato, di solito un anno, e poi i loro contratti di
lavoro sono estesi per un altro anno, rendendo il lavoro meno sicuro. Poi il
loro salario - pagato dall'Autorità per la Sanità Pubblica - è lontano dal
motivarli, ammontando ad appena 400 RON (Euro 125) o meno al mese. Le
comunicazioni con i medici non sempre sono facili.
Inoltre, ci sono problemi legati all'accesso dei servizi sanitari pubblici.
Il MSP dicono che sono stati implementati,ma le OnG locali sono di opinione
differente. Daniel Radulescu, di Romani Criss, dice: "Anche se ora più persone
sono registrate, questo non significa che hanno ottenuto un pari accesso ai ai
servizi forniti. Molto spesso, i Rom ci informano che i dottori mostrano
attitudini razziste.
Anche Ervin Szekely, segretario statale del ministero, conferma l'esistenza
di casi simili. "Siamo stati recentemente informati su una donna Rom che ha
consegnato un reclamo per non avere ricevuto adeguata assistenza medica riguardo
ai seri problemi avuti con la nascita di suo figlio. Al medico sono state
imposte sanzioni, non per un atto di discriminazione, ma per avere mancato nel
provvedere adeguata assistenza medica. Così non è stato sanzionato per
discriminazione, perché è difficile da provare."
Romani Criss riporta anche istanze di segregazione in ospedale - che in
Romania è illegale - ma ammette che casi simili sono difficili da provare.
"Discriminazione e segregazione per lungo tempo non sono state tra le nostre
priorità. D'altra parte, stiamo pianificando come includere questi fenomeni nel
nostro lavoro di ricerca", dichiara Erwin Szekely.
DIVERS - www.divers.ro
Investigation published by Marian Chiriac, editor of DIVERS news bulletin
country, and Daniel Ganga, a freelance journalist of Roma origin.
This article is part of the Public Health Journalism and Roma Program, the
second edition, coordinated by Center for Independent Journalism Bucharest, and
supported by the Open Society Institute – New York.
Di Fabrizio (del 01/10/2007 @ 10:23:23, in Europa, visitato 2254 volte)
Da
Altrenotizie.org
Domenica, 30 Settembre 2007 - 13:30 - di Elena Ferrara
Nuovi, importanti e significativi passi in avanti nelle comunità dei 10 milioni
di Rom sparsi nel mondo. Ora è la volta della Bulgaria e della Russia e i
settori interessati sono quelli della televisione e del teatro. Tutto comincia
nella città bulgara di Vidin, nella parte nord occidentale del paese, dove
vengono organizzati i primi studi di una televisione tutta Rom. Si chiama
RomaTv ed è la prima emittente a carattere etnico. Ha come obiettivo quello
di contribuire all’integrazione della comunità zingara nella società bulgara e
nello stesso tempo cerca di sfatare molti miti di stampo negativo sui Rom che
sono stati costruiti nel corso degli anni. Alle trasmissioni vengono invitati
esponenti della comunità, ospiti stranieri, studiosi della storia Rom, psicologi
ed esponenti della vita locale. Si cerca di far uscire dal ghetto una minoranza
che è da sempre emarginata dal punto di vista mediatico e, quindi, da qualsiasi
tipo di “integrazione televisiva”. Per ora il raggio d’azione dell’emittente
è limitato ad alcune zone abitate prevalentemente da Rom, ma l’obiettivo
generale è quello di raggiungere un pubblico sempre più vasto uscendo anche dal
ristretto campo della tematica zingara. In pratica l’obiettivo degli
organizzatori di questa televisione consiste nello scendere sul terreno della
competitività con le altre società televisive.
Tutto questo perché esiste un problema di autoghettizzazione. Lo fa notare
Georgi Lozanov, esperto di media ed informazione, che è uno degli intellettuali
bulgari più autorevoli. E’ lui che punta a ricordare che il dare spazio ad una
comunità nel mondo mediatico significa aiutarla a modernizzarsi ma che, nello
stesso tempo, si rischia di dare vita ad un fenomeno negativo. Questo perchè nel
momento in cui una televisione di nicchia diviene l'intero mondo mediatico di
riferimento della comunità Rom, gli altri media non riescono a trovare canali
comunicativi che possano giungere fino alla stessa comunità. I Rom - rileva
Lozanov - hanno sempre più bisogno di un confronto, di una mediazione tra il
loro mondo e quello degli altri. E così il compito di questa emittente locale
consiste proprio nel tentare il miracolo della collaborazione e della
sensibilizzazione culturale.
Va ricordato che in Bulgaria la “questione zingara” è stata sempre un problema
aperto anche per il duro sistema socialista. E chi, allora, li chiamava
“zingari” rischiava una multa. Perchè si puntava ad assimilarli ai bulgari per
legge. Rifiutando così di ammettere l’esistenza ufficiale di una minoranza. Ma
le nuove condizioni “europee” stanno sempre più portando la Bulgaria a ripensare
ai propri rapporti con la comunità zingara, cercando di attuare un processo di
incontro che non annulli le tradizioni. Rispettando le suddivisioni sia su base
religiosa - professano la fede musulmana, cristiano ortodossa e vi sono anche
gruppi che appartengono a chiese protestanti - sia linguistica dal momento che
parlano differenti dialetti bulgari, il turco od il vlachi che è un dialetto
d'origine romena. Ed è a tutte queste tematiche che si riferisce la nuova tv.
Altra storia è quella che riguarda il teatro Rom, in Russia. Qui esiste già una
ben radicata tradizione che viene oggi portata come esempio a livello
internazionale. E tutto prende le mosse dalle recenti manifestazioni in onore
del 75mo anniversario del “Teatro zingaro, lirico-musicale” di Mosca che hanno
assunto un carattere eccezionale. Ai festeggiamenti sono intervenuti i massimi
esponenti dell’amministrazione presidenziale e i deputati della commissione
culturale della Duma. A fare gli onori di casa per questo singolare appuntamento
è stato un rappresentate di spicco della comunità zingara della Russia, il
cantante e regista Nikolaj Slicenko che dal 1977 è impegnato in questa campagna
di affermazione culturale dei Rom. Il teatro dove lavora - il “Romen” - è
appunto un vero e proprio laboratorio. Attori e cantanti sono tutti appartenenti
alla comunità zingara e portano sulla scena le migliori tradizioni della loro
arte.
Intanto in Russia - parallelamente - si va sempre più sviluppando l’attività
organizzativa dei Rom. Si è già svolto il congresso delle associazioni di tutti
gli zingari che si trovano nel territorio della Csi (in gran parte quello
dell’ex Urss) e si è formata una “Federazione delle autonomie zingare”. Alla
guida di questa importante struttura si trovano lo studioso Georghij Demetr che
si occupa della vita e della storia degli zingari dell’Europa centrale e il
regista capo del teatro “Romen”, Slicenko. E sempre in Russia - dove la
questione Rom sta assumendo una rilevanza nazionale - si rivedono, in
particolare, i vecchi regolamenti del periodo sovietico e si accettano le
situazioni che si sono andate “codificando” in questi ultimi anni. Esce uno
studio dei politologi Aleksej Muchin e Jana Zdorovez che, testimoniando i
progressi dei Rom russi, fornisce una serie di chiavi di interpretazione per
conoscerne a fondo la loro società. Si apprende così che gli zingari sono
presenti in tutto il territorio nazionale ed hanno precise organizzazioni locali
che si occupano dei tanti problemi che sorgono in relazione alle mutate
condizioni socio-economiche del Paese. In particolare nella città di Tver esiste
una associazione chiamata “Romanimos” che pubblica libri per i Rom nelle loro
lingue ed ha già presentato una edizione della Bibbia. Molte altre iniziative di
carattere sociale e culturale si segnalano in varie città siberiane. Ma è il
teatro moscovita “Romen” che fa comunque tendenza destando la maggiore
attenzione.
Di Fabrizio (del 25/09/2007 @ 09:05:29, in Europa, visitato 2249 volte)
Da
Czech_Roma
http://www.radio.cz/en/article/95623
Il governo ha annunciato un piano per fondare un'agenzia atta a combattere la
discriminazione e l'esclusione sociale delle minoranze, specialmente i Rom,
nelle città ceche. L'annuncio è stato fatto martedì da Dzamila Stehlikova -
ministra responsabile dei diritti umani. Il piano è stato approvato anche
dal Consiglio governativo per gli Affari Rom. Un rapporto stima circa 300
insediamenti (gli attivisti dicono sono molti di più) dove gli abitanti vivono
in condizioni insostenibili. Nella fase pilota del progetto l'agenzia affronterà
il problema dei ghetti in dieci città ceche.
Jan Veliger ha intervistato Kumar Vishwanathan, un operatore di comunità di
origine indiana conosciuto per il suo lavoro con la comunità Rom. Jan gli ha
chiesto se vede la creazione di una nuova agenzia governativa come un passo
positivo:
"Penso sia uno sviluppo benvenuto. Penso che era ora che una simile
agenzia venisse creata, perché negli scorsi sedici, diciassette anni le cose per
i Rom sono andate di male in peggio. L'esclusione sociale è cresciuta, la gente
ha perso il lavoro i Rom non erano preparati ai cambiamenti democratici ed
all'arrivo del libero mercato (sotto il comunismo avevano tutti un lavoro). I
Rom sono stati i primi a perdere il lavoro e la casa, il loro livello scolare è
molto basso, così penso che questo è un chiaro segnale che lo stato vede che i
problemi sono davvero seri e che qualcosa dev'essere fatto.
Le organizzazioni Rom hanno accolto favorevolmente questi sviluppi?
Penso che molte organizzazioni Rom siano davvero elettrizzate ed inoltre
alcune municipalità sono contente e si stanno unendo. La caduta del comunismo ha
portato ad una crescita delle organizzazioni Rom, come pure della
"consapevolezza" e dell'identità Rom, ed assieme c'è anche stato una specie di
approccio compassionevole da parte dei non-Rom nel fare qualcosa per i Rom che
sono in una situazione davvero brutta.
Un sacco di OnG sono cresciute come funghi sin quando la Repubblica Ceca
ha raggiunto la UE, quando buona parte dei fondi che arrivavano dall'estero si
sono spostati verso l'Ucraina e la Romania, cosa che ha fatto terminare alcune
OnG. Ora, molte piccole e sopravissute OnG che avevano svolto un buon lavoro a
livello di base, sperano di essere in grado di accedere ai fondi che permettano
di continuare il loro lavoro. I fondi UE dovrebbero avere anche una particolare
percentuale di co-finanziamento. E' dove le municipalità locali hanno un
importante ruolo chiave e di partner.
Il commissario per i diritti umani ha dichiarato che compito dell'agenzia
dovrebbe essere il lavoro con le famiglie al completo: come pensi che dovrebbe
essere questo lavoro?
Lavorare con le famiglie non significa "viziare" qualcuno. Penso
significhi identificare i bisogni e le barriere che le famiglie incontrano nel
processo di integrazione. I Rom trovano estremamente difficile muoversi in
alcuni spazi, , lo spazio sociale è molto limitato per i Rom, che arrivano da
località marginalizzate. Quindi quanti hanno desiderio di migliorare, affrontano
innumerevoli barriere. Far parte delle forze di polizia, dei servizi sociali,
del mercato del lavoro in termini di uguaglianza con chiunque altro: questo è
ciò di cui i Rom hanno bisogno e che resta ancora un sogno.
Di Fabrizio (del 22/09/2007 @ 09:53:45, in Europa, visitato 2563 volte)
scrive Mihaela Iordache
Secondo le autorità italiane il numero di rom di origine rumena in Italia
dopo il primo gennaio 2007 è aumentato. E si parla d'emergenza e rimpatri. Il
dibattito in Romania e in Europa
I rom che provengono dalla Romania preoccupano da tempo le autorità italiane che
sempre più spesso utilizzano rispetto alla questione il termine “emergenza”. Il
tragico episodio avvenuto a Livorno agli inizi di agosto, dove in un incendio
sono morti quattro bambini rom originari della Romania, ha richiamato
ulteriormente l’attenzione sull’esistenza stessa di queste persone che spesso
vivono in condizioni disumane.
Sull’opportunità di allestire campi rom si sono accese polemiche e scambiate
accuse tra autorità locali, centrali e europee. Alle dichiarazioni del premier
Prodi secondo il quale l’Italia non è preparata ad affrontare questo fenomeno -
relativamente recente per il paese - e che comunque si tratta di un problema
politico, l’Unione europea ha risposto categoricamente ribadendo che le regole
per l’integrazione dei rom esistono e che l’Italia come anche altri paesi
europei deve seguirle.
Il problema è complesso e l’argomento è comunque sensibile. Dove i rom
installano i loro campi - spesso abusivi - i residenti si lamentano per aspetti
che vanno dalle condizioni igieniche precarie fino ad episodi di criminalità di
cui si renderebbero responsabili. Spesso la situazione viene strumentalizzata
portando a gravi episodi di razzismo e violenza. Non raramente si arriva a
sgomberi che risolvono solo localmente la situazione, spostando il problema
altrove.
Secondo le autorità italiane si è verificato un aumento della presenza dei rom
in Italia dal primo di gennaio, quando la Romania è diventata membro dell’Unione
europea e i cittadini romeni di conseguenza cittadini comunitari. Questi ultimi
vengono in Italia spesso per sfuggire, in Romania, a una situazione di miseria e
discriminazione.
Dei circa sei milioni di rom che vivono nell'Ue quasi 2,5 milioni si trovano in
Romania, anche se l’ultimo censimento parla di 700.000 persone. In Romania i rom
sono considerati una minoranza e come le altre 16 minoranze etniche hanno
diritto ad un loro rappresentante nel Parlamento di Bucarest. Inoltre un
dipartimento speciale governativo si occupa dei problemi che li riguardano,
dalla discriminazione fino a progetti finanziati con fondi nazionali, europei ed
internazionali per favorire la loro integrazione.
Ciononostante l’Unione europea ha recentemente criticato aspramente il modo in
cui la Romania gestisce la questione dei rom. Il rapporto del 2007 sul razzismo
e xenofobia menziona ad esempio come nonostante alcune misure positive varate
dallo stato i rom continuino ad essere evacuati con la forza senza ricevere
alcuna abitazione in cambio.
Anche molte ong romene hanno segnalato evacuazioni forzate seguite da
demolizioni in alcune località della Romania. "Gran parte dei problemi dei rom
della Romania sono i problemi di altre comunità, di romeni o magiari. La povertà
non è una categoria etnica, non è qualcosa esclusivamente dei rom. Ma i rom si
confrontano con problemi specifici , come la discriminazione", spiega Ioan Gruia
Bumbu il presidente dell’Agenzia nazionale per i rom.
E' solo da poche settimane che il ministero romeno per l’Educazione ha varato un
decreto che vieta dall’anno scolastico 2007-2008 la costituzione di classi, sia
nelle scuole elementari che nelle medie, separate per i rom. Cosa che sino ad
ora è avvenuta regolarmente. Il clima dominante in Romania rispetto ai rom
emerge chiaramente da uno studio commissionato dalla Fondazione Soros e dalla
Banca Mondiale: tre quarti della popolazione non desidera abitare nelle
vicinanze degli “zingari”. I rom romeni per conservare le loro tradizioni e a
fronte di un’integrazione mai avvenuta (anche se imposta forzatamente durante il
regime di Ceausescu) vivono in vere e proprie enclave, comunità ben determinate,
luoghi spesso “ai margini” dove si riscontrano gravi problemi di criminalità.
In questo contesto le continue notizie che arrivano dai paesi europei tra cui
anche Italia e che trattano dell’emergenza rom hanno destato preoccupazione in
Romania, soprattutto per l’immagine negativa che si ritiene poi si rifletta su
tutti i cittadini romeni. I forum dei giornali e i siti delle tv sono pieni di
commenti spesso a carattere razzista. I romeni sono indignati perché si fa di
tutta l’erba un fascio ed in particolare si confonda tra rom, “di origine
indiana” (benché siano residenti in Romania perlomeno da sette secoli) e romeni,
“di origine latina”.
Con toni simili è intervenuto sul quotidiano italiano “Il giornale” anche l’ex
console della Romania a Milano, Mircea Gheordunescu, che ha spiegato che “non
tutti i romeni sono rom e che non tutti i rom sono romeni”. Come se i rom della
Romania non fossero a pieno titolo cittadini romeni. “L’equazione romeni uguale
rom è un "inganno” - ha proseguito il console perché - la gente tende a
generalizzare e a confondere troppo facilmente i due popoli”.
La questione rom non riguarda solo l’Italia bensì anche altri paesi Ue. In
Francia ad esempio, gli sgomberi sono continui e le autorità hanno offerto anche
denaro ai rom affinché tornassero in Romania: 150 euro per un adulto e 45 per un
bambino per i quasi 200 rom che abusivamente si erano istallati su un terreno
nelle vicinanze di Lione. Difficile credere questa possa essere una soluzione.
In base al diritto alla libera circolazione i rom possono stabilirsi in un paese
Ue per tre mesi. In Francia se vogliono prolungare il loro soggiorno dopo quella
data devono trovare un posto di lavoro, seguire studi o lavorare come liberi
professionisti. Ma naturalmente non è facile: confrontandosi con problemi di
discriminazione già nei paesi di provenienza quando poi arrivano in Francia, in
Italia, Spagna di solito i rom sono di solito privi di mezzi finanziari e hanno
uno scarso livello di formazione.
La visita del sindaco di Roma, Walter Veltroni, recatosi a fine giugno a
Bucarest dove ha insistito per un rimpatrio progressivo dei rom man mano che in
Romania si trova per loro un lavoro e un alloggio, in Romania ha destato
perplessità: si è da più parti sottolineato che ormai la libertà di movimento
non riguarda solo i capitali ma anche la forza lavoro ed i cittadini.
Secondo un rapporto annuale della Commissione europea contro il razzismo e le
intolleranze presentato al Parlamento Europeo il 23 novembre 2005 i rom sono la
popolazione più discriminata d'Europa. In Europa si calcola che viva un gruppo
di circa 9-12 milioni di persone. La Romania è la prima in classifica, con i
suoi 2,5 milioni, seguono poi Bulgaria, Spagna, Ungheria, Serbia, Slovacchia,
Francia, Russia, Regno Unito, Macedonia, Repubblica ceca e Grecia. L'Italia è al
quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa, che si aggira sui 120mila. Per
quanto riguarda Italia, secondo il Consiglio d'Europa, il paese non ha una
politica chiara per i rom. Mancano regole precise tra l'altro in materia di
documenti d'identità e di soggiorno.
Intanto a Roma sono in corso da mesi lavori in vista di una conferenza
dell’ottobre prossimo a cui dovrebbero partecipare le associazioni che li
rappresentano. Un tentativo per capire come affrontare questa problematica
complessa.
Di Fabrizio (del 19/09/2007 @ 09:41:33, in Europa, visitato 1711 volte)
Si possono trovare scritte contro i Turchi e contro i Rom sui muri di Sofia, come dappertutto nei Balcani. Ma in Bulgaria gli slogan sono transitati ad un livello superiore ed appaiono sulle fiancate delle macchine.
Come i suoi vicini balcanici, la Bulgaria ha una significativa popolazione di minoranza, inclusa l'etnia Turca (circa il 10% della popolazione) e Rom (forse oltre l'8%). L'etnia Turca ha creato un potente partito, il Movimento per i Diritti e la Libertà, che è presente nella coalizione di governo e conta ministri in posizioni chiave. Il suo successo ha generato risentimento nella maggioranza della popolazione. I Rom [...]non hanno virtualmente partito e soffrono discriminazioni a tutti i livelli della società, in Bulgaria come negli altri stati europei.
Nel 2005, gli slogan dipinti sui muri si evolserono in un nuovo partito politico, Ataka. Fondato da Volen Siderov, proprietario di una stazione TV, sull'onda del successo di Silvio Berlusconi in Italia, Ataka ha capitalizzato i sentimenti anti-governativi, la percezione pubblica di corruzione attorno al partito dell'etnia Turca, e un profondo sentimento di razzismo. Il mantra della sua campagna elettorale fu il piuttosto scontato "La Bulgaria ai Bulgari" (non è chiaro se qualcuno recentemente abbia fatto un'offerta in questo senso). Secondo una ricerca del Comitato di Helsinki in Bulgaria, le attitudini negative verso le minoranze etniche sono gradualmente ma significativamente scese dal 1992 al 1997. Alla domanda se si potesse appoggiare un valido candidato Rom, per esempio, l'82% delle risposte erano no nel 1992,ma soltanto il 66% nel 1997. Nel 2005 col sorgere di Ataka, la percentuale di no risalì al 76%.
Ataka ha ottenuto l'8% dei voti nelle elezioni del 2005. Alcuni sondaggi hanno mostrato che la sua popolarità è precipitosamente cresciuta sino al 14%, in occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo del 2007. I rappresentanti di Ataka nel Parlamento Europeo hanno formato una coalizione chiamata Identità Tradizione e Sovranità, assieme a partiti come il Fronte Nazionale Francese, i neo-fascisti Italiani, e lo xenofobo Partito Liberale Austriaco. Una coalizione multinazionale di xenofobi può sembrare una contraddizione in termini, ma il progetto europeo di integrazione ha generato una strana prole.
Per quanto il razzismo permei le attitudini e le istituzioni bulgare, Ataka non ha portato ad una significativa crescita della violenza, e non ha trasformato il panorama politico del paese. Effettivamente, sembra come se Ataka si sia trasformata. Con il supporto stagnante e forse declinante, il partito cerca aiuto nei collegi elettorali da opporre alla coalizione governativa che include realisti, ex-comunisti e pro turchi.. Questo potrebbe spiegare l'apparizione nella stazione TV di Ataka di temi legati alla comunità Rom. John Feffer is the co-director of Foreign Policy In Focus at the Institute for Policy Studies
Di Fabrizio (del 14/09/2007 @ 10:05:47, in Europa, visitato 1816 volte)
Da
Abitare a Roma
Francia, Germania e Spagna sembrano essere più avanti nella ricerca di
una soluzione efficace
di Laura Roxana Neamtu
La vicenda dei quattro bambini Rom morti nella periferia di Livorno, nella notte
di venerdi, 10 agosto è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da mesi
si discute del problema nomadi in Italia, ma questa volta la questione è
diventata un caso politico a livello europeo.
E stato l’intervento del presidente del Consiglio, Romano Prodi, in seguito alla
tragedia di Livorno ad innescare una reazione a catena. “Quello dei Rom - ha
affermato il premier - è un problema politico. L’Europa ha risolto molti
problemi interetnici, ma non quello dei rom.”
La Commissione Europea, nelle vesti di Katharina Von Schnurbein, portavoce del
Commissario agli Affari sociali e alle Pari Opportunità ha risposto per le rime:
"Dal 2000 esiste una legislazione sul tema, la direttiva contro la
discriminazione basata sulla razza e le origini etniche. Attualmente stiamo
valutando l'effettiva trasposizione della direttiva (nella legislazione dei
singoli stati) e lo scorso giugno abbiamo inviato una notifica formale
(equivalente al primo passo di un procedimento di infrazione, ndr) a 14 stati
membri, inclusa l'Italia".
Pronta la replica del Ministero dell’Interno, il quale precisa che la direttiva
in questione è già stata applicata nel 2003, con il decreto legislativo nr. 215,
ritenuto non soddisfacente su tre aspetti, che però “non riguardano la specifica
questione dei rom”.
Due punti di vista contrapposti, quindi, quella dell’Italia e della C.E., sulla
gestione italiana della questione rom. Vedute diverse, che non tolgono però il
fatto che l’Italia si sta effettivamente trascinando addosso, oramai da anni, un
problema che oggi viene comunemente - e non a a caso- definito “emergenza rom”.
In Italia sono 160 mila, di cui 70 mila con cittadinanza italiana e 90 mila
provenienti dai Balcani; un popolo con una alta percentule di minori ( ben 60% )
che vive in condizioni igienico- sanitarie pessime: spesso nei campi rom
autorizzati e controllati dal comuni( all’incirca un centinaio in tutto il
paese); più spesso ancora nei campi abusivi dove “spuntano” roulotte, tende,
strutture di legno e metallo senza alcun tipo di sicurezza e dove accade, non
poche volte, che bimbi piccoli perdano la vita a causa di una stufa o di una
bombola di gas. Eppure il Viminale dichiara di aver applicato la direttiva della
Commissione Europea, la direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 che attua il
principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza
e dall’origine etnica. Perché le buone intenzioni non hanno avuto altrettanto
buoni risultati? Forse perché la direttiva in questione non indica un modello
esecutivo unico per fronteggiare la questione rom. Questo è quanto risulta dalla
dichiarazione di Maria Ochoa-Llido, responsabile del Dipartimento rom e migranti
del Consiglio d’Europa, secondo la quale ”purtroppo non esiste un modello unico
per affrontare la questione. La situazione varia da paese a paese e ogni governo
affronta la questione con un proprio approccio politico”.
E pare che le soluzioni adottate dagli altri paesi della CE non abbiano prodotto
i risultati sperati, ma almeno su qualche punto risultino soddisfacenti:
prendiamo il caso della Spagna, con una delle comunità gitane più popolose( qusi
800mila persone): qui i campi nomadi non esistono quasi più, la maggior parte
dei rom vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, chi non
riesce a trovare un impiego riceve un sussidio di quasi 700 euro al mese per sei
mesi. Resta comunque alto il tasso di criminalità, ma non si può certo parlare
di emergenza rom.
Anche la Francia pare sia riucita a affrontare la questione con la legge Besson
del 2000 e quella voluta nel febbraio 2003 dal attuale presidente, Nicolas
Sarkozy. La legge Besson prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti
sia dotata di un’ area di accoglienza, la legge sulla sicurezza interna voluta
da Nicolas Sarkozy contempla sanzioni pesanti per chi non rispetta le regole dei
campi.
Spesso però molti gitani vivono in case popolari, lavorano e se sono disoccupati
per sei mesi, ricevono un sussidio; i diritti sono però accompagnati dai doveri:
l’accattonaggio e l’elemosina sono vietati e per i genitori che non mandano i
figli a scuola il diritto alla casa, agli assegni familiari, e al sussidio in
caso di disoccupazione si trasforma in una bolla di sapone.
I 130mila rom che vivono invece in Germania sono considerati per legge
“minoranza nazionale”, il che implica il fatto che i rom dispongono di molti più
diritti, rispetto ai “nomadi” italiani- in Italia la minoranza rom non è
considerata minoranza nazionale- ma anche di altrettanti doveri Secondo i
Rapporti del Consiglio Europeo in Italia invece “non si riscontra a livello
nazionale un coordinamento. E in assenza di una guida a livello nazionale, la
questione non potrà mai essere affrontata in modo valido”
Di Fabrizio (del 06/09/2007 @ 09:47:11, in Europa, visitato 1898 volte)
Da
Macedonian_Roma
E' vietato ai Rom l'ingresso al caffè bar "Kartel", sulla riva del fiume
Vardar, nel centro di Skopje. Pochi giorni fa un gruppo di sette giovani Rom,
Alen Hasan, Daniel Petrovski, Leila Amet, Gilbert Mamut, Alberto Mamut, Selina
Alieva e Nexharije Muratova, volevano prendere un caffé da "Kartel", ma il
cameriere ha detto loro che non potevano sedersi senza una prenotazione. I
giovani Rom hanno chiesto a chi avrebbero dovuto rivolgersi, ed il cameriere ha
risposto che dovevano parlare col proprietario. I giovani Rom aggiungono che
durante la loro discussione col manager del bar, altri clienti entravano e si
sedevano senza ulteriori richieste del cameriere e senza prenotazione.
La discussione col manager è terminata quando questi ha detto: "Non vogliamo
Rom. Sono un danno alla nostra reputazione".
Alcuni di questi Rom erano in vacanza in Macedonia dalla Francia. "Cose così
là non accadono. Siamo tutti uguali. Sono tornato nel mio paese e mi hanno detto
che c'era un bel bar lungo il viale. Sfortunatamente, la cultura di qualcuno è
di basso livello." dice Gilbert Mamut.
In Macedonia d'altronde, aggiunge il resto del gruppo, questa sta diventando
la norma quotidiana per i Rom. "Siamo una nazione di fronte a grandi
discriminazioni, e nessuno ci accetta come cittadini uguali agli altri,
nonostante il fatto che siamo leali allo Stato", è il loro commento.
I Rom affrontano tuttora discriminazioni, dicono diversi studenti che di
propria iniziativa, hanno compilato una lista di tutti i casi dove i Rom sono
bersagli di apparenti discriminazioni.
Dicono gli studenti: "Abbiamo condotto l'iniziativa indipendentemente. Stiamo
ancora raccogliendo informazioni. La lista dei bar che hanno -regole- simili a
Kartel è molto lunga. Non è un evento isolato. Ne abbiamo registrato più di 50,
gli stessi casi o simili."
I Rom continuano ad essere la comunità più discriminata nella Repubblica di
Macedonia, conclude Iso Rusi, Presidente del Comitato di Helsinki per i Diritti
Umani in Macedona. Dice che il progetto del "Decennio Rom" che aveva lo scopo di
includere attivamente i Rom nella società, appare una "bugia multicolore" ed i
Rom sono una comunità etnica a cui nessuno presta attenzione.
Conclude Rusi: "Il numero dei partiti politici Rom sta crescendo, ma
sono ancora lontani dall'articolare effettivamente i loro problemi. Dubito che i
partiti Rom nella regione stiano contribuendo al miglioramento della loro
situazione, che può essere descritta come catastrofica, ed i Rom sono il miglior
esempio che non esiste uno "stato campione" che abbia regolato le relazioni
interetniche in maniera decente."
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