Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 31/01/2006 @ 10:11:45, in casa, visitato 3136 volte)
Romani CRISS Roma Center for Social Intervention and Studies 19, Buzesti St., Sector 1Bucharest – Romania Tel: 004 021/ 231 41 44 - Fax: 004 021/ 310 70 70 criss@romanicriss.org
25 gennaio 2006
COMUNICATO STAMPA
Ieri, 24 gennaio 2006, sono state demolite 7 case di Rom in strada Chitila Triaj a Bucarest. La decisione era stata presa dalla maggioranza del consiglio distrettuale 1. Il giorno prima della decisione, i Rom in questione sono stati avvertiti a voce che le loro case sarebbero state demolite.
Una delegazione di Romani CRISS ha assistito alla scena: sul posto erano presenti la polizia (arrivata con una camionetta e 10 auto, incluse le forze speciali di intervento), gendarmi e rappresentanti del distretto municipale. Inizialmente, a Romani CRISS è stato proibito l'ingresso nell'area, per quanto la delegazione si trovasse sulla pubblica strada a circa 500m. dalla scena. A circa 50 Rom le cui case venivano demolite, non è stato permesso di prendere niente dai loro alloggi, nemmeno i documenti di identità. Tutte le proprietà (mobili, vestiti, apparecchiature elettroniche) sono state impacchettate e requisite dalla polizia, senza alcuna lista o verbale.
La testimonianza di Zamfir Zamfirel (a cui è stata demolita la casa): “Dove pensano che vada? Hanno distrutto la mia casa, lasciando fuori mia moglie con in braccio nostro figlio di un anno, solo un vestito leggero per tutti e due e senza poter nemmeno rientrare a prendere le scarpe o qualcosa da metterci. Non abbiamo neanche potuto prendere qualcosa da mangiare”.
I Rom denunciano di essere stati minacciati e malmenati; un ufficiale di polizia avrebbe colpito un Rom col calcio del fucile in un occhio, un membro di Romani CRISS ha poi accompagnato il ferito in ospedale. Un'altra persona malmenata è stata portata in ambulanza all'ospedale Matei Bals.
Romani CRISS esprime la propria preoccupazione riguardo la demolizione abusiva delle case, specialmente quando ciò avviene senza precedente comunicazione scritta, con decisione irrevocabile del tribunale e quando la temperatura esterna è di -15 º C. In aggiunta, non è stata prevista alcuna sistemazione alternativa, though mandatory under international legislation. Tutto ciò genera, secondo la nostra opinione, la violazione di una serie di standards minimi riguardo gli sgomberi e le demolizioni.
“Attendiamo una rapporto ufficiale su quanto accaduto, sia da parte dell'amministrazione distrettuale, che da parte del Governo e delle forze politiche” ha dichiarato Magda Matache, direttrice esecutiva di Romani CRISS. In seguito, informeremo l'opinione pubblica, il governo, la presidenza e le istanze nazionali e internazionali sulla situazione. [...] Intendiamo denunciare in tribunale l'intreccio di responsabilità che ha portato a questa azione di distruzione di proprietà e violazione di domicilio.
Cezara David PR Coordinator
Fonte: Roma_Rights
Di Fabrizio (del 31/01/2006 @ 09:11:58, in Italia, visitato 2599 volte)
Dopo l'indigestione dei giorni scorsi, m'ero ripromesso di non tornare sulla Settimana della Memoria. Proposito non mantenuto, per una lettera che mi è arrivata domenica. Ho il permesso di ripubblicarla:Ciao come va? Vorrei raccontarti della mia esperienza all'Holocaust Memorial Museum di Washington DC. se hai tempo/spazio magari... mi farebbe piacere dividere con te quanto accaduto. Sono ormai anni che continuo ad affannarmi nel ricercare informazioni riguardo la deportazione di alcuni membri della mia famiglia al campo di Jasenovac. Ho appena compiuto 29 anni, per ironia della sorte il 27 Gennaio. Ogni compleanno lo passo pensando alla storia della mia famiglia e tutti i misteri di chi non ha voluto ricordare, condividere il dolore e le memorie con noi, ultimi arrivati. Doveva essere stato davvero brutto venire dalla Jugoslavija negli anni della guerra... sfuggire a due pulizie etniche: alle Foibe e ai Partigiani... La mia nonna aveva sposato un italiano, che rabbia a casa sua... lei e la sorella erano venute in Italia per cercare una vita migliore disonorando la famiglia con una tale scelta. Dopo la deportazione del padre e di altri parenti la mia nonna decise di riattraversare le linee e i campi di battaglia per andare a casa a cercare i suoi cari... aveva due bambini con sè e uno nella pancia... Mio zio, infatti, è nato in Istrija a Pola Jugoslavija (come scritto buffamente sulla sua carta di identità!). La nonna è tornata su un dragamine americano con i sui tre bambini... perchè i Partigiani titini avevano deciso di espellere gli italiani... e di nuovo in viaggio... Mio padre è nato in Italia... mia nonna non ha mai voluto insegnare ai figli la sua lingua e nessuno l'ha conservata... La nonna è morta con un cognome diverso dal suo...una cosa che a me fa male. Io ho studiato Filologia e Storia dell'Europa Orientale, sono tornata nella ex-Jugoslavia tante volte. Sarajevo è nel mio cuore tanto quanto Belgrado... la Croazia un po' di meno però quando posso tornare nella terra della mia famiglia il mio cuore si riempie di gioia e vorrei che anche gli altri miei parenti potessero capire quanto mi importa che non si dimentichi. Per motivi di ricerca ho contattato alcuni tra i più eminenti professori e su consiglio di uno in particolare sono andata a Washington DC al Museo dell'Olocausto ed ho chiesto agli illustrissimi ricercatori perchè per il campo di Jasenovac c'era solo una misera candelina... Ho domandato perchè di un museo di 4 enormi piani non ci fosse che una parete e poco più dedicata agli Zingari. Mi hanno risposto che erano dispiaciuti ma... è una questione anche di finanziamenti e che le borse di studio vanno solo ai dottorandi e che il materiale c'è ma in Serbo-Croato ed Italiano chi lo leggerebbe? MI è sembrato quasi che qualcuno non ritenesse il "Porrajmos" e la "Shoa" come la stessa cosa... Mi sconvolgeva il fatto che lì c'erano kilometri di libri e documenti, le pagine che avevo cercato per anni... ma non mi potevo fermare perchè non avevo abbastanza soldi ovviamente per sedermi a studiare. Mi sono mangiata le mani... mi sarei seduta lì per settimane ma come avrei fatto? Impossibile... devi provare di essere Rom per avere una borsa di studio... quanti ragazzi e ragazze non possono farlo! E non parlo solamente per me ma anche per i miei amici/che di Bosnia ed Erzegovina ad esempio. Molti non sanno infatti che nel paese chi si dichiara Rom può incorrere in una serie di problemi. Chi vorrà essere disciminato a norma di legge? Ma l'avete letta la Nuova Costituzione post-Dayton di BiH? Ma la vogliamo smettere? Ho lavorato alla mia tesi "Conflitti Etnici e Migrazioni nella ex-Jugoslavia: il caso dei Rom di Bosnia ed Erzegovina" e ho "buttato il sangue" come si dice qui da noi a Napoli, nel vedere in che condizioni sono le Organizzazioni Rom in Bosnia ed Erzegovina e non c'è verso di aiutare nessuno perchè i finanziamenti non arrivano e se arrivano sono su base etnica, ancora ora distribuiti ai gruppi rom col contagocce. Questa è solo una mia riflessione, se non si finanziano gli studi e la ricerca cosa mai si saprà di ciò che accade. La mia personale esperienza è che ogni volta che contatto un'università per chiedere di poter continuare a studiare storia e diritti delle minoranze riferendomi specificamente agli Zingari... non ci sono fondi... poi ci si meraviglia che i Rom sono oggi la comunità più discriminata d'Europa (e non solo). La disciminazione, l'ignoranza e il pregiudizio si infrangono con l'istruzione e la conoscenza dei fatti storici. L'omertà resta una cortina difficile da forzare...una barricata quasi invalicabile. Come già detto riguardo al documetario sul Porrajmos mi sembra che il comportamento istituzionale e dei media sia ben chiaro e definito e, purtroppo, maggiore è la competenza e la conoscenza del problema e minori sono le possibilità di arrivare a dare informazioni corrette perchè non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Sono davvero sconfortata. Elisabetta ( kcerka_vjetra)
BOLOGNA – Un accordo di cooperazione per gestire una presenza non sempre facile. E’ il protocollo d’intenti tra il Comune di Bologna e quello di Craiova, in Romania, da dove arriva la maggior parte dei rumeni – di etnia rom – che oggi vivono nel capoluogo emiliano-romagnolo. E’ stato siglato stamani dai due sindaci, Sergio Cofferati e Antoie Solomon, alla presenza della delegazione di Craiova, di rappresentanti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dell’Anci e del Comune di Nantes. "Questo è un protocollo importante, ci abbiamo lavorato a lungo, la vicesindaco Scaramuzzino si è impegnata nella costruzione di una griglia di intenti con questa città – ha esordito Cofferati – . Credo che i processi migratori, in tutt'Europa, abbiano bisogno del ruolo attivo delle amministrazioni: vanno gestiti insieme, dal momento della partenza all'arrivo, fino a un eventuale ritorno in patria". Dal canto proprio Salomon ha detto di essere a Bologna "per vedere la situazione dei nostri immigrati. La Romania è un paese in transizione, ha molti problemi, sociali ed economici, che non ci saremmo aspettati". Due, ha aggiunto il sindaco rumeno, "sono le Romanie: una dove la gente è estremamente ricca, l'altra dove la gente è estremamente povera. Da qui, nasce il fenomeno dell'immigrazione". Solomon ha detto di essere al corrente delle difficoltà incontrate dall'amministrazione comunale bolognese nel "gestire" la presenza rumena (dal Ferrohotel di via Casarini a Villa Salus, fino all'attuale sistemazione di circa un centinaio di persone in container a Santa Caterina di Quarto, ndr), "e a questo proposito invito il sindaco Cofferati a Craiova, che è una città molto bella, dove cent'anni fa sono arrivati tanti italiani, che hanno formato una comunità. Noi non staremo con le mani in mano, sappiamo che c'è il problema della criminalità organizzata, vedremo cosa fare". La maggior parte dei rumeni immigrati a Bologna, dunque, sono di etnia rom; a margine della firma ufficiale del protocollo, avvenuta nella Sala Rossa di Palazzo d'Accursio, il sindaco Solomon ha spiegato che i rom a Craiova e dintorni sono circa 40.000, che i più "non posseggono la carta d'identità, non mandano i figli a scuola e si vantano di essere i peggiori dei peggiori". Numerosi gli obiettivi del protocollo: dallo scambio di esperienze in materia di servizi alla persona a relazioni tra le Università delle due città, a scambi formativi e investimenti per favorire l'occupazione degli abitanti di Craiova. "Per noi è fondamentale – ha ricordato la vicesindaco Adriana Scaramuzzino – che chi decide di lasciare la Romania alla volta dell'Italia conosca bene la normativa in tema d'immigrazione del nostro paese, e sia informato sulle reali possibilità che ci sono dal punto di vista dell'inserimento e dell'integrazione". (cor)
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Di Fabrizio (del 30/01/2006 @ 13:19:18, in Italia, visitato 2707 volte)
da RomanoLil: Documento inedito, 1943. “Già la 3^ internazionale comunista, tra i nuovi sistemi escogitati per intensificare l’attività comunista … provvide ad affidare a carovane di zingari speciali incarichi per la propaganda di partito. La vita nomade degli zingari e la loro facilità di spostamento… consente contatti con gli ambienti operai e dei contadini e permette d’assolvere gli incarichi sovvertitori”.
REGIA QUESTURA DI ROVIGO
Rovigo 28-5-1943 OGGETTO: Carovane di zingari
Ai Podestà e Commissari Prefettizi della Provincia Ai Comandi Compagnia CC. RR. Ai Comandi tenenza CC. RR. Al Comando Reparto Agenti di P.S.
Viene segnalato a questo Ufficio che, in questi ultimi giorni, delle carovane di zingari, più o meno numerose, sostano e transitano indisturbate nel Polesine, malgrado le disposizioni da tempo impartite e, da ultimo, con circolare 12-8-1942, circa il loro rastrellamento, l’assegnazione ai campi di concentramento, e la corresponsione dei sussidi. Occorre subito e nella maniera più energica che sia ripresa l’attività di tutti gli Organi di Polizia della Provincia, diretta a combattere tale fenomeno. Come è noto, gli zingari sono sempre stati pericolosi alla sicurezza pubblica quali autori di reati comuni, ed alla pubblica sanità quali apportatori di malattie contagiose ma, nell’attuale momento, in cui la nostra nazione è impegnata in un conflitto di vita o di morte, occorre considerare il fenomeno anche e specialmente dal punto di vista politico. Già la 3^ internazionale comunista, tra i nuovi sistemi escogitati per intensificare l’attività comunista nei paesi dove il comunismo vive ed opera in forma clandestina, provvide ad affidare a carovane di zingari speciali incarichi per la propaganda di partito. La vita nomade degli zingari e la loro facilità di spostamento da un centro all’altro, consente, se vengono tollerati tali spostamenti, contatti con gli ambienti operai e dei contadini e permette d’assolvere gli incarichi sovvertitori di cui sopra. Pertanto si rivolge viva raccomandazione agli Uffici ed ai comandi d’indirizzo, perché provvedano senza indugio ai fermi di tali zingari, alla loro identificazione, al loro interrogatorio, trasmettendo a questo ufficio, con le generalità complete e gli estremi dei documenti di identificazione, gli atti assunti, per i provvedimenti da adottare a loro carico, secondo risultanze.
Resto in attesa d’un cenno di ricevuta e di assicurazione.
30 maggio 1943 (Anno XXI) Il Commissario Pref.zio Bruno Nedella Il Questore A. Lazio
Di Fabrizio (del 30/01/2006 @ 13:04:37, in sport, visitato 3870 volte)
Un po' tempo fa, mi segnalarono un interessante articolo di Valeriu Nicolae sul razzismo negli stadi, sul corrispettivo rumeno della nostra Gazzetta dello Sport. Pigrizia e poca o nulla conoscenza della lingua, rimandai di continuo la traduzione. Grazie all'OSSERVATORIO SUI BALCANI, ecco la versione in italiano:
Romania, calcio e razzismo
25.01.2006
Canti, striscioni, insulti contro i Rom. Anche in Romania, come in altri Paesi europei, il razzismo è entrato negli stadi, coinvolgendo non solo i tifosi ma anche dirigenti e commentatori. Sospeso il campo dello Steaua Bucarest, un’intervista a Valeriu Nicolae, dello European Roma Information Office (ERIO)
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Di Daniel Nazare et Sebastian Stan, ProSport , 9 gennaio 2006; traduzione di Ramona Delcea per Le Courrier des Balkans, e di Carlo Dall'Asta per Osservatorio sui Balcani
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Secondo Valeriu Nicolae «i grandi nomi del football rumeno non si impegnano affatto nella lotta contro il razzismo, e anzi incoraggiano la discriminazione negli stadi».
Valeriu Nicolae ha accettato di rilasciare un’intervista a Prosport sulla sospensione del terreno di gioco comminata alla Steaua Bucarest. Nicolae fa parte della Commissione Europea, come coordinatore della rete europea per la lotta contro il razzismo. Ammette di ricevere centinaia di e-mail e di telefonate di minaccia provenienti dalla Romania.
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"More Tigane" (Morte agli Zingari), striscione esposto dai sostenitori della Dinamo nel corso di una partita contro il Rapid Bucarest
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Lei che parte ha avuto nella sospensione dello stadio dello Steaua Bucarest?
È una lunga storia. Tutto è iniziato nel febbraio 2005, quando sono stato invitato a partecipare a una riunione mista dell’UEFA e della Commissione Europea sul razzismo. In quella sede ho presentato degli esempi basati sul comportamento dei tifosi durante alcune partite del campionato rumeno. Ho fatto riferimento soprattutto ai sostenitori delle squadre Dinamo, Universitatea Craiova, Otelul Galati, Steaua Bucarest e Poli Tmisoara.
Lei pensa che queste siano le squadre che hanno i sostenitori più razzisti?
Si è parlato molto della Dinamo, la squadra che ha avuto il maggior numero di canzoni e striscioni razzisti durante le partite. È inammissibile vedere striscioni lunghi 50 metri con scritte come «Morte agli Zingari!» Dopo questo incidente sono stato contattato da William Gaillard, direttore delle comunicazioni dell’UEFA, che mi ha detto che era necessario prendere delle misure per combattere il razzismo nei campi da calcio rumeni.
La Romania è davvero così razzista?
Non bisogna vederla in questo modo. Se vuole sapere qual’è il Paese che ha più problemi, è la Polonia. L’antisemitismo là ha raggiunto livelli molto alti. Poi ci sono la Slovacchia, l’Olanda e l’Italia. Quanto al nostro Paese, non si vuole ammettere che ci sono dei lati negativi. Prenderne coscienza sarebbe un primo passo. Oggi si è messo l’accento sul football perché noi, in seno alla Commissione Europea, stimiamo che lo sport possa avere un ruolo molto importante nello sradicamento del razzismo.
Cosa vuole dire esattamente?
Lasciate che vi faccia un esempio: qualche tempo fa, l’Inghilterra era il Paese col maggior numero di casi di razzismo sui campi di calcio. Abbiamo lanciato una campagna antirazzista, «Let’s kick racism out of football» con Thierry Henry e Patrick Vieira come testimonial contro il razzismo. E ha avuto un immenso successo.
Torniamo alla sospensione dello Steaua. Quale è stato più precisamente il suo ruolo in questo scandalo?
Tutto è scoppiato in occasione del famoso match Steaua - Dinamo del 13 aprile 2005, quando tutti, a partire dai tifosi e dal commentatore dello stadio, fino ad arrivare ai dirigenti della Lega Professionisti del Football (LPF) e della Federazione Rumena di Football (FRF), hanno avuto – in diversa misura - un comportamento razzista. Ho visto persone e immagini che mi hanno fatto rabbrividire. Il commentatore dello stadio, Gabi Safta, ha trasmesso dei messaggi e delle canzoni che incitavano all’odio e alla discriminazione. Il punto critico è stato raggiunto dallo stesso Safta, con i suoi insulti rivolti contro l’allenatore del FC Rapid, Razvan Lucescu.
È vero che l’atmosfera era piuttosto tesa in quell’incontro; ma lei accusa anche i dirigenti della FRF e della LPF. Che cosa hanno fatto?
Per prima cosa il signor Vali Alexandru, in quanto rappresentante della LPF non ha riportato nessuna annotazione, sulla sua scheda di osservazione, su quello che stava succedendo. Secondo lui la partita si è svolta in circostanze normali. «Che importanza hanno le canzoni trasmesse dagli altoparlanti, seguite d’altra parte dagli zingari? Sono loro che ci attirano i guai». Questo è inammissibile. Se in quel momento egli avesse preso delle misure drastiche, non si sarebbe giunti oggi alla sospensione dello stadio. Cosa ci si può aspettare da parte dei tifosi, se gli stessi dirigenti agiscono in tale maniera?
Ha cercato di parlare con lui?
Ho cercato di parlare con tutta la direzione della FRF. Purtroppo è più facile prendere contatti col primo ministro che con loro. Ho perfino inviato dei fax da parte della Commissione Europea, ma non ho avuto migliore successo. In ogni caso, dopo questo match tra Steaua e Rapid, il signor Alexandru è stato incaricato di osservare anche la partita successiva. Chi lo ha designato doveva essere cieco, o razzista!
Tutto questo per arrivare alla sospensione del terreno di gioco dello Steaua dopo il match di ritorno del secondo girone preliminare della Lega dei Campioni di Shelbourne. È stato lei a sporgere denuncia?
Io non ero al corrente degli incidenti di questa partita. L’UEFA mi ha domandato se io consideravo necessario inviare un fermo messaggio alla Romania. Questo era lo scopo della sospensione, che la gente prendesse coscienza di quello che stava succedendo. E la stampa ha reagito bene. Queste misure erano necessarie.
Ed è lì che scoppia lo scandalo. Lei ha ricevuto delle minacce per telefono?
Un gran numero. Anche rivolte alla mia famiglia. E anche centinaia di e-mail. Ho cercato di spiegare che non avevo niente né contro lo Steaua né contro le altre squadre. Non tutti i tifosi sono colpevoli. La colpa è dei dirigenti, che non prendono le misure necessarie.
Ha contattato qualcuno della FRF dopo questo incidente?
Non potevo farlo. Anche Christian Bivolaru, ex segretario aggiunto e direttore del Dipartimento di Relazioni Internazionali, ha reso una dichiarazione scioccante. È stato in occasione di un match del Sofia contro una squadra inglese. Un piccolo incidente tra alcuni spettatori bulgari e i due neri della squadra inglese ha avuto come strascico una ammenda per la Bulgaria da parte dell’UEFA. Io sono rimasto a bocca aperta quando ho sentito quello che ha detto il signor Bivolaru...
Qual’è oggi la soluzione per fermare il razzismo?
L’UEFA mette a disposizione delle federazioni di football un ammontare di 35.000 franchi svizzeri per delle iniziative di lotta al razzismo. Per contro, la Federazione rumena ha rifiutato questi soldi, sostenendo che in Romania non ci sono tali problemi. L’UEFA ci ha ugualmente proposto di seguire l’esempio dell’Inghilterra e di scegliere un testimonial antirazzista. Giocatori come Hagi, Belodedici, o Banel Nicolita rappresentano l’immagine dei calciatori misti del mondo sportivo rumeno. Sono i loro nomi che dovrebbero apparire nei giornali, non quelli dei patron dei club.
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Di Fabrizio (del 30/01/2006 @ 01:07:51, in Europa, visitato 2629 volte)
L'Inviato Speciale dell'ONU intende incontrare le
Organizzazioni della Società Civile Karin
Waringo, Brussels
Durante una conferenza stampa
presso la Commissione Europea, l'Inviato Speciale ONU e capo della
delegazione internazionale sul futuro politico del Kosovo, Martti
Athisaari, ha detto di voler incontrarsi con le organizzazioni della
società civile durante la prossima visita in Kosovo.
Rispondendo alla domanda su come intende assicurare che gli
interessi delle minoranze non-Serbe siano rispettati durante i
colloqui, e quando avesse pianificato di parlare con questi gruppi,
il diplomatico finlandese ha risposto di essersi già
incontrato con i rappresentanti politi ci dei Serbi di Kosovo e delle
altre minoranze.[...] Inoltre s'è incontrato con i Serbi della
chiesa ortodossa di Decani.
Riguardo alle associazioni, ha aggiunto: “Sono a conoscenza
di attivi gruppi femminili e vorrei incontrare anche
questi.”
27.01.06
Di Fabrizio (del 29/01/2006 @ 17:53:34, in Italia, visitato 2877 volte)
Pubblicato mercoledì 25 gennaio sul quotidiano La Prealpina. Per gentile concessione dell'autore:
In queste fredde e ostili città, dove muore un rom al giorno
Un’altra notte di questo rigido inverno polare è trascorsa portandosi via l’ennesima vita, quella di una bambina rom di 29 giorni morta per il freddo.
La terza vittima in quattro giorni.
In tutta la Provincia, in tutte le aree metropolitane di questo nostro distratto e ostile Paese, quella “Rom” non è più solo una delle irrisolte questioni morali e civili che imbrigliano le deboli e incerte volontà di politici e amministratori pubblici, ma uno strazio colpevole e continuo che si consuma nell’indifferenza istituzionale e della gente comune.
Mai prima d’ora la mancanza di un progetto generale di accoglienza e di politiche sociali di integrazione aveva colpito così a fondo i tanti volti e persone della “diaspora” rom.
Ai pregiudizi atavici e alle connotazioni negative che da sempre accompagnano questo popolo, si aggiungono i drammi quotidiani e le violenze nascoste consumate negli slum delle grigie periferie cittadine, dove migliaia di persone vivono in quartieri di baracche senza strade, né elettricità, né acqua corrente, vittime di una massiccia disoccupazione e discriminati nell’accesso all'assistenza sociale e sanitaria.
Se è vero che in altri luoghi, distanti solo qualche decina di chilometri più a nord di dove si è consumata l’ultima tragedia, forse complice il peso degli ingenti interessi economici che circondano le Olimpiadi invernali, il Comune di Torino ha allestito strutture di emergenza per migranti e rom senza casa aiutandoli almeno a sopravvivere, da noi le tragedie stesse diventano occasione per infierire sulle vittime e per annunciare l’inizio di nuovi violenti e inutili sgomberi degli indesiderati.
Ormai non ci sono più aggettivi per descrivere la vergogna e la denuncia delle responsabilità oggettive di chi dimentica troppo spesso la natura del proprio ruolo di amministratore della Regione Lombardia o di un Ente Locale qualsivoglia, ignorando colpevolmente i bisogni primari dei cittadini più deboli, come i rom, o calpestando le leggi che ci siamo dati per vivere insieme a loro, o infine sbeffeggiando i richiami della comunità europea di cui facciamo parte tutti quanti.
Occorre però saper guardare anche oltre all’emergenza, costruendo un nuovo orizzonte culturale e politico che ponga fine alla costruzione dei campi nomadi, veri e propri spazi di negazione che amplificano le condizioni di emarginazione, discriminazione e disperazione, ma che ancora oggi sono l’unica risposta pubblica al diritto di luogo di vita per le genti rom.
Opera Nomadi di Milano
Il Vicepresidente
Maurizio Pagani
Sabato 28 Gennaio 2006
sotto la lente
Roberto Durkovic suona dal vivo il 30 gennaio alla Casa 139
Quella musica tzigana che sale dal metrò
Il quinto album dell’artista, «Semplicemente vita», unisce l’ispirazione del cantautore ai ritmi balcanici
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AUDIO
A me mi piace vivere alla grande
Il mago dei colori
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Li ha conosciuti mentre suonavano canzoni tzigane in metropolitana per guadagnarsi da vivere. Li ha seguiti vagone dopo vagone, li ha presi con sé e assieme a loro è arrivato a esibirsi davanti a Papa Wojtyla, in piazza San Pietro. Il viaggio artistico di Roberto Durkovic, madre italiana e padre cecoslovacco, comincia così, dopo un incontro casuale e un po’ magico con un gruppetto di rumeni. Il risultato è una musica che ha patrie diverse, o forse non ne ha affatto, e la conferma arriva dall’ultimo lavoro: «Semplicemente vita» (etichetta Storie di Note).
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Il quinto cd di Roberto Durkovic si muove tra sonorità tzigane e cantautorato italiano, canzone jazzata, echi mitteleuropei e influenze flamenche. Si parte con una cover di Fanigliulo, «A me mi piace vivere alla grande», in una versione orecchiabilissima. Dopodichè arrivano la fisarmonica, il violino e il contrabbasso di «Scintille», i ritmi gitani e le percussioni de «Gli uomini di Lisa», l’allegria un po’ alla Bregovic del «Mago dei Colori» (il pezzo strumentale suonato il primo aprile 2004 davanti a Giovanni Paolo II durante la giornata «Il Papa incontra i giovani») fino alla veneziana «Soffio» e a «Fantasisti del metro», che racconta l’inizio di tutta la storia: «Come un treno locale ci fermavano in ogni stazione, una chitarra un pianoforte, gioia come Savicevic con il pallone». Si conclude con «Insonnia d’estate», arricchita dalla voce di Silvia Scrofani.
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Per partire dal principio, bisogna dire che la carriera di Durkovic comincia una ventina d’anni fa. «Ho iniziato a suonare per ribellione, strimpellando Guccini, e ho fatto la gavetta sui Navigli, esibendomi nei vari locali milanesi». In quel periodo si avvicina al Club Tenco e nel ’93 ottiene una segnalazione al premio della critica «Sanremo Nuovi Talenti». Arrivano i primi due dischi, sperimentali e un po’ artigianali. «Poi, dopo il fortunato incontro in metrò con i miei amici rumeni, ho potuto finalmente realizzare un grande sogno: unire due anime, legate probabilmente alle mie origini. L’anima italiana, cantautorale e quella tzigana. Ma non mi sono fermato qui: nel mio gruppo sono entrati anche musicisti cileni, ucraini e spagnoli».
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Assieme a questa allegra combriccola Durkovic realizza un altro paio di dischi prima di arrivare al risultato più maturo, «Semplicemente vita», che lui presenta così: «E’ un lavoro che ha diversi colori, diverse gradazioni. C’è ovviamente il colore balcanico, qualcosa di sudamericano e pezzi molti intimi, sentimentali. Un disco che è il proseguimento di questo mio viaggio a contatto con la strada, il racconto di emozioni vissute assieme a musicisti straordinari che sono spesso costretti a suonare ai margini. Persone che mi hanno regalato una grande ricchezza, musicale e culturale». Niente male, per una storia cominciata per caso, tra i vagoni del metrò.
INFORMAZIONI: ROBERTO DURKOVIC lunedì 30 gennaio La Casa 139, via Ripamonti 139 Milano ore 22 info: www.robertodurkovic.com, www.lacasa139.com.
di Germano Antonucci
(rif: la storia raccontata in Mahalla)
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Con la preghiera di dare massima circolazione, M.N. Opera Nomadi di Napoli.
L’Associazione Culturale “FIGLI DEL BRONX” PRESENTA: “SOTTO LA STESSA LUNA tour” con il contributo del Comune di Napoli (Assessorato agli Affari Sociali) programma delle dieci proiezioni del film “SOTTO LA STESSA LUNA” di Carlo Luglio una produzione “FIGLI DEL BRONX” prodotto da: Luca Liguori, Dario Cortucci, Gaetano Di Vaio
6 Febbraio 2006, proiezione e dibattito presso il teatro “AREA NORD” a Piscinola (In collaborazione con “Liberascenaensemble”) Ore 19,00, saluta Renato Carpentieri. A seguire: Performance musicale di Riccardo Veno; Proiezione del film; Dibattito con Maurizio Braucci (scrittore) Carlo Luglio (regista del film), Mario Martone, Roberto Saviano (scrittore), Giovanni Zoppoli (operatore sociale) e Marco Rossi Doria (maestro di strada).
16 Febbraio 2006, proiezione e dibattito presso “PIAZZA TELEMATICA” a Scampia (in collaborazione con l’associazione “AaQuaS”) Ore 19,00, saluta Padre Farbrizio Valletti (Gesuita a scampia). A seguire: Proiezione del film; Dibattito con Padre Fabrizio Valletti, Carlo Luglio, Raffaele Tecce (Assessore agli Affari Sociali del Comune di Napoli), Ciro Tarantino (ricercatore), Aldo Bifulco (Legambiente circolo “La Grù) e Francesco Minisci (responsabile cultura Prc).
27 Febbraio 2006, proiezione e dibattito presso il campo Rom del Comune di Napoli a Scampia, (In collaborazione con l’associazione “Opera Nomadi”) Ore 19,00, saluta Amedeo Curatoli (Presidente “Opera Nomadi”- regionale). A seguire: proiezione del film; dibattito con Amedeo Curatoli, Marco Nieli, Enzo Esposito (“Opera Nomadi”), Carlo Luglio, (Mario Martone), Marco Rossi Doria. (un Rom residente nel campo).
11 Marzo 2006, proiezione e dibattito presso il “PAN” (Palazzo delle Arti a via dei mille N° 60) (In collaborazione con il gruppo di lavoro “Chi rom e chi no”) ore 19,00: proiezione del film; a seguire: dibattito con Maurizio Braucci, Carlo Luglio, Rachele Furfaro (assessore alla Cultura del Comune di Napoli), don Tonino Palmese (Libera) e Gaetano Di Vaio (Figli del Bronx).
18 Marzo 2006, proiezione e dibattito presso il Centro Sociale “DAMM” a Montesanto (In collaborazione con il gruppo di lavoro “Chi rom e chi no”) ore 21,00: performance musicale di Riccardo Veno; proiezione del film; a seguire: dibattito con Maurizio Braucci, Carlo Luglio, gruppo di lavoro “Chi rom e chi no” associazione culturale “Figli del bronx” e gli attori del film.
30 Marzo 2006, proiezione e dibattito presso il Centro Sociale “GRIDAS” a Scampia (In collaborazione con “GRIDAS” e gruppo di lavoro “Chi rom e no”). Ore 19,00: proiezione del film; a seguire: dibattito con gli operatori del centro sociale “Gridas”, “Chi rom e chi no”, “Figli del Bronx”, Alessandro Fucito (Presidente Commissione Educazione Comune di Napoli) e con il regista e gli attori del film.
4 Aprile 2006, proiezione e dibattito presso la Facoltà di Architettura, (In collaborazione con “Terzopianoautogestito) ore 17.30: Performance musicale di Riccardo Veno a seguire: proiezione del film e dibattito con Maurizio Braucci, Giovanni Persico (docente di sociologia presso la Federico 2°) e Terzopianoautogestito.
- Aprile 2006, ore 18,30, proiezione e dibattito presso L’ORIENTALE in collaborazione con il gruppo di lavoro dell’orientale
-? Aprile 2006, ore 18,30, proiezione e dibattito presso (In collaborazione con la Film Commission Regione Campania) Daimmo.
6 Maggio 2006, priezione e dibattito presso la ex scuola media statale “DELEDDA” a Soccavo (In collaborazione con l’associazione “Opera Nomadi”) Ore 19,00: performance musicale di Riccardo Veno; a seguire: proiezione del film e dibattito con gli operatori delle Associazioni “Opera Nomadi”, “Figli del Bronx” e “chi Rom e chi no”
su Mundo_Gitano
il 23 gennaio sono apparsi 4 articoli sui Gitani in Colombia, a
cura di:
PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO
KOLOMBIAKO / PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE
COLOMBIA, (PROROM)Organización Confederada a Saveto Katar le
Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)
Ecco una piccola selezione.
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In principio erano conosciuti come “egiziani”,
parola che si trasformò poi in "gitanos". I Rom,
il vero nome di questa comunità, arrivarono nelle Americhe
già nel 1492 quando quattro di loro si imbarcarono con
Cristoforo Colombo. Le migrazioni proseguirono in epoca
coloniale. La popolazione crebbe ancora all'epoca delle due
guerre mondiali, quando dall'Europa fuggivano al razzismo e alle
persecuzioni nazifasciste. Molte carovane seguirono la rotta
Caracas-Bogotá-Quito-Lima-Buenos Aires installandosi dove
si trovavano meglio. In Colombia si contano circa seimila gitani
raggruppati in Kumpanias. Le più famose sono quella di
Girón a Santander, di Cúcuta (una delle più
grandi, con circa mille Rom) e quella di Bogotá, con 250
persone. Hanno una legislazione proria per la risoluzione dei
conflitti sulla base del dialogo e dell'accordo. Così, in
caso di processi, si riunisce la Kriss Romaní, una specie
di tribunale interno dei gitani più anziani, che discutono
il problema e cercano come risolverlo, sulla base di una accordo
pacifico tra ambo le parti. “Odiamo la guerra, non usiamo
armi, siamo pacifisti totali”, dice Miriam.
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Il problema
“No signora, crede di poter fare ciò che vuole
perché lei è gitana?” Non può. I suoi
documenti non sono a posto” disse le rettrice del collegio
dove voleva studiare uno dei figli di Jenny. Ma i documenti erano
completi e compilati, con un unico problema: loro erano gitani.
Succede che non la facciano entrare nei negozi. “Il
commesso vede una donna vestita da gitana e le proibisce di
entrare, perché pensa che ruberà. Noi compriamo,
come tutti gli altri! Perché dovremmo rubare? Colpa di
quanti si spacciano per noi per darci la colpa”, protesta
Kolya.
Le loro speranze ora sono poste nelle promesse del 23 gennaio:
sistema sanitario con uno schema ispirato alle caratteristiche
del loro popolo, riconoscimento dell'etnia rom – con
documenti che permettano lo sviluppo dei commerci tradizionali e
della vita nomadica, negozi e officine dedicate alle loro
attività, tra l'altro.
“Siamo in tanti, colombiani come tutti gli altri, ma i
nostri costumi e tradizioni sono differenti. Non siamo maiali o
bruti, niente di tutto ciò. Abbiamo bisogno di aiuto
perché quando qualcuno di noi si ammala, non sappiamo come
curarlo”, dice Jenny.
Il merito dell'essere stati inseriti nel Piano Nazionale di
Sviluppo e del riconoscimento come colombiani, va a Prorom
(Proceso Organizativo del Pueblo Rom de Colombia), organismo
formato da loro stessi, che si occupa dei diritti di queste 6.000
persone e dei rapporti tra le comunità e le autorità
comunali e statali.
“Nel frattempo, molti di noi sono partiti per il Perù,
gli Stati Uniti o l'Ecuador. Se la situazione continua a
peggiorare, ci toccherà andarcene e la Colombia rimarrà
senza gitani”, continua Jenny.
La sera si avvicina e un gruppo attacca a suonare canti in
romanès e melodie orientali. Valentina balla, si muove e
fa roteare le mani. Resta solo una domanda: com'è stato
possibile mantenere la tradizione in tutto questo tempo? La
risposta di Jenny è di una semplicità disarmante:
“Non lo so, i bambini sanno di essere gitani, a loro piace
e non facciamo niente per convincerli. Non è difficile,
essere Rom è un orgoglio per tutti noi”.
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Popolazione vulnerabile
Non vivono più nei carri, ma in case di cemento e
mattoni: sono sedentari. Mantengono l'idioma, parente stretto del
sanscrito, e osservano leggi proprie, amministrata e tramandata
dalla kriss degli anziani. Si tramandano saperi e mestieri di
generazione in generazione. Gli uomini artigiani del rame e
commercianti di cavalli e scarpe. Il potere della casa poggia
sugli uomini, mentre alcune donne si dedicano alla lettura della
mano.
Dalila Gómez è una gitana fuori dagli schemi: ha
studiato all'università per coordinare gli sforzi
governativi per la scolarizzazione dei Rom. Si veste di seta, con
colori vivi e monili. Secondo lei, il suo gruppo etnico si
caratterizza per [un concetto di] frontiere più esteso di
quello della società maggioritaria, però giudica
importante l'impegno dello stato perché “prima di
essere un gruppo etnico, siamo una popolazione vulnerabile, e
cerchiamo che i politici si rivolgano a noi e ai nostri bambini
in maniera etno-educativa”.
Vénecer Gómez, un giovane gitano che non
differisce in niente da un qualsiasi studente universitario,
riconosce che “ci sono molte storie attorno al popolo
gitano. Alcune vere, altre totalmente false. Mi sono reso conto
che questo era il momento di farci conoscere”.
Una decisione che l'ha portato a studiare diritto
all'università di Bucaramanga. Dice che la cosa più
dura è stata accettare il fermarsi per anni nello stesso
posto. Ricorda di aver passato l'infanzia di villaggio in
villaggio, e di aver frequentato le elementari in diverse scuole.
“Mi stufa rimanere fermo in un posto” dice. Andai a a
scuola con i documenti di viaggio sotto braccio. I miei genitori
vedevano che non c'era lavoro e allora ci si spostava.
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Gli ultimi gitani
Le tre sorelle Gómez vivono in casa nel barrio El
Poblado di Girón (Santander). Condividono un grande salone
ben arredato e con dei grandi divani che nessuno o quasi adopera.
Il loro tempo trascorre sedute all'aperto, bevendo e osservando
loro fratello Roberto che si fuma quattro pacchetti di sigarette
al giorno. L'unica differenza con le vicine è quando
rispondono al telefono, in romanès, perché
nonostante il cognome e il tetto sulla testa sono gitane
purissime.
Loro padre, Matei Bolochoc, arrivò in Colombia dal
Venezuela all'inizio secolo. Proveniva da Parigi e si sposò
con Ana Teotiste Santos una colombiana che così acquisì
gli usi di uno dei popoli più antichi della terra.
Matei mutò il suo nome in Alfonso Gómez e
assieme ad Ana Teotiste rapidamente si mise in marcia,
rincorrendo con un carro trainato da cavalli i mezzi che da
Medellín arrivavano a San Cristóbal, in Venezuela.
Le sue figlie e Roberto, che poi avrebbe rifatto lo stesso
mestiere con un camion Silverado e la sua famiglia, vissero
quegli anni di polvere e pioggia come i più felici della
loro vita. Lo conferma Consuela a mezza voce: “Arrivavamo
in un paese e all'ingresso montavamo le tende. A volte durava
giorni, oppure settimane. Tutto dipendeva se eravamo graditi al
prete. Uno disse che eravamo ladri e malfattori, ci presero a
sassate, ma non importava. Eravamo libero e potevamo sempre
andare dove si voleva.” Il posto dove furono trattati
meglio è stato Armenia. Gli abitanti del villaggio li
accolsero nel mezzo di una tempesta, che ancora mette paura a
ricordarla.
I nuclei principali di gitani si trovano nei quartieri Atalaya
(Cúcuta), Galán, San Rafael, La Igualdad,
Primavera, Puente Aranda, Nueva Marsella, La Francia y Patio
Bonito (Bogotá), Santa María (Itagüí),
Jardín (Cali), Santa Inés (Sogamoso) e naturalmente
El Poblado, a Girón.
Nei dintorni di Bucaramanga, dove frequentemente piantavano
gli accampamenti, si stabilirono quando la violenza nelle
campagne fu tale da rendere impossibile il viaggiare oltre. Erano
proprietari del miglior locale della zona, il Bar Nebraska, che
aveva un'immensa barra tappezzata di rosso.
Oggi sono circa 150 i gitani che vivono in questa località
della zona di Santander. La maggioranza di loro mostra sulle
finestre un cartello “in vendita”, come simbolo del
loro vagabondare. Nel momento di accendere la quinta sigaretta e
con la terza tazza di caffé in mano in meno di venti
minuti (questo li distingue da quelli arrivati dall'Europa
Orientale, che consumano te nella medesima quantità),
Roberto spiega il perché del cartello: “Serve a
mantenere l'illusione che un giorno tutti potremo rimetterci in
cammino un'altra volta”.
Lui, secondogenito di una famiglia di dieci, viaggia da solo.
Qualche volta si sposta verso Boyacá, dove costruisce
forni per fusione e scappa da suo figlio Venecer, che lo
rimprovera preoccupato ogni sigaretta che si accende.
Occhi azzurri e statura considerevole, Venecer Gómez
Fuentes appartiene alla seconda generazione di una famiglia che
ha fatto la sua piccola fortuna sviluppando il mestiere
tradizionale della forgia del rame. Frequenta il quinto semestre
di Diritto nell'Università Industriale di Santander ed è
portavoce ufficiale del popolo Rom, come loro si definiscono.
Venecer non ha viaggiato con le tende, però conosce il
piacere e anche le scomodità che accompagnano l'essere
nomade della sua famiglia. “Con la Silverado abbiamo
percorso chissà quante strade, portando con noi solo i
cinque piatti per mangiare. Ognuno aveva con sé un sacco
di piume d'oca per ripararsi dal freddo e dalla pioggia”.
Naturalmente parla il romanès e nelal stanza canta canzoni
gitane che ha scaricato da internet. “La maggior parte sono
tristi all'inizio, come questa: Zia, prestami il tuo grembo per
riposare la mia testa pazza e stanca”.
Ma lo stesso è partecipe della tradizione. A 27 anni
non è stato ancora protagonista di uno dei riti
fondamentali: el abiao o matrimonio.
Per i gitani fondare una famiglia è uno degli scopi
della vita e molti lo fanno in giovine età. Senza dubbio,
le norme per sposarsi sono rigide. Gli uomini preferiscono
sposare una donna della loro etnia invece che una gadyi. In
compenso, le donne devono fidanzarsi con un gitano, pena
l'espulsione dalla comunità.
In silenzio, Venecer sembra opporre resistenza a sposarsi. Il
compito di portavoce che ha assunto lo ossessiona. Sa che se non
lavorerà per i loro diritti, i gitani di Colombia
spariranno definitivamente.
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