Pubblicato mercoledì 25 gennaio sul quotidiano La Prealpina. Per gentile concessione dell'autore:
In queste fredde e ostili città, dove muore un rom al giorno
Un’altra notte di questo rigido inverno polare è trascorsa portandosi via l’ennesima vita, quella di una bambina rom di 29 giorni morta per il freddo.
La terza vittima in quattro giorni.
In tutta la Provincia, in tutte le aree metropolitane di questo nostro distratto e ostile Paese, quella “Rom” non è più solo una delle irrisolte questioni morali e civili che imbrigliano le deboli e incerte volontà di politici e amministratori pubblici, ma uno strazio colpevole e continuo che si consuma nell’indifferenza istituzionale e della gente comune.
Mai prima d’ora la mancanza di un progetto generale di accoglienza e di politiche sociali di integrazione aveva colpito così a fondo i tanti volti e persone della “diaspora” rom.
Ai pregiudizi atavici e alle connotazioni negative che da sempre accompagnano questo popolo, si aggiungono i drammi quotidiani e le violenze nascoste consumate negli slum delle grigie periferie cittadine, dove migliaia di persone vivono in quartieri di baracche senza strade, né elettricità, né acqua corrente, vittime di una massiccia disoccupazione e discriminati nell’accesso all'assistenza sociale e sanitaria.
Se è vero che in altri luoghi, distanti solo qualche decina di chilometri più a nord di dove si è consumata l’ultima tragedia, forse complice il peso degli ingenti interessi economici che circondano le Olimpiadi invernali, il Comune di Torino ha allestito strutture di emergenza per migranti e rom senza casa aiutandoli almeno a sopravvivere, da noi le tragedie stesse diventano occasione per infierire sulle vittime e per annunciare l’inizio di nuovi violenti e inutili sgomberi degli indesiderati.
Ormai non ci sono più aggettivi per descrivere la vergogna e la denuncia delle responsabilità oggettive di chi dimentica troppo spesso la natura del proprio ruolo di amministratore della Regione Lombardia o di un Ente Locale qualsivoglia, ignorando colpevolmente i bisogni primari dei cittadini più deboli, come i rom, o calpestando le leggi che ci siamo dati per vivere insieme a loro, o infine sbeffeggiando i richiami della comunità europea di cui facciamo parte tutti quanti.
Occorre però saper guardare anche oltre all’emergenza, costruendo un nuovo orizzonte culturale e politico che ponga fine alla costruzione dei campi nomadi, veri e propri spazi di negazione che amplificano le condizioni di emarginazione, discriminazione e disperazione, ma che ancora oggi sono l’unica risposta pubblica al diritto di luogo di vita per le genti rom.
Opera Nomadi di Milano
Il Vicepresidente
Maurizio Pagani