Di Fabrizio (del 13/06/2013 @ 09:00:01, in media, visitato 2093 volte)
Rileggevo quanto diceva un Romanichal (uno che non conviene
contraddire): "Sono irlandese d'origine, nato a Manchester, ma non sono
Irlandese o Inglese, sono uno zingaro. Vi dirò cosa rende Traveller: è come
nascere neri. Per me è irrilevante dove vivere: in una casa, un caravan o una
tenda."
Settimana scorsa ero ad una performance artistico-letteraria-teatrale: esecuzioni di brani di Charlie Mingus alternati
alla recitazione della sua biografia, o meglio la ricostruzione cronachistica di
momenti comuni della sua vita privata e d'artista. Spettacolo potente: mentre
sentivo la musica, in testa mi si accavallavano gli accordi del contrabbasso
(che comunque non so suonare!), e la recitazione dava un senso tra disperazione
e grandezza: lacrime, gloria e vanagloria, polvere e ricerca di un dio.
Mingus: un grosso borghese, simile "dentro" a tanti giovani neri
senza arte né parte, magari magri e col berrettino da basket. Quando la tua
voglia di mondo, il suo contemporaneo rifiuto, la fame e l'insoddisfazione
diventano un tratto comune che lega il benestante Mingus al giovane
sottoproletario, forse quella è la cultura.
Parlerò di cultura (FORSE, dipende da qual è il nostro vocabolario mentale):
cosa lega l'artista nero, il cameriere sotto casa mia, quella ragazzina con la
minigonna, il rom che non sa più a quale mondo appartiene? E cos'è
quell'insicurezza che leggi tanto negli occhi di un professionista magari ebreo,
come in quelli di un teppistello da strada, se non il ricordo di un isolamento che
ti porta COMUNQUE, a prescindere, a diffidare?
Cultura che nasce dalla pelle, dallo schiavismo, dal ghetto... Tutte cose che
porti fuori anche quando nel ghetto non ci abiti più e puoi concederti due
settimane all'anno di vacanza come il bianco che ti sei sempre immaginato (che
molti bianchi ormai le vacanze se le sognano, è un particolare irrilevante).
I ghetti fanno pensare ai modi di vivere (la cui immagine speculare sono le
ricorrenti rivolte urbane), tipici degli USA e dei paesi anglosassoni: c'è
posto per tutti, ma per favore ognuno stia per conto suo e si risolva le sue
beghe per conto suo (gli altri, non devono sapere, non devono interessarsene).
Ma i ghetti sono un'invenzione nostra: la testimonianza
più antica resiste a Venezia, col ghetto ebraico. Gli ebrei, da anni ne hanno
valicato i confini, ma i ghetti sono proliferati lo stesso: cosa sono altrimenti
i campi nomadi, o certi quartieri di periferia lasciati da decenni a se stessi?
Non importa che nel nostro immaginario il ghetto debba essere un posto schifoso
(come è in effetti la maggior parte delle volte), o che invece possa "anche"
essere un posto con una sua dignità, con modi di vivere che non trovi altrove.
Il ghetto è comunque il frutto di un isolamento, imposto con le buone o con le
cattive.
Cioè: nel ghetto puoi finirci perché ti viene imposto (i nativi americani), o
puoi capitarci a tua insaputa: ad esempio andando ad abitare in un quartiere di
"bianchi" o inizialmente misto, ma poi i bianchi per varie ragioni, si
trasferiscono altrove e lo spopolano. Allora, per tornare all'attualità NOSTRA,
richiedere case per Rom e Sinti non basta a superare il ghetto, gli esempi sono
GIA' sotto gli occhi.
Però, perché durante quello spettacolo vedevo davanti a me le facce di Mingus e
del resto dello zoo, le note mi risuonavano in mente, riconoscevo una scala
musicale nell'alternarsi di preghiere, bestemmie, bisogni espressi o meno, modi
di dire? E perché, quando sono in un campo nomadi, dovunque sia,
mi sento a
casa?
Ecco: tu (scusa se passo al TU così diretto) il ghetto da fuori lo vedi popolato
da facce preoccupanti, oppure preoccupate (a seconda della tua sensibilità),
comunque conciate male. Messi assieme, non li valuteresti 10 euro... Però, se
provi a considerarle PERSONE, trovi che persino quella vecchia semianalfabeta,
lurida e cenciosa, potrebbe stare ore o ore a raccontarti la storia del mondo,
MA NON VUOLE! Che persino quel ragazzino più bravo col coltello che con la
matita, sa ripeterti ad orecchio tanto Mozart che Puf Daddy, MA NON VUOLE! Tu,
proprio tu così civile ed istruito, vieni escluso da questa cultura!
Il ghetto, non è solo cultura (minoritaria), ma è soprattutto la sua
condivisione, il codice per trasmetterla ai propri simili. La capacità di
"esportarla" o di "preservarla". Vedi (scusa se continuo con il TU), creare
ghetti e confini comporta un gioco strano: alla fine ci si ritrova tutti, anche
noi, in un ghetto; ma se il gioco diventa quello di "escludere il diverso", alla
fine il risultato che non c'è più nessuno con cui comunicare, e anche la più
centenaria della culture, se diventa solo una caratteristica identitaria, è
destinata a sparire.
Difatti noi, i bianchi, finiamo a vivere in ghetti che ci autoimponiamo, ma non
siamo in grado di riprodurne la cultura. Le nostre pulsioni, i nostri bisogni,
non ci appartengono, al limite appartengono ai media, che oscillano nello strano
equilibrio tra una perduta identità e mode che assumono dai ghetti altrui.
Se continuiamo ad essere vincenti, è solo perché siamo in tanti, e perché
(questo devo ancora capirlo bene) abbiamo la proprietà dei mezzi d'informazione
- o forse sono loro che ci posseggono.
Giovedì 13 giugno 2013 alle 21,00, ingresso ad offerta
libera CGIL Salone Di Vittorio - Piazza Segesta 4, con ingresso da
Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano
Rassegna di minidocumentari, girati da romnià e con le loro interviste e
testimonianze. Sarà presente una delle protagoniste: Ruzika Stojanovic,
per rispondere alle domande del pubblico,
Evento di chiusura della rassegna HO INCONTRATO ANCHE DEGLI ZINGARI
FELICIV Edizione, dedicata alle donne Rom, organizzata
dall'Associazione La Conta in collaborazione con: l'Associazione "Aven Amentza -
Unione di Rom e Sinti", Associazione "ApertaMente di Buccinasco" e la Redazione
di Mahalla - Rom e Sinti da tutto il mondo
Di Fabrizio (del 02/06/2013 @ 09:08:50, in media, visitato 1467 volte)
Come provocare l'odio razziale: i Rom, Sun TV e le responsabilità delle
emittentiBY KARL NERENBERG | MAY 21, 2013
Il documentario che porta il lurido titolo di "Zingari ladri di bambini",
originariamente commissionato dalla BBC, è stato scritto da Liviu Tipurita, ed è
uscito nel 2009.
Dal titolo si penserebbe ad un pezzo di estrema destra, di propaganda
razzista.
Tuttavia il regista non aveva intenzioni razziste.
Tipurita insiste che la sua intenzione era di dare una equa considerazione
alla vite dei bambini rom rumeni, che vengono sfruttati come schiavi e
mendicanti in città come Milano e Madrid.
Nella sua mente, lo scrittore-regista si preoccupa di questi bambini, anche
quando li mostra mentre molestano le persone davanti ai bancomat e quando
sfilano i portafogli dalle tasche di pendolari e turisti.
Però, quali siano state le intenzioni di Tipurita, per molti spettatori vanno
perse.
Il film è disponibile su YouTube e lo scrivente ne è venuto a conoscenza dopo
aver postato qualcosa su un suo documentario a costo inferiore sui Rom, Non
tornare mai più. Il film è disponibile
qui.
Non
tornare mai più tratta dei rifugiati rom arrivati in Canada dalla metà
degli anni '90, e ritrae le tristi situazioni dell'Europa Centrale che li hanno
spinti a cercare rifugio. E' stato trasmesso sulla rete canadese OMNI-TV e
finora ha attratto diverse centinaia di visualizzazioni su YouTube.
Uno spettacolo dell'orrore di commenti odiosi e violenti
Zingari ladri di bambini di Tipurita - che è stato trasmesso, tra
gli altri, da CBC News Network - ha attirato oltre 150.000 visualizzazioni su
YouTube. Ha anche provocato un gran numero di commenti su YouTube.
Quei commenti danno anche un senso del vero messaggio che un gran numero di
spettatori hanno colto dal film - per quanto "umanistiche" e "compassionevoli"
fossero state le intenzioni del regista.
Eccone un esempio, e scusate il linguaggio violento e osceno. (E'
interessante notare che YouTube dice che i commenti possono essere cancellati in
caso di linguaggio inappropriato. Difficile immaginare quali di questi
potrebbero essere più "inappropriati" di questi):
Quelle fighe consanguinee puzzolenti non hanno stato,
perché sono così fottutamente stupidi. Nel mio paese tutti li
odiano. Io tolleri tutti Africani, Asiatici, tutti! eccetto
questi subumani!!!
Questa gente è assolutamente disgustosa e ripugnante. Si
dovrebbe sparargli a vista. Espellete questi parassiti da
Italia, Spagna e Francia.
E' il più spregevole gruppo di persone su questa terra,
non sono i soli poveri, ma sono i soli poveri chenon
hanno moralità di base. molti altri poveri hanno almeno un
briciolo di moralità, non gli zingari.
I campi di concentramento sarebbero la soluzione
migliore per questi porci. Rubano sempre, spacciano anche se gli
dai lavoro e benefici. Sono parassiti.
Davvero, non sono differenti dai Cani o dai Topi per
quanto riguarda il loro comportamento.
Sporchi zingari. Pensateci, da dove arriva la frase "what
a Gyp" [Ndr. slang adoperato per rubare]?
Altri commentatori sono stati meno violenti nel senso di genocidio, anche se
difficilmente empatici con la sofferenza dei bambini rom. Alcuni hanno persino
espresso gratitudine a Tipurita per aver tolto loro le fette di salame dagli
occhi riguardo ai Rom:
Grazie al regista per aver soppresso ogni sentimento di
simpatia che avevo per i Rom. Dato che tutta la cultura è
complice nella vendita di minorenni per sfruttamento sessuale e
accattonaggio, loro tutto sanno e vi prendono parte - è giunto
il momento di arrestare gli adulti, venderli alle prigioni
americane "for-profit", e dare ai bambini una possibilità di
essere cresciuti da genitori adottivi, che li crescano come
persone decenti. In mancanza di ciò, i poliziotti saranno presi
in giro. Smantellare anche la "cultura" rom.
Sono degli USA, e non sapevo nulla sugli zingari , prima
di vedere ciò. Ero un fermo sostenitore che non ci sono razze
davvero malvagie, ma solo cattive persone in determinate razze.
Questo video prova che avevo torto. Questa gente è soltanto
terribile e una gigantesca macchia sulla società.
Un commentatore si mostra abbastanza aperto circa la connessione del bigottismo
anti-rom sino all'antisemitismo genocida del Terzo reich. Assume lo pseudonimo
di Federico Barbarossa, dal nome in codice dell'invasione dell'URSS nella II
guerra mondiale, e di sé posta una foto di un'ufficiale della Wehrmacht del
1940. Il messaggio di Barbarossa è succinto:
I Rom sono come gli Ebrei!
Altri sono similarmente schietti e concisi, ed esprimono sentimenti che appaiono
quasi nostalgici per l'odio dell'era nazista, specialmente quando invocano la
nozione hitleriana di subumanità:
Gli zingari non sono umani. Anche gli Europei più
progressisti odiano gli zingari. [Il commentatore ha
ragione, tragicamente, riguardo ai progressisti europei]
La loro cultura si basa sull'inganno. Non hanno posto in
una società civilizzata.
La retorica di Levant e ciò che è stato detto a Wannsee
Paragonate quei commenti a questa lamentela - non da YouTube e non recente - su
"portatori di malattie; operatori al mercato nero e [popolo] inabile al
lavoro."
Erano le parole di un alto funzionario nazista nella Polonia occupata,
pronunciate nella famigerata conferenza del 1942 nel sobborgo berlinese di
Wannsee, dove la gerarchia nazista prese la decisione sulla "Soluzione Finale
del problema Ebraico".
E già che ci siamo, non dimentichiamoci il canadese Ezra Levant, uno dei fari
illuminanti il Sun News Network. Queste sono solo alcune delle parole scelte dal
discorso di Levant, in onda lo scorso settembre:
Sono zingari e una delle caratteristiche della loro
cultura è che l'economia principale si basa sul furto e
l'accattonaggio. Dispiace, ma è così!
Levant e Sun News recentemente si sono scusati per quei commenti. Ma era una
scusa abbastanza tiepida ed ipocrita.
Teneycke pensa che il mercante d'odio locale sia un "guerriero
felice"
In "Cosa Succede" su Radio CBS, Carol Hof diceva ai microfoni che lei sarebbe
stata licenziata in tronco se avesse detto in onda parole simili, e chiedeva al
capo trasmissione di Levant, Kory Teneycke, già responsabile per la
comunicazione del primo ministro, perché Levant avesse ancora il posto.
In realtà Teneycke non aveva una risposta, e poteva solo ribattere che,
secondo lui, Levant poteva considerarsi una sorta di "felice guerriero".
Magari il documentario Zingari ladri di bambini ha solo
inavvertitamente, e non deliberatamente, provocato simili sfoghi di razzismo e
odio feroce, comunque lo ha fatto.
La BBC e il regista dovrebbe avere saputo che l'approccio sensazionalista e
surriscaldato del film avrebbero avuto quel tipo di impatto, ed hanno mostrato
scarsa capacità di giudizio nel trasmetterlo così, specialmente con quel titolo
offensivo.
La CBC ha ugualmente mostrato scarsa capacità di giudizio, nel dare a questo
film un posto d'onore sulle sue frequenze, anche se la corporation Naleh Ayad ha
fatto qualche segnalazione più equilibrata sui Rom ungheresi in cerca di asilo
in Canada.
Come Sun News ed Ezra Levant - non possono nascondersi dietro la pretesa di
buone intenzioni andate storte.
Le parole di Levant - parole estreme che sembrano quasi direttamente prese in
prestito dal discorso apertamente e orgogliosamente nazista del 1940 - sono
state espressamente progettate per provocare odio.
Ed hanno avuto quell'effetto.
Fin quando Sun non li ha bloccati, molti dei commenti su Levant erano - come
quelli su Zingari ladri di bambini - apertamente violenti, sostenendo,
in alcuni casi, che le autorità dovrebbero "sparare agli zingari" che hanno il
coraggio di venire in Canada.
Quando Sun News ha visto che una massa di discorsi incitanti all'odio, come
quelli di Levant, avrebbero portato a conseguenze negative nel sistema via cavo
di tutto il Canada, è apparsa la luce e con lei le tiepide scuse.
Se Sun avesse tenuto una posizione ferma e corretta sin dall'inizio, non ci
sarebbe stato bisogno di scuse.
Mike Duffy and Sun TV
E c'è persino un collegamento tra tutto ciò e l'attuale scandalo in Senato.
Settimana scorsa, CTV news riportava che il senatore Mike Duffy ha cercato di
usare la propria influenza perché la radio e la televisione canadese e la
Commissione Telecomunicazioni (CRTC) approvassero dei finanziamenti per Sun News network.
Ora Sun dice che Mike Duffy non stava lavorando per il network. Sembra che il
senatore possa avervi collaborato come freelance - è ironico come al Sun non
gradisse continuare a stipendiare un ultra-razzista come lui, ma che ora non
voglia aver niente a che fare col senatore "Novantamila-dollari".
E non dimentichiamo che Sun News è tuttora in ottima salute - con o senza il non
riconosciuto aiuto del senatore.
Di Fabrizio (del 29/05/2013 @ 09:05:41, in media, visitato 1469 volte)
Dopo l'azione di sistema TRE ERRE (3R) - comunicazione-formazione-istruzione,
la Fondazione romanì Italia avvia l'azione di sistema "ROMA cultural magazine",
un marchio registrato per sviluppare articolate azioni di
informazione/formazione, di promozione/produzione culturale e politica, di
produzione lavoro.
Nei prossimi giorni in dieci città Italiane, presso alcune stazioni della Metro,
piazze e semafori, 13 persone rom distribuiranno il cartaceo di n. 10.000 copie
della rivista ROMA cultural magazine, co-finanziata dal Programma Fundamental
Right and Citizenship dell'Unione Europea (progetto: just/2011/FRAC/AG/2743).
Di Fabrizio (del 26/05/2013 @ 09:02:59, in media, visitato 1566 volte)
Recentemente, mi è stato chiesto un parere su Rom, Sinti e la loro
percezione da parte dei media. TRANQUILLI, non intendo ammorbare anche
voi con le mie considerazioni... solo coinvolgervi nella lettura di due pezzi
che guardacaso ho letto proprio qualche giorno dopo quella richiesta.
Premessa: per chi ha già estratto dal cassetto il formulario
delle denunce, non c'è scritto niente di apertamente razzista in quei due pezzi,
e gli autori magari sono anche bravissime persone. Non c'è nessuna rilevanza
penale in quanto scrivono, ma giorno dopo giorno questo tipo di cronaca permette
che gli articoli razziali possano proliferare. In pratica, i (metaforici) tiri
in porta di un Borghezio vengono resi possibili dal lavoro di squadra delle
cronache da Catania e Positano (note metropoli di origini celte).
E gli zingari? Sono ingrediente indispensabile della ricetta!
Passiamo agli articoli, e ricordate, può darsi che il mio
sia il parere di una persona prevenuta, che vede razzismo e pregiudizi
dappertutto, ma quanto scriverò è rivolto, ripeto, a quanti giudicano il
razzismo soltanto come una forma di violenza esibita, senza curarsi del
retroterra culturale che lo genera.
In realtà si tratta di una non-notizia: l'aeroporto di
Catania (come tutti gli altri) è tenuto ad autocertificare
annualmente il livello della "sicurezza percepita" da parte di
pubblico e passeggeri. E, secondo voi, chi doveva intervistare?
Pubblico e passeggeri, appunto. I risultati di questa inchiesta
sono stati "stranamente" soddisfacenti, e questo non va giù ad
AvioNews che in passato aveva denunciato come
l'aeroporto si fosse via via riempito di "zingari". Quindi,
contrattacca la testata, l'indagine non ha valore, e sarebbe
stato meglio sentire polizia o altri mezzi di informazione
(questi ultimi, probabilmente, avevano ripreso per solidarietà
il lancio giornalistico di AvioNews, senza neanche controllare).
E il pubblico, i passeggeri, gli interessati insomma? Il bravo
giornalista forse si è lasciato sfuggire LA VERA NOTIZIA:
nonostante i vari appelli securitari, la gente si dimostra più
civile dei mezzi d'informazione, e non si ritiene minacciata da
questa ipotetica "invasione zingara".
Sì, mi direte, ma se non fosse proprio così? "Che ne
so?", tocca rispondervi, per questo passiamo al
secondo articolo. Sorrento, perla turistica, è invasa
dai zingari e poco di buono; questa la tesi dell'articolo che
fornisce anche dei suggerimenti su cosa dovrebbe fare
l'amministrazione.
Andrò per punti, cercando di spiegare perché, RAZZISMO O NO, questo è
esattamente quello che un giornalista NON DEVE FARE.
Esordisce l'articolo scrivendo che i problemi sono tanti, e
c'è anche... Quali sono gli altri problemi, così per curiosità?
Può sembrarvi una richiesta arrogante, ma andando avanti con la
lettura capirete che, a me, sembra un articolo dove le cose non
scritte sono più di quelle scritte.
Ad un certo punto salta fuori, a proposito di chi viene
accusato, il termine "personaggi". Personaggi??? Ma come scrivi?
Se proprio vuoi fare l'originale, usa: marziani, robot,
cercopitechi o elefanti gialli a pallini rosa!!
Andando avanti, cito letteralmente: "sotto gli occhi dei nostri Vigili Urbani e delle Forze
dell'Ordine, che raramente intervengono" E se intervenissero?
Concedete una malignità quasi-razzista anche a me: ma se le
gloriose FdO intervenissero (o meglio si dessero una mossa),
non è che tra i tanti problemi, potrebbero avere a che
fare con scontrini non dati, evasione fiscale diffusa, mercato
delle seconde case? Insomma, i problemi, altrettanto veri, di
una qualsiasi località turistica in Italia.
Cito ancora: "I cittadini, sebbene mal sopportano..."
ho capito (ettecredo!) ma, porta pazienza, in assenza di dati o
dichiarazioni, potrebbe essere una ripetizione dell'effetto
Catania: magari i cittadini sopportano...
"Bisogna agire in tal senso, soprattutto i cittadini non si
devono lasciare ingannare dal loro stato pietoso, dietro al
quale si nasconde in genere una organizzazione malavitosa che
sfrutta tali persone..." Chiusa obbligata dei pensieri
del nostro giornalista. Che l'organizzazione criminale può anche
starci (non conosco persone innocenti a prescindere), ma se la
stessa affermazione SENZA UNO STRACCIO DI PROVA fosse stata
rivolta a qualsiasi altro cittadino, chissà quanti griderebbero
allo scandalo o alla cattiva informazione. E, per favore, se
esistono anche solo SOSPETTI in tal senso, li si denunci a
queste benedette FdO, ai propri amici giornalisti, a chi deve
intervenire. Altrimenti, si sta zitti e si lavora ad un'inchiesta.
Di Fabrizio (del 02/05/2013 @ 09:03:46, in media, visitato 1540 volte)
Commenti: Come produrre disinformazione sui media cechi -
Prague, 8.4.2013 20:48, (ROMEA)
Zdenek Ryshavy, translated by Gwendolyn Albert
"Spiacenti, ci siamo bevuti una bufala..." - un famoso titolo dal
giornale britannico The Daily Mirror.
"-Quando crescerò, voglio avere l'assistenza sociale- si augura un
povero bambino dai ghetti romanì". Così recita il titolo di un particolare
articolo pubblicato sul news server iDNES.cz qui in Repubblica Ceca alcuni
giorni fa.
Il pezzo entra immediatamente nei dettagli. "Cosa vorrebbero fare i
bambini dei ghetti romanì a Liberec, una volta cresciuti? L'assegno di
disoccupazione o l'assistenza sociale, hanno risposto in molti durante un
recente sondaggio di People in Need (Clovek v tisni).
Va di male in peggio nella città in cui sono in 100.000 a vivere nei ghetti,
soprattutto a causa della loro estrema povertà e mancanza di istruzione, secondo
una ricerca di un gruppo speciale del municipio di Liberec, guidato dal
consigliere David Vaclavik."
Poi l'articolo continua con una descrizione piuttosto precisa della vita
negli ostelli residenziali. Con l'aiuto degli inquilini poveri (la cui maggior
parte sono romanì) i proprietari di questi posti imboscano ogni mese migliaia di
corone a spese dei contribuenti, attraverso i sussidi agli alloggi erogati a
favore di chi si trova in difficoltà materiali. Tuttavia, titolo e inizio
dell'articolo sono completamente estranei al resto del contenuto.
L'informazione di base fornita dai primi due capitoli dell'articolo in
questione è la seguente: C'è stato un sondaggio dell'organizzazione People in
Need che ha stabilito che l'x % dei bambini nei ghetti romanì in futuro vuole
campare di welfare, esiste anche un rapporto del municipio di Liberec condotto
dal consigliere comunale David Vaclavik.
Ho iniziato a cercare questi materiali, dato che sono davvero interessato sui
dati concreti dei desideri dei bambini nei ghetti romanì. Cosa ho trovato?
Non esiste nessun sondaggio di People in Need a riguardo. C'è
solo il rapporto del gruppo del consigliere
David Vaclavik, che non menziona niente su tale indagine. Titolo e parte
introduttiva dell'articolo sono, quindi, disinformazione e menzogna.
In che maniera queste informazioni, menzognere e fuorvianti, diventano
notizia? E' facile.
L'autore ha ricevuto, come "velina" per il suo articolo, un rapporto dal
comune di Liberec sugli ostelli residenziali. Tale rapporto li descrive in
maniera similare a come vengono illustrati in un recente rapporto di Life
Together sulla insostenibile situazione degli ostelli a Ostrava.
Alla fine di queste tre pagine, l'autore ha letto quanto segue: "Un segno
tipico dei luoghi coperti da questo rapporto, è la mancata scolarizzazione dei
residenti. Non dobbiamo sorprendercene, date le condizioni in cui vivono. Questa
gente deve affrontare situazioni di base riguardo i propri bisogni e
l'istruzione è tra queste. Il valore dell'istruzione in queste località è molto
basso. La gente che vive lì basa le decisioni sulla propria esperienza che,
sfortunatamente, è quella dei loro vicini che non lavora o non trova lavoro.
L'opinione generale è che se anche i loro figli raggiungessero un determinato
livello di scolarità, non troverebbero comunque lavoro. Un altro problema è che
l'ambiente in località simili non ispira, per esempio, neanche le famiglie i cui
figli dovrebbero frequentare le scuole primarie e secondarie. I bambini in
questo ambiente spesso non riescono, non tanto per ragioni intellettuali, quanto
a causa dell'influenza ambientale in cui vivono. Sono da considerare anche le
influenze spaziali, dato che la maggior parte non ha un posto proprio dove
studiare. Quando studiano, devono farlo nelle aree comuni, come la cucina."
L'autore dell'articolo non era pigro - prese il telefono e chiamò la sezione
a Liberec di People in Need, da cui apprese, tra l'altro, che i bambini poveri
mancavano di modelli positivi nel loro quartiere, che vedevano la gente attorno
a loro dipendere dal welfare e che l'impressione che potevano ricevere da tutto
ciò era che vivere di assistenza fosse normale. E' chiaro che alcuni bambini
allora dicano che una volta cresciuti, vogliono l'assistenza. Personalmente, li
ho sentiti anch'io. Tuttavia, niente di tutto questo può essere definito
un "sondaggio"!
Com'è consuetudine in internet, questa disinformazione, questo titolo, questa
voce ed i due capitoli d'apertura si stanno diffondendo a valanga. Una blogstar
su iDNES.cz, Bretislav Olsher, ha scritto un post dal titolo: "Conoscono il
significato della vita, Per vivere, come i loro padri, di assistenza." (Maji svuj smysl
zhivota; zhit jako jejich otcové ze socialnich davek)
Il pezzo di Olsher spinge un passo oltre l'originale. Non si tratta più
soltanto del ghetto a Liberec, ma dei bambini romanì in tutta la Repubblica
Ceca. "Raramente vanno a scuola, non si lavano quasi mai, la maggior parte
di loro sono analfabeti, e l'unica cosa che sentono e vedono attorno a loro è
parlare di assistenza e di come imbrogliare i burocrati. Cosa vorranno diventare
una volta cresciuti, questi bambini dei ghetti di Chanov, Janov, Liberec,
Ostrava, Varnsdorf o Vsetin? Diventeranno percettori di assistenza...,"
scrive Olsher.
Un altro blogger su iDNES.cz, Martin Pipek, ha scritto un articolo con un
titolo simile: "Piccoli romanì: Voglio essere come papà! Pigro, mai
lavorare, vivere di welfare!" (Mali Romové: "Chci byt jako tata! Linej, nemakat,
zhit z
davek!"). In questo pezzo traboccante d'odio, Pipek dichiara nel
secondo paragrafo quanto segue: "Non so quanti di voi si siano persi il
rapporto di People in Need sui ghetti romanì e vi abbiano trovato ciò che si
aspettavano. I bambini romanì locali hanno confessato che una volta cresciuti
vogliono campare di assistenza. Da che aktro posto avrebbero preso ispirazione?
Se fossero sinceri, cosa ci aspettiamo da questa minoranza?"
Il rating "karma" del post di Pipek su iDNES.cz, che arriva ad un massimo di
50, indica una valutazione di 40,99 quando l'ho controllato l'ultima volta.
Oltre 2.500 persone l'hanno letto.
Ancora una volta: Non esiste nessuna ricerca di People in Need.
Interessa a qualcuno? Disinformazioni e menzogne continuano a diffondersi.
Il codice dei blogger su iDNES.cz recita quanto segue: "Al blogger non è
permesso pubblicare informazioni che siano incomplete, false o non verificabili,
specialmente se così facendo si possano danneggiare gruppi o individui." I
lettosi giudichino da sé, allora, cosa fare dell'autore dell'articolo originale
e dei blogger su iDNES.cz.
Di Fabrizio (del 18/04/2013 @ 09:04:04, in media, visitato 1195 volte)
La cronaca è di una settimana fa, ma vale la pena rileggerla: Tenta
di strappare Bambina dalle braccia della madre, Arrestato "Prova a rapire una
bambina di 5 anni, ma i passanti intervengono" da
MILANOTODAY
Un episodio di (probabile) follia, per fortuna terminato bene.
Quello che mi colpisce, sono una serie di considerazioni fornite dall'autore
del pezzo ("...senza ragione", "...si sospetta abbia problemi psichici",
"...Secondo quanto raccontato dalla donna"), magari giustificate, ma senza
uno straccio di prova oggettiva.
Sarò sfigato o distratto, ma non le ho mai trovate in nessun articolo, di destra o
sinistra, quando viene accusata una romnì per lo stesso (tentato) crimine.
Di Fabrizio (del 10/03/2013 @ 09:04:23, in media, visitato 1203 volte)
Inserzionisti si ritirano da giornale ungherese dopo le dichiarazioni
anti-rom - Budapest, 5 marzo 2013
Cinque compagnie hanno detto che non daranno più pubblicità al giornale
ungherese che ha pubblicato dichiarazioni estreme contro i Rom.
Il ritiro è la conseguenza della campagna di 24 OnG, che hanno contattato 15
compagnie che pubblicavano annunci pubblicitari su Magyar Hirlap, giornale
ungherese di destra. Le OnG hanno chiesto di considerare la sospensione delle
loro attività pubblicitarie fintanto che il giornale non avesse preso le
distanze dai punti di vista razzisti, omofobi ed antisemiti espressi da
Zsolt Bayer,
che paragonava i Rom ad "animali" e, chiedendo una soluzione, diceva "Devono
essere affrontati - immediatamente e con ogni mezzo necessario."
Erste Bank ha messo Magyar Hirlap in lista nera dopo la lettera delle OnG,
riportando espressamente la motivazione di "agire con più prudenza la prossima
volta" con la propria pubblicità. Ha inoltre sottolineato che la banca non farà
pubblicità su qualsiasi media i cui contenuti "feriscano l'altrui dignità, o
usino toni infiammatori verso qualsiasi minoranza, etnia o gruppo religioso." I
leader di CIB Bank hanno detto che il gruppo CIB si asterrà dalla pubblicità su Magyar Hirlap
e sul suo portale "fino a quando la redazione non condannerà categoricamente lo
scritto di Zsolt Bayer e non assicurerà che le sue pubblicazioni siano libere da
testi che includano espressioni di odio." Anche IKEA, FedEx e GDF Suez hanno
preso le distanze dall'articolo, dichiarando che non prevedono per il futuro
ulteriore pubblicità sulla versione online del giornale.
Di solito le compagnie mettono i loro annunci su Internet tramite pacchetti
di un media buyer, ed alcune non erano a conoscenza che la loro
pubblicità fosse apparsa su Magyar
Hirlap.
Altri inserzionisti hanno risposto in maniera interlocutoria o non
rispondendo affatto. Ora le Ong hanno contattato le case madri e le sedi delle
multinazionali, incluse Telekom e Sodexo, chiedendo loro di prendere seriamente
i loro impegni sulla responsabilità sociale.
Le campagna delle OnG manda un chiaro segnale che le dichiarazioni razziste
contro i Rom non saranno tollerate dal mondo del businesses, e sul rischio di
alienarsi i clienti continuando a sostenere i media che pubblicano materiale
provocatorio o offensivo.
Pubblicato da:
Amnesty International Hungary
Artemisszio Foundation
Autonomia Foundation
Chance for Children Foundation
Child Chance Association (GYERE)
Csillagfény Starlight Foundation
Dignity for All Movement (coMMMunity)
Eger Branch of the Fund for the Poors (SZETA)
Eoetvoes Karoly Institute
European Roma Rights Centre
Golden Lily Foundation
Hattér Support Society for LGBT People in Hungary
Hungarian Anti Poverty Network
Hungarian Civil Liberties Union
Hungarian Helsinki Committee
Hungarian LGBT Alliance (seven member organisations)
Hungarian Women’s Lobby
Krétakoer Foundation
Labrisz Lesbian Association
Legal Defence Bureau for National and Ethnic Minorities
Nograd County Alliance of Gipsy Minority Representatives and
Advocates
Partners Hungary Foundation
Polgar Foundation
Romaversitas Foundation
Regional Social Welfare Resource Centre Budapest
Terne Cserehaja Association
Ulteriori informazioni:
Sinan Goekcen
Media and Communications Officer
European Roma Rights Centre sinan.gokcen@errc.org
+36.30.500.1324
Giornali, radio, soprattutto tv: alimentano i pregiudizi verso gli
stranieri. Molti gli studi che lo provano. Ma perché accade? Lo abbiamo chiesto
a Jeroen Vaes, coordinatore di una
ricerca sul tema presentata dal dipartimento
di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova.
Professor Vaes, i media hanno un ruolo nella costruzione di miti come la
pericolosità degli stranieri?
"Sì, e la nostra ricerca lo conferma. E' una responsabilità che si palesa,
per esempio, nella scelta di sottolineare la nazionalità dell'autore di un fatto
criminoso, nella ricerca di titoli a effetto e nell'uso di un linguaggio
approssimativo e scorretto, ma anche in una rappresentazione stereotipata dei
paesi di provenienza dei migranti, raccontati quasi sempre come sottosviluppati
e pericolosi. Da luoghi del genere che cosa può arrivare se non persone da
temere e che non hanno nulla da perdere?".
Ma perché succede, secondo lei?
"Non ho una risposta "scientifica", tanto più che, durante la ricerca, abbiamo
focalizzato la nostra attenzione sui giornali, in particolare i quotidiani,
senza interpellare i giornalisti. Ma un'ipotesi possiamo farla. In alcuni casi,
tra l'altro facilmente individuabili, il ricorso allo stereotipo e dunque il
rafforzamento del pregiudizio rispondono a un obiettivo politico e ideologico
preciso. C'è un'agenda politica che vuole che i migranti siano rappresentati in
un certo modo perché questo è funzionale a precise strategie. E i giornalisti
che lavorano per testate correlate a questa agenda eseguono gli ordini. Da un
punto di vista deontologico ci può essere molto da dire, per quanto riguarda la
linearità dell'azione molto poco. A meno, certo, che il giornalista in questione
sia in privato dissidio interiore con la sua testata (ma qui apriamo un altro
fronte). In tutti gli altri l'uso degli stereotipi e la costruzione dei
pregiudizi ricorrono quasi sempre in modo del tutto inconsapevole e sono la
conseguenza di una discreta ignoranza di base mescolata a supponenza o alla
fretta imposta da un certo tipo – ormai prevalente – di organizzazione del
lavoro. Non c'è il tempo o la voglia di capire di più , in particolare in un
ambito come questo, poco esposto alle querele e alle richieste di rettifica".
Come si potrebbe intervenire rispetto a questo "segmento"?
"Per quanto riguarda gli aspetti formali potrebbe essere utile una norma sociale
che sanzionasse la scelta di questi linguaggi (un po' come è avvenuto negli anni
70 a proposito delle espressioni sessiste). Spinge in questa direzione
l'associazione Carta di Roma . C'è un osservatorio, non ancora ufficializzato,
che dovrebbe occuparsi di questo. Ci sono gli sportelli dell'Unar a cui ci si
può rivolgere per segnalare abusi e discriminazioni. Questo tipo di azione non
produce dei risultati immediati ma nel tempo potrà essere un efficace agente di
cambiamento. Per quanto riguarda l'ignoranza, l'unico modo è combatterla con la
cultura. Ma in questo caso diventa davvero difficile, dal momento che le vittime
– i giornalisti che non sanno – dovrebbero essere loro stesse artefici di
cultura. Sicuramente un maggior contatto reale con le persone immigrate potrebbe
essere utile. Il contatto diretto infatti riduce i pregiudizi. Vale per tutti,
giornalisti e no".
Ma lei non ha anche la sensazione che a volte il problema sia legato a una
mancanza di parole adeguate? Pensiamo al termine seconde generazioni,
correntemente usato, però decisamente improprio...
"Questo è vero. Spesso mancano le parole per parlare di un'identità che va oltre
l'italianità. Mancano le parole e i concetti per parlare della trasformazione in
corso nella società. La mancanza di parole adatte a dire quel che sta accadendo
riflette l'inadeguatezza dell'idea dominante di immigrazione. Molti continuano a
pensare che l'immigrazione sia qualcosa a cui si possa dire sì o no. Non
riescono a riconoscere la sua dimensione strutturale e globale".
Quali sono gli svarioni più grossi emersi dalla vostra ricerca?
"Ci siamo focalizzati sulla cronaca, nel periodo 2008-2012, abbiamo confrontato
il modo in cui venivano trattati i migranti e gli autoctoni coinvolti in
situazioni analoghe e abbiamo visto che il trattamento differisce notevolmente.
Viene dato un rilievo incredibile alla nazionalità, come avveniva trent'anni fa
con i meridionali. La nazionalità viene sostantivata. E' una cosa che in altre
lingue non avviene, che non si può proprio fare. In molti casi poi le generalità
della persona immigrata vengono date in modo incompleto, con la scusa che il
cognome è difficile. E' vero: certi cognomi sono difficili da pronunciare e
trascrivere, ma questo non può in nessun modo rappresentare una valida ragione
per ometterli in un contesto in cui si starebbe facendo informazione".
Ma perché sradicare i pregiudizi è così difficile?
"Questo non può stupire perché il pregiudizio ha una funzione adattativa
importante. Tutti noi abbiamo bisogno di dare per assodate alcune cose, non
potremmo ogni volta passare attraverso le verifiche empiriche Non ne potremmo
fare a meno. Servono a vivere. Il problema nasce quando il pregiudizio resiste
all'evidenza, non viene scalfito dai fatti. Un classico è il meccanismo della
sottocategorizzazione: di fronte a qualcosa che contraddice il mio pregiudizio
reagisco definendo eccezionale quel qualcosa. Per superare i pregiudizi che
offuscano la nostra visione bisogna procedere alla loro decostruzione. E' un
processo impegnativo, che richiede informazioni, esperienza e soprattutto la
disponibilità reale di chi lo mette in atto".
Qual è il modo più efficace di interagire con chi è abbarbicato a pregiudizi
razzisti?
"La pazienza, la fermezza, la disponibilità al dialogo e... un filo di speranza!
Colpevolizzare e attaccare invece non serve a nulla. Il muro contro muro porta a
un rafforzamento delle convinzioni di base".
Un'immagine tratta dall'ultimo film di Danis Tanovic'
Si chiude domani la 63esima Berlinale. E tra i premiati potrebbe esserci il
bosniaco Danis Tanovic', con una storia che racconta il dramma di una famiglia
rom bosniaca. Lo abbiamo incontrato a Berlino
Tanovic' perché ha scelto di fare un film su questa storia?
Ero arrabbiato. E la rabbia mi ha fatto tornare a quando facevo i documentari
durante la guerra. Come può succedere che in un Paese dove durante la guerra si
rischiava la vita per salvare degli estranei, una donna rischi di morire e
nessuno la aiuta? Sono padre e marito e mi chiedo come possa succedere. Che
siano rom è casuale. Ci sono tante famiglie così in Bosnia. Là tanti sono
discriminati. Io non lo sono e sono fortunato. Ma in Bosnia non si può fare
niente, non ci sono strategie, non si pensa al futuro, non c'è un sistema
sanitario.
Come ha girato?
Ho avuto la folle idea di far recitare loro due. Avevo 10.000 euro e mi sono
detto: con un budget così piccolo, se funziona bene, se no pazienza. Ero
totalmente libero, non avevo produzione o limiti. Ho chiamato il mio direttore
della fotografia Erol Zubcevic', il suo assistente e pochi altri. Filmavo la
loro vita, li seguivo mentre mangiavano, gli dicevo di fare quel che dovevano
senza fare caso a me. Non c'è stata quasi messa in scena, quando dovevano
ricostruire l'episodio accaduto lo giravamo una o due volte, perché alla terza
avrebbero iniziato a recitare. Per il resto non c'erano luci, non c'era trucco,
non c'era catering: sul set solo con il direttore della fotografia e il fonico.
Il resto della piccola troupe stava in una stanza di fianco al freddo o fuori.
Purtroppo anche nel fare un film sono sempre i soldi a fare la differenza. Non
volevo aspettare due anni per mettere insieme una produzione, volevo girare
subito, così ho scelto questa soluzione. Ho fatto un film da boy-scout, il primo
sorpreso di essere in concorso a Berlino sono io. Zubcevic' [direttore della
fotografia di "Snijeg" e "Buon ano Sarajevo" e a Berlino anche con "A Stranger"
di Bobo Jelchic'] quando ha saputo che era presidente di giuria Wong Kar-Wai si
è arrabbiato perché lo ama e non voleva fargli vedere questo film.
I protagonisti del film sono tutti quelli reali?
Tutti tranne i dottori, per ovvi motivi, che ho preso tra i miei amici. Non ci
sono effetti, non c'è nulla, è tutto reale. Nazif aveva davvero fatto a pezzi la
sua auto per vendere i rottami così abbiamo dovuto comprare un'auto molto simile
per smontarla. Sono rimasto sbalordito quando l'ho visto. Non avevo mai assisto
alla scena di uno che taglia la sua auto con l'accetta.
Com'è lo stato d'animo dei bosniaci ora secondo lei? C'è ancora l'energia del
dopoguerra?
Il mood è sul depressivo, ma anche altrove non è che ci sia allegria. Però c'è
ancora una grande vitalità nella gente. Nazif mi piace perché combatte: i
protagonisti non sono per niente patetici perché lottano, ed è il motivo che me
li fa amare. Penso di essere una persona aperta, sono di sinistra, ma il mio
contatto con i rom era limitato agli incontri per strada quando mi lavavano il
vetro dell'auto o mi chiedevano soldi. Sono grato a questa famiglia per avermi
fatto entrare nel loro mondo: sono persone orgogliose, buone. Da noi le persone
sopravvivono perché si aiutano, ci sono ancora le relazioni familiari e di
vicinato. Un po' come accadeva in Italia prima che diventaste ricchi. Ma ora
state tornando indietro.
Aveva qualche modello di altri film mentre girava?
I miei film preferiti sono italiani, quelli vecchi, i classici. In questo caso
ho pensato a "Ladri di biciclette". Piango ogni volta che lo rivedo.
Il film uscirà in sala?
È difficile distribuirlo, ne sono consapevole. Il pubblico chiede
intrattenimento, non vuole andare al cinema per vedere la vita reale, purtroppo.
Quanto aiuta vincere l'Oscar?
Aiuta molto se sei a Hollywood. A me al massimo danno un posto migliore in
aereo. Sono uno straniero, sono un regista bosniaco, uno si aspetta che sia
milionario e faccia film che costano milioni. Invece ogni volta è difficile e
bisogna ricominciare.
Su cosa sarà il prossimo film?
Non dico nulla, se non che sarà diverso. Già venerdì (oggi, ndr) inizio a girare
qui a Berlino per qualche giorno. È una città molto affascinante, per me è come
New York, è bella, ha un'atmosfera impressionante, soprattutto la notte. È
l'unico posto in cui mi sento a casa già prima di essere sceso dall'aereo.
E il suo impegno politico? Continuerà con il suo partito?
Mi sono dimesso dal Parlamento un mese fa perché dovevo fare il film. La
politica prende tempo, è un impegno grosso, richiede energie e io sono un
filmmaker. Ma la Bosnia è piccola, si è tutti vicini, per me la politica è
essere cittadino, far parte della comunità. E i miei amici e compagni di partito
continuano a lavorare per cambiare il paese, per estendere i diritti, anche ai
rom. Oggi se non sei musulmano o serbo o croato non hai rappresentanza e
dobbiamo cambiare.
Si sente ottimista o pessimista sulla Bosnia?
Sono profondamente ottimista e profondamente pessimista. Ho una relazione di
amore e odio con il mio paese, ci sono tornato a vivere da cinque anni, ho i
miei genitori, i miei amici. Anche i caffè sono importanti, a volte parliamo,
altre volte stiamo in silenzio e ciascuno legge il giornale per conto suo. Sono
un modo per stare insieme. Mia moglie è francese e si sorprende, ma noi stiamo
zitti senza che sia un problema puoi rimanere in silenzio solo con la gente con
cui stai bene.
Il festival e Tanovic
Danis Tanovic' Una storia realmente accaduta, interpretata dagli stessi protagonisti della
vicenda reale. È la soluzione adottata dal bosniaco Danis Tanovic' per
raccontare il dramma vissuto da una famiglia rom bosniaca. "Epizoda u dzivotu
beracha dzeljeza - An Episode in the Life of an Iron Picker" è il quinto
lungometraggio del regista di "No Man's Land" e "Cirkus Columbia" ed è in
concorso alle 63 Berlinale che si conclude domani sera. Al fianco di quello
Tanovic' vi è un altro film dei Balcani, il romeno "Poziţia Copilului - Child's
Pose" di Cialin Peter Netzer. Entrambe pellicole che hanno chance di premio, il
romeno soprattutto per l'interpretazione di Luminita Gheorghiu madre assillante
di un trentenne che ha causato un incidente stradale. Tanovic' racconta invece di Senada e Nazif, che vivono con due figli piccoli nel
remoto villaggio di Polijce. È inverno, fa freddo, c'è un po' di neve. In casa i
bambini guardano la televisione ma non c'è legna per la stufa. Il padre, che
lavora raccogliendo rottami di ferro con un parente, va nel bosco, taglia un
albero, lo fa a pezzi e ne porta alcuni per riscaldare la piccola abitazione.
Una scena semplice che dichiara tutto: la famiglia vive di pochissimo, non ha
nulla da parte, non può programmare, la coppia deve continuamente risolvere i
problemi quotidiani man mano che si presentano. Senada da parte sua prepara da
mangiare, accudisce i bambini, lava a mano i vestiti. Mentre stende il bucato,
la donna si sente male, cade, si rialza, è sola, raggiunge il divano e si mette
a riposo. A quel punto lo spettatore scopre che Senada è incinta per la terza
volta. I dolori non passano, il marito rientra, si interessa a lei, che resiste
stoicamente. Solo quando è troppo tardi salgono tutti sull'auto scassata per
raggiungere Tuzla.
Dall'ambulatorio la mandano all'ospedale, il bambino è perso, ma è necessario un
intervento chirurgico. Per chi non è coperto da assicurazione sanitaria
l'operazione costa 980 marchi (490 euro) e va pagata in anticipo. I medici sono
impermeabili alle richieste e alle preghiere dell'uomo, preoccupato per la
moglie. Ai due non resta che tornare mestamente a casa tra mille sofferenze di
lei. Nazif si mette a raccogliere ferro più che può, ma recupera pochi marchi.
Fanno un secondo tentativo in città ma va a vuoto, neppure l'intervento
dell'associazione che aiuta i rom può nulla. Non resta che chiedere a una
parente che ha la polizza e tentare all'ospedale di Doboj.
È un film molto bello, molto intenso, che fa sentire allo spettatore,
fisicamente, la dedizione e l'affetto di lui, vero protagonista, e la sofferenza
di lei. Un film minimale e aderente ai personaggi, uno stile che sembra
documentaristico ma non lo è, Tanovic' si discosta molto dai precedenti per
cercare l'essenziale, il nocciolo del rapporto tra i due, fatto di piccoli
gesti, intese tacite, una relazione rafforzata dalla condivisione delle
sofferenze. E in più le discriminazioni e soprattutto l'esclusione sociale: i
soldi salvano la vita.
Un film che ha qualcosa del Vittorio De Sica di "Ladri di biciclette" e "Umberto
D", che ricorda "La morte del signor Lazarescu" di Cristi Puiu per l'odissea
sanitaria, il cinema del pedinamento dei fratelli Dardenne e la testardaggine
dei ragazzini dei film iraniani anni '90 di Abbas Kiarostami o Jafar Panahi.
Nazif chiede aiuto ma non pietà, ha una grande dignità, una caparbietà senza
pari. E il regista lo mostra tal quale, nella sua vita reale, senza orpelli e
senza ricatti morali. Non c'è commiserazione ma c'è compassione, nel senso che
l'ora e 20 scarsa di film è di sofferenze insieme ai protagonisti. E il finale è
un ricominciare nella sopravvivenza.
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