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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

COMMISSIONE EUROPEA: Impiego, Affari Sociali e Inclusione 15/04/2013

© 2013 GeoBasis-DE/BKG, Google

La Commissione Europea ha preparato una mappa interattiva di regioni, città e comuni impegnati ad integrare la loro popolazione rom e che hanno iniziative di rete create per sostenerli nel raggiungimento del loro obiettivo.

L'inclusione sociale dei rom è una responsabilità comune delle istituzioni europee e degli Stati Membri ma, includere le autorità locali risulta cruciale per mettere a punto misure volte a cambiare la vita delle comunità rom.

Diverse iniziative stanno supportando le autorità locali nel pianificare ed implementare le strategie perl'inclusione dei rom e per richiedere finanziamenti europei fornendo loro l'expertise e le opportunità per imparare tra di loro e condividere esperienze:

  • Il sito Network dei sindaci che ricevono il maggior numero di fondi europei per l'inclusione dei rom (MERI) dell'Open Society Fundation riunisce comuni dalla Bulgaria, dall'Ungheria, dalla Romania e della Slovacchia e, in un secondo momento includerà anche comuni dalla Macedonia, dalla Croazia, dalla Serbia e dalla Repubblica Ceca, al fine di scambiare buone pratiche, di creare servizi rivolti ai rom e di usare al meglio i fondi europei dati alle comunità locali.
  • La task force per l'inclusione dei rom di EUROCITIES promuove lo scambio di buone pratiche, la crescita di consapevolezza sulla prospettiva cittadina sulla mobilità europea e l'inclusione dei rom e l'accesso ai fondi per le politiche locali volte all'inclusione dei rom. MERI ed EUROCITIES forniscono supporto anche ad un programma di scambi est-ovest per trasferire buoni esempi di inclusione e accessibilità dei servizi locali dall'Europa occidentale a quella orientale e per migliorare i servizi rivolti ai rom conducenti uno stile di vita nomade.
  • L'Alleanza Europea delle Città e delle Regioni per l'Inclusione dei Rom fornisce supporto alle autorità locali e regionali nel campo dello scambio di esperienze e di pratiche, organizza workshop tematici, corsi e visite sul campo e scambia informazioni sulle politiche e sulle fonti di finanziamento.
  • ROMED (Mediazione interculturale per i rom) è un programma comune del Consiglio d'Europa e della Commissione Europea per migliorare l'interazione tra le istituzioni pubbliche locali e le autorità e le comunità rom e, allo stesso tempo, assicurare l'accesso dei rom ai loro diritti. È implementato in 22 Paesi europei.
  • Il Forum dei Sindaci per l'Inclusione dei Rom è un'iniziativa del Fondo Internazionale Visegrad nel quale i sindaci della Repubblica Ceca, dell'Ungheria, della Polonia e della Slovacchia si scambiano esperienze e buone pratiche per l'integrazione della popolazione rom.
  • Il Progetto di Rete Urbana Rom è costituito da una partnership di nove città europee volte ad informare e a fornirsi supporto reciproco per lo sviluppo di piani d'azione locali per l'inclusione sociale dei giovani rom e la loro transizione a cittadini adulti attivi.
 
Di Fabrizio (del 09/04/2013 @ 09:07:11, in Europa, visitato 1210 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso - di Milena Miloshevic | Podgorica 3 aprile 2013

Campo di Konik (foto Balkan Insight)

Nel più grande campo profughi dei Balcani, i rom fuggiti dalla guerra del Kosovo hanno passato mesi in container di metallo senza elettricità, dopo che le baracche in cui vivevano erano andate a fuoco. (Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Balkan Insight il 13 marzo 2013, col titolo Montenegro's Container Camp Refugees Survive Winter Freeze)

Le file di scatole bianche di metallo sono l'unico segno di ordine in mezzo al caos del campo di Konik, impantanato nel buio del tardo pomeriggio nonostante il clamore dei bambini che giocano e la musica proveniente dai container i cui abitanti sono riusciti a 'prendere in prestito' elettricità dalle case vicine. Siamo nel più grande campo profughi dei Balcani, situato alla periferia della capitale montenegrina, dove vivono 1.500 profughi rom che hanno lasciato il Kosovo durante il conflitto fra le guerriglie albanesi e le forze del governo serbo nel 1999.

Valjdet Ramaj è uno degli abitanti del campo. La sua famiglia viveva in una fra le tante fatiscenti baracche di legno disposte su un terreno abbandonato coperto di spazzatura, ma è stata trasferita in una tenda quando la maggior parte di queste strutture sono bruciate nell'incendio che ha devastato il campo a luglio dell'anno scorso. Nel mese di novembre 2012, il governo montenegrino ha fornito oltre 200 container da utilizzare come abitazioni temporanee, promettendo che l'elettricità sarebbe stata installata. Ma, all'inizio dell'inverno, l'elettricità non è arrivata.

"Le capanne erano migliori, più calde", ha dichiarato Ramaj a BIRN, affermando che vivere in un container è "quasi come vivere in un congelatore".

Diverse decine di persone hanno protestato davanti alla sede della delegazione UE a Podgorica nel mese di gennaio, chiedendo l'installazione dell'elettricità.
"I miei figli vanno a scuola. Quando tornano la sera, non possono fare i compiti. È buio. Non vogliono andare a scuola. Non riescono a leggere. Non riescono a vedere", ha detto a BIRN un altro residente del campo, Gasi Gani.

Una bolletta da 800.000 euro

Prima dell'incendio, gli abitanti di Konik avevano usato elettricità senza pagare fino ad accumulare un debito di 800.000 euro nei confronti dell'Elektroprivreda Crne Gore (compagnia elettrica del Montenegro, a maggioranza statale): una somma che è improbabile i rifugiati possano mai possedere. Il problema è ora sulla via di soluzione, anche se Zheljko Shofranac, direttore dell'Ufficio per i rifugiati del Montenegro, ha avvertito che "nessuno può essere più esentato dall'obbligo di pagare l'elettricità".

Molti dei rifugiati che vivono nel campo sono ancora in attesa che le autorità risolvano la questione del loro status giuridico in Montenegro, e non hanno quindi i documenti necessari per ottenere posti di lavoro. Ma dopo aver trascorso la maggior parte dell'inverno al freddo, Ramaj dice di essere pronto a firmare un contratto con la società di energia elettrica, anche se non è ancora sicuro di come riuscirà a pagare le bollette.

"Cercheremo una soluzione, faremo qualcosa... faremo la fame, ma almeno saremo in grado di vedere quello che mangiamo e beviamo", dice Ramaj.

Anche se manca poco alla primavera e all'arrivo della luce, per alcuni dei rifugiati le serate sono destinate a rimanere buie. Non c'è luce nelle nove baracche di legno sparse sulla terra senza erba, fra enormi pozzanghere, in fondo al campo: le uniche case sopravvissute all'incendio dello scorso anno. A differenza di chi sta nei container, le 350 persone che vivono qui non avranno elettricità fino a quando i residenti del campo non avranno saldato il debito.

"Il debito deve essere pagato perché loro possano usare l'elettricità", ha dichiarato SHofranac, che ha promesso: "Il governo è consapevole del problema e sta cercando una soluzione con l'azienda elettrica".

Una luce nelle tenebre

Alcuni residenti di Podgorica sembrano simpatizzare con la difficile situazione dei rifugiati: "Una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più deboli", ha dichiarato a BIRN un abitante del luogo.

Ma la situazione al campo Konik è il segno di un problema più ampio che affligge il Montenegro da anni. Anche se il paese è riuscito a evitare alcune delle più dure conseguenze delle guerre degli anni novanta, alla fine di quel decennio oltre il 10 per cento della popolazione era costituita da rifugiati. Ora vanno affrontate le questioni abitative di quei rifugiati che hanno deciso di restare, dato che sia il governo che le organizzazioni internazionali sono consapevoli del fatto che né i container né le baracche di legno rappresentano una soluzione al problema.

I funzionari di Podgorica sperano di ottenere il denaro necessario per migliorare la situazione attraverso le donazioni di un progetto internazionale istituito lo scorso anno in una conferenza a Sarajevo, che ha raccolto finora 270 milioni di euro, nel tentativo di risolvere i problemi logistici dei profughi in Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia.

Nel marzo dello scorso anno, dopo un accordo tra il Montenegro e l'Unione europea, tre milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 90 appartamenti e un community center per le famiglie che vivono nel campo di Konik.

"Questo progetto dovrebbe essere un indicatore dei risultati raggiunti e degli standard che dobbiamo raggiungere per avviare i progetti che saranno realizzati attraverso il processo di Sarajevo", ha dichiarato Shofranac.

Altri due progetti volti a fornire alloggi per i rifugiati del Kosovo sono stati proposti per il sostegno dei donatori di Sarajevo. Uno di questi prevede la costruzione di 62 appartamenti a Nikshic, seconda città del Montenegro, e un altro dovrebbe fornire ulteriori 42 appartamenti per i residenti del campo di Konik.

I lavori di costruzione dovrebbero iniziare nel settembre di quest'anno. Ma fino a quando le nuove case non saranno ultimate, la maggior parte dei profughi continuerà a vivere nei container di metallo e guardare con invidia alle case di pietra e mattoni dei loro vicini.

 
Di Fabrizio (del 05/04/2013 @ 09:05:12, in Europa, visitato 1970 volte)

Foto di Fulvia Vitale - LE PERSONE e la DIGNITA' di Riccardo Noury
"Riguarda l'Europa. Riguarda te". Questo è lo slogan ufficiale del 2013, Anno europeo dei cittadini.

Circa la metà dei 10-12 milioni di rom che vivono in Europa si trova nei paesi dell'Ue.

Otto famiglie rom su 10 sono a rischio povertà. Solo un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. A livello dei singoli stati membri, le comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gli indici di sviluppo sui diritti umani.

No, l'Europa non riguarda i rom. Va detto un'alta volta ancora, all'ennesima vigilia della Giornata internazionale dei rom e dei sinti che si celebrerà lunedì 8 aprile.

Lo dice il fatto che a distanza di oltre un decennio dall'adozione della Direttiva sull'uguaglianza razziale del 2000 e di quattro anni dall'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali, mai una volta la Commissione europea ha ritenuto di dover avviare qualche azione a sostegno dei diritti dei rom.

Che l'Europa non riguardi i rom, lo pensano anche alcuni cittadini degli stati membri.

In un sondaggio effettuato nel 2012, il 34 per cento degli europei riteneva che i cittadini dei loro paesi si sarebbero sentiti a disagio, e il 28 per cento "mediamente a loro agio" se i loro bambini avessero avuto dei rom come compagni di classe.

In Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, dal gennaio 2008 al luglio 2012, vi sono stati oltre 120 attacchi gravi contro i rom e le loro proprietà, tra cui sparatorie, accoltellamenti e lanci di bombe Molotov.

Gli sgomberi forzati continuano a costituire la regola, e non l'eccezione in molti paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L'istruzione è segregata in Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed europee che proibiscono la discriminazione razziale.

Ecco la situazione, nel dettaglio, in alcuni paesi:

In Bulgaria si stima che i rom siano 750.000, il 9,94 per cento della popolazione. Più del 70 per cento dei rom dei centri urbani vive in quartieri segregati. In 14 attacchi contro persone rom e/o loro proprietà, portati a segno tra settembre 2011 e luglio 2012, sono morte almeno tre persone e altre 22, tra cui una donna incinta e due minori, sono rimaste ferite.

I circa 200.000 rom presenti nella Repubblica Ceca costituiscono l'1,9 per cento della popolazione. Più o meno un terzo (dalle 60.000 alle 80.000 persone) vive in 330 insediamenti per soli rom, all'interno dei quali la disoccupazione è superiore al 90 per cento. I bambini e le bambine rom costituiscono il 32 per cento del totale di coloro che sono assegnati a scuole per "alunni con lieve disabilità mentale" e che seguono programmi scolastici ridotti. Nel corso degli attacchi violenti verificatisi tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 sono stati uccisi almeno cinque rom e almeno 22, tra cui tre minorenni, sono rimasti feriti.

In Francia vivono circa 500.000 traveller, molti dei quali cittadini francesi. Vi sono poi altri 15.000 - 20.000 rom provenienti da Bulgaria e Romania. I migranti rom dei campi e degli insediamenti informali sono oggetto di sgomberi forzati e di espulsione verso i paesi d'origine. Nel 2012 sono stati eseguiti 11.803 sgomberi, l'80 per cento dei quali aventi caratteristiche di sgombero forzato. Ieri, ce n'è stato un altro, che ha coinvolto oltre 200 persone. Solo il 10 per cento dei rom ha completato gli studi secondari.

Dei circa 750.000 rom residenti in Ungheria, il 7,49 per cento della popolazione, solo il 20 per cento ha un'istruzione superiore al primo grado, rispetto alla media nazionale del 67 per cento. Solo lo 0,3 per cento ha conseguito un diploma universitario. Tra gennaio 2008 e settembre 2012, vi sono stati 61 episodi di violenza contro i rom e le loro proprietà, che hanno causato la morte di nove persone, tra cui due minorenni, e decine di feriti, 10 dei quali in modo grave.

I circa 150.000 rom, sinti e caminanti presenti in Italia costituiscono lo 0,25 per cento della popolazione del paese. Le comunità rom comprendono persone provenienti da altri paesi dell'Ue (soprattutto la Romania) e dai paesi dell'ex Jugoslavia, un numero imprecisato di apolidi e circa un 50 per cento di cittadini italiani. Solo il 3 per cento è costituito da gruppi itineranti. Oltre un quarto dei rom presenti in Italia, circa 40.000 persone, vive in campi, informali o autorizzati ma comunque a rischio di sgombero forzato. Negli ultimi sei anni, a Roma e a Milano, ne sono stati eseguiti oltre 1000, quasi uno al giorno e nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di sgomberi forzati. Il 51 per cento della popolazione italiana ritiene che la società non trarrebbe beneficio dalla migliore integrazione dei rom.

In Romania si stima vivano 1.850.000 rom, l'8,63 per cento della popolazione. Circa l'80 per cento dei rom vive in povertà e quasi il 60 per cento risiede in comunità segregate e senza accesso ai servizi pubblici essenziali. Il 23 per cento delle famiglie rom (su una media nazionale del 2 per cento) subisce multiple privazioni relative all'alloggio, tra cui il mancato accesso a fonti d'acqua potabile e a servizi igienico-sanitari così come l'assenza di titoli comprovanti la proprietà dei loro alloggi.

I circa 490.000 rom presenti in Slovacchia costituiscono il 9,02 per cento della popolazione. Un terzo dei bambini e delle bambine rom, il 36 per cento, si trova in classi segregate per soli rom, il 12 per cento è assegnato a scuole speciali. Nello spazio di una generazione, il numero degli alunni rom assegnati alle scuole speciali è più o meno raddoppiato. Tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 vi sono stati 16 attacchi contro i rom o le loro proprietà: cinque rom sono stati uccisi e altri 10 feriti.

In Slovenia i rom sono circa 8500 e costituiscono lo 0,41 per cento della popolazione. A differenza della percentuale nazionale che arriva quasi al 100 per cento, i rom che vivono nel 20-30 per cento degli insediamenti nel sud-est del paese sono privi di accesso all'acqua. Mentre i litri d'acqua per uso personale sono in media 150 al giorno (con punte del doppio nei centri urbani), alcune famiglie rom hanno accesso solo a 10 - 20 litri d'acqua a persona.

Sul sito di Amnesty International Italia, è online da stamattina un appello indirizzato alla Commissaria europea per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding, per chiederle di porre fine alla discriminazione nei confronti dei rom nell'Ue.

Nei prossimi giorni si svolgeranno numerose iniziative, organizzate sia da Amnesty International che dall'Associazione 21 luglio, in Italia e in Europa.

 
Di Fabrizio (del 03/04/2013 @ 09:09:27, in Europa, visitato 1224 volte)

Da Roma_Francais (Augurandovi di essere usciti tutti interi dalla scorsa settimana santa, ho beccato un articoletto a tema)

I Rom sono pericolosi alla salute dei morti - 29 marzo 2013 par Philippe Alain

Il sindaco di Villeurbanne è quello che si dice un socialista disinibito. La scorsa estate aveva firmato su Le Monde una piattaforma a sostegno della politica razzista del governo e chiedendo lo smantellamento mirato degli accampamenti rom. Per lui, l'importante non è la rosa, non è nemmeno l'accampamento, ma proprio il campo rom.

Fine agosto: assegna quindi al tribunale un centinaio di persone che avevano trovato rifugio in fondo ad un parco naturale. Allora, per giustificare la domanda d'espulsione, il sindaco precisava che i Rom minacciavano... le specie protette.

La richiesta in effetti precisa: "Il parco naturale della Feyssine ospita delle specie protette la cui protezione può essere minacciata da questo tipo di occupazione."

In Francia è più importante proteggere gli animali che i bambini rom.

Il giudice ordina l'espulsione immediata e le famiglie si spostano su altri due terreni, sempre a Villeurbanne, tanto per dimostrare l'assurdità di questa politica che sposta senza risolvere assolutamente niente.

Ancora, i due terreni sono oggetto di una procedura d'espulsione, lanciata a fine agosto 2012.

Durante tutti i 6 mesi in cui sono occupati dalle famiglie, nessuno di questi terreni è fatto oggetto dell'applicazione della circolare interministeriale del 28 agosto, inviata a tutti i prefetti.  E' la circolare che prevede la messa in opera, prima dell'espulsione, di una diagnosi e sostegno alle famiglie.

Probabilmente, il prefetto di Lione non riceve le circolari interministeriali. O forse non le legge, troppo occupato, senza dubbio, ad affrontare la questione degli elefanti da sottoporre ad eutanasia, che si trascina da mesi.

Per giustificare la sua domanda d'espulsione, il sindaco di Villeurbanne, in mancanza di specie animali da proteggere trova un nuovo argomento: "Questa occupazione, se dovesse prolungarsi, porrebbe immancabilmente gravi problemi d'igiene tanto per gli occupanti che per gli abitanti attorno."

Bon, mi direte, è un classico, è l'argomento abituale... Salvo che... I vicini delle famiglie installate sul terreno di Villeurbanne non sono dei vicini così comuni. Sono morti.

Eh sì, morti e sepolti. Cacciate da tutte le parti, minacciati dai vicini che a volte bruciano le loro baracche, queste famiglie si sono installate a lato di un cimitero. Pensando, senza ombra di dubbio, che almeno qui non rischiano di svegliare i vicini facendo troppo rumore.

Invece no. Il sindaco di Villeurbanne ritiene che i Rom, dopo aver minacciato specie protette, minaccino l'igiene delle persone sepolte. Forte, vero?

In Francia l'igiene dei morti è più importante di quella dei bambini rom.

Ieri, 28 marzo 2013, sotto una pioggia gelata, il prefetto del Rodano, a seguito della richiesta del sindaco di Villeurbanne, ha dunque provveduto all'espulsione di 80 persone, la metà delle quali sono bambini. Tutto è successo molto in fretta. La polizia è arrivata con i bulldozer che hanno spaccato tutto. Gettate sul marciapiede, le famiglie si sono fermate per un momento a guardare la Francia distruggere tutto ciò che possedevano, cioè: poca roba.

La sera stessa, alla televisione, François Hollande, dall'alto del suo 29% di popolarità, ci spiegava che rinunciava al socialismo. L'avevamo capito, grazie.

 
Di Fabrizio (del 02/04/2013 @ 09:08:33, in Europa, visitato 1286 volte)

LIVEWIRE Amnesty's global human rights blog - Posted on 28 March 2013 by Livewire Team

Milioni di Rom in tutta Europa sperimentano pregiudizi, esclusioni, sgomberi forzati, segregazione a scuola, mancanza di accessi ai servizi pubblici e odio che può portare alla violenza. Come comportarsi con la discriminazione giornaliera che ancora continua? Cosa li spinge a sperare che il futuro sia migliore? Ecco quattro attivisti romanì che parlano della loro lotta per i diritti umani, i diritti dei loro figli e delle loro comunità.

Peter e Marcela hanno vinto la battaglia perché i loro figli non fossero segregati in classi per soli-Rom. © Private

Lotta contro la segregazione nell'istruzione: "Ci avete dato la forza"

Peter e Marcela vivono a Levocha, in Slovacchia. Grazie ad Amnesty International, hanno recentemente ottenuto che i loro figli non fossero più segrgati in classi epr soli Rom, anche se questa pratica continua tuttora.

Peter: Mi sento Slovacco, ma sono Rom. Non mi piace essere etichettato come Rom o zingaro. Appartengo a questa società, come i miei figli. Il loro fututo sarà migliore. Frequentano classi miste - hanno più opportunità ed hanno un approccio differente alla scuola. Spero che ci sia un cambiamento. Le classi separate vanno abolite. E' giusto che la gente lo sappia - se non se ne parla, non cambierà o non si risolverà niente. Quindi, è stato un bene di sicuro operare con Amnesty, perché a Levocha e altrove le cose ora sono cambiate.

Marcela: Mi sono battuta non solo per i miei figli, ma per tutti i bambini. Sarei così felice se il Ministero dell'Istruzione abolisse tutte le scuole e le classi separate. E vorrei che si battessero anche gli altri genitori, come abbiamo fatto io e mio marito. Lavorare con Amnesty International mi ha dato tanta forza ed energia. Se voi non foste stati con noi, non avrei saputo da dove partire. Per me è stata una grande esperienza. Avete dato la forza per andare avanti con la nostra lotta.

Claudia Greta con altri della sua comunità stanno chiedendo un alloggio adeguato in città, dopo lo sgombero forzato nel2010. © Laurent Ziegler

Combattere gli sgomberi forzati: "Non posso arrendermi"

Claudia Greta e la sua comunità sono state allontanate a forza da Cluj-Napoca, in Romania, a dicembre 2010 e risistemati alla periferia della città, accanto alla discarica municipale. La storia fu descritta nella nostra pubblicazione Write for Rights del 2012. Claudia e gli altri attivisti ora stanno conducendo una campagna con Amnesty International per essere nuovamente riportati in città e con un adeguato alloggio.

Il giorno dello sgombero mi ha segnata per il resto della vita. Da allora ci siamo battuti per mostrare che dovremmo avere gli stessi diritti legali di tutti. Voglio mostrare al mondo intero che non ci arrenderemo, anche se abbiamo la pelle di colore più scuro. Non importa - siamo tutti umani. Non voglio che i nostri bambini passino l'infanzia in un inferno.
Voglio che la gente veda che siamo persone normali: mandiamo i bambini a scuola, andiamo a lavoro, i nostri bambini vanno all'asilo. Facciamo cose normali come qualsiasi etnia. Siamo esseri umani.

Andare a Varsavia con Amnesty International ha avuto su di me un grande impatto. Un bambino di 10 anni mi ha mostrato la lettera che aveva scritto per noi, e mi ha toccato profondamente. Ora sentiamo che non siamo soli. Ogni lettera mostra che altri lottano accanto a noi. Quando vedo così tante lettere di incoraggiamento, non posso arrendermi. Neanche la morte mi fermerà. Qualcuno prenderà il mio posto e continuerà.

Quando la Romania ha aderito all'Unione Europea, erano inclusi Rom e Ungheresi, Ebrei e tutti gli altri gruppi etnici che vivono qui. Quindi, anche noi siamo parte dell'Unione Europea. Se la UE vedesse discriminazioni nel nostro paese, allora dovrebbe intervenire.

Rita Izsak, romnì ungherese ed esperta indipendente ONU sulle questioni delle minoranze. © UN BIH CO

Lotta alle discriminazioni: "Mi sono arrabbiata"

Rita Izsak, è una romnì dell'Ungheria. Ora è consulente indipendente ONU sulle questioni delle minoranze.

Il cognome di mia madre era Orsos, che è tradizionale tra i Rom. Per tutta la vita, quando ho dovuto indicare nei documenti ufficiali il suo cognome, è stato chiaro che appartenevo al gruppo rom.

Quando ero studentessa, lavoravo part-time come organizzatrice d'eventi e fui licenziata senza ragione. Sentii che il mio capo aveva scoperto che mia madre era rom, e non poteva permettersi che la compagnia fosse rappresentata da una Romnì. Non importava che studiassi legge, che parlassi fluentemente due lingue, che fossi pulita e gentile; l'unica cosa importante è che mia madre avesse origine rom.

Mi arrabbiai ed entrai nell'European Roma Rights Centre. Divenni un'attivista per i diritti dei Rom. Ero stata messa di fronte ad una terribile verità e ciò fece di me una combattente.

Vedo segnali positivi - per esempio, la mia organizzazione in Ungheria ha appena fondato un club femminile rom, dove incontro dozzine di Romnià molto promettenti, giovani, altamente istruite e di talento che lavorano per la loro comunità.

Penso che ciò che manca davvero è un linguaggio chiaro su cosa sta succedendo. Non ci sono abbastanza discussioni franche, che permettano alle persone di digerire cosa sta succedendo. I politici spesso hanno troppa paura per usare parole come "segregazione" o "violenza" o "omicidi di Rom". C'è silenzio.

Nell'Europa occidentale l'odio e i discorsi che incitano al razzismo sono in aumento, non solo contro i Rom, ma anche contro altri gruppi come gli ebrei e i musulmani. Ma i Rom si distinguono perché siamo il bersaglio in quasi tutti i paesi dove viviamo. La grande difficoltà è che manchiamo di potere politico, economico o nei media.Così è importante trovare piattaforme per mostrare solidarietà. C'è sempre un modo per entrare in contatto con queste comunità.

Dobbiamo agire ora per evitare la perdita di un'altra generazione di Rom, le cui uniche aspettative siano vivere in povertà, discriminati ed esclusi.

ACT NOW
Il 4 aprile, Amnesty International lancia una nuova campagna in tutta Europa per fermare la discriminazione contro il popolo romanì. Unitevi alla campagna! Visitate amnesty.org/roma

 
Di Fabrizio (del 30/03/2013 @ 09:06:01, in Europa, visitato 1638 volte)

Politis.fr Il vero volto della "caccia ai Rom"
Ai limiti di Parigi, un campo di rom è minacciato di sgombero senza alternative, mentre gli eletti dell'UMP si mobilitano per impedire la costruzione di un'area d'accoglienza, a 700 metri di distanza. Reportage. (ULTIMORA: sgombero effettuato il 27 mattina)

Alle prime ore del giorno, già si diffonde il fumo dai camini di tubi forati che si alzano da una fila di baracche di fortuna. Da mercoledì 20 marzo, la decina di famiglie rumene accampate su una bretella in disuso dell'autostrada A4, a lato del bois de Vincennes, attendono di essere sgomberate in ogni momento. Raccontano tre genitori, intorpiditi ed ansiosi, in francese rudimentale.

Da un anno e mezzo hanno lasciato la regione di Buzau, Romania, dove sopravvivevano come braccianti agricoli. Poi si sono installati in questi rifugi, e vivono di materiali di recupero, cercando nella spazzatura cibo e oggetti da vendere. Due gruppi elettrogeni e delle stufe a legna forniscono un principio di confort.

Giovedì 21 marzo: ingresso dell'accampamento - E.Manac'h

Mercoledì le forze dell'ordine sono venute ad ingiungere di lasciare il luogo, perché l'intervento era imminente. "Ci hanno dato sino a martedì per andare - racconta un padre alzandosi dal letto. - Mercoledì, sfasciano tutto."

"I Rom sono buttati per strada come cani"

Dal 18 luglio 23 di loro hanno ricevuto l'ordine di espulsione dal tribunale di Parigi. Hanno appoggiato le loro valige su una bretella abbandonata dell'autostrada A4 che la direzione stradale dell'Île-de-France vuole recuperare.

"Da uno o due mesi viene sempre la polizia, - racconta Cosmin, 17 anni, che il francese l'ha imparato a scuola in Romania. - Ma non abbiamo dove andare."

Rientrare in Romania? "Impossibile, - risponde il giovane, - là non troviamo lavoro, neanche col diploma. Qui, almeno possiamo cercare nell'immondizia. In Romania non sempre è possibile." Senza alternative, il gruppo sembra quindi rassegnato a dovere "aspettare l'espulsione".

"Non ci sono mai soluzioni di rialloggio, i Rom sono buttati per strada come cani," s'intromette Evelyne Perrin, pensionata e attivista iperattiva che sostiene queste famiglie assieme ad un piccolo collettivo di Joinville-le-Pont (Val-de-Marne). Da diversi mesi, sta muovendo mezzo mondo - dall'ambasciata rumena ai difensori dei diritti, passando per sindaci locali e parlamentari - per tentare di scolarizzare i 12 bambini dell'accampamento. "Ho provato di tutto, ma non è stato possibile," sospira.

L'UMP vuole salvare il bosco di Vincennes

Nello stesso tempo, a due passi, davanti alla stazione RER di Joinville-le-Pont, un pugno di militanti dell'UMP distribuisce volantini. A 700 metri dal campo, un parcheggio dev'essere trasformato in area di accoglienza per "gens du voyage".

Lo prevede la legge ed il consiglio di Parigi ha approvato il 12 febbraio due progetti dentro i boschi di Vincennes e di Boulogne. Inoltre, il senatore UMP della Val-de-Marne, Christian Cambon, assieme ad 8 città, hanno lanciato una petizione contro questo progetto, che dovrebbe realizzarsi nel primo trimestre del 2014.

Progettate dal 2010 dal sindaco di Parigi, la costruzione di queste due aree di sosta è stata accolta dal rifiuto sistematico degli eletti locali. Nell'aprile 2011, la commissione dipartimentale dei siti, presieduta da Claude Goasguen, sindaco UMP del XVIe arrondissement di Parigi, dichiarava "alluvionale" la zona del bois de Boulogne. Ed il progetto di Vincennes è stato aggiornato a novembre 2011, sulla base del solo parere della commissione superiore di siti: un'area di accoglienza in un bosco non sarebbe conforme ai vincoli paesaggistici.

Ai limiti del bois de Vincennes, l'area di accoglienza contestata dall'UMP e l'accampamento minacciato di sgombero (clicca sull'immagine per vederla a grandezza naturale)

Al giorno d'oggi "l'installazione dei campi non va nel senso dell'ecologia," martella Valérie Montandon, consigliera UMP del XIIe arrondissement di Parigi. Firmatario della petizione sulla "violazione dell'integrità del bois de Vincennes" il suo collega Claude Goasguen minaccia di portare il caso in tribunale: "Se il prefetto di Parigi darà nonostante tutto il suo assenso, la decisione sarà comunque annullata dal tribunale amministrativo."

I primi 60 posti di Parigi

Dal 5 luglio 2000 la legge Besson impone ai comuni di oltre 5.000 abitanti di predisporre aree permanenti di accoglienza per le popolazioni nomadi. Già a giugno 2011 il presidente della commissione nazionale consultiva della gens du voyage, Pierre Hérisson, avvertiva François Fillon dell'inadempienza dei comuni, il 31 dicembre 2010 soltanto il 52% aveva provveduto a mettere in pratica la legge. Il 31 luglio 2012 ripeteva l'allarme al nuovo governo a maggioranza socialista: "Devono essere create nuove strutture."

Sinora Parigi ha approntato 60 aree, quando un accordo del 2004 col prefetto fissava a 200 i posti necessari all'area parigina. La cifra è stata abbassata a 90 posti.

Strana inerzia, nello stesso momento in cui il ministro degli interni - che ha fatto espellere 12.000 Rom nel 2012 - promette di smantellare "più campi insalubri possibile" e che François Hollande sostiene che "spera che quando viene sgomberato un campo insalubre, vengano proposte soluzioni alternative."

Quanti si oppongono al progetto dell'area di accoglienza nel bois de Vincennes, hanno indetto una manifestazione sabato 23 marzo, nel l'area in questione. I militanti che sostengono i Rom hanno già annunciato una contro-dimostrazione.

Volantino distribuito giovedì mattina alla stazione di Joinville-le-Pont

 
Di Barbara Breyhan (del 27/03/2013 @ 09:03:20, in Europa, visitato 1706 volte)

RadioBremen I Rom in Germania "I nostri bambini venivano picchiati"

Devono combattere contro molti pregiudizi: si tratta dei Rom. Un rapporto sul loro gruppo etnico - spesso perseguitato dal punto di vista politico - nota come sempre più Rom vengano in Germania. Nella battaglia per il loro riconoscimento sociale trovano un sostegno presso il "Refugio", un'associazione che assiste psicologicamente i profughi provenienti da aree di crisi. "Refugio" è un centro di trattamento psicosociale e terapeutico per profughi e per sopravvissuti a torture, persone che hanno visto la guerra con i loro occhi. Il più delle volte si tratta di superare dei traumi: le persone che vengono al "Refugio" sono state perseguitate a causa della loro appartenenza religiosa, politica, etnica o sessuale e, talvolta, hanno subito anche torture.

Il signor M. - che non intende rivelare il suo nome per intero - vive in Germania da tre anni. Con i suoi cinque figli e sua moglie ha cercato asilo in Germania, poiché la vita da rom nel suo villaggio di origine in Serbia diventava ogni giorno più difficile. "Non avevamo pace, i nostri bambini venivano picchiati. Tornavano a casa da scuola sempre piangendo". La goccia che ha fatto traboccare il vaso: una delle sue figlie venne investita da un'auto; sopravvisse, riportando però gravi lesioni. Il conducente dell'auto ammise di aver travolto la bambina di proposito - perché si trattava di una bambina rom.

Scarso accesso all'assistenza sanitaria
Adesso la famiglia di M. vive in Germania e si sente al sicuro, grazie anche all'aiuto del "Refugio". L'anno scorso sono arrivati al centro di trattamento della città anseatica 16 Rom, "un po' più degli anni precedenti", spiega Bjoern Steuernagel, direttore del "Refugio" di Brema. I pazienti hanno vissuto sulla loro pelle discriminazione ed emarginazione: "Si può parlare a tutti gli effetti di una violenza sistematica nei confronti della minoranza etnica dei Rom, che si manifesta nello scarso accesso all'assistenza sanitaria e ai contributi sociali. Si tratta di un tipo di emarginazione dalla quale scaturisce poi inevitabilmente la povertà".

800 Rom vivono a Brema - tendenza in aumento
Nessuno sa con esattezza quanti Rom vengano via via in Germania. Questo perché l'ufficio federale per la migrazione e per i profughi non rileva i singoli gruppi etnici. Sono soltanto i paesi di origine a fornire un'indicazione. Veniamo così a sapere che è di etnia Rom circa il 90 per cento dei richiedenti asilo provenienti dagli stati balcanici quali Macedonia, Serbia, Kosovo e Bosnia-Erzegovina. Da questi paesi, fino ad ottobre 2012, erano arrivati in Germania circa 5000 Rom. A settembre erano ancora 2800. E da allora il numero dei richiedenti asilo è aumentato ancora. A Brema vivono attualmente 800 Rom. Secondo l'Associazione Federale dei Sinti e Rom di Brema questa tendenza sarebbe in aumento.

Tra gli immigrati rientrano anche i cittadini dell'UE provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria. Afferma Steuernagel: "Dove comincia il diritto di asilo e dove finisce? Perché anche persone provenienti dalla Romania o dalla Bulgaria possono venirsi a trovare in condizioni esistenziali di grave disagio economico e, di conseguenza, decidere di venire qua - grazie alla libera circolazione all'interno dell'UE - nell'aspettativa di un lavoro almeno temporaneo". Steuernagel stima che, nei paesi di origine, fino al 90 per cento dei Rom sia senza lavoro. A questo punto, secondo lui, il passo successivo verso la povertà e verso i margini della società viene di conseguenza.

Razzismo profondamente radicato
Steuernagel attribuisce ad un razzismo profondamente radicato il motivo principale della situazione attuale in cui si trovano i Rom. Un razzismo che è presente in tutti i paesi europei. M. afferma che non gli siano mai capitati direttamente episodi di razzismo, ma di essere a conoscenza, tuttavia, dei pregiudizi esistenti nei confronti dei Rom e di averne timore: "E' una brutta cosa. Se tutti cominciassero a pensare che i Rom non siano in grado di dare il loro contributo alla società, allora anche qui in Germania non ci sarebbe più posto per noi, esattamente come in Serbia".

 
Di Fabrizio (del 26/03/2013 @ 09:08:17, in Europa, visitato 1711 volte)

Stefano Galieni | 18 marzo 2013 | Fonte: corriereimmigrazione.it

Il titolo del convegno è esplicito: Il ruolo delle donne rom nella tutela dei diritti umani e in tempi di crisi economica. Lo ha organizzato a Roma la sezione italiana di Amnesty international, riunendo quattro donne unite da forti motivazioni, esperienza, capacità comunicative e competenza: Isabella Miheleche, attivista per i diritti delle donne in Romania, Beatriz Carrillo, presidente dell'associazione Fakali, per i gitani nella regione spagnola dell'Andalusia, Dijana Pavlovic, dell'associazione Rom e Sinti insieme che opera in Italia, e Dzemila Salkanovic, per l'associazione 21 luglio.

Isabela Michalache, nel denunciare l'aumento delle discriminazioni, le difficoltà nell'accesso al lavoro e ai servizi pubblici (è successo che anche i medici, a volte, abbiano rifiutato le cure), ha toccato anche il delicato tasto delle problematiche interne alle stesse comunità, dai casi di violenza fra le mura domestiche al ripristino di regole ancestrali come quella sulla verginità e ai matrimoni precoci. A causa della crisi, ha spiegato, le donne sono divenute ancora più vulnerabili. In Romania era stato approvato un piano strategico nazionale che prevedeva interventi a lungo termine, soprattutto nel campo della formazione e dell'istruzione, ma non ci sono le risorse per attuarlo. "Bisognerebbe – ha affermato Michalache – operare per rendere le donne più autonome, fornendo libri di testo, sussidi alle famiglie, favorendo la concessione di crediti per chi ad esempio in Moldavia, vuole lavorare la terra, bloccare sfratti e sgomberi che creano emarginazione e disagi, produrre cambiamento anche valorizzando le ong composte da rom. Ci sarebbero mille piccoli interventi alla nostra portata, non solo in Romania, e che produrrebbero cambiamenti importanti e duraturi".

Beatriz Carrillo, con un intervento molto appassionato, ha voluto aprire una riflessione su quella che ha definito "storia muta e invisibile", anche se è consapevole che la situazione spagnola finora è stata fra le migliori d'Europa. Sarà per una presenza numericamente molto consistente, stabile e nata da tempi lontani e per una programmazione di interventi messi in atto per la salute, il lavoro, l'istruzione, fatto sta che in Spagna sono nate istituzioni partecipate e riconosciute dal governo come il Consiglio statale del popolo rom e l'Istituto di cultura gitana. In Spagna si è tenuto il primo congresso mondiale delle donne gitane senza aver bisogno di intermediari. "La Spagna in questo senso è un modello da seguire – ha dichiarato la relatrice- Ma da noi è stato più facile anche grazie all'alto numero di gitani che esercitano professioni che hanno esercitato influenza nella cultura spagnola e che si sono amalgamati con la società". L'immagine che però viene riaffermata anche in Spagna delle popolazioni rom è carica di negatività, tanto che nelle scuole, a detta di Carrillo, spariscono la lingua, le differenze e anche la rivendicazione di identità. "Anche da noi, come nel resto d'Europa, le cose peggiorano. Gruppi estremistici entrano nei governi e nei parlamenti con un messaggio razzista e discriminatorio. Gruppi che vengono condannati a parole ma mai concretamente sanzionati. La situazione è poi precipitata anche da noi con la crisi. Non vogliamo essere un fanalino di coda ma essere ad armi pari. Non siamo disposte a vedere annientati i nostri valori culturali, vogliamo affrontare anche con gli uomini la società gitana. Fakali è impegnata per l'emancipazione femminile e per far valere i nostri valori di solidarietà e rispetto rifiutando però l'assimilazione". E c' è stato anche modo e tempo per ricostruire un percorso che attraversa gli anni bui della dittatura franchista e che ha una svolta nel 1978 quando, nel primo governo democratico, trova posto anche un rom che si era distinto per l'impegno in anni scomodi. Le donne rom hanno operato anche insieme alle altre cittadine spagnole, per una legislazione più paritaria, sono entrate nelle università e hanno fatto sentire anche politicamente la propria voce.

Dijana Pavlovic ha stupito e commosso recitando una parte del monologo Vita mia parla, basato sulla vita di Mariella Mehr, scrittrice e poetessa jenish (nome dato ai rom svizzeri), che nel paese elvetico fu vittima del programma di sterilizzazione forzata imposto dagli anni Venti fino al 1974 tramite l'istituzione Pro Juventute. Un testo violento e diretto, in cui si raccontano con crudo realismo le violenze subite e l'odio accumulato, torture che non sembrano possibili e che pure sono state reali in un Europa cieca e pronta a girarsi dall'altra parte.

Dzemila Salkanovic, invece, come racconta nella lunga intervista che ci ha rilasciato, ha parlato della vita difficile che nella capitale italiana conducono i rom, tanto divisi e poco capaci ancora di fare fronte comune.

Numerose le domande che hanno trovato puntuale e non scontata risposta. A chi criticava il machismo spesso diffuso nelle comunità rom è stato comunemente risposto come il machismo, la violenza sulle donne, gli elementi di problematicità a volte drammatica, siano caratteristica comune e da combattere in ogni cultura. Non nascondendosi dietro alla presunzione che il problema riguardi solo universi ritenuti inferiori ma mettendosi, come uomini e come donne, in discussione. Fra i tanti elementi emersi, che meriterebbero ulteriori approfondimenti, il peggioramento delle condizioni nell'Est europeo dopo il crollo del muro e dei regimi. C'era concordia nell'affermare che la privatizzazione di ogni servizio abbia approfondito le disparità, tolto ai rom diritti acquisiti come la casa, la sanità, la scuola e il lavoro. Duro accettare che tali disagi vengano comunemente imputati alla "democrazia". E' comune la richiesta di una moratoria continentale della politica degli sgomberi, capaci solo di produrre disperazione. E a dirlo, a spiegarlo non sono attivisti neutri di associazioni che si occupano dei rom, ma donne rom in carne ed ossa.

 
Di Fabrizio (del 25/03/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1706 volte)

By Valeriu Nicolae - 12 marzo 2013

L'errore economico

Analisi superficiali sui costi economici dell'inclusione sociale sono diffuse tra le classi politiche dell'Europa Centrale e Orientale (ECO). In questo articolo cercherò di individuare un errore economico riguardo un gruppo immaginario di Rom che chiamerò "Frankestein", termine che intende sottolineare la confusione e l'archetipo semplicistico sui Rom che è largamente diffuso tra i decisori politici.[1]

Molti politici e decisori pensano alla parola "Rom" come ad un eufemismo per tutti i piccoli criminali (inclusi naturalmente quei criminali che non sono Rom). Come per qualsiasi stereotipo, la percentuale di Rom che corrispondono alla descrizione di "Frankestein" è appena una frazione sul numero totale dei Rom. I professionisti rom di successo tendono ad essere invisibili a politici e decisori, in quanto non si adattano alla tipologia, razzista ma diffusa, del "vero" Rom. Nei fatti, esistono più professionisti Rom di quelli "Frankestein".

L'errore economico sui Rom "Frankestein" è ritenere che i loro paesi siano migliorabili, in termini economici, senza di loro. Questa convinzione giustifica tanto l'inazione nella madrepatria (mancanza di sforzi e fondi per l'inclusione sociale), che lka riluttanza a lavorare per arginare l'immigrazione verso l'Europa Occidentale.

I governi ECO pensano che la maggior parte dei Rom che lasciano i loro paesi siano, nella migliore delle ipotesi, cantanti, ballerini o lavoratori non qualificati (nel campo delle pulizie o della ristorazione), ma che la maggior parte viva di assistenza sociale, furti, o operando sul mercato nero. Indipendentemente da ciò, i Rom sono una perdita economica significativa per le economie dei loro paesi.

Credono anche che una volta partiti i Rom "Frankestein", i paesi ospitanti (Europa Occidentale) debbano assumersi i costi del welfare, del controllo, dell'istruzione, della sanità, dell'alloggio - mentre quegli stessi Rom invieranno la maggior parte dei loro risparmi in patria. E' un messaggio crudo e sbagliato, ma semplice, da mandare alla maggioranza dei votanti, che comunque non amano o odiano apertamente i Rom.

I Rom "Frankestein" devono essere incentivati e resi responsabili sulla loro cittadinanza. Ciò richiederebbe un'aggressiva campagna per far capire ai Rom che sono una parte importante della loro nazione, attraverso investimenti massicci nell'inclusione sociale, combattendo l'antiziganismo e promuovendo la cittadinanza attiva tra le comunità e i ghetti più problematici.

Un simile piano d'azione richiede misure strategiche a lungo termine (oltre 20 anni), prevede budget significativi e sarebbe da moderatamente ad altamente impopolare. Richiede un impegnativo lavoro a livello di base, attività disprezzata non soltanto dai politici ma anche dalle maggior parte delle OnG attive nel campo dei Rom e dell'inclusione sociale.

Perché uno stato dovrebbe farlo? La risposta è semplice - non c'è un'altra soluzione.

La maggior parte dei governi dei Rom "Frankestein" vuole sbarazzarsi di chi non si insedierà stabilmente in altri paesi. Continueranno a vivere di welfare nei paesi di origine come in Occidente. Alcuni useranno le loro esperienze criminali in occidente per rafforzare la rete criminale nei loro paesi. Sta già succedendo: nel ghetto dove opero, negli ultimi anni ho visto salire alle stelle il numero di tossicodipendenti. Arrivano sempre più soldi da traffico di droghe e prostituzione. Le bande criminali controllano un numero significativo di persone, attraverso denaro o minacce, e sono in grado di influenzare le elezioni. La corruzione è rampante. I collegamenti tra questi criminali e politici di alto livello sono talvolta pubblici. Tutto questo porta a costi significativamente più alti di quanto le misure di inclusione sociale possano costare.

Un'altra ragione per lavorare verso l'inclusione sociale è la situazione catastrofica dei bambini e della gioventù rom, nei gruppi inclini a migrare. All'inizio degli anni '90 alcuni Rom fecero fortuna andando in Europa Occidentale coi loro figli. Questi bambini divennero la prima di tante generazioni perdute. Bambini ed adulti erano coinvolti nell'accattonaggio, alcuni nella piccola criminalità, alcuni suonavano in cambio di denaro e altri compravano e rivendevano metalli. Alcuni di questi si misero in affari con vestiti e macchine di seconda mano. Spendono il guadagnato in patria, per lo più come stridente segno di benessere.

Per molti Rom, fare soldi è diventato molto più importante dell'istruzione o di cercare un lavoro stabile. I Rom furono tra i primi a perdere il lavoro, durante la transizione dal socialismo alla democrazia all'inizio degli anni '90. Il successo di pochi nel fare soldi facili all'estero, fu molto più visibile del "normale" ma più a lungo termine successo di quanti avevano investito nella propria istruzione. Successo a lungo termine reso ancora meno visibile dal fatto che la maggioranza di quanti erano riusciti a completare gli studi avevano lasciato i ghetti o le loro comunità. Professionisti rom, istruiti e prosperi, si trovano a dover scegliere tra il nascondere le proprie radici e cercare di fondersi con la popolazione maggioritaria (personalmente conosco almeno un centinaio di casi), oppure affrontare il razzismo strutturale a tutti i livelli (vedi i miei precedenti articoli sul razzismo strutturale). I loro risultati non sono mai così visibili come le "conquiste" di chi ha fatto soldi "facili".

Quanti finiscono in prigione tentando di fare denaro "facile" vengono ignorati, in quanto il carcere è considerato parte del normale ciclo della vita in queste comunità.

I bambini che negli anni '90 facevano soldi con le elemosine o rubando, sono diventati adulti che usano i loro figli per elemosinare o rubare. Questi bambini, a loro volta, lo faranno coi loro figli quando ce ne sarà l'opportunità. I bambini che rubano non possono essere messi in prigione, ed alcuni di loro diventano fonti di reddito per i genitori, parenti o reti criminali che li sfruttano. Gli stessi principi si applicano quando si tratta di prostituzione o spaccio di droga.

La molla di far soldi distrugge generazione dopo generazione, quei giovani che vivono di questi "mestieri". E' un'economia "di nicchia", una volta molto produttiva, ed in alcuni casi lo è ancora. Conosco un buon numero di famiglie che viaggia in aereo per mendicare.

Mentre l'istruzione richiede disciplina e non ha un ritorno immediato, elemosinare o rubare porta ad un minorenne centinaia di euro al mese. Spacciare droghe diventa il nuovo "lavoro" sempre più produttivo nei ghetti delle grandi città nell'Europa Centrale e Orientale.

E' quasi impossibile stimare il danno psicologico patito dai bambini coinvolti in questi "traffici", e nella maggior parte dei casi è completamente ignorato dai genitori, che pensano al beneficio economico dei loro figli. Questi bambini diventano adulti che non avranno alcuna possibilità di competere nel mercato del lavoro, ma hanno le competenze, le reti, l'appoggio e la motivazione per fare bene nell'economia criminale. Spaccio, prostituzione, furto ed accattonaggio, per un giovane non istruito (e di solito analfabeta) pagano comunque meglio di qualsiasi lavoro legale possibile.

Una prostituta su cento è fortunata e riuscirà a pagare i trafficanti, fuggire da droga e protettori, fare ritorno col denaro necessario ad aprire un centro di massaggi erotici, che è l'unico modello in questione nel ghetto dove lavoro. Le storie di quante muoiono di overdose, sono picchiate a morte da clienti o trafficanti, o contraggono l'HIV o altre malattie, sono semplicemente ignorate dalle ragazze che vivono in condizioni di abbietta povertà e vedono la prostituzione come l'unica possibilità per uscirne.

Inoltre, le peggiori condizioni in Europa Occidentale, sono meglio sotto quasi ogni aspetto del vivere nei ghetti delle misere comunità in Europa Orientale. Migliori l'assistenza e i servizi sociali, migliore il sistema scolastico. Per criminali, mendicanti e prostitute (che siano Rom oppure no) più ricco è il paese e più si guadagna. Prostitute e mendicanti a volte guadagnano dieci volte di più che nei loro paesi. Le condizioni carcerarie sono di gran lunga migliori e le pene detentive più brevi.

E' vero che ci sono immediati benefici economici se i Rom "Frankestein" lasciano il loro paese. Ma tutto ciò ha effetti disastrosi nel lungo termine, distruggendo i propri figli generazione dopo generazione. Possono esserci ripercussioni a lungo termine: i Rom hanno la percentuale di giovani più alta di qualsiasi gruppo etnico in Europa; questi giovani devono completare gli stuidi per poter competere sul mercato del lavoro. La sostenibilità di molte pensione negli stati membri UE potrebbe dipendere da ciò.

I benefici economici derivanti dall'accattonaggio o dalla microcriminalità sono già di molto inferiori a quanto erano negli anni '90, e presto non ci saranno più "nuovi mercati" da sfruttare. La crescita dell'antiziganismo è già un effetto diretto della migrazione e renderà più difficile e costosa l'inclusione sociale. Il risultato finale sarà un pericoloso effetto a spirale di rifiuto sempre più generalizzato da parte della società maggioritaria. L'antiziganismo rampante può risolversi in conflitti interetnici - i cui costi economici sono impossibili da stimare.

L'attuale flusso delle migrazioni dei Rom "Frankestein" dev'essere indirizzato meglio. E' impossibile bloccarlo completamente, ma usare in maniera più efficiente i fondi UE può portarne ad un significativa riduzione (specialmente di bambini) che lasciano i loro paesi.

La responsabilità di molti di quei bambini, giovani e adulti di queste generazioni perdute, ricade non solo sugli irresponsabili genitori e gli inetti amministratori e politici locali, ma anche sui burocrati rinchiusi a Bruxelles o nelle capitali europee.

Una valutazione responsabile ed indipendente di tutte queste burocrazie e di come siano spesi centinaia di migliaia di euro sulle tematiche rom è necessaria se vogliamo successo con l'inclusione sociale dei Rom. Valutazioni che sono un normale requisito che queste organizzazioni impongono alle OnG - non c'è ragione per cui loro non debbano sottostare agli stessi controlli.


    [1] Contrariamente alla credenza popolare. Frankenstein non era un mostro, ma il creatore pieno di speranze di quello che si è rivelato un mostro. Victor Frankentein è descritto come molto intelligente ed istruito. Il problema è che il suo orgoglio e la sua arroganza circuirono le sue responsabilità.
 
Di Fabrizio (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa, visitato 1432 volte)

di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia
"Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle condizioni di vita"

Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati che devi rispondere, www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale, che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.

Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza, anche politica.
Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia, Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla, a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e al lavoro.
La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e bambini.

Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità, hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.

Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.

La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e solidarietà.

Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.

Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso, ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e determinante delle donne.

Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.

Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro, molto da imparare.

 

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